IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

martedì 23 marzo 2021

PROGETTO MARTE ANNO 2039

 

La propulsione nucleare è fondamentale per le future missioni umane su Marte

DA:

https://www.astronautinews.it/2021/03/la-propulsione-nucleare-e-fondamentale-per-le-future-missioni-umane-su-marte/

  Un possibile veicolo di transito Terra-Marte spinto con tecnologie NEP - Credits: NASA

Uno nuovo studio dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti (National Academy of Science), commissionato dalla NASA al suo Space Nuclear Propulsion Technologies Committee e di prossima pubblicazione, sostiene che per portare esseri umani su Marte nel 2039 è necessario iniziare quanto prima un aggressivo programma di ricerca e sviluppo della propulsione nucleare.

La divisione NASA dedicata alle tecnologie delle missioni spaziali ha richiesto all’Accademia la formazione di un gruppo di lavoro ad hoc, con il compito di identificare le principali sfide tecnologiche e programmatiche per lo sviluppo di tecnologie di propulsione nucleare di interesse per future missioni di esplorazione umana di Marte. Il comitato, co-presieduto da Robert Braun del Jet Propulsion Laboratory e Roger Myers, ex responsabile dei programmi spaziali avanzati di Aerojet Rocketdyne, è stato anche incaricato di definire le tappe fondamentali per lo sviluppo di tali tecnologie, di stabilire un cronoprogramma di massima, nonché di delineare eventuali altri profili di missione resi possibili dallo sviluppo di tali sistemi.

Le due tecnologie esaminate dallo studio sono la Nuclear Thermal Propulsion (NTP – Propulsione Nucleare Termica) e la Nuclear Electric Propulsion (NEP – Propulsione Nucleare Elettrica), nel contesto di una missione di esplorazione di Marte, andata e ritorno, con un equipaggio di quattro persone. Lo studio si limita volutamente ad affrontare l’aspetto delle tecnologie di propulsione nucleare, e non include fattori quali la gestione e il finanziamento del programma o altri elementi, per quanto necessari a rendere una missione umana su Marte una realtà.


                   Lo spaccato di un propulsore di tipo NTP (NERVA) – Credits: NASA

La missione marziana di riferimento

A partire dallo scenario delineato nel libro Das Marsprojekt di Von Braun, le interminabili discussioni sui dettagli tecnici legati all’esplorazione umana di Marte hanno riempito milioni di pagine, cartacee o virtuali. Varie agenzie spaziali hanno analizzato strategie, problematiche e tecnologie, attuali o futuribili, legate a uno dei viaggi più annunciati dell’astronautica, ma che con il passare impietoso degli anni vede la possibile data di partenza alla distanza costante di 15–20 anni.

Le ragioni di questo continuo procrastinare sono molteplici e complesse, ma possono essere ricondotte a due fattori comuni: si tratta di un’impresa molto costosa che richiede un solido commitment politico, e l’orizzonte temporale per la sua preparazione è pluridecennale, quindi il progetto deve sopravvivere per lungo tempo a tagli dei finanziamenti e imprevisti contingenti. Per quanto concerne la NASA, i cui vertici e le cui priorità sono un riflesso delle amministrazioni in carica, varie spending reviews e cambi di obiettivi hanno rivoluzionato più e più volte la declinazione pratica dell’idea di portare esseri umani su Marte.

Il render in computergrafica di un possibile veicolo di transito Terra-Marte – Credits: NASA

In questo senso l’ente spaziale americano ha realizzato un documento di riferimento in costante aggiornamento, lo Human Exploration of Mars – Design Reference Architecture, pubblicato nel 2009 e arrivato oggi alla versione 5. Questo tomo digitale può essere liberamente scaricato dal sito NASA insieme alle due addenda più aggiornate. È in questo contesto che NASA ha chiesto alla National Academy of Science di approfondire gli aspetti di una missione marziana che faccia uso di tecnologie propulsive nucleari.

L’attrattiva dei sistemi di propulsione nucleare è legata alla loro alta efficienza: confrontati con motori a propulsione chimica (quelli fino ad oggi utilizzati da razzi e sonde), quelli nucleari possono offrire prestazioni anche doppie (in termini di impulso specifico), consentendo di ridurre i tempi di viaggio o di aumentare la quantità di carico utile trasportato, a parità di massa di propellenti.

I parametri di riferimento della missione marziana utilizzati nello studio, la cosiddetta baseline mission, sono:

lancio nel 2039;

durata complessiva del viaggio non superiore a 750 giorni;

tempo di permanenza sulla superficie di Marte di 30 giorni;

equipaggio di quattro astronauti, di cui due destinati ad atterrare su Marte;

veicoli distinti per il trasporto di carichi ed equipaggio ma utilizzanti lo stesso sistema di propulsione, con i cargo che arrivano su Marte prima della prima partenza dell’equipaggio dalla Terra;

veicoli destinati al viaggio marziano, carico e propellenti spediti verso un “punto di raccolta” su un’orbita terrestre bassa o cislunare con l’ausilio di diversi lanciatori.

