IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

lunedì 15 dicembre 2008

LA SFINGE: " ETERNO ENIGMA"


Da: Adriano Forgione 14-12-2008

La geologia conferma che la Sfinge era un leone

La notizia non è nuova ma è rimbalzata su internet in modo fragoroso negli ultimi giorni. Il geologo britannico Colin Reader ha affermato, dopo anni di studi, che la testa della Sfinge è stata anticamente rimodellata, presentando tutt'altro aspetto in precedenza, vale a dire volto leonino. Si tratta di una teoria che era stata già avanzata dall'egittologo eretico John Anthony West oltre dieci anni fa ma che mai sinora aveva goduto del supporto scientifico. Colin Reader ha analizzato l'erosione del recinto e le tracce sul corpo della Sfinge, oltre ad avvalersi di uno storico dell'architettura, il Dr. Jonathan Foyle, il quale ha affermato che le proporzioni tra la testa della statua e il suo corpo sono eccessivamente fuori canone, troppo fuori per essere un atto deliberato da parte dei costruttori egizi, sempre così precisi fin dalle primissime dinastie.

Dunque la testa sarebbe stata rimodellata e il suo aspetto originario, essendo il corpo quello di un leone, doveve essere quello di quest'animale. Secondo gli esperti, che hanno partecipato alla produzione del documentario The Secrets of Egypt, il fatto che la statua fosse stata realizzata con intero aspetto leonino non deve sorprendere essendo per gli egizi predinastici un forte simbolo di potere. La conclusione di Reader è che la Sfinge è, dunque, molto più antica di quanto si pensi, anche se mantiene una linea più cauta rispetto a quella del suo collega americano Robert Schoch. Ricordiamo che Robert Bauval ha evidenziato come la Sfinge punti ad est, nel punto in cui il sole nel 10.500 a.C. sorgeva all'equinozio di primavera proprio in corrispondenza della costellazione del Leone.

martedì 2 dicembre 2008

PIANETI DI UN ALTRO MONDO




L'ARTICOLO CHE SEGUE E' STATO SCRITTO DALLA PROFESSORESSA PATRIZIA CARAVEO DELL'ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA (IASF) DI MILANO.

FULGIDO ESEMPIO DI COME LA VERA SCIENZA NON SIA PIU' IMBAVAGLIATA DA PRECONCETTI ORMAI ANACRONISTICI.


PER LA PRIMA VOLTA SI E’ RIUSCITI A VEDERLI AL DI FUORI DEL NOSTRO SISTEMA SOLARE.
E CI SONO TRACCE DI VITA.
di Patrizia Caraveo


Fino a una dozzina di anni fa conoscevamo un solo sistema planetario: il nostro. Nel 1995, Machel Mayor e Didier Queloz, due astronomi svizzeri, hanno aperto nuovi orizzonti con la scoperta che 55 Pegasi, una stella brillante della costellazione del Cavallo Alato, aveva un pianeta. Per rendere giustizia alla sensazionalità della scoperta bisogna aggiungere che il pianeta risultava avere una massa simile a quella di Giove ma percorreva la sua orbita in meno di 5 giorni. Un gigante gassoso più vicino al suo sole di quanto sia il nostro minuscolo Mercurio.Il pianeta non era stato visto, ma la sua presenza era stata indovinata studiando le piccole oscillazioni che il moto del pianeta induce sulla stella. Senza voler entrare nei dettagli tecnici, ricordiamo che in ogni sistema multiplo tutti i corpi celesti ruotano intorno ad un baricentro comune.
Poiché in ogni sistema planetario la stella rappresenta più del 99% della massa totale, il baricentro è all’interno della stella. Tuttavia la sua posizione precisa varia continuamente, in corrispondenza ai movimenti dei pianeti. Il moto del baricentro di un sistema planetario è una specie di registro degli spostamenti dei pianeti, decifrando il quale si possono ottenere preziose informazioni sulla massa e sull’orbita dei pianeti. Imparata e raffinata la tecnica, le scoperte di nuovi sistemi planetari sono diventate sempre più numerose. Non passa settimana senza un nuovo annuncio e oggi il totale dei pianeti tocca quota 329 in poco meno di 300 sistemi planetari, implicando la scoperta di diversi sistemi multipli. Sistemi che ci hanno riservato una sorpresa notevole poiché appaiono diversissimi dal nostro sistema solare. Noi, abitanti del terzo pianeta, che impiega un anno ad orbitare intorno alla sua stella di mezza età di uno dei tipi stellari più normali della galassia, credevamo di ver capito tutto. Per esempio, eravamo abituati a pensare che i pianeti si dovessero disporre con un certo ordine intorno alla stella: prima quelli rocciosi (composti di materiale più denso) a popolare le regioni più interne e più calde del sistema, poi quelli gassosi (composti di materiale più leggero) nelle regioni più esterne e fredde. Invece ecco decine e decine di Giovi caldi a dirci che noi umani, da sempre malati di antropocentrismo, avevamo fatto assurgere al ruolo di modello il nostro sistema planetario.
Adesso sappiamo che circa il 15% delle stelle del nostro vicinato galattico hanno uno o più pianeti. Giordano Bruno aveva ragione, dopo tutto, quando parlava dell’infinità dei mondi.
Restava il rammarico di non riuscire a vederli, questi pianeti. Le difficoltà pratiche erano veramente enormi: i pianeti, che non emettono luce propria ma possono solo riflettere una parte di quella che ricevono, sono miliardi di volte più deboli della loro stella.
L’intrinseca debolezza, unita alla sfolgorante vicinanza della stella madre, aveva convinto molti che si trattasse di una missione impossibile. Per fortuna qualcuno non si è dato per vinto e, con perseveranza e grande abilità è riuscito ad ottenere l’impossibile: l’immagine di un pianeta extrasolare. Anzi, sono due i gruppi che hanno vinto la grande sfida: uno con lo Hubble Space Telescope e l’altro con il Keck e il Gemini, due dei più grandi telescopi della Terra.
Dopo anni di tentativi sono riusciti a sviluppare la tecnica per cancellare l’emissione della stella per fare apparire il puntino del pianeta. Anzi, dei pianeti, perché nel caso della stella HR8799 se ne vedono addirittura tre. Lo Space Telescope si è concentrato su Fomalhaut (che in arabo significa bocca del pesce) una stella visibile ad occhio nudo ad appena 25 anni luce da noi. L’annullamento della stella rivela un disco di polvere, all’interno del quale si vede muovere il paineta ad una distanza pari a circa dieci volte quella di saturno dal Sole. Diversamente dalla maggior parte dei pianeti scoperti con il metodo del movimento del baricentro, si tratta di un pianeta lontanissimo, ben al di là dei confini del nostro sistema solare. Anche i magnifici tre di HR8799 sono lontanucci, il più vicino è a distanza superiore ad Urano.
Un bel risultato, dal quale partire per la prossima sfida: quale ? Ovviamente trovare una nuova terra, un pianeta roccioso nella fascia di abitabilità della sua stella, cioè alla giusta distanza perché possa avere acqua liquida, l’elemento fondamentale per lo sviluppo della vita.
Forse potremmo essere meno esigenti in fatto di temperatura. Recenti immagini della sonda Cassini, che ritraggono Encelado con un pennacchio di vapor d’acqua, ci dice che anche i corpi gelidi come le lune di Saturno possono avere acqua liquida, magari sotto uno strato protettivo di roccia o di ghiaccio. Ma la vita vuole molecole più complicate. Altrettanto recente è la scoperta, assolutamente casuale, della presenza di glicolaldeide, uno zucchero semplice, in una nube di gas della nostra galassia. Non sono ancora gli omini verdi, ma gli scaffali del supermercato del cosmo cominciano a riempirsi e le scoperte non tarderanno ad arrivare.

Fonte: Il Sole 24 ore 30/11/2008 - rubrica Scienza e Filosofia.

martedì 25 novembre 2008

NEWS....ECCO COME SONO STATE REALMENTE COSTRUITE LE PIRAMIDI !











Piramidi, mistero risolto "Costruite dall'interno"

24 Novembre 2008 - La scoperta di una piccola cavità in quella di Cheope avvalora l'ipotesi di un tunnel inclinato e a forma di spirale che dalla base raggiungeva la sommità. L'architetto Jean-Pierre Houdin: "Per secoli ignorata l'evidenza che era lì".

