SEGNALATO DAL DR.
MIGUEL LUNETTA (ASTROFISICO)
UNO STUDIO SU SCIENCE
La scomparsa dell’acqua su Marte
MEDIA INAF: NOTIZIARIO ON LINE
DELL’ISTITUO NAZIONALE DI ASTROFISICA
Ricercatori della NASA hanno
realizzato una serie di mappe uniche della distribuzione atmosferica dell’acqua
marziana da cui emergono nuovi indizi su quello che doveva essere l'oceano
primitivo del pianeta rosso. I risultati suggeriscono che circa 4,5 miliardi di
anni fa Marte aveva abbastanza acqua tale da coprire almeno il 20% della sua
superficie e che poi è andata persa nello spazio nel corso del tempo geologico.
Questo lavoro permette di comprendere meglio la storia evolutiva dell'acqua su
Marte e fornisce uno strumento di indagine utile per identificare potenziali
depositi d'acqua sotterranei
di Corrado Ruscica
Raffigurazione artistica, basata
su dati geologici, di come doveva apparire un tempo Marte e i suoi oceani.
Una serie di mappe della
distribuzione atmosferica dell’acqua marziana, realizzate da un gruppo di
ricercatori della NASA guidati da Geronimo Villanueva grazie ad alcuni tra i
maggiori telescopi terrestri, hanno permesso di determinare che su Marte
esisteva un oceano primitivo caratterizzato da un volume d’acqua di almeno 20
milioni di chilometri cubi, superiore rispetto a quello dell’Oceano Artico qui
sulla Terra, e che poi nel corso del tempo l’87% è finito nello spazio. Da
giovane, il pianeta avrebbe avuto abbastanza acqua da coprire l’intera
superficie formando uno strato liquido profondo circa 137 metri. Non solo, ma
l’acqua avrebbe inoltre formato un oceano occupando quasi metà dell’emisfero
nord e raggiungendo in alcune regioni delle profondità maggiori di qualche
chilometro. «Il nostro studio fornisce una stima solida di quello che era il
contenuto d’acqua su Marte», spiega Villanova, autore principale dell’articolo
pubblicato su Science. «Questo lavoro permette di comprendere meglio la storia
evolutiva dell’acqua sul pianeta rosso». Le osservazioni condotte dai ricercatori
si basano su una serie di misure dettagliate di due composti leggermente
differenti dell’acqua presente nell’atmosfera marziana: uno è quello a noi
familiare, cioè l’H2O, mentre l’altro è una forma isotopica (HDO, acqua
pesante), in cui un atomo di idrogeno viene sostituito dalla versione più
pesante chiamata deuterio. Per far questo, gli scienziati hanno raccolto i dati
durante un periodo di sette anni, dal 2008 al 2014, utilizzando gli
spettrometri ad alta risoluzione, quali CRIRES, NIRSPEC e CSHELL che sono
installati rispettivamente presso il Very Large Telescope (VLT), il telescopio
Keck e l’InfraRed Telescope Facility (IRTF). Confrontando il rapporto HDO/H2O,
gli scienziati sono stati in grado di determinarne la concentrazione e perciò
di stimare quanta acqua è andata persa nello spazio nel corso della vita del
pianeta. Le mappe della distribuzione atmosferica dell’acqua marziana, che sono
le prime di questo tipo, mostrano come varia il contenuto dell’acqua ordinaria
e della sua controparte isotopica in funzione della stagione e della regione
marziana, nonostante oggi il pianeta rosso sia sostanzialmente un deserto e un
ambiente ostile. In particolare, i ricercatori si sono interessati alle regioni
in prossimità dei poli poichè le calotte polari di ghiaccio costituiscono i
principali depositi d’acqua noti. Si ritiene, infatti, che le calotte polari
rappresentino una sorta di archivio storico dell’acqua marziana a partire da
4,5 – 3,6 miliardi di anni fa, quando dovevano essere presenti copiosi bacini
d’acqua sotterranei.