Il viaggio

Un veicolo spaziale in partenza dalla Terra verso Marte può essere lanciato con la massima efficienza solo quando i due pianeti sono allineati in modo corretto. Le opportunità di congiunzione Terra-Marte sono a 26 mesi di distanza tra loro, e hanno il vantaggio di minimizzare il lavoro (delta V o ∆V) del sistema di propulsione. Tutte le missioni robotiche inviate verso Marte fino ad oggi sono state di “lunga permanenza” (riferita al periodo trascorso sulla superficie di Marte), identificate anche come di “classe congiunzione”. Una missione può essere lanciata dalla Terra verso Marte anche con un profilo diverso, che prevede una “breve permanenza” sul pianeta rosso nota anche come una missione di “classe opposizione”, a condizione di aggiungere un flyby di Venere alla traiettoria. Le missioni di breve permanenza richiedono maggiori prestazioni al sistema di propulsione ma riducono il tempo di viaggio totale, un fattore importante quando sono in gioco la salute e la sicurezza dell’equipaggio.

                          Il profilo di missione di classe “congiunzione” – Credits: NASA

Le missioni di lunga permanenza beneficiano invece dell’allineamento planetario Terra-Marte sia per il viaggio di andata che per quello di ritorno, minimizzando il ∆V totale richiesto. Questo profilo di missione vede dunque tempi di percorrenza relativamente ridotti ma lunghe permanenze presso Marte, nell’ordine di 400–600 giorni sul totale di circa 1000 della missione.

Le missioni di breve permanenza si avvantaggiano dell’allineamento planetario Terra-Marte solo in una delle due parti del viaggio. Tipicamente, una missione di questo tipo utilizza una traiettoria ottimizzata per il viaggio di andata, mentre quello di ritorno richiede più energia (∆V). In questo caso, il tempo trascorso in viaggio è più lungo se comparato alle missioni di lunga permanenza, a fronte di un periodo massimo di lavoro sulla superficie di circa 90 giorni. Il risultato netto è che le missioni di breve permanenza esporranno gli equipaggi a un periodo di lontananza dalla Terra più breve, anche se la durata precisa della missione è legata al ∆V richiesto dal viaggio di ritorno. Una specifica sottoclasse delle missioni di categoria “opposizione” può avvalersi della fionda gravitazionale di Venere.

                        Il profilo di missione di classe “opposizione” – Credits: NASA

Come scegliere dunque tra i due profili di missione? I fattori di demerito delle missioni di breve permanenza si riassumono in consumo di propellenti più elevato e minor tempo da dedicare alle attività scientifiche in superficie, e per questo sono spesso scartate negli studi di fattibilità. Ma anche le missioni di lunga permanenza non hanno solo fattori positivi. Queste ultime, infatti, prolungano l’esposizione dell’equipaggio agli ambienti ostili dello spazio profondo. Viaggi di durata maggiore, inoltre, richiedono anche veicoli spaziali che restino sicuri, funzionanti e affidabili per più tempo. Queste componenti vanno dunque ad aggiungersi al rischio complessivo della missione.

In questo video dello scienziato e divulgatore scientifico Amedeo Balbi vengono ottimamente riassunte le problematiche attuali di una missione abitata su Marte:

https://www.youtube.com/watch?v=eO6cQgRDeEs

Secondo il rapporto dell’accademia, una missione che partisse in concomitanza con la congiunzione Terra-Marte del 2039 richiederebbe 916 giorni complessivi: 210 giorni per raggiungere Marte, 496 giorni di lavoro sulla superficie, necessari affinché i due pianeti siano di nuovo allineati correttamente, e 210 giorni per il viaggio verso casa. Una missione di classe “opposizione” potrebbe invece essere lanciata nel 2037 e durare 650 giorni: 217 giorni per il viaggio di andata, 30 giorni di lavoro in superficie e 403 giorni per il ritorno casa, sfruttando l’effetto di fionda gravitazionale di Venere.

NEP vs NTP

La Nuclear Electric Propulsion (NEP – Propulsione Nucleare Elettrica) è una tecnologia propulsiva dove l’energia termica di un reattore nucleare è convertita in energia elettrica grazie all’accoppiamento con sistemi quali, ad esempio, turbine basate sul Ciclo di Brayton-Joule. L’elettricità così generata viene utilizzata per alimentare un motore a ioni o altri tipi di propulsione elettrica. Questo sistema non va confuso con gli RTG (Radioisotope thermoelectric generator – Generatore termoelettrico a radioisotopi), dispositivi che generano energia elettrica esponendo delle termocoppie al calore sprigionato dal decadimento di elementi radioattivi. Di fatto il motore a razzo non ha nulla di nucleare in sé, in quanto utilizza semplicemente energia elettrica per generare la spinta. Il ruolo del reattore nucleare del veicolo spaziale è assimilabile a quello di una centrale nucleare qui sulla Terra: produrre energia per alimentare i vari sistemi di bordo.

La Nuclear Thermal Propulsion (NTP – Propulsione Nucleare Termica) vede invece il reattore nucleare come protagonista diretto della generazione della spinta: un fluido/propellente di qualche tipo viene fatto circolare in prossimità del nocciolo atomico, che lo surriscalda causandone l’espansione per poi essere espulso dall’ugello del motore.