Da antiche civiltà scomparse agli extraterrestri. Le ipotesi sul modo con cui furono costruite le piramidi egizie si contano a decine. Ma rimanendo con i piedi per terra e seguendo i canoni della scienza le congetture su come gli Egizi impilarono più di due milioni di blocchi pesanti anche 70 tonnellate si restringono a poco più di un paio.
Secondo l'idea che va per la maggiore i blocchi furono sovrapposti attraverso una rampa esterna sulla quale venivano fatti scivolare i giganteschi "mattoni". Ma ora la scoperta di una piccola cavità potrebbe dare ragione all'ipotesi in base alla quale la piramide di Cheope, risalente a circa 4.500 anni fa, fu costruita dall'interno, attraverso un tunnel inclinato e a forma di spirale che dalla base della piramide raggiunge la sommità.
Questa ipotesi è stata avanzata dall'architetto francese Jean-Pierre Houdin il quale ha detto: "Per secoli gli archeologi hanno ignorato l'evidenza che era lì di fronte a loro. L'idea che le piramidi furono costruite dall'esterno era proprio sbagliata. Ma se si parte da un elemento base errato per risolvere un problema non si arriverà mai alla soluzione. E questo è ciò che è successo nello studio delle piramidi egizie".
"In realtà tutte le ipotesi che sostengono che le piramidi furono costruite dall'esterno presentano dei problemi irrisolvibili, anche se considera la possibilità di un'unica lunghissima rampa di accesso. Per trasportare blocchi a 147 metri d'altezza, la rampa sarebbe dovuta essere lunga almeno un chilometro e mezzo. Sarebbe stato come costruire due piramidi anziché una", ha detto l'egittologo Bob Brier della Long Island University di New York (Usa).
L'ipotesi invece che vuole che la rampa sia stata costruita ruotando attorno alla piramide avrebbe reso impossibile o per lo meno alquanto complesso ai costruttori l'utilizzo degli angoli e dei lati necessari per i calcoli durante la costruzione. "L'ipotesi poi, avanzata da Erodoto nel 450 avanti Cristo, che per la costruzione si sarebbero utilizzate gru o rampe di legno non sta in piedi perché per fare ciò non ci sarebbe stato legno sufficiente in tutto l'Egitto", sottolinea Brier.
Ma cos'ha di innovativo l'ipotesi di Houdin? Secondo l'architetto la Grande Piramide fu costruita in due stadi. I blocchi furono trascinati su di una rampa per costruire la base della piramide, che contiene la maggior parte dei blocchi. Nella seconda fase i blocchi utilizzati all'esterno per la rampa iniziale furono riciclati per la parte superiore della piramide e questo potrebbe spiegare perché non ci sono tracce del piano inclinato originale. Josef Wegner dell'Università della Pennsylvania (Usa) ha detto: "L'idea di utilizzare piccoli blocchi già squadrati per costruire la rampa più bassa, per poi smantellarla al fine di utilizzare il materiale per i piani superiori è sensata e logica, anche perché avrebbe accelerato di molto la costruzione".
Spiega Houdin: "Dopo aver costruito la fondazione della piramide, gli operai iniziarono a costruire un tunnel inclinato, interno alla piramide e a forma di cavatappi che seguì la crescita della piramide stessa fino alla sua cima. Poiché il tunnel si trova dentro la piramide, quando venne terminata alcuni blocchi chiusero l'uscita e il tunnel, in pratica, scomparve dalla vista".
Questa ipotesi trova ora conferma in una prova importante. A circa 90 metri d'altezza vi è una specie di buco che recentemente è stato raggiunto con tecniche alpinistiche ed esplorato da videoperatori del National Geographic. Brier ha accompagnato i tecnici e una volta raggiunto quel foro l'archeologo si è trovato di fronte a una piccola stanza a cielo aperto forma di "L". A dire il vero non era la prima volta che quell'antro è stato esplorato, ma fino a oggi gli archeologi non gli hanno dato importanza. Ma per Houdin quell'area era la ciliegina sulla torta. Nella sua ipotesi infatti, il tunnel in salita richiedeva aree a cielo aperto ai quattro angoli della piramide necessari per far girare i blocchi di 90 gradi. Questi probabilmente venivano ruotati per mezzo di tronchi di legno.
L'apertura studiata recentemente si trova esattamente in un punto in cui si dovrebbe trovare secondo il modello in tre dimensioni costruito da Houdin. I due tunnel che si dipartono dalla piazzola oggi non si vedono perché probabilmente furono sigillati una volta terminata la costruzione della piramide.
L'ipotesi trova ulteriore riscontro in una ricerca condotta nel 1986: tecnici francesi trovarono variazioni di densità all'interno della piramide che potrebbero coincidere con la presenza di un tunnel interno.
C'è modo di scoprire la galleria di servizio senza dover demolire parte della piramide? Secondo Houdin sarebbe sufficiente fare uno studio all'infrarosso della piramide, in quanto il calore emesso dalle pareti varierebbe rispetto al resto là dove è presente il tunnel in salita. "L'unica cosa necessaria è l'autorizzazione delle autorità dell'Egitto - ha precisato l'architetto - Dopo basterebbe rimanere con una camera all'infrarosso puntata su tre lati della Piramide per circa 18 ore, osservando il calore che fuoriesce. Se l'ipotesi è corretta dovremmo poter osservare l'andamento del tunnel".
Sarebbe una grande scoperta per l'Egitto e il mistero delle grandi piramidi sarebbe risolto per sempre.

FONTE: Repubblica .it 18/11/2008

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"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
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venerdì 26 settembre 2008

ATLANTIDE & LE ISOLE MISTERIOSE






di Marco La Rosa

(estratto dalla conferenza tenuta a Parma il 6 maggio 2000, in occasione della Mostra –Manifestazione : Spedizione Jules Verne. Un viaggio straordinario. – Parma Palazzo Pigorini 26/03/2000 – 28/05/2000).



Uno dei più avvincenti romanzi di Jules Verne, " L’Isola Misteriosa ", ci ha trasmesso il cosiddetto “input” per raccogliere le numerose considerazioni ed ipotesi che da anni affollano, più o meno disordinatamente, i nostri pensieri.
Per non togliere a chi legge l’inebriante sensazione dell’avventura, che Verne trasmette mirabilmente con le sue pagine, non sveleremo alcunché della trama: ci limiteremo a sporadici richiami, che potranno comunque essere facilmente individuati da ognuno.

Tre sono le domande che scaturiscono dalle nostre “riflessioni storiche” circa l’Umanità presente, passata e futura:

1) Gli avvenimenti di cui sono protagonisti i cinque coloni del Romanzo di Verne, sperduti in un’isola deserta, possono essere trasposti al genere umano d’un remoto passato (non “ufficialmente” riconosciuto), ivi comprese le ignote influenze benefiche che “forzano” il corso degli eventi e fanno macroscopicamente progredire i coloni (nel romanzo) e l’umana evoluzione (nella realtà) ?
2) L’Umanità ha mai dovuto “riprendere tutto da capo, dopo un naufragio” (cataclismi, diluvio, ecc…) ? Quanti Cyrus Smith (Deus ex machina) della situazione hanno permesso il ripristino graduale della civiltà, ripartendo da zero ?
3) E’ quindi esistita una super-civiltà planetaria (Atlantide - Mu - Lemuria),
origine di tutto ciò che oggi siamo e, forse, saremo in un prossimo futuro ?

Ci sono tracce evidenti di tutto questo nel passato dell’Uomo ?

Dopo oltre cento anni di studi dedicati alla ricerca di Atlantide, attraverso l’archeologia, la geologia, l’antropologia, la botanica, la geografia, la cartografia, la biologia, ecc., cos’è emerso?
Quella che noi oggi definiamo “scienza primitiva” (ad es. quella dei Sumeri, Egizi e Maya) poteva costituire, già migliaia di anni or sono, la reminiscenza d’un’antichissima ed avanzatissima civiltà ?

Attraverso quali parametri l’Uomo odierno valuta il progresso e la civiltà d’un popolo ? Con un solo termine: la tecnologia. Ma poteva, un tempo, esistere una civiltà “globale”, evolutissima, basata non sulla tecnologia (che non implica, per forza di cose, la massima espressione della conoscenza e del progresso !!!), ma piuttosto sullo sviluppo delle capacità mentali e dei valori etici ? Ad esempio l’armonia e il benessere collettivo, “in primis”, come riferisce Platone a proposito della mitica città di Atlantide !
Più una società fa uso di strumenti atti ad aiutare (= ad usare meno) la mente umana, se non addirittura a sostituire le sue possibilità intrinseche, più oggi è considerata “avanzata”; questo naturalmente a scapito delle facoltà che necessitano d’un allenamento costante (la tecnologia oggi c’è, ma domani potrebbe anche improvvisamente regredire, come siamo convinti che sia già successo...). Quelle facoltà, insomma, di cui quasi certamente erano dotati gli antichi abitanti della terra (migliaia o forse milioni di anni fa) e che oggi purtroppo sono andate “dimenticate”, ma per fortuna non estinte !

Se queste “super capacità cerebrali” erano alla base di quest’antica “Umanità” (come per noi lo è la tecnologia), forse questa è la primaria risposta al fatto che non siano state, a tutt’oggi, ancora trovate evidenze inequivocabili che riconducano con certezza a questa civiltà…..o forse le abbiamo davanti agli occhi, ma, proprio per il fatto che la nostre facoltà cerebrali sono regredite, non riusciamo a distinguerle !

Davanti a noi restano solamente “ciclopici e sbalorditivi” reperti archeologici, per ironia della sorte non databili con esattezza neppure dalla nostra tanto ostentata “tecnologia”; per cui, ancora adesso, su tutto questo aleggia il mistero, checché sostengano gli accademici della cosiddetta “scienza ufficiale” !

Chi ha eretto quelle meraviglie, che hanno sfidato le ingiurie del tempo e della meteorolgia per centinaia di secoli ? Come è stato possibile tutto ciò ?

Forse nella domanda è insita la risposta: LA MENTE DELL’UOMO, quello di undicimila anni or sono, però !

mercoledì 17 settembre 2008

COME ? E DA CHI ?





di Marco La Rosa
Parte Prima

Le due domande in effetti, potrebbero interscambiarsi, ma non cambierebbero affatto l’ “incongruita’ ” della situazione.
Anche il più semplice manufatto in granito o in diorite, rinvenuto negli scavi archeologici in terra d’Egitto, non ha a tutt’oggi trovato una sua precisa collocazione, poiché la raffinatezza e la precisione espresse dal “creatore” di tali opere, non solo “presuppone” ma “implica” necessariamente, l’utilizzo della tecnologia del “tornio” di tipo parallelo, oppure ancor più “audacemente” di una sorta di “trapano” multifunzioni ad “ULTRASUONI”.
Utensili questi, ben diversi e più sofisticati del tornio a pedana del vasaio, per altro ben conosciuto e documentato anche all’epoca pre-dinastica (3500 avanti l’era comune – a.e.c.). Gli inequivocabili segni di “contropunte” e “centratori”, visibili sul fondo di vasi e contenitori in diorite, dimostrano una conoscenza di lavorazione per tornitura e fresatura, possibile solamente (alla luce del nostro progresso tecnologico per pari lavorazioni), con macchinari dei quali non è rimasta traccia.
Quando parlo di tracce, non intendo solamente quelle “fisiche” (rottami o pezzi di macchinario), ma anche quelle “descrittive” o “pittografiche”, cosa estremamente inusuale per una cultura “meticolosa” come quella egizia nell’annotare ogni evento, situazione, conteggio, censimento ecc……
Tutto ciò, porta inevitabilmente a formulare ipotesi per cercare di “capire”, sempre naturalmente, alla luce della “nostra logica” materialista e inevitabilmente “galileiana”:

A) I manufatti in questione (l’implicazione si allargherebbe poi comunque anche alle costruzione come le Piramidi, la Sfinge ecc…), non provengono dalla cultura Egizia, come sostenuto dall’archeologia classica, ma sono stati “ritrovati” e “riutilizzati” dalla stessa !
Cio potrebbe anche spiegare i patetici tentativi di imitazione, attuati per i monumenti simili alle Piramidi di Giza e Dashur;

B) E’ esistita una “civiltà” molto progredita, in un periodo imprecisato (almeno 20.000 – 15.000 a.e.c.) che ha influenzato (protolingua), o addirittura dato origine, a tutte o quasi le civiltà “mondiali” successive; presumibilmente dopo un non ben chiaro cataclisma (diluvio ?), che né ha causato la “diaspora”.
Naturalmente il termine “progredita”, è per noi sempre “misurato” sulla nostra civiltà “tecnologica” e “materialista”, per niente etica e spiritualista.
Questa “misteriosa” civiltà, così ostinatamente negata dall’archeologia classica, potrebbe avere avuto un’evoluzione durata migliaia di anni, ma che invece di imboccare la strada del “materialismo tecnologico”, si è sviluppata sulla strada “etico-spiritualista” arrivando “ naturalmente ad un livello “evolutivo superiore” !
Resta comunque emblematica, la scomparsa “senza” traccia di tutta la tecnologia da loro utilizzata per le meraviglie lasciateci. Potrebbe essere stata una provocazione proprio per l’uomo del terzo millennio ? Perché l’uomo del terzo millennio deve per forza spiegare tutto “materialisticamente” o “empiricamente”?