La figura illustra le mappe HDO e
H2O e il loro rapporto D/H per 4 stagioni marziane. Le mappe D/H (pannello
superiore) sono state ottenute suddividendo le abbondanze di HDO e H2O derivate
dalle mappe delle singole specie (pannello inferiore) e sono presentate
relativamente al valore di D/H degli oceani terrestri (VSMOW). Credit:
Science/Villanueva et al. 2015
Il risultato più importante che
emerge da questo studio è che le nuove mappe rivelano una notevole
concentrazione di deuterio rispetto ai valori medi su scala globale le cui
osservazioni indicavano dei rapporti tra l’acqua pesante e quella ordinaria D/H
pari a 5-6, così come definito secondo glistandard VSMOW (Vienna Standard Mean
Ocean Water). Infatti, i ricercatori hanno trovato dei valori di D/H più
elevati in prossimità delle regioni polari, anche 7 volte superiore rispetto a
quanto si misura nel caso degli oceani terrestri. In altre parole, i risultati
suggeriscono che circa 4,5 miliardi di anni fa Marte possedeva abbastanza acqua
tale da coprire almeno il 20% della sua superficie(per confronto l’Oceano
Atlantico occupa il 17% della superficie terrestre). Ciò implica che il pianeta
debba aver perso un volume d’acqua pari a 6,5 volte maggiore di quello presente
attualmente nelle calotte polari per giustificare un rapporto D/H così elevato.
Inoltre, anche le grandi variazioni dell’inclinazione dell’asse subite da Marte
ad intervalli di milioni di anni avrebbero causato la vaporizzazione e la
successiva formazione dei principali depositi di ghiaccio, un processo che,
secondo gli autori, avrebbe rimescolato l’acqua da diversi bacini ad intervalli
regolari. Se ciò è vero, quasi tutti i bacini d’acqua superficiali e polari
dovrebbero avere un rapporto D/H relativamente eguale. Ma poiché vengono
osservati dei valori ancora più elevati (fino a 9-10) in alcune regioni, questo
rimescolamento dell’acqua potrebbe suggerire che gli attuali depositi d’acqua
su Marte contengano un rapporto ancora più elevato di quanto ipotizzato, un
processo che potrebbe implicare una stima maggiore della perdita di acqua nel
corso della vita del pianeta.
La figura illustra la
concentrazione isotopica come evidenza della perdita globale di acqua su Marte.
La quantità d’acqua iniziale era maggiore di quella attuale di almeno un
fattore 6,5. Inoltre, il contenuto dell’acqua presente 4,5 miliardi di anni fa
era tale da coprire il 20% della superficie del pianeta rosso. Credit:
Science/Villanueva et al. 2015
Dunque, le mappe D/H evidenziano
l’importanza delle misure isotopiche relative al pianeta rosso anche perchè
sono state ottenute in modo tale da separare gli effetti climatologici da
quelli evoluzionistici (sia in termini spaziali che temporali). Questo studio
permette non solo di stimare in maniera più accurata l’attuale rapporto D/H dei
bacini d’acqua su Marte ma permette anche di migliorare sia la stima della
quantità d’acqua che è andata persa su tempi scala geologici che la stima
dell’acqua “mancante” che potrebbe risiedere nei depositi ancora da esplorare.
Infatti, per tener conto dei depositi d’acqua, i ricercatori hanno proposto
diverse soluzioni: esse vanno dai depositi polari stratificati, alle regoliti
ricche di ghiaccio presenti a latitudini intermedie, dai bacini superficiali
presenti a latitudini più elevate ai depositi di acqua sotterranea, così come è
stato desunto dalle osservazioni satellitari. «Il fatto che Marte abbia perso
tanta acqua indica che il pianeta abbia ospitato per lunghi periodi condizioni
favorevoli per lo sviluppo della vita», aggiunge Michael Mumma della NASA e
co-autore dello studio. Insomma, è possibile che il pianeta rosso abbia avuto
ancora più acqua nel passato e che parte di essa sia successivamente finita
sotto la superficie. Dato che queste nuove mappe rivelano la presenza di una
serie di microclimi e variazioni nel contenuto atmosferico dell’acqua nel corso
del tempo, esse potrebbero fornire uno strumento di indagine utile per
identificare potenziali bacini d’acqua nella superficie marziana. Infine, stime
più realistiche della distribuzione dei composti dell’acqua riferiti ad epoche
attuali e più antiche potrebbero essere realizzate, ad esempio, dalla missione
MAVEN della NASA in modo da definire meglio il contenuto d’acqua di Marte sia
di oggi che del passato.
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