Per ottenere i tempi di percorrenza previsti dalla baseline, un sistema NEP dovrebbe essere affiancato da un sistema di propulsione chimica (metano liquido e ossigeno liquido), mentre un sistema NTP sarebbe autosufficiente. Una notevole ricerca venne condotta sulla tecnologia NTP negli anni ’60 con i programmi Rover e NERVA, ma gran parte di tale esperienza è ormai obsoleta e molte problematiche di progettazione rimangono ancora irrisolte.

Lo studio analizza punti di forza e svantaggi di NEP e NTP. La sfida principale per la NEP è poterne scalare la potenza al punto da generare sufficiente elettricità da alimentare non solo il sistema propulsivo ma anche tutti gli altri sistemi di un ipotetico veicolo spaziale interplanetario. Al momento la potenza necessaria stimata supera di un ordine di grandezza le capacità dei reattori sperimentali ad oggi realizzati. Inoltre, dato che la tecnologia del motore a ioni non è adeguata alle fasi di accelerazione e decelerazione in prossimità di Terra e Marte, va studiato un sistema di propulsione chimica da affiancargli.

Per la NTP le sfide sono principalmente quattro: il riscaldamento del propellente a circa 2.700 K, lo stoccaggio a lungo termine dell’idrogeno liquido (il propellente da scaldare) nello spazio con perdite minime, il raggiungimento rapido e sicuro della piena temperatura di esercizio (entro un minuto dall’accensione o meno) e la realizzazione di adeguate strutture di prova a terra, oggi inesistenti, che contengano il rischio di inquinamento ambientale.

 https://www.youtube.com/watch?v=U1g2aSj9ZTc

Per quanto concerne l’impiego di energia nucleare in ambito spaziale, a parte le sfide tecnologiche e di sicurezza, esistono anche implicazioni politiche. L’ESA, per esempio, si è sempre tenuta a debita distanza da queste tecnologie, seppure l’uso di energia atomica sia diffuso tra molti dei suoi paesi membri. Nel caso di missioni come Rosetta o la futura JUICE, per le quali l’uso di energia atomica sarebbe stata un’opzione valida, si è infatti optato per enormi pannelli fotovoltaici.

Il rapporto suggerisce la necessità di svolgere ulteriori studi per analizzare pro e contro di ciascuno dei due sistemi, oltre che a sfruttare la necessità di inviare veicoli cargo prima di quello con astronauti per testare sul campo il sistema di propulsione nucleare prescelto.

I sistemi NEP e NTP mostrano un grande potenziale per facilitare l’esplorazione umana di Marte. L’utilizzo di uno qualunque tra i due sistemi per la missione baseline entro il 2039 richiederà un programma di ricerca e sviluppo che il rapporto definisce “aggressivo”. La NASA dovrebbe, ad esempio, individuare al più presto i connotati fondamentali dell’architettura di missione e quantificare i relativi investimenti. In particolare, l’ente spaziale statunitense dovrebbe sviluppare criteri e competenze tecniche per consentire un confronto oggettivo della capacità dei sistemi NEP e NTP di soddisfare i requisiti della missione baseline.

Uranio, un elemento che scotta

Quando si parla di reattori nucleari a uso spaziale, indipendentemente dalla natura del sistema prescelto, si deve affrontare il nodo della produzione e del lancio nello spazio di ragguardevoli quantità di uranio. Le preoccupazioni politiche internazionali riguardanti la produzione di uranio altamente arricchito (HEU – Higly Enriched Uranium, un materiale non adatto per ordigni nucleari ma che potrebbe essere usato per costruire una “bomba sporca”) hanno spinto gli Stati Uniti a raccomandare l’impiego di uranio HALEU (High-assay Low Enriched Uranium, uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento). L’HEU è arricchito con uranio 235 oltre il 20%, contro l’1% di quello in natura. L’HALEU è invece arricchito tra il 5 e il 20 percento. La Space Policy Directive-6 (SPD-6) promulgata dall’amministrazione Trump nel dicembre 2020 esprime un forte supporto a sistemi di propulsione spaziale basati su HALEU, affermando che l’uranio HEU dovrebbe essere utilizzato solo quando indispensabile per la praticabilità di una determinata missione.

https://www.youtube.com/watch?v=Kgw7FEkIwBo

Il rapporto dell’accademia non si sbilancia in merito, affermando che al momento non vi siano informazioni sufficienti per prendere una decisione rispetto a quale, tra HEU e HALEU, sia la scelta più adeguata per le missioni marziane. Per questo gli autori chiedono alla NASA e al Dipartimento dell’Energia di «condurre una valutazione completa e rapida» entro la fine del 2021, se l’obiettivo è davvero di essere pronti a lanciare nel 2039.

Dove trovare i fondi?

Il Congresso degli Stati Uniti ha accantonato notevoli somme di denaro negli ultimi anni per lo sviluppo di NTP. Il disegno di legge di bilancio per l’anno fiscale 2021, ad esempio, stanzia 110 milioni di dollari per NTP, vincolandone non meno di 80 milioni alla progettazione di esemplari di prova per consentire una dimostrazione in volo. Di fatto si tratta di un passo indietro rispetto all’anno fiscale 2020, in quanto la cifra totale stanziata è identica e non compensa le perdite dovute all’inflazione.