C) La Terra è stata per migliaia o milioni di anni, la colonia di una civiltà “esogena” che circa 15.000 anni fa, ha lasciato “”forse” completamente il nostro pianeta, portandosi via tutta ciò che avrebbe potuto “aiutarci a capire”…. Ennesima provocazione ?

Ora proviamo ad analizzare in dettaglio i “manufatti”, che hanno dato origine a tutte le nostre domande, e a come noi oggi, senza la nostra tecnologia, saremmo in grado di riprodurre.

Innanzitutto, dovremmo partire con la costruzione del “tornio parallelo”, uno dei macchinari utilizzabili, a mio parere, per la realizzazione dei famosi vasetti in diorite.

Dovrà necessariamente essere composto da:
Due binari sui quali far scorrere la slitta del “mandrino” per foratura e contropunta, e la slitta della morsa con griffe per il bloccaggio del pezzo da lavorare; la torretta per la collocazione dell’utensile di lavorazione; due volani per la rotazione del gruppo morsa e del gruppo mandrino. (fig. 1).

Il difficile comunque deve ancora venire, in quanto non avendo a disposizione “metalli duri”, si può solo tentare di ricreare con legno ed eventualmente pietra, il “bloccaggio” del pezzo da lavorare (fig. 2). Ammesso che ciò possa fare al caso nostro, procediamo pure.
Dobbiamo ora creare un “porta utensile” efficace, utilizzando del robusto legno, in cui incastonare saldamente un diamante grezzo, unico “inserto”possibile per lavorare il granito (fig. 3). La lavorazione, deve comunque procedere sempre, con la costante lubrificazione tramite emulsione oleosa, per ridurre i forti attriti tra utensile e pezzo.

Come si pone l’archeologia ufficiale rispetto a tale problematica ? Naturalmente svicola, semplifica e banalizza….chiamando in causa i soliti artigiani e vasai che con improbabili utensili in rame e pietra riuscivano a creare splendidi e perfetti manufatti….magari impiegando più generazioni per portarli a termine ! ma questo è un aspetto trascurabile…tanto per loro il tempo non aveva significato !

Fine prima parte…

SERPENTI E COLTELLI


























Di Marco La Rosa


Le Cripte del Tempio della Dea Hathor, a Dendera, furono ritrovate alla metà del 1800 e.c. (era comune) da Auguste Mariette; una volta liberate dai detriti e dalla sabbia, rivelarono al mondo sorprendenti incisioni, raffiguranti alcuni degli innumerevoli rituali contemplati nell’egittologia classica.

Le succitate cripte vennero però chiuse al pubblico nel 1973, a seguito di un “misterioso” furto avente per oggetto proprio le incisioni adornanti le pareti. Alcune di queste, infatti, vennero letteralmente asportate.

Per nostra fortuna Mariette, con lo scrupolo del grande archeologo, riportò a mano, su carta, tutte le incisioni presenti nelle cripte, pubblicandole in Europa nel 1869 in cinque corposi volumi. Oltre a questa monumentale opera, di tali incisioni ci restano oggi anche numerose fotografie, scattate nel 1934 da Emile Chassinat per l’Istituto Francese di Archeologia Orientale.

Secondo l’interpretazione in chiave paleoastronautica, le cripte di Dendera rappresenterebbero una “tecnologia fuori tempo” per la cultura egizia e cioè l’utilizzo dell’elettricità o, meglio ancora, dell’illuminazione mediante la “lampadina”.
Von Daniken, Habeck e Krassa (come molti altri) concordano nell’attribuire proprio a tale tecnologia l’assenza di fuliggine sulle pareti, incise o dipinte dagli egizi nelle profondità della terra, ove, per ottenere tali meraviglie, l’uso comunemente accettato di lampade ad olio avrebbe sicuramente comportato il deposito di una notevole quantità di fuliggine, peraltro non riscontrata.
Nemmeno l’audace ipotesi degli “specchi” convoglianti la luce del sole risulta praticabile: infatti gli Egizi utilizzavano specchi d’argento, riflettenti solo il 40% della luce diretta su di essi; ciò significa che dopo soli quaranta metri di profondità tutta la luce sarebbe venuta meno !!!!
La scienza “ufficiale” ribatte a queste teorie, spiegando che gli incisori erano soliti aggiungere del semplice “sale” alle loro lampade, per evitare che queste sprigionassero fuliggine; teoria, però, ancora tutta da dimostrare!!!!!

Un’altra interessante ipotesi è stata formulata da Mario Pìncherle, secondo cui le figure che appaiono nelle incisioni rappresenterebbero l’Umanità che porta l’”uovo cosmico”, simbolo della vita, il cui gamete a forma di serpente procede o con il capo avanti (evoluzione) o con il capo reclinato (involuzione).
L’involuzione sarebbe provocata dalla “guerra” (coltelli in mano alla scimmia, che identifica l’ominide); la figura con le braccia alzate rappresenterebbe lo scorrere del tempo; la “Torre Zed” a quattro livelli identificherebbe la quarta era dell’Umanità e le braccia che ne fuoriescono indicano l’influenza di Osiride sulle vicende umane.

Secondo l’ultima e incredibile ipotesi, formulata dal fisico italiano Clarbruno Vedruccio, il tutto sarebbe incredibilmente identico al sistema a raggi “X” messo a punto da Roentgen nel 1895 (cfr. figura 1); i bulbi sono troppo simili (vedi schema) per trattarsi di semplice coincidenza !...
Dice infatti Vedruccio: “ Personalmente ritengo che questi disegni rappresentino un rituale e non un uso prettamente tecnico: gli Egizi avevano trovato questa tecnologia, ma non sapevano a cosa servisse. Il primo impiego forse non era destinato a far luce , ma a generare raggi “X” a bassa energia, forse per applicazioni legate alla mineralogia ovvero alla ricerca di materiali fluorescenti.
Evidentemente il creatore di questo dispositivo doveva avere bisogno di qualcosa che emettesse tali radiazioni. Il disegno che mostra il Dio Thot con i coltelli alzati davanti alla lampada fa comprendere al “tecnico” che quella zona è pericolosa !
Infatti i raggi “X” scaturiscono proprio dal bombardamento degli elettroni (la serpe) sul bersaglio, costituito dai braccetti all’interno dell’ampolla. Un’altra emissione si ottiene anche bombardando con elettroni accelerati il silicio posto nella parte del tubo perpendicolare al serpente. Nelle foto di Dendera la serpe ha la testa rivolta verso l’alto: anche questo effetto è comprensibile, si tratta della deformazione della scarica di ionizzazione (serpe) a causa dell’impulso magnetico generato durante le fasi di conduzione (innesco) del trasformatore Zed. Un effetto noto come “deflessione magnetica” ed impiegato per formare l’immagine sugli schermi televisivi “.
Ma chi lo aveva ideato, usato e poi abbandonato?
Le ipotesi al riguardo sarebbero molte, non ultime anche le teorie di Sitchin sui Nephilim (cfr. La Genesi, Il Dodicesimo Pianeta) riguardanti, in specifico, la creazione di un “essere di fatica” per l’utilizzo in miniera !!!!

Tutto ciò non ci è giunto direttamente, ma attraverso la decifrazione di scritture sconosciute e ideogrammi arcaici: perché tra l’egittologia accademico-conservatrice e i ricercatori “di confine” non vi può essere nessun punto d’incontro ?
Le interpretazioni sono agli antipodi !
Gli antichi egizi erano effettivamente depositari “ignoranti” di qualcosa più grande di loro ? Il segreto era allora alla base della casta sacerdotale, come in effetti si evince dal “maniacale” utilizzo dei riti iniziatici e del compito, appunto, “segreto” dei sacerdoti: “ Non rivelate in alcun modo i riti che vedete nei templi del “Mistero” più assoluto “.
“ Sono un sacerdote istruito nel mistero, il cui petto non (lascia) uscire ciò che ha visto “. “Sono quattro le formule (che resteranno) segrete, che tu hai penetrate. Non (le) pronunciare, per paura che i profani le ascoltino ! “
Immagini e formule: ecco ciò che deve per sempre rimanere nascosto; il silenzio è la regola. D’altronde, nell’antico Egitto questa virtù resta il punto di appoggio più sicuro !

Permettetemi ora di aggiungere qualcosa di personale alle interpretazioni “estreme”, presentate poc’anzi.
Ritengo di aver riscontrato un’interessante analogia alle incisioni di Dendera nel papiro “GREENFIELD”, custodito al British Museum di Londra (fig. 2), nel quale si riconosce perfettamente, nella parte bassa, la raffigurazione del serpente (libero da “costrizioni”= lampada ?) e, davanti a lui, il Dio Thot con i coltelli in mano. Nella parte alta il Dio Osiride è raffigurato trionfante, seduto sul trono.

Scomponiamo ora solamente la parte che ci interessa, anche se il tutto andrebbe letto nell’insieme, stando ai canoni ufficiali di decifrazione. Ritengo che in questo caso si possa fare un’eccezione, poiché dobbiamo comparare ed in parte completare la teoria del Dott. Vedruccio.

Cosa rappresentava il serpente per la cultura egizia?
APOPHIS, serpente malefico e simbolo delle forze demoniache del male, contrasta le forze della “luce”, simboleggiate da RA.
Rappresenta anche il “dualismo” o, meglio, il potere che emana dalla dualità.
Potere creativo e distruttivo insieme.




Chi era il Dio Thot ?
Dio lunare con culto a Hermopolis. Patrono delle scienze e inventore della scrittura geroglifica. Creatore dell’Universo per mezzo della parola , secondo la teologia del suo collegio sacerdotale. Raffigurato “antropomorfo” con testa di ibis, animale a lui sacro. Dai Greci successivamente assimilato a Hermes; con l’avvento delle teorie “iniziatiche”, in epoca ellenistica divenne “Ermete Trismegisto” (= tre volte massimo).

Perché associare un Dio “essenzialmente positivo ma misterioso” come Thot con uno “potenzialmente negativo” come Apophis ?
Da sempre l’uomo teme ciò che non sa spiegare, associando in molti casi lo “sconosciuto” al male: e quindi Apophis !
Ma chi, tramite la scienza (proto-retro-ingegneria), poteva “illuminare” e quindi comprendere l’ignoto, se non il misterioso Dio Thot ?
Thot aveva compreso (e quindi “domato”) l’”ignoto macchinario che creava morte” (folgoratore, raggi “X” ?) e fu obbligato, da quel momento in poi, a segnalarne il pericolo (monito), alzando davanti a sé i coltelli !!!

Il papiro Greenfield, successivo alle incisioni di Dendera, ha conservato questa “associazione”!!

