SONO PASSATI ESATTAMENTE DIECI ANNI DALLA PUBBLICAZIONE DEL SEGUENTE ARTICOLO, MA L'ARGOMENTO E' ANCORA OGGI ATTUALE COME ALLORA.
LE DIATRIBE SONO LE MEDESIME, LE POSIZIONI IN CAMPO LE STESSE...GLI ENIGMI PER ORA, RESTANO TALI.
BUONA LETTURA.
MLR
di Marco La Rosa
& Adriano Forgione
(Pubblicato sul mensile
“HERA, miti, civiltà scomparse, misteri archeologici” – n. 43 Luglio 2003 –
Anno IV).
“ Molti
manufatti in granito o in diorite, rinvenuti negli scavi archeologici in terra
d’Egitto di epoca pre-dinastica e dinastica non hanno, a tutt’oggi, trovato una
loro precisa collocazione. La raffinatezza e la precisione espresse dal
“creatore” di tali opere, non solo presuppone, ma implica, necessariamente,
l’utilizzo di una “tecnologia”. L’ingegnere aerospaziale Christopher Dunn
ha più volte rimarcato come dalle sue analisi sulle tracce di perforazione del granito di Giza sia necessario chiamare in causa l’impiego del tornio di tipo “parallelo”, oppure in diversi casi, ancor più audacemente di una sorta di trapano ad ultrasuoni per lavorare alcuni tipi di manufatti in pietra granitica e diorite.
ha più volte rimarcato come dalle sue analisi sulle tracce di perforazione del granito di Giza sia necessario chiamare in causa l’impiego del tornio di tipo “parallelo”, oppure in diversi casi, ancor più audacemente di una sorta di trapano ad ultrasuoni per lavorare alcuni tipi di manufatti in pietra granitica e diorite.
Gli
inequivocabili segni di contropunte e centratori,
visibili sul fondo di vasi e contenitori in diorite, oggi conservati al Museo del Cairo, dimostrano una lavorazione di tornitura e fresatura possibile solamente (alla luce del nostro progresso tecnologico, per pari lavorazioni), con macchinari dei quali non è rimasta traccia.
visibili sul fondo di vasi e contenitori in diorite, oggi conservati al Museo del Cairo, dimostrano una lavorazione di tornitura e fresatura possibile solamente (alla luce del nostro progresso tecnologico, per pari lavorazioni), con macchinari dei quali non è rimasta traccia.
Quando
parliamo di tracce non intendiamo solamente quelle fisiche (rottami o pezzi di
macchinario), ma anche quelle descrittive o pittografiche, cosa estremamente inusuale per una cultura
meticolosa come quella egizia, nell’annotare ogni fatto, evento, situazione,
conteggio, censimento ecc…
IL VASSOIO
DI SCISTO ED I VASI IN DIORITE
Proviamo ad
analizzare in dettaglio alcuni dei “manufatti” che hanno dato origine a tutte
le nostre domande, e come noi, oggi, siamo
in grado di spiegarli, avendo a disposizione la stessa materia prima e la
nostra “tecnologia”.
Negli
innumerevoli scavi in terra egizia, l’unico reperto interessante riguardo alla
“tecnologia scomparsa”, resta il famoso “Vassoio di Scisto”,
rinvenuto nel
1931 in una tomba della I Dinastia (3100 a.e.c.), visibile ancora oggi al Museo
del Cairo.
Tenendo
presente che in quell’epoca, secondo gli egittologi, gli egizi non conoscevano
la tecnologia della ruota, il fatto di trovare una “ruota” in una tomba così
antica getta alle ortiche le illazioni dell’egittologia ufficiale. Per molti
ricercatori eterodossi lo strano oggetto è derivazione di un “originale” in
metallo e un paragone possibile è con un “volano” o “puleggia”, forse
appartenente ad un tornio o forse ad un macchinario per il taglio.
Quando si
parla di tornio o di taglio della pietra non si può fare a meno di menzionare
quei reperti che mostrano segni di lavorazione a macchinario. La sala inferiore
del Museo del Cairo espone un piatto di alabastro di epoca pre-dinastica (n.
6075),
realizzato a cerchi concentrici. Un reperto del genere, oltre a presentare un’incredibile perfezione, mostra sulla sua superficie le tracce circolari di una punta che ha scavato la pietra, proprio come farebbe un moderno tornio. Sono però soprattutto i vasi in diorite a costituire un grosso punto interrogativo. In base a quanto presente nei rilievi della tomba di Mereruka (VI Dinastia) a Saqqara, gli egittologi hanno affermato che gli antichi egizi realizzavano vasi in diorite con una sorta di perforatore di rame costituito da un tronco metallico biforcato nella sua parte inferiore e con due ampolle di cuoio piene di sabbia nella parte superiore. La punta biforcata di rame, girando, avrebbe scavato la cavità nel vaso di diorite, favorita dal contrappeso delle due palle di cuoio. Eppure anche il noto egittologo Walter Emery, capo degli scavi a Saqqara negli anni ’30 del secolo scorso, dichiarò che tale sistema era inadeguato a compiere una simile opera, sia per l’impossibilità del rame di perforare la diorite sia per la forma che questi vasi presentano (molti sono di forma perfettamente arrotondata, altri sono definiti “panciuti”).
realizzato a cerchi concentrici. Un reperto del genere, oltre a presentare un’incredibile perfezione, mostra sulla sua superficie le tracce circolari di una punta che ha scavato la pietra, proprio come farebbe un moderno tornio. Sono però soprattutto i vasi in diorite a costituire un grosso punto interrogativo. In base a quanto presente nei rilievi della tomba di Mereruka (VI Dinastia) a Saqqara, gli egittologi hanno affermato che gli antichi egizi realizzavano vasi in diorite con una sorta di perforatore di rame costituito da un tronco metallico biforcato nella sua parte inferiore e con due ampolle di cuoio piene di sabbia nella parte superiore. La punta biforcata di rame, girando, avrebbe scavato la cavità nel vaso di diorite, favorita dal contrappeso delle due palle di cuoio. Eppure anche il noto egittologo Walter Emery, capo degli scavi a Saqqara negli anni ’30 del secolo scorso, dichiarò che tale sistema era inadeguato a compiere una simile opera, sia per l’impossibilità del rame di perforare la diorite sia per la forma che questi vasi presentano (molti sono di forma perfettamente arrotondata, altri sono definiti “panciuti”).
Di fatto, quando si è andati a
replicare tale sistema con identico apparato, il lavoro non è stato preciso
come gli originali pre-dinastici. Ancora oggi, resta un enigma come gli antichi
egizi realizzassero tali oggetti, che risultano perfettamente puliti e levigati
sia fuori che dentro, nonostante molti di essi presentino una piccola bocca è
uno stretto collo. La soluzione, sarebbe difficile da accettare per un “conservatore”,
è solo nell’utilizzo dei trapani, realizzati con una materia prima che
certamente non poteva essere il rame.
UNA POMPA
IDRAULICA
Un elemento
ulteriore di difficile