La sottile differenza, vantaggiosa rispetto allo scorso anno, è che la nuova legge di bilancio non impone più di includere negli 80 milioni la dimostrazione in volo (e quindi i costi di lancio), ma solo la progettazione di esemplari di prova. Questo significa che il grosso del tesoretto, se la bozza sarà approvata senza cambiamenti, potrà essere speso totalmente per la realizzazione di prototipi.

Con tante ambizioni (il ritorno alla Luna e il Gateway, tra tutte) e relativamente pochi fondi per concretizzarle, resta da vedere come NASA integrerà le raccomandazioni della National Academy of Science nel suo bilancio, e quante di queste sarà possibile realizzare nelle stringenti tempistiche delineate dal rapporto.

Un balzo negli anni ’60

In chiusura proponiamo ai nostri lettori un balzo negli anni ’60, un’epoca pionieristica dove il contesto storico e sociale consentiva esperimenti come quelli del progetto NERVA, uno studio sulle tecnologie NTP. Durante le accensioni di questi motori, spaventosi e magnifici al tempo stesso, la potenza della fissione nucleare veniva scatenata in appositi siti sperimentali nel deserto, creando veri e propri geyser artificiali di… idrogeno condito da residui di materiali radioattivi. È in sella a un moderno successore di questo nuovo dono di Prometeo che potremmo vedere degli astronauti cavalcare verso Marte entro un paio di decenni.

https://www.youtube.com/watch?v=eDNX65d-FBY

Fonti:

NASA

National Academy of Science

Space Policy Online

DA:

https://www.astronautinews.it/2021/03/la-propulsione-nucleare-e-fondamentale-per-le-future-missioni-umane-su-marte/


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mercoledì 17 marzo 2021

CONFERME DI PANSPERMIA?

 


Un secondo studio individua anche composti organici in un granello di polvere recuperato dalla prima sonda giapponese Hayabusa


Acqua e composti organici sulla superficie di un campione di asteroide. Cioè su un singolo granello appartenente a Itokawa e raccolto dalla Japan Aerospace Exploration Agency, in particolare dalla prima missione del programma Hayabusa di ormai undici anni fa. È la seconda volta che accade.

Un gruppo di ricercatori da diversi istituti (Nasa, università del Kent, Open University e altri) ha individuato tracce di acqua e altri composti organici, documentando la ricerca su Scientific Report. Una scoperta che torna dunque a documentare le infinitesimali molecole d’acqua che sarebbero legate all’asteroide stesso e che potrebbe in qualche modo riscrivere la nostra consapevolezza della storia della vita sulla Terra, che finora si è concentrata sugli asteroidi carboniosi, quelli cioè più diffusi (detti anche di tipo C).

In realtà, una ricerca di un paio di anni fa pubblicata su Nature Astronomy aveva già spiegato che sulla superficie degli asteroidi l’azione di vento solare e dei micrometeoriti, a temperature molto basse, può portare alla formazione di molecole d’acqua. Lo si era stabilito nel contesto di uno studio finanziato dalla Nasa su un frammento del meteorite Murchison, caduto oltre cinquant’anni fa in Australia, simulando le condizioni metereologiche di una cintura di asteroidi in una macchina costruita per l’occasione. Le elaborazioni sul campione di Itokawa, insieme ad altre del 2019, ce ne danno ora la conferma senza complesse simulazioni in laboratorio.

“La missione Hayabusa consisteva in una navicella robotica sviluppata dalla Jaxa e progettata per ripotare a Terra campioni di un asteroide noto come Itokawa, per consentire le analisi di laboratorio” ha spiegato Queenie Chan del dipartimento di Scienze della Terra del Royal Holloway dell’università di Londra, coinvolto nello studio. “Dopo essere stato analizzato in dettaglio da un team internazionale di ricercatori, la nostra analisi di un singolo granello, ribattezzato Amazon, ha dimostrato di aver conservato la materia organica primitiva (non riscaldata) e trattata (riscaldata) entro dieci micron (un millesimo di centimetro) di distanza”. In generale, la conferma suggerirebbe che l’asteroide si sia evoluto per miliardi di anni incorporando materiali organici nello stesso modo della Terra.

Itokawa, che è un piccolo asteroide Apollo del diametro medio di circa 0,33 km e lungo circa mezzo chilometro e ha la forma di un’arachide, ha resistito al caldo estremo (fino a 5/800 gradi), alla disidratazione, a shock continui e alla frantumazione, ma è riuscito a riformarsi e reidratarsi usando il materiale che ha raccolto dopo il raffreddamento. Lo studio mostra anche che gli asteroidi di tipo S, quelli pietrosi composti principalmente di silicati possono contenere i componenti basilari della vita. La sonda lo raggiunse nel 2005 dopo un viaggio lungo 290 milioni di km durato oltre due anni.

“Comprendere la vera natura dell'acqua extraterrestre e della materia organica che erano presenti alla nascita del nostro sistema solare, e la loro successiva evoluzione, richiede lo studio di astromateriali incontaminati – si legge nel paper - in questo studio abbiamo studiato sia l'acqua che il contenuto organico di una particella di polvere recuperata dalla superficie dell'asteroide 25143 Itokawa vicino alla Terra dalla missione Hayabusa, che è stata la prima missione che ha portato materiali asteroidali incontaminati alla raccolta astromateriale della Terra”.