Forse, oltre a formule ed immagini, l’ultimo e più importante compito sacerdotale fu quello di celare (forse per sempre) agli occhi dell’Umanità ciò che era stato creato dagli Dei ? O forse proprio gli Dei avevano impartito istruzioni affinché il ritrovamento dovesse avvenire in uno specifico e ben preciso momento ?

Noi continueremo a cercare incessantemente, nella speranza che il “preciso momento” sia ormai prossimo.





Bibliografia:



Hera, n. 5 – 6 Maggio , Giugno 2000

Il Serpente Celeste, J.H.West – Corbaccio 1999

Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto, M. Guimot- Mediterranee 1999

Vita quotidiana degli Egizi, F. Cimmino – Rusconi 1985

I Testi delle piramidi, manuale di vita, C. Jacq – Bompiani 1998

FARAONI E FALSARI "Come è stata insabbiata la verità"
















di Marco La Rosa


L’accantonare i problemi, o non spianare le incongruenze, è stata per molto tempo, prassi assai comune in Storia ed Archeologia.
Tale “sistema” ha portato al raggiungimento di conclusioni affrettate ed addirittura a “madornali” inesattezze, presenti ancor oggi sui libri di scuola, ad ogni livello.
Purtroppo in molti casi, la contraffazione e la malafede, andate a buon fine, hanno fatto ottenere ai perpetratori fama e ricchezza; all’umanità una “Storia” completamente diversa da quella reale.
Tutto ciò è sicuramente accaduto alla Grande Piramide, ed al suo “presunto” costruttore, il faraone Khufu (Cheope).

Nuovi scavi archeologici, sistematici e rigorosi, nei luoghi ove sorgono le piramidi,
ci stanno portando a piccoli passi, verso una “Storia” completamente diversa, da quella che è stata, e viene tutt’ora insegnata.

E’ opinione comune che l’epoca delle piramidi iniziasse con la piramide a gradoni di Zoser, e che in seguito vi fosse stata una progressiva evoluzione verso forme più tipiche di una vera piramide, la cui forma alla fine avrebbe preso il posto di quelle precedenti. Ma se è vero che l’arte di costruire piramidi andò progressivamente migliorando, come mai le numerose piramidi costruite dopo quelle di Giza hanno caratteristiche decisamente inferiori e non superiori ?
La piramide a gradini di Zoser costituì un modello per altre costruzioni, oppure era essa stessa l’imitazione di un modello precedente ?
Ci sono oramai prove inequivocabili, portate alla luce dagli archeologi dell’Università di Harvard, guidati da George Reisner, che l’architetto del Faraone Zoser, il “magnifico” Imhotep, avesse fatto ricoprire con mattoni di fango, tutti e quattro i lati della piramide a gradini, così da far scomparire gli stessi, e dare l’impressione che la piramide fosse a pareti lisce. Fu scoperto anche che i suddetti mattoni, furono verniciati di bianco affinchè sembrassero una copertura di bianca pietra calcarea. Ma purtroppo il tutto ben presto si sgretolò, dando ai posteri l’impressione che Zoser avesse fatto costruire una piramide a gradoni. Chi stava cercando di imitare ?
Come mai, i tentavi fatti a Maidum e a Sakkara, di costruire una piramide liscia e inclinata di 52° erano falliti ? e il Faraone Sneferu, fu costretto a costruire la “presunta prima” vera piramide, con una pendenza di soli 43°, mentre il figlio Khufu si sarebbe messo a costruire subito una piramide molto più larga con la rischiosa pendenza di 52° - e presumibilmente ci sarebbe riuscito senza nessun problema ?
Se è valida la “legge” : <<>>, perché il figlio di Khufu, Radedef, non innalzò la propria accanto a quella del padre ? Bisogna evidenziare che le altre due piramidi di Giza presumibilmente non c’erano ancora, quindi Radedef aveva a disposizione tutto lo spazio che voleva per costruire la sua, invece ciò che porta il suo “cartiglio” è una modesta mastaba mal costruita e completamente crollata.
Anche l’assenza di iscrizioni geroglifiche in tutte e tre le piramidi di Giza desta meraviglia , come notò James Bonwick più di un secolo fa : <<>>.
Questi “elementi”, rafforzano l’opinione che Zoser ed i suoi successori cominciarono a costruire piramidi imitando modelli già esistenti: Le piramidi della piana di Giza.

Chi erano dunque Menkara, Chefre e Khufu, i quali secondo la testimonianza di Erodoto, furono i costruttori di queste piramidi ?
I templi e la lunga via che fiancheggiano la terza piramide furono veramente fatti costruire da Menkara , come effettivamente dimostrano le iscrizioni con il suo nome e le numerose statue che lo raffigurano ?
Non è provato affatto però, che lo stesso abbia costruito la Piramide, dentro la quale non fu mai trovata né un’iscrizione, né una statua, né una parete decorata; solamente “un’imponente” ed austera precisione.
L’unico presunto reperto si dimostrò un falso: i frammenti di un sarcofago di legno con l’iscrizione del nome di Menkara si rivelarono di un’epoca di circa 2000 anni posteriore a quella del suo regno; e la mummia “intatta” a differenza del sarcofago, risaliva alla prima era cristiana.
La seconda piramide è completamente vuota, allo stesso modo. Solo nei templi vicini furono ritrovate delle statue con inciso il cartiglio di Chefre, ma non c’è nulla che indichi che l’abbia costruita lui.
Ma ora veniamo a Khufu, l’unica “voce” ad indicare che sia stato lui ad innalzare la Grande Piramide è quella di Erodoto, e poi sulla base dei suoi scritti da uno storico romano.
Erodoto descrisse Khufu come un sovrano che per oltre trent’anni tenne il suo popolo in condizione di schiavitù per costruire la strada e La Piramide. Diversamente secondo “tutte” le altre testimonianze, Khufu regnò per soli ventitrè anni.
Egli non fu affatto un costruttore così prolifico ed ambizioso come Erodoto vuole farci credere, poiché al di fuori di una minuscola statuetta non abbiamo nient’altro di lui.
La sua unica “grande idea” fu quella di costruire il suo tempio funerario vicino alla grande Piramide; ciò lo avrebbe automaticamente associato ad essa, senza per altro profanarla od offendere gli dei arrogandosi ufficialmente il merito della costruzione, tutto ciò lo avrebbero fatto i posteri…….per lui.
Allo stesso modo Chefre, quando venne il momento di costruire la “sua “ piramide, la circondò , con templi e costruzioni votive. Allo stesso modo si sarebbe poi “naturalmente” associata la seconda piramide al suo nome.
Idem per Menkara dopo di lui.
Naturalmente, non possiamo escludere che gli stessi Khufu, Chefre e Menkara siano stati anche i primi restauratori delle tre piramidi della Piana di Giza, già vecchie di molti millenni.
Tutti i faraoni che vennero dopo di loro, se non poterono dedicarsi al restauro di qualche altra grande piramide, tentarono di costruirne una, con i disastrosi risultati che abbiamo già esaminato.
Anche le piramidi di Dashur, seguirono lo stesso iter di restauro, da parte dei predecessori dei tre Faraoni poc’anzi menzionati.
Ad ogni modo una delle prove schiaccianti, che dimostrano l’enorme antichità delle piramidi già al tempo del Faraone Khufu, ci è stata fornita proprio dallo stesso Khufu, in una stele calcarea autocelebrativa, scoperta da A. Mariette a metà del 1800 fra le rovine del tempio di Iside, proprio vicino alla Grande Piramide.
Khufu volle commemorare la ricostruzione del tempio di Iside da lui ordinata e il restauro delle immagini e dei simboli delle divinità che egli stesso trovò all’interno del tempio in rovina. I versi iniziali identificano Khufu grazie al suo cartiglio, senza possibilità d’errore.

Secondo l’iscrizione di questa stele, che oggi è conservata al museo del Cairo, si evince chiaramente che la Grande Piramide era già presente sulla piana di Giza quando Khufu entrò in scena ed apparteneva alla dività Iside e non al Faraone. Non solo, ma anche la Sfinge, notoriamente attribuita a Chefre, era già lì; l’iscrizione precisa che la stessa era stata anche parzialmente danneggiata da un fulmine.

Bibliografia e citazioni:

Il Serpente Celeste, J.H.West – Corbaccio 1999

Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto, M. Guimot- Mediterranee 1999

Vita quotidiana degli Egizi, F. Cimmino – Rusconi 1985

I Testi delle piramidi, manuale di vita, C. Jacq – Bompiani 1998

Il Mistero di Orione – R. Bauval , A. Gilbert – Corbaccio 2000

Custode della Genesi – R. Bauval , G. Hancock – Corbaccio 1997

mercoledì 3 settembre 2008

Graal : Il Pane di Dio


GRAAL: IL PANE DI DIO
EVIDENZE TECNOLOGICHE “ALIENE” NEL NOSTRO PASSATO REMOTO.
(Sunto del trattato storico-scientifico dei F.lli FIEBAG: “Custode della Reliquia – Armenia 2007)

di: Marco La Rosa

“E’ facile, o per lo meno convenzionale, etichettare le tradizioni antiche come miti o leggende; questa opinione è un luogo comune dell’ambiente accademico e non consente di andare lontano e di afferrare il loro significato. Uno spirito avido di sapere si dedica alla decifrazione della struttura di un mito, cercando di risalire alle sue origini. Se il mito esiste, com’è potuto nascere? Così come esiste una logica nei giudizi umani, esiste anche una logica nell’immaginazione umana. La capacità di immaginare dello spirito umano non può concepire cose che non siano già presenti nella realtà. Ogni prodotto della nostra immaginazione deriva sempre da qualcosa di esistente o che abbiamo motivo di credere che esista “.

Berthold Laufer – 1928 –

E’ ancora fresco in tutte le nostre menti il clamore suscitato dal bestseller di Dan Brown: “Il Codice Da Vinci”. Il settimanale tedesco der Speigel ha definito il tema della ricerca del Santo Graal una “ droga da mistero “ per un pubblico avido di leggende. Il Vaticano si è schierato contro il libro di Brown, ed in particolare il Card. Tarcisio Bertone ha intimato ai fedeli: “ Non leggetelo e soprattutto non compratelo ! “. Per fortuna (dico io ) l’appello è rimasto inascoltato, oltre 25 milioni le copie vendute nel mondo in un solo anno. Le teorie del “complotto” sono più persuasive della censura ecclesiastica. I vertici della Chiesa non hanno comunque perso il vizio: “L’uomo che sa quale è il suo posto nell’Universo e che quindi conosce, è un pericolo”.
IL Graal di Dan Brown è il “Sang Real”, la discendenza reale di Gesù attraverso la Maddalena.
Tenendo ben presente che il Graal sembra poter racchiudere in sé innumerevoli concetti metafisici o, all’estremo opposto, necessità materiali, partiamo alla ricerca dei veri significati occulti di questo “oggetto” che si presenta circondato da un’aura magica.


IL GRAAL NEL MEDIOEVO

Quando si sfoglia un libro di leggende, conservato dai tempi dell’adolescenza nell’angolo più remoto e polveroso della libreria, le tradizioni al suo interno sono trasmesse per la maggior parte in prosa. In origine però le canzoni medioevali furono scritte quasi sempre in versi. Qui leggeremo le interpretazioni del testo in prosa, ripassando alcuni punti chiave. Il PARZIVAL di Wolfram von Eschenbach è costituito da sedici libri pubblicati tra il 1195 e il 1210. L’azione si svolge su due piani: da un lato si racconta la storia di Galvano un cavaliere di Artù, dall’altro la ricerca del Santo Graal da parte di Parzival. Ma von Eschembach non fu l’unico poeta medioevale a scrivere su Perceval e il Graal. Il più significativo tra i numerosi artisti fu indubbiamente Chrétien de Troyes, l’autore di Perceval o il racconto del Graal, un poema epico rimasto purtroppo incompiuto.
Sia Wolfram che Chrétien iniziarono la stesura delle loro opere quasi in contemporanea, i racconti sono molto simili anche se presentano tratti distintivi che non staremo qui a sviscerare per ovvi motivi di tempo. È comunque palese che ogni singolo autore, ha creato la propria versione attingendo da leggende che evidentemente erano già note.





ETIMOLOGIA DELLA PAROLA GRAAL

Che cosa è il Graal? Qual è il significato di questa parola? Etimologicamente la si può ricondurre solo a gradalis, ciotola larga e poco profonda, viene anche chiamata graalz nel linguaggio popolare perché è gradita, grata ai commensali. Per quanto riguarda il Sang Real, sangue reale, l’interpretazione rimanda al tardo medioevo, quando il Graal erà già visto come il calice dell’ultima cena. Altre fonti derivano Graal da grès, “pietra”. Ciò può sembrare strano ma in realtà non lo è affatto se pensiamo a come Wolfram von Eschembach nomina il Graal: lapsit exillis.
Che cosa sa il poeta a proposito del Graal e di una pietra ? Leggiamo i versi 469,2-8 del Perceval:

Voglio parlarvi di che cosa essi vivono:
vivono di una pietra,
di purissima natura.
Se non la conoscete,
allora deve essere qui nominata.
Si chiama lapsit exillis.
La pietra viene anche chiamata il Graal.


Lapsit è sicuramente una storpiatura della parola lapis, “pietra”. Frequenti sono infatti tali storpiature nel poema. Altra possibile interpretazione è lapis elisir, la “pietra filosofale”, che trova una corrispondenza nel potere taumaturgico del Graal. Lapis exili, potrebbe voler dire “pietra dell’esilio”; lapis ex coelis o lapis de coelis, rispettivamente la “pietra dal cielo” e la “pietra del cielo” oppure, un’abbreviazione dell’espressione lapis lapsus ex illis stellis, che si può tradurre “pietra caduta da quelle stelle”. Leggiamo infatti dal Parzival di Wolfram (454,1-30):

Il pagano Flegetanis
Ne parlava con timore
Vide negli astri con i suoi occhi
Il più arcano dei misteri.
Parlò di un oggetto che si chiamava Graal,
il cui nome aveva letto tale quale nelle stelle:
“ Lo lasciò sulla terra una schiera,
che poi volò di nuovo in alto tra le stelle,
poiché la sua purezza la riportò indietro, a casa.
Da allora né hanno cura i cristiani casti e puri.
Chi è chiamato dal Graal è uomo di valore “.




L’ IPOTESI PALEO SETI


“ Sono giunto alla conclusione che la teoria degli antichi astronauti è sufficientemente conforme a una premessa scientifica. Anzi, questa teoria getta più luce rispetto ad altre sul materiale protostorico raccolto finora. Abbiamo tra le mani uno strumento insolito, che però ci consente di distinguere un filo rosso nell’intricato labirinto dell’evoluzione umana sul nostro pianeta.

Luis E. Navia, Professore di filosofia, Università di New York.


Non è necessario che mi dilunghi più di tanto sul concetto dei “culti del cargo”. Sapete tutti che una prova tangibile di tali culti è il desiderio di ricevere in regalo le mercanzie (per essere precisi il “carico”, in inglese “cargo”) trasportate dai rappresentanti di una civiltà tecnologicamente superiore. L’indigeno descrive gli strumenti moderni con concetti ripresi dal proprio linguaggio “primitivo” (cioè un gergo con lessico limitato, soprattutto per quanto riguarda i termini tecnici), identificandoli con oggetti che gli sono familiari. Un aereo diventa così un “ grande uccello” o un “ uccello tonante”. Questo per fare solo un esempio. I libri di Von Daniken e Kolosimo né sono pieni e li avrete sicuramente letti. Nulla è conclusivo ma sicuramente affatto trascurabile.
Anche la Bibbia contiene innumerevoli passi che lasciano per lo meno perplessi: L’astronave del Signore nel libro di Ezechiele per esempio (vedi fig), ma anche e soprattutto il miracolo della manna per il popolo di Israele. In Esodo cap. 16 leggiamo:

Tutta la comunità dei figli d’Israele insorse contro Mosè e contro Aronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro: “ Oh ! fossimo morti per mano del Signore in Egitto, quando sedevamo dinanzi alle pentole di carne e avevamo pane in abbondanza! Ma voi ci avete condotti in questo deserto per lasciar morire di fame tutto il nostro popolo”.
Allora il Signore parlo a Mosè: “ Ecco io vi farò piovere il pane dal cielo; il popolo andrà a raccoglierne secondo le sue necessità giorno dopo giorno, e così lo metterò alla prova, per vedere se osserva o meno la mia legge. Ma il sesto giorno si prepari, perchè sarà il doppio di quel che raccoglie ogni giorno “.

La manna è veramente esistita? Di cosa si trattava ?
Fin dalla metà del 1400 abbiamo cronache che parlano di questa strana sostanza, ma è solo negli anno venti del secolo scorso che alcuni scienziati hanno scoperto che una particolare cocciniglia, pungendo gli arbusti di tamerice, fa secernere alla pianta stessa un liquido “mieloso” che condensandosi in perline può essere raccolto e conservato per molto tempo. E’ risultato essere infatti glucosio e zucchero d’uva con tracce di pectina, in pratica zucchero puro. Non può però essere considerato un alimento completo comunque, o sostitutivo di un pasto, semmai un arricchimento al menù. Non potè sicuramente da solo tenere in vita il popolo d’Israele per quarant’anni nel deserto, tanto più che la reperibilità di tale “secrezione” varia di anno in anno ed è legata alla piovosità !
Come risolvere dunque l’enigma della manna ? Di recente sono stati mossi alcuni passi verso una soluzione più concreta.
Si tratta di una tesi logica in sé, sia per quanto concerne i dettagli sia nel suo complesso, e pertanto la si può ritenere verosimile rispetto all’ipotesi del “secreto”, che in fin dei conti è priva di ogni fondamento. Secondo questa nuova impostazione, la manna veniva fabbricata meccanicamente, quindi non era un prodotto spontaneo della natura.
A primo acchito un’affermazione del genere può sembrare assurda, ma gli ingegneri inglesi Geroge Sassoon e Rodney Dale sono riusciti veramente a costruire una macchina della manna. Dall’analisi minuziosa dei testi antichi è risultato, anche in questo caso, un dispositivo che funziona ed è in grado di produrre cibo proprio come affermano le antiche scritture.
I due ingegneri hanno trovato la descrizione della macchina nello Zohar un antico libro della Cabala ebraica scritta nel 1290, dopo che per secoli era stata trasmessa oralmente per non divulgare il segreto della sua sapienza: un mix di testi mistici, magici e alchemici in codice. Come la Bibbia, lo Zohar è suddiviso in più libri. A noi né interessano solo tre: Il Libro del Mistero Nascosto, La Minore Santa Assemblea e la Maggiore Santa Assemblea. In questi libri si descrive una macchina chiamata “L’Antico dei Giorni” oppure “l’Antico degli Antichi”. Il nome deriva dall’aramaico OThiQ IVMIN (pronuncia: attik jomin), ma può anche significare, udite udite: “ ciò che può essere trasportato nella cassa” .Tale significato sembra avere un senso logico, anche se alle parti che costituiscono l’apparecchio sono attribuiti nomi di membra e organi umani.
La macchina è composta da tre unità: una parte superiore considerata “maschile”, una media come “femminile” e una inferiore ancora maschile. I popoli vissuti nei secoli prima di Cristo non conoscevano la tecnologia in senso odierno. Non avevano idea dei macchinari complicati che invece fanno parte della nostra vita quotidiana. Concetti come “fili del telefono”, “cavi”, “circuiti elettrici”, “spie di accensione”, “gruppi propulsori” erano al di fuori della loro portata. E allora come descriverli ? L’unico modo era adattarli alle nozioni tipiche del loro mondo. Eccoci tornare al concetto del “culto del cargo”.
Torniamo alla manna. Si ritiene che la materia prima fosse uno speciale tipo di alga Clorella, i cui componenti in proteine, carboidrati e lipidi potevano essere variati nel corso della maturazione della coltura. Per coltivare l’alga era necessaria soprattutto una fonte di luce intensa, presumibilmente un laser. Secondo quando deducono Sassoon e Dale dai testi dello Zohar, la macchian aveva il seguente aspetto: in cima al congegno era installato un apparato per la distillazione della rugiada, o, meglio, dell’umidità dell’aria, la cui superficie convessa era raffreddata. L’umidità presente nell’aria notturna, a contatto con la superficie fredda, si condensava in acqua. L’acqua era la materia prima per il serbatoio centrale, che conteneva sia la fonte di luce sia la coltura di alghe. La coltura circolava in una rete di dotti che consentivano lo scambio di ossigeno e anidride carbonica con l’atmosfera e irradiavano calore. La melma di Clorella formatasi nel serbatoio centrale veniva poi incanalata in un secondo serbatoio dove era sottoposta a idrolisi. Né risultava una sostanza simile all’orzo, che assumeva il caratteristico sapore di focaccia al miele dopo una leggera tostatura. (“E il popolo d’Israele la chiamò “manna”. Era simile a bianchi semi di coriandolo e aveva il sapore di focaccia al miele “). Al termine del processo, il materiale essiccato finiva in due distinti serbatoi di raccolta. L’uno copriva il fabbisogno giornaliero, l’altro si riempiva via via durante la settimana in modo di fungere da scorta per due giorni il sabato sera (“ Ma il sesto giorno si prepari, poiché sarà il doppio di quel che raccoglie ogni giorno “). I due serbatoi erano necessari affinché la macchina potesse essere arrestata, smontata, pulita e riavviata.
Non stiamo parlando di fantascienza: macchine di questo tipo esistono e funzionano. Un metodo analogo, basato sulla coltura delle alghe viene utilizzato per depurare l’aria nei sottomarini nucleari è tuttora impiegato nei sistemi ecologici chiusi in ambito astronautico, nella stazione spaziale internazionale. Molti paesi utilizzato lo stesso sistema per le colture idroponiche. In Egitto ad esempio le alghe si possono coltivare per trecento giorni l’anno con un raccolto annuale stimato intorno alle 50-60 tonnellate per ettaro. Le alghe sono un vero portento : producono acidi grassi, vitamine e principi attivi, depurano le acque di scarico e forniscono energia.
Per concludere la descrizione, secondo le valutazioni degli ingegneri, la fonte di energia propulsiva al funzionamento, doveva produrre circa cinquecentomila watt nonostante le dimensioni ridotte. Nei sommergibili, nei satelliti e nelle sonde spaziali come la Cassini in orbita attorno a Saturno, si utilizzano ad esempio i mini reattori con combustibile al plutonio. Per la sicurezza del sistema (ed è interessante anche per la macchina della manna) si prevede l’istallazione di un serbatoio contenete litio liquido: l’isotopo litio-6 assorbe l’energia dei neutroni, che sono responsabili della reazione a catena nel reattore. Il litio si riscalda, si espande e il flusso di metallo si spinge nel nucleo del reattore attraverso il tubo. La scissione nucleare rallenta o addirittura si interrompe. A tal proposito però dobbiamo prestare anche attenzione al rapido sviluppo tecnico nelle celle a combustibile. La cella alcalina ad esempio, è una mini centrale elettrica portatile ad alto rendimento per la produzione di corrente e calore. Anche queste sono impiegate in astronautica e non solo, possono funzionare per quarantamila ore senza intoppi.
Sommando il tutto, dovremmo avere esattamente quel che è descritto nello Zohar: una macchina complessa che produceva la manna biblica ed era formata da più parti. (MinSA 59):