Già un paio di anni fa un team dell’Arizona State University, il cui lavoro è ovviamente citato dalla nuova indagine, aveva analizzato altri campioni provenienti da Itokawa, individuando acqua e immaginando che una serie di impatti primordiali di asteroidi avvenuti sulla Terra potrebbero aver rilasciato sul nostro pianeta più della metà dell’acqua presente negli oceani. In particolare, in due delle cinque molecole analizzate il team aveva identificato il pirossene, un minerale che contiene acqua anche nella sua struttura cristallina terrestre, utilizzando il Nanoscale Secondary Ion Mass Spectrometer (NanoSims) di Asu, uno strumento particolarmente sofisticato in grado di studiare grani così piccoli.

La nuova indagine, insomma, conferma che anche asteroidi asciutti e sottoposti a un’evoluzione così complessa e traumatica (l’asteroide di oggi dovrebbe essere quel che resta di un corpo molto più ampio, largo almeno 19 chilometri) possono ospitare molta più acqua di quanta gli scienziati abbiano ipotizzato in passato. Se pochi mesi fa abbiamo ricevuto i campioni di un altro asteroide, Ryugu, grazie alla missione Hayabusa 2, nei prossimi anni torneranno sulla Terra anche i frammenti di Bennu grazie alla sonda Osiris-Rex che a maggio inizierà il suo viaggio di rientro.

Da:

https://www.esquire.com/it/lifestyle/tecnologia/a35736352/acqua-asteroide/

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domenica 14 marzo 2021

API ED ESTINZIONE...UN PROBLEMA SOTTOVALUTATO

 

Una femmina di Pharohylaeus lactiferus e, a destra, un maschio: la barra sotto alla femmina è in scala (5 mm), ma le due foto non sono in scala tra loro. James Dorey Photography

In Australia è stata avvistata un’ape che non si vedeva dal 1923

Un'ape endemica dell'Australia, che credevamo estinta, è stata fotografata per la prima volta a quasi un secolo dall'ultimo avvistamento.

L'Australia è un continente che, dal punto di vista della biodiversità, non ha nulla da invidiare al resto del mondo - anzi, ed è nella lista dei 17 Paesi megadiversi, cioè quei luoghi dove è concentrata la maggior parte della biodiversità del pianeta. La straordinaria ricchezza di forme di vita presenti in Australia comprende anche centinaia di specie di api, molte delle quali endemiche del continente, e molte delle quali, purtroppo, stanno rapidamente scomparendo.

VIVA E VEGETA. Prendete l'esempio di Pharohylaeus lactiferus: unica rappresentante del suo genere in Australia (l'unica altra specie di Pharohylaeus al mondo vive in Nuova Guinea): l'ultima volta che è stata avvistata era il 1923, 98 anni fa; dopodiché l'ape è sparita dai radar, tanto che c'è chi la considerava già estinta. Un nuovo studio pubblicato su Journal of Hymenoptera Research, però, dimostra che quest'ape è ancora viva e vegeta, e come disse di sé Mark Twain le voci sulla sua morte sono oltremodo esagerate.

L'ultima volta che la Pharohylaeus lactiferus è stata avvistata era il secolo scorso, e da quando ne conosciamo l'esistenza siamo riusciti a catturarne appena sei esemplari: in sostanza sappiamo che quest'ape esiste... e poco altro. La persona che ha cambiato le cose è James Dorey, dottorando dell'università di Flinders, ad Adelaide, che stava conducendo uno studio sulle relazioni tra le diverse specie di ape che fanno il nido sul terreno; Dorey è anche un fotografo, e il suo ultimo progetto è quello di fotografare un esemplare di ogni singola specie di ape in Australia.

IN MASCHERA. Quando è arrivato alla Pharohylaeus lactiferus, Dorey si è reso conto che la specie non si vedeva da un secolo e si è messo alla sua ricerca in 245 siti diversi in giro per il continente. Nello studio, Dorey spiega che la Pharohylaeus lactiferus appartiene al gruppo delle cosiddette "mascherate", api caratterizzate da segni molto evidenti sul muso; la Pharohylaeus, in particolare, è più grossa e più lunga delle altre api mascherate, e dovrebbe essere facile da riconoscere.

Questo non ha impedito al fotografo di imbattersi in parecchi falsi allarmi (api che sembravano essere quelle giuste ma appartenevano in realtà ad altre specie): alla fine della sua caccia, Dorey è riuscito a individuare e fotografare la Pharohylaeus lactiferus solo in tre occasioni, in tutti e tre i casi ai margini della foresta pluviale.

UNA SPECIE ESIGENTE. Non solo: quest'ape si approvvigiona di polline dai fiori di due alberi diversi, e solo da quei due; è una specie particolarmente esigente, insomma, e questo spiega come mai sia così difficile individuarla: la distruzione del suo habitat potrebbe spingerla all'estinzione - questa volta per davvero.