Tre teste sono inserite: questa si trova i quella e questa sopra l’altra.
Una testa è la saggezza ed è la più nascosta.
Questa saggezza nascosta è la Saggezza suprema che rimane nascosta.
La membrana forma una parete divisoria a cui non si può accedere, né può essere aperta.
La membrana avvolge il cervello della Saggezza Nascosta. La membrana ha un’apertura verso il Piccolo Volto attraverso la quale il cervello si espande e prosegue per trentadue vie.

Dal primo cranio fuoriesce un’emanazione bianca che scende in direzione del Piccolo Volto.
Da qui prosegue verso altri crani sottostanti che sono innumerevoli.
Tutte le santità provengono dalla Testa superiore del cranio.
Questa benedizione fluisce in tutte le membra del corpo finchè non raggiunge quelle chiamate eserciti. Il fiume si raduna e poi viene emesso da quel santo Fondamento. Poiché il fiume è completamente bianco, è chiamato Grazia. Questa Grazia entra nel santissimo, come stà scritto:
“ Come la rugiada che scende dal cielo sulla montagna di Sion, dove il Signore promette benedizione e vita eterna “.
La rugiada della Testa bianca gocciola nel cranio del Piccolo Volto e lì viene conservata.
La rugiada appare di due colori e di essa si nutre il campo dei meli santi. Dalla rugiada si macina la manna per i giusti nel mondo a venire. La manna richiamerà in vita anche i morti. Sembra che la manna sia stata ottenuta dalla rugiada solo per un certo periodo di tempo: il periodo in cui il popolo d’Israele andava vagando per il deserto ed in questo luogo era sfamato dall’Antico degli Antichi.

Questo è solo un piccolo condensato di pagine e pagine di minuziose descrizioni dell’Antico degli Antichi, o dell’Antico dei Giorni o ancora di ciò che può essere trasportato nella Cassa.



L’ARCA DELL’ALLEANZA E LA MACCHINA DELLA MANNA

Come sappiamo bene, leggendo le pagine dell’Esodo, il popolo d’Israele vagò per quarant’anni nel deserto, si sfamò grazie alla macchina della manna e ogni volta che si accampavano montavano il campo della tenda nella quale installavano il Santa Sanctorum con l’Arca dell’Alleanza, il tutto rigorosamente occultato agli occhi del popolo. Un ulteriore ipotesi che proviamo a fare è questa:
poteva l’Arca dell’Alleanza essere anche la famosa Cassa atta a trasportare la parte principale, quella propulsiva e forse anche radioattiva della nostra macchina della manna ?
Leggiamo infatti dall’Esodo:

“ Dietro il secondo velo c’era la parte della tenda detta il Santissimo; e conteneva l’incensiere d’oro e l’ Arca dell’Alleanza tutta ricoperta d’oro; in essa vi era l’urna dorata con il pane del cielo e la verga di Aronne, che un tempo era fiorita, e le tavole dell’Alleanza “.

Sappiamo anche dal altri passi della Bibbia che l’Arca dell’Alleanza doveva essere maneggiata con cura, pena una morte atroce:

“I figli di Aronne, Nadab e Abiù presero ognuno il proprio turibolo, vi accesero il fuoco e sopra vi misero l’incenso, offrendo così al signore del fuoco profano che non era stato loro prescritto. Allora dal cospetto del Signore scaturì un fuoco che li divorò e morirono davanti al Signore”.

Scariche elettriche, radioattività, ma che poteva essere tutto questo?
Leggiamo ancora:

Il Signore aggravò la sua mano sugli abitanti di Azoto e portò la rovina tra di loro: lì colpì con bubboni sia nella città sia nel territorio circostante.
Gli abitanti di Azoto, vedendo ciò che accadeva, dissero: “ L’Arca del Dio D’Israele non rimanga più tra noi ! La sua mano pesa troppo su noi e su Dagon, il nostro dio”. Allora mandarono a chiamare tutti i capi filistei e domandarono: “ Che cosa dobbiamo fare con l’Arca del Dio D’Israele?”. E quelli risposero: “ Portate l’Arca del Dio D’Israele a Gat “. E così l’Arca fu portata in quel luogo.
Ma dopo che ve l’ebbero portata, la mano del Signore si abbattè anche su quella città incutendo grande terrore, poiché colpì tutti i suoi abitanti, dal piccolo al grande, e anche a loro spuntarono i bubboni. Allora l’Arca di Dio fu mandata ad Accaron. Quando l’Arca giunse ad Accaron, la gente della città gridò: “ Ci avete mandato l’Arca dei Dio d’Israele per farci morire insieme a tutto il nostro popolo”.
Alla fine, i filistei si decisero a rimandare l’odiato apparecchio in Israele. Lo inviarono al di là del confine, presso Bet-Semes, su un carro tirato da buoi. Gli abitanti del villaggio, che lavoravano nei campi, danzarono per la gioia, si avvicinarono all’Arca e la toccarono. Ma i figli di Geconia, unici fra tutti i betsemiti, non fecero festa quando videro l’Arca del Signore. Allora il Signore colpì a morte settanta di loro. E il popolo di Bet- Semes si addolorò per essere stato colpito così duramente. Quando il carro trainato dai buoi giunse all’aia di Nacon, Oza tese la mano e sostenne l’Arca di Dio, poiché i buoi la stavano facendo scivolare. Allora l’ira del Signore “esplose” contro di lui: Dio lo colpì sul posto, ed egli morì presso l’Arca di Dio.

(PRIMO LIBRO DI SAMUELE, CAPITOLO 6).

Per quanto se né sa, questo fu l’ultimo incidente mortale occorso a causa della macchina della manna o dell’Arca dell’Alleanza. Sembra che Davide ed i suoi sacerdoti fossero rimasti molto turbati di fronte alla reazione dell’Arca del loro Dio. Per precauzione il pericolosissimo oggetto fu lasciato in custodia alla famiglia di Obed-Edom di Gat. La quarantena santa durò tre mesi, dopodiché la reliquia raggiunse sana e salva Gerusalemme, la capitale del regno di Davide.
Sempre durante il regno di Davide, ebbero inizio i lavori per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, nel quale l’Arca avrebbe trovato fissa dimora. Oggi si ritiene che il luogo scelto per costruire il Tempio fosse l’area di un ex santuario gebusita, dove il re ordinò di iniziare le operazioni preliminari (facendo spianare la superficie per la base del tempio). In seguito fu Salomone a proseguire e portare a termine la costruzione dell’edificio. Per concludere degnamente il lavoro Salomone, si rivolse grazie ai buoni rapporti istaurati nel tempo, al re Chiram di Tiro.
Il re Chiram, inviò a Gerusalemme materiali da costruzione e personale specializzato. Inviò perfino il suo ingegnere edile personale, nonché suo consigliere, Hiram-Abi.
Dopo sette anni di lavori sotto la direzione di Hiram-Abi l’edificio fu terminato e l’Arca (contenete la macchina della manna) fu trasferita dalla Tenda del Convegno, in cui aveva trovato posto provvisorio ai tempi di Davide, al santuario di Gerusalemme. (Primo Libro dei Re, Cap. 8).
La reliquia che in origine era stata un’arma formidabile contro i nemici d’Israele, viene accompagnata nell’ultimo viaggio ed è quasi “seppellita”. L’Arca dell’Alleanza aveva perso i suoi effetti distruttivi e spaventosi ed anche la macchina della manna aveva perso le sue funzioni. Entrambe le reliquie sopravvivevano solo come simbolo di Jahvè, come oggetto di venerazione religiosa. L’Arca era per il popolo e il congegno, tenuto nascosto, per il clero. Infatti anche L’Antico dei Giorni trovò la sua ultima dimora nel Santo dei Santi insieme all’Arca dell’Alleanza, ma ben pochi né erano al corrente. Né il popolo, né gli operai fenici potevano immaginare neanche lontanamente cosa si nascondeva entro le mura della casa di Dio. Soltanto Salomone, i sommi sacerdoti e il costruttore del tempio stesso Hiram-Abi “il pieno di Saggezza”. Pare che Hiram scrisse molti rotoli di tutto questo ed inviò un messo dal suo re, perché i suoi scritti fossero nascosti. La leggenda ebraica narra che, una volta terminati i lavori, il fenicio fu assassinato per mano di uno sconosciuto. Ciò conferma l’ipotesi che Hiram-Abi sapeva troppo, più di quanto potessero tollerare Salomone ed i sommi sacerdoti.