Da:

https://www.focus.it/ambiente/animali/in-australia-e-stata-ritrovata-un-ape-che-non-si-vedeva-da-un-secolo

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mercoledì 10 marzo 2021

IL MISTERO DELLE LUNE DI MARTE

 


Le strane lune di Marte: la nuova ipotesi sulla loro origine

L'origine delle due lune di Marte, Phobos e Deimos: potrebbero essere nate dall'impatto tra un asteroide e la prima luna del Pianeta Rosso.

                                                       Marte, Phobos, Deimos

       Nell'illustrazione, da sinistra a destra: Marte e le sue lune, Phobos e Deimos. Nasa

Proprio mentre gran parte della comunità scientifica è rapita dalle missioni spaziali verso Marte, in fibrillazione per ciò che Perseverance potrebbe scoprire, il rover appena ammartato che ci ha già sbalordito con i video della discesa sul Pianeta Rosso - senza nulla togliere alle altre missioni che hanno raggiunto Marte - c'è chi si appassiona su un altro aspetto del Pianeta Rosso: i suoi due misteriosi satelliti.

Fin da quando furono scoperte, nel 1877, le lune di Marte - Phobos e Deimos - hanno suscitato molti interrogativi, alcuni dei quali restano aperti ancora oggi. Di questi due oggetti, infatti, sorprendono tra l'altro le piccole dimensioni (appena 22 chilometri di diametro per Phobos, circa 15 per Deimos) e la forma irregolare (non sono tondeggianti come la nostra Luna o come la maggior parte delle grandi lune degli altri pianeti, ma hanno forme allungate).

QUALE ORIGINE? Però la domanda principale alla quale gli astronomi si affannano a cercare una risposta - e dalla quale dipendono anche altre questioni ancora aperte - è quale sia la loro origine. Una nuova ricerca dell'Istituto di Geofisica del Politecnico Federale di Zurigo, pubblicata su Nature, sembra dare una risposta migliore delle molte fin qui proposte.

Da tempo si ipotizzava che Phobos e Deimos, per le loro ridotte dimensioni e le caratteristiche morfologiche, potessero essere in realtà asteroidi catturati dalla forza di gravità di Marte, inseritisi nell'orbita attorno al pianeta. Il punto debole di questa ipotesi sta (in estrema sintesi) nel fatto che in questo caso i due satelliti avrebbero dovuto ruotare attorno a Marte su un'orbita non perfettamente circolare, come invece è, e soprattutto l'orbita stessa avrebbe dovuto presentare una certa inclinazione rispetto all'equatore (anche questa è una circostanza che non corrisponde alla realtà attuale).

UNA SOLA GRANDE LUNA. Gli autori dello studio sono partiti dai punti deboli delle precedenti ipotesi e si sono concentrati su dati recenti relativi alla composizione delle due lune, che risultano molto porose. Con queste basi, gli scienziati hanno cercato di ricostruire, attraverso simulazioni al computer, la storia dei due satelliti, tornando indietro nel tempo. Ne è venuta fuori l'ipotesi secondo cui le orbite delle due lune, un tempo, si intersecavano. Più precisamente, l'ipotesi sostiene che a orbitare intorno a Marte ci fosse un solo, grande corpo celeste, che a un certo punto subì l'impatto con un corpo simile che ne causò la disintegrazione: dai detriti prodotti si sarebbero formati Phobos e Deimos. Tutto questo sarebbe accaduto in un arco di tempo che va da 1 a 2,7 miliardi di anni fa.

Secondo questa ricerca, la luna originaria si sarebbe trovata a una distanza molto maggiore di quella a cui si trovano oggi i due satelliti. E vale la pena anche ricordare che oggi Phobos si sta avvicinando sempre più a Marte, con il risultato che, tra circa 40 milioni di anni, potrebbe finire per impattare sul Pianeta Rosso (oppure essere distrutto dalla sua forza di gravità).

da:

https://www.focus.it/scienza/spazio/lune-marte-phobos-deimos-origine


a complemento di questo recente articolo ritengo interessante far presente al lettore la teoria dell’amico matematica e grande studioso di cosmologia EMILIO SPEDICATO:



 
Teoria VAS (Velikosky- Ackerman-Spedicato).

Prolusione presso l’università di Bergamo al termine della attività accademica, nel febbraio 2016.

Nel 1952, a 7 anni, lessi la sintesi del libro Mondi in Collisione di Immanuel Velikovsky, pubblicata da Selezione, versione italiana del Reader’s Digest. Nel 1957, a 12 anni, lessi una sintesi del lavoro di Wegener sulla deriva dei continenti. La trovai fra libri che mio padre Giovanni acquistò al termine del liceo al Seminario di Molfetta, dove fu il migliore amico di Corrado Ursi, poi cardinale di Napoli e unico contendente di Roncalli al papato. Da queste letture originano i mie più profondi interessi scientifici  e risultati maggiori, sulle catastrofi a memoria di uomo, loro date, cause e conseguenze, su un nuovo modello dell’ evoluzione recente del sistema solare (il modello VAS, di Velikovsky-Ackerman-Spedicato), su cause di inizio e fine glaciazioni. In monografia di Palmer, Cambridge University Press, appaio come il primo studioso che abbia proposto impatti sulla Terra di oggetti extraterrestri come le cause dell’inizio e della fine delle glaciazioni.