Ora per ovvie ragioni di brevità, sorvoleremo brevemente sugli accadimenti che videro protagonisti l’Arca dell’Alleanza, il suo contenuto e quindi la macchina della manna, successivamente alla sepoltura nel Tempio di Salomone. Molto probabilmente per ragioni di sicurezza, l’Arca fu svuotata dal suo contenuto: le tavole della legge, e “Cervello della Saggezza nascosta”, tali segreti furono sicuramente murati in un qualche cunicolo segreto sotto il tempio di Gerusalemme. L’enormità dei labirinti scavati sotto tale struttura è ancora oggi in gran parte inesplorato. Le guerre, le invasioni e le distruzioni succedutesi nei secoli, non scalfirono minimamente i segreti celati nelle viscere del tempio.
“ Questo luogo non deve essere trovato da nessuno finché il Signore non avrà radunato di nuovo tutto il suo popolo e non gli vorrà concedere la grazia. Allora il Signore rivelerà dove sono tutti questi oggetti e si vedrà la sua magnificenza in una nube, così come accadde ai tempi di Mosè “.
(Secondo libro dei Maccabei, cap. 2).

Resta tuttavia ancora misteriosa e da verificare la leggenda, narrata nel Kebra Nagast etiope, secondo la quale Menelik I figlio di Salomone e della Regina di Saba, fuggì da Gerusalemme rubando l’Arca dell’Allenanza e portandola in terra Etiope. Essa si troverebbe ancora là oggi, custodita nella cattedrale di S. Maria di Sion ad Axum. Ma se anche così fosse stato, molto probabilmente l’ Arca a quel tempo era semplicemente un contenitore vuoto.

ALLORA LA MACCHINA DELLA MANNA E’ ANCORA SEPOLTA IN QUALCHE NASCONDIGLIO SEGRETO?


I CAVALIERI TEMPLARI ULTIMI CUSTODI DEL GRAAL

“ Da allora né hanno cura i cristiani casti e puri.
Chi è chiamato dal Graal è uomo di valore “.
(dal Parzival di Wolfram von Eschembach)

Nel 1080 nacque Ugo di Payns, il futuro fondatore dell’Ordine dei Templari. Sappiamo poco della sua infanzia: a diciannove anni probabilmente prese parte alla prima crociata sotto la guida di Goffredo di Buglione e il 14 Luglio 1099 fu presente alla caduta di Gerusalemme. Dopodiché tornò in Francia e si mise al servizio del Conte Ugo di Champagne, di cui divenne ufficiale.
Passarono cinque anni. Non si sa esattamente che cosa successe in quel periodo, non sono stati trovati documenti al riguardo. Con molta probabilità, l’ufficiale viaggiò per incarico del suo amico e signore. In seguito i due Ugo di Payns e Ugo di Champagne si recarono di nuovo in Terrasanta. Ma non ci rimasero a lungo e furono presto di ritorno. Appena giunto in Francia, Ugo di Champagne si mise in contatto con Etienne Harding, l’abate che sette anni prima aveva fondato l’ordine dei cistercensi. Dopo questo incontro, il nuovo ordine diede vita ad un processo straordinario per quel tempo: fu intrapreso uno studio scrupoloso di svariati testi ebraici (in seguito anche del Corano) e fu chiesto ai rabbini dell’Alta Borgogna di assistere ai lavori di traduzione. La famosa scuola rabbinica del rabbino Rashi (Solomon Ben Isaac) si trovava a Troyes. Il rabbino morì nel 1105 e il lavoro fu portato avanti dai suoi generi. Secondo diverse fonti, il rabbino Rashi ricevette spesso la visita di Ugo di Champagne e pare che dai loro incontri fosse scaturito qualcosa di cruciale. Molto probabilmente, furono trovate antiche trascrizioni dei rotoli di Hiram-Abi il fenicio, “il pieno di saggezza” il costruttore del Tempio di Salomone. Nel 1114 Ugo di Champagne tornò in Terrasanta per poi rimettersi in contatto, subito dopo il suo rientro, con Etienne Harding dei Cistercensi. Ma non solo: tra lo stupore generale l’ufficiale donò all’ordine il bosco di Bar-sur-Aube e predispose la costruzione dell’abbazia di Chiaravalle. Il giovane Bernardo di Chiaravalle (futuro San Bernardo) si incaricò di seguire questo progetto. Inoltre Ugo espresse il singolare desiderio di entrare a far parte dell’Ordine degli Ospitalieri di Gerusalemme. L’intera faccenda è piuttosto strana. Cosa aveva in mente Ugo di Champagne ? Nel 1119 la questione misteriosa giunse ad una svolta. Ugo di Pays, insieme a Goffredo di Sait- Omer e a una manciata di altri fedeli, si recò a Gerusalemme. Fecero voto di castità, obbedienza e povertà davanti al patriarca del luogo e da quel giorno vissero nella condizione di frati laici. Di nuovo accadde una cosa strana: Baldovino II re di Gerusalemme, mise a disposizione di questa piccola comunità una parte del palazzo. Non c’è da meravigliarsi se da allora in poi il manipolo di monaci cavalieri prese il nome di “Templari”, questo palazzo, infatti, si trovava proprio sul Tempio di Salomone di un tempo.
I Templari rimasero a Gerusalemme per otto anni. Durante questo lasso di tempo, i Cavalieri del Tempio non presero parte ad alcuna battaglia. Li si vedeva invece nei dintorni del Tempio, mentre dissotterravano, cosa abbastanza curiosa, vecchie stalle di cavalli, facevano scavi o esploravano antiche rovine; oppure non li si vedeva affatto. Poi un giorno partirono a cavallo senza dire a nessuno dove andavano.
Sappiamo tutti quello che divenne l’ Ordine dei Cavalieri del Tempio nei duecento anni successivi.
Divenne l’ordine militar-religioso più ricco di tutti i tempi, talmente ricco da concedere prestiti al Papa e al Re di Francia. Le immense ricchezze facevano gola a molti, tanto che nel 1307 il Re di Francia Filippo il Bello, fece in modo che il Papa Clemente sciogliesse l’Ordine per dargli quindi la possibilità di confiscare i loro beni. Nell’atto di accusa contro l’ Ordine dei Templari, all’articolo 46, troviamo il seguente passaggio: “ Che essi (i Templari) possedevano idoli, cioè teste, in tutte le province. Le teste avevano in parte tre, in parte un unico volto “. All’articolo 47: “ Che essi in assemblea, soprattutto nelle grandi adunanze, veneravano un’immagine come un dio, come il redentore, e affermavano che questa testa poteva salvarli, concedere all’ordine ogni ricchezza, far fiorire gli alberi e germogliare le piante sulla terra “ (Ricordate anche che la verga di Aronne era germogliata in sua presenza). Durante le perquisizioni nelle commende non fu trovato uno solo di questi idoli.
Questa cosiddetta “testa” veniva chiamata dai templari “Baphomet”.
Ecco come veniva descritto:
“… e lo stesso aveva occhi di carbonchio nelle orbite che risplendevano come il chiarore del cielo e, come si è visto, essi riponevano in lui la loro fede. Egli era il loro dio supremo e ciascuno confidava in lui di buon cuore. Questa testa aveva una mezza barba sul viso e l’altra metà sul retro, e questa era una cosa assurda; è cosa risaputa che il nuovo Templare doveva rendergli omaggio come a Dio “.
Non è necessario occuparsi degli occhi luminosi come il chiarore del cielo, cioè delle lampade della macchina della manna; vale invece la pena soffermarsi ancora una volta sui cosiddetti “peli della barba”, che si trovavano tanto sul viso quanto sul retro, cosa comprensibilmente assurda per allora. Per contro i nostri ingegneri Sasson e Dale nella traduzione dello Zohar , riconducono alle tubature il capitolo delle “Venerabili barbe” che entrano dal davanti e fuoriescono da dietro.
Infine occupiamoci del termine “Baphomet”: alcuni autori islamici (come Idries Shah) richiamano l’attenzione sul concetto arabo di “Bufimat”, usato nella spagna moresca, il cui significato è “testa della conoscenza”. Hugh Schonfield dimostra che Bhaphomet è probabilmente una codifica dell’Atbash ebraico, cioè deriva da una delle scritture in codice giudaico-cabbalistiche più comuni.

Ecco l’esempio:

B P V M Th (Baphomet)

Diventa:

Sh V P I A (Sophia)

Sophia in Greco non è altro che la “saggezza”.
Abbiamo visto che nello Zohar la “Saggezza Nascosta” stava nel cranio ed era protetta dalla membrana che non si poteva togliere !

I TEMPLARI ALLORA NEI LORO SCAVI SEGRETI SOTTO IL TEMPIO DI GERUSALEMME, TROVARONO VERAMENTE LA MACCHINA DELLA MANNA, DATA A MOSE’ PER SFAMARE IL POPOLO D’ ISRAELE NEL DESERTO ?

OThIQ IVMIN = ANTICO DEGLI ANTICHI = GRAAL= BAPHOMET = MACCHINA DELLA MANNA, in qualsiasi modo vogliamo chiamarla, non fu mai trovata nel rastrellamento del tesoro dei Templari da parte di Filippo il Bello, ancora una volta i custodi erano riusciti a nasconderla ma dove ?




Bibliografia:

“CUSTODE DELLA RELIQUIA” – Fiebag – Armenia 2007
“PARZIVAL” – Wolfram von Eschembach – Wien 1965
„LA BIBBIA DI GERUSALEMME“ – EDB 1974