Laurea in fisica, ma un solo lavoro in fisica, sull’inversione dell’asse di rotazione di un pianeta, primo nella letteratura considerante anche il moto attorno al Sole. In futuro vorrei calcolare la costante di gravitazione  G  nella teoria gravitazionale di Eulero e Le Sage, dimenticata forse perché Le Sage era prete cristiano, quindi un cretino secondo una nota affermazione …  Ricordo che la formula E = Mc2  fu derivata, prima di Einstein, da  Olinto De Pretto, un amico del padre di Einstein, che riscoprì la teoria di Eulero e Le Sage, vedasi la nota di Schiaparelli nell’articolo di De Pretto. Altra questione che mi interessa è quando la soluzione del  problema di dinamica gravitazionale non dipenda da G, fatto curioso che ho notato in due casi.

Dottorato in matematica computazionale a Dalian, Cina, primo a  un non cinese. Trent’anni di teoria ed applicazioni in matematica. Di questi, dieci  sui metodi Quasi Newtoniani, venti sui nuovi metodi ABS (Abaffy, Broyden, Spedicato), ora documentati in circa 400 pubblicazioni. Tali metodi hanno unificato vari campi e prodotto un risultato da vertice, ovvero la soluzione, da parte mia e di due iraniani, del decimo problema di Hilbert (irresolubile, Matjasevich), nel più importante caso solubile, quello lineare.  Collaborazione sui metodi ABS con  inglesi, iraniani, cinesi ed ungheresi. Due monografie, coautore nominale Abaffy, interamente scritta da me, salvo un terzo di pagina, e tradotta in russo e cinese. Presentata da qualcuno come proprio lavoro per ottenere un dottorato senza fare esami. Dopo aver dato il nome di Mascheroni al dipartimento scoprii che anche lui aveva presentato come propri risultati presi da un libro di un matematico danese, di cui fece scomparire (quasi) tutte le copie; ma una, cento anni dopo, fu ritrovata sulle bancarelle del Lungo Senna. Fatto che ho scoperto in una storia della matematica, letta quando ero ospite nel deserto dell’Idaho del matematico Kathryn Turner.

Applicazioni  matematiche in ingegneria nucleare (al CISE), automobilistica (motori Alfa Romeo, Fiat, Leyland), grandi impianti Enel. Quanto ha fatto  la Volkswagen è un peccadillo rispetto a quanto ho riscontrato in Italia..

I risultati che penso maggiori, apprezzati dal Nobel Abdus Salam, dal sumerologo Giovanni Pettinato, dall’ archeologo Henry De Lumley, dal sufi Gabriele Mandel, da Ratzinger cardinale e papa, riguardano le catastrofi a memoria di uomo inserite in uno scenario astronomico nuovo, detto VAS, dove:

Si argomenta la cattura di un pianeta, verso il 9450 AC, il Metis della mitologia greca, massa calcolata in Cina a 10 volte quella terrestre

Metis cede alla Terra un satellite, divenuto l’attuale Luna, che si aggiunge a precedente satellite, che era l’attuale Marte; 16 i mesi lunari iniziali; gli effetti gravitazionali del passaggio terminano catastroficamente l’ ultima glaciazione e la civiltà di Atlantide

Nel 6910 AC Metis impatta Giove. Fra le conseguenze, perdita di massa gioviana, formazione di Atena-Venere e dei satelliti galileiani. Per molti anni Giove appare nel cielo più grande e luminoso della Luna con forma ovale, come uovo cosmico; parte della massa espulsa colpisce la Terra (le acque cosmiche associate ad Orione, Giove al momento dell’impatto essendo in congiunzione con la costellazione di Orione …). Marte cessa  il legame con la Terra, entra in orbita passando vicino alla Terra ogni 56-54 anni, l’anno terrestre passa da 16 a 13 mesi; terrificanti i passaggi di Marte, con i vulcani in eruzione ben visibili, e provocanti eclissi di durata fino a circa un’ora

Verso il 5300 AC nella valle di Hunza, ora in Pakistan, il Kharsag sumerico, il  Gan ebraico, formazione di 7 coppie di homo sapiens sapiens, dotato di anima immortale  (affermazione nei testi sumerici, assente in Genesi, ma presente  in Enoch)

Nel 3161 AC Marte, passando molto vicino alla terra, provoca il diluvio di Noè, con piogge provenienti dagli oceani terrestri (fontane del profondo) e dagli oceani marziani (fontane dall’alto). Noè si salva nella regione che Nicola di Damasco chiama terra di Minias, identificabile con il lago Manasarovar fra Lhasa e il Kashmir. L’anno passa a 12 mesi.