Sigari Faraonici



di Marco La Rosa


Era una bella mattina luminosa, ma del resto lo erano quasi tutte al Cairo. Se non fosse stato per lo smog dei gas di scarico, dei milioni di autoveicoli che transitavano per le arterie della città, il cielo sarebbe stato di un bell'azzurro turchese, come quello dei minuscoli scarabei, che i bambini tentano di appioppare ai turisti in cambio di qualche moneta...Mustafà sapeva bene che quella era una mattina importante, molto importante per il direttore.Si avviò con passo spedito nel lungo corridoio dell'ala est, ancora immerso nella penombra, le luci del museo si sarebbero accese solamente alle otto; mancavano ancora più di due ore, doveva affrettarsi... le sfingi e le statue ai lati del corridoio, lo guardavano minacciose, o almeno a lui sembrava così; chissà se aveva fatto lo stesso effetto anche ai sacerdoti nel tempio di Deir el-Bahri, nei pressi di Luxor, l'antica Tebe.Già, perché era quella la località dove era stato rinvenuto il sarcofago di Ramesse II "Il Grande" (Nuovo Regno XIX Dinastia).
La cassa di legno, perfettamente imballata e sigillata era pronta, di li a poco su un grande "uccello" volante, stivata insieme a migliaia di altri oggetti, la mummia del grande faraone avrebbe attraversato il mediterraneo alla volta di Parigi.E' qui cari amici, amanti del "fumo lento" come il sottoscritto, che comincia una storia "bizzarra" ma sicuramente "intrigante".Vi domanderete: " ma noi che "amiamo" il il sigaro e la pipa, abbiamo qualcosa da spartire con i faraoni ? " Se fino ad ora pensavate il contrario, sbagliavate! Ma se siete curiosi continuate la lettura!!Dunque, eravamo rimasti a Parigi, dove una ventina dei più importanti scienziati francesi, si offrì di studiare il motivo del deterioramento della pelle, nella mummia del sovrano testè citato.Si scoprì, che la causa principale erano gli scarafaggi, ma la dottoressa Michelle Lescot del Musée National d'Histoire de Paris, utilizzando il microscopio elettronico per stabilire se nelle bende fossero presenti batteri o virus, con grande stupore, si trovò ad osservare attraverso le lenti minuscoli frammenti di tabacco.Sicura della sua scoperta, la dottoressa Lescot rese pubblico il suo studio, venendo sommersa di critiche dagli altri accademici; secondo loro era impossibile che ci fosse del tabacco nelle bende della mummia, a meno che non vi fosse penetrato per contaminazione.Fu avanzata l'ipotesi che gli egittologi che nel 1881 trovarono la mummia nel cosiddetto "nascondiglio reale" a Deir el-Bahri, stessero fumando il sigaro o la pipa e avessero inavvertitamente fatto cadere un po' di tabacco, che in qualche modo era scivolato tra le bende.Per nulla abbattuta dalle contestazioni, la dottoressa Lescot, ottenne il permesso di condurre altri esami su campioni prelevati dagli organi interni della mummia in questione. I risultati furono gli stessi, e a questo punto l'ipotesi che il tabacco fosse caduto da un sigaro od una pipa, fu accantonata.Sembrava decisamente più probabile che fosse stato introdotto nelle bende durante le pratiche funebri che seguirono la morte del sovrano, che aveva regnato per 66 anni, dal 1290 al 1224 a.C..
Ulteriori analisi rivelarono che gli organi interni erano stati rimossi per essere posti nei vasi canopi, a al loro posto era stata collocata un'imbottitura di materiale vegetale che, oltre a piantaggine, ortiche, lino, grani di pepe nero, camomilla e frumento, includeva foglie triturate di tabacco.Poiché questa mistura era stata introdotta nella mummia per contribuire a preservare il tessuto corporeo, è stato ipotizzato che il tabacco fosse impiegato nel processo di imbalsamazione sia come insetticida, sia per prevenire la putrefazione.La presenza di tabacco nelle bende e all'interno del corpo di Ramesse II è stata una sorpresa assoluta tanto per gli egittologi quanto per i botanici, per una ragione evidentissima: nel mondo antico (come lo conosciamo attualmente) quella pianta non era conosciuta.Nessun egittologo accademico di fama, si è mostrato disposto ad accettare o spiegare questa anomalia dell'altrimenti ben documentata storia egizia. Il problema fondamentale, vale a dire che la pianta del tabacco è sempre stata ritenuta originaria esclusivamente delle Americhe, è stato tranquillamente ignorato.Tutta la questione venne messa in soffitta fino al 1992, quando una tossicologa tedesca, Svetlana Balabanova, dell'Istituto di Medicina Legale di Ulm, avviò una serie di test specifici su alcuni resti mummificati conservati nel museo di Monaco. Vennero prelevati frammenti di tessuto osseo e di epidermide, nonché di muscoli del capo ed addominali. I risultati furono talmente sorprendenti che la dottoressa decise di inviare campioni simili ad altri tre laboratori, che presto confermarono le sue scoperte.
I test dimostravano che i resti mummificati contenevano notevoli quantità di nicotina, la componente narcotica del tabacco, e cocaina un alcaloide psicotropo presente nelle foglie della pianta di coca di origine esclusivamente sudamericana.Tutti i risultati di questi esami sono stati avvalorati dalla cromatografia, un processo in grado di rilevare le caratteristiche ed i metaboliti (prodotti della disgregazione biochimica nei processi corporei) presenti nei composti chimici di ciascun campione.Tutto ciò quindi ci suggerisce che gli antichi egizi assumessero la nicotina fumando e masticando, anche se gli egittologi "accademici" non hanno trovato alcuna testimonianza che in Egitto si fumasse prima dell'arrivo degli Arabi.Vi sono comunque indizi della pratica del cosiddetto "fumo lento" in uno stato del Medio Oriente che aveva legami molto stretti con il paese dei faraoni, la Siria.
Nel 1930 infatti l'orientalista Stefan Przeworski scrisse sul ritrovamento di oggetti curiosi che lui catalogò come pipe. (1200 - 850 a.c.). Questi oggetti erano principalmente usati come "incensieri", si soffiava attraverso il tubo della pipa per mantenere le braci ardenti e bruciare meglio l'incenso, ma bassorilievi di epoca fenicia ci dimostrano anche che il tubo si usava per "inspirare" e quindi fumare. E molto più probabile che i marinai fenici avessero appreso la pratica di aspirare il fumo, opposta a quella di soffiare i vapori di incenso, da una delle civiltà incontrate ai confini del mondo conosciuto. Ma dove esattamente, e da chi ? E che connessione esiste tra le pipe siriane e la presenza di tabacco e cocaina nell'antico Egitto?I primi esploratori spagnoli nei Caraibi incontrarono alcuni cacicchi (capi tribù) che usavano una pipa a forma di "Y" fatta di canne, che veniva inserita in entrambe le narici per inalare il fumo. Ma le pipe erano riservate all' élite; i membri meno importanti della comunità si limitavano ad arrotolare le foglie e a fumarle come sigari.
Si riteneva che le virtù del tabacco fossero molteplici: in America era usato come cura contro l'asma, le congestioni delle vie respiratorie, il mal di testa, i morsi di serpente, le pustole, il mal di denti e le complicazioni da parto. Nei rituali religiosi e sciamanici si estraeva dal tabacco una resina che veniva poi impiegata sotto forma di clistere; l'altissima concentrazione di nicotina faceva sì che il fruitore sperimentasse rapidamente uno stato di alterazione della coscienza. In altri casi il tabacco veniva appallottolato e masticato, pratica che, come nel caso della coca, placava la fame.E' opinione comune che nel Vecchio Mondo il tabacco non esistesse finchè non fu introdotto dalle Americhe in seguito alle scoperte geografiche, ma questo è un grosso errore.
Vi sono infatti molti elementi a dimostrazione che una varietà di tabacco selvatico, chiamata Nicotiana rustica per distinguerla dalla varietà del Nuovo Mondo denominata Nicotiana tabacum, era ampiamente conosciuta in alcune zone dell'Africa, incluso il Sudan Occidentale, molto prima di Colombo.L'atto di fumare era definito tubaq, termine che si infiltrò in parecchi dialetti africani con varianti come taba, tawa e tama. Per utilizzare il tabacco come medicina, gli afro-arabi tostavano o seccavano le foglie, quindi le pressavano in mattonelle, per poi essere bruciato insieme a legna o carbone. Questa pratica era in netto contrasto con quella Amerinda, gli abitanti del Nuovo Mondo infatti seccavano e arrotolavano le foglie di tabacco per fumarle, metodo usato, forse, anche in Egitto.La pianta di tabacco africana è citata anche in un trattato del medico medioevale arabo Ibn al-Baitar; che la descrive come "una specie di albero che cresce sulle montagne della Mecca, con lunghe e affusolate foglie verdi che scivolano tra le dita se schiacciate" Il medico spiega che "raggiunge le dimensioni di un uomo, [...] cresce in gruppi, [...] non se ne trova mai una da sola".Ibn al-Baitar ci informa poi che il tabacco "se assunto per bocca o applicato come medicazione è benefico come antidoto contro i veleni ed è un rimedio per la rogna e la scabbia, per il prurito e le febbri prolungate, le coliche, l'itterizia e le occlusioni al fegato".
Un'ulteriore conferma che il tabacco non solo era presente in Africa prima della scoperta dell'America, ma veniva utilizzato dagli arabi come sostanza curativa è fornita dagli scritti di un esploratore del XIX secolo, il capitano G. Binger. Questi ci informa che in Africa il tabacco era impiegato come moneta e che gli "abitanti del Darfur (Sudan) nella loro lingua lo chiamano taba [...] A Fezzan e a Tripoli nella Barberia è chiamato tabgha. Ho letto un kasidah, un poema di un bakriyya, un discendente del Califfo Abu Bakr, che dimostra che fumare non è peccato. Questi versi risalgono al IX secolo dell'egira".Nel nostro calendario questa data corrisponde al 1450 d.C., vale a dire più di 40 anni prima del viaggio di Colombo. Inoltre l'uso dei termini tubbaq, taba e tabgha per indicare il fumo, ci porta a domandarci sull'origine della parola "tabacco", utilizzata dalle popolazioni precolombiane dei Caraibi per indicare sia il fumare sia lo strumento usato per farlo. Che prima della scoperta del Nuovo Mondo esistessero varianti afro-arabe del termine, non può essere una coincidenza; forse queste parole, che esprimono tutte la stessa azione (fumare tabacco) hanno un'origine comune ?L'analogia semantica infittisce il mistero e suggerisce che la pianta del tabacco sia stata introdotta in Africa attraverso l'Atlantico prima di Colombo, oppure che sia stata portata in America da viaggiatori provenienti dal continente africano.Ciò significherebbe che il tabacco era presente su entrambe le sponde dell'Atlantico già nel 1500 a.C., data a cui risalgono le prime pipe a noi note, rinvenute nelle Americhe.Per quanto possa sembrare fantasiosa, l'unica ipotesi che giustifichi la presenza di nicotina e cocaina nelle mummie egizie è che esistessero rapporti commerciali trai due continenti. Inoltre, se la foglia di coca era esportata, anche nel mondo antico il tabacco dell'America centrale viaggiava per mare.La presenza simultanea di tabacco e cocaina nei corpi degli egizi sembra avvalorare questa tesi. Oltre tutto la singolare corrispondenza sulle due sponde dell'Atlantico fra i termini usati per indicare il tabacco e il fumo dimostra una reciproca contaminazione di terminologia, di tecniche e forse anche di piante e prodotti avvenuta secoli prima che Colombo approdasse nel Nuovo Mondo.
Ci sarebbero molte altre implicazioni riguardo alle rotte commerciali ecc... ma non mi dilungherò oltre... per il momento.Grazie per la vostra attenzione e pazienza...


Un doveroso ringraziamento ad Adriano Forgione e Andrew Collins che con le loro (e le mie in minima parte) ricerche, hanno permesso di aggiungere un fondamentale tassello all'immenso puzzle della ricerca storico-archeologica "oltre il confine".
Bibliografia:- First Identification of Drugs in Egyptian Mummies - Naturwissenschaften - n° 79 - 1992- Mystery of the Cocaina Mummies - Equinox, Channel 4 - 1996- Gordon - Before Columbus- Gateway to Atlantis - A. Collins - S.K. 2000- Hera - n. 3 - 2001