Nel 2033 AC catastrofe di Tifone-Ogige, fine dell’Antico Regno Egizio e della civiltà dell’ Indo-Sarasvati; Terah-Thara, lascia Uri per Haran, due città non del Vicino oriente ma del Kashmir; Abramo litiga con il padre e raggiunge la terra di Canaan (non la Palestina, ma parte dell’Arabia). Gli ebrei discendono dai sapienti dell’ India, scrisse Clearco di Soli…

Verso 1630 AC diluvio di Inaco, associabile all’esplosione del vulcano di Santorini

Nel 1447 AC esplosione di tipo super Tunguska dell’oggetto chiamato Fetonte dai Greci, sul fiume Eider = Eridano in Germania nord. Seguono il diluvio di Deucalione, gli eventi dell’ Esodo, l’ arrivo in Egitto degli Hyksos con la morte del faraone Dudimose della dinastia XIII…

Verso 800 AC diluvio di Dardano, migrazione degli etruschi da Lidia a Toscana; le orbite di Venere e Marte diventano circolari, con la fine delle grandi catastrofi su base quasi periodica.

Successive catastrofi minori:

 536 AD peste di Giustiniano, carestia e cannibalismo in Cina, suicidio imperatore cinese, migrazione di tartari e celti ?? verso America del Sud

1178 AD impatto su Luna, nasce cratere di Giordano Bruno, vari eventi nella regione del Pacifico e in Asia, forse origine della espansione mongola, passaggio degli Aztechi dalla costa Pacifica all’altopiano messicano…

Per il prossimo futuro, impatto possibile verso il 2030 dell’ asteroide Apophis, in orbita di possibile collisione. La potenza  attesa è valutabile in circa mezzo milione di megatoni (pari a mezzo megatone sul territorio comunale di Milano)

Collaborazioni future previste con Centro Archeologico delle Università Egeo, Rodi, prof  Ioannis Liritzis, con la Fondazione Aga Khan per convegno libro su geografia dell’ Eden, con…

Attività musicologica: due libri basati su oltre 200 incontri nel mondo della lirica; di Bergamo ricordati da discendenti il tenore Federico Gambarelli e Gianandrea Gavazzeni. Libretto d’opera La Tunguska misteriosa, vicina l’orchestrazione completa di Vittorio Vedovato, debutto forse Kazan, o…

Ringrazio i professori Laurence Dixon, del Politecnico di Hatfield,  ai vertici dell’ottimizzazione e affascinato come me da Velikovsky;  Zunquan Xia della Università di Dalian massimo fra i cinesi ai metodi ABS; Kamal Salibi, della American University Beirut, scopritore della dimenticata geografia del mondo biblico; Alfred De Grazia, amico di Velikovsky. De Grazia da Princeton  ha portato all’ Università di Bergamo fondi americani per un milione di dollari, poi ritirati perché le circolari in Italia contano più delle leggi. Ringrazio il collega di dipartimento Bertini per l’attenzione dimostrata verso le mie ricerche non matematiche, i colleghi di altri dipartimenti Giorgio Ragazzi,  Giancarlo Graziola e Daniele Rota, e specialmente Erasmo Recami, che nella lunga traversata in Seicento da Erice e Catania dopo il primo congresso scientifico, di astrofisica, del 1970, mi illustrò campi segreti della fisica e delle baronie universitarie.

Speciali grazie a Giorgio Szego, coautore di uno dei cento più importanti libri di matematica del Novecento, e studioso dalle vaste vedute. Sono indebitato non solo per la chiamata come docente a Bergamo, occasionata del suo invito a Dixon a un convegno sulla ottimizzazione globale a Varenna, ma anche per l’accesso al Progetto Finalizzato CNR sui trasporti, che ha finanziato i matematici cinesi per una decina di anni.

Una nota sugli studenti, che ho avuto in classi di 900 studenti, al Politecnico di Milano, di 600 a Bergamo a Matematica Finanziaria (ognuno da me esaminato con i commissari D’Amico Finardi eCeribelli, voto media dei voti dei tre commissari, regola di solito dimenticata), solo 3 a volte nel corso di Ricerca Operativa, che giudico il più importante per uno studente. Studenti attenti, ma di povera base culturale e non solo in matematica. Negli ultimi anni, teorema di Pitagora ignoto a studenti ammessi al dottorato; in classe di 16 studenti, ignoti Giulio Cesare e Gesù Cristo, ignoranza questa ultima che Daniele Rota, già collega a Bergamo e Canonico di San Pietro, mi dichiarò essere ben nota. Certamente il divieto imposto a certe biblioteche civiche bergamasche di non acquisire “libri confessionali” non contribuirà a conoscere le proprie radici. Avremo una generazione dove le sfumature di grigio saranno tante quante gli articoli a nulla approdanti della teoria di stringhe e super stringhe (sono circa 50.000) ?  Fra gli studenti non del mio corso cito Carlo Ceribelli, che chiese una tesi e in due mesi imparò il contenuto del corso, a programmare in FORTRAN e la scrisse (altri comprano…), e Laura Di Nicola, che visto il mio articolo sulla matematica che nel Novecento è opinione, venne spesso ai miei seminari, in aereo da Pescara.

Un consiglio per l’ università: attivare una facoltà di scienze, partendo da matematica e informatica. Inoltre rendere obbligatorio un corso sui valori di radice della nostra società, come avviene nelle università scandinave. Trovo inaccettabile che molti cristiani mai abbiano letto il Vangelo e che musulmani sappiano solo del Corano di Othman.

Alfred De Grazia, decimo problema di Hilbert, Einstein, Erasmo Recami, Eulero e Le Sage, Olinto De Pretto, Prolusione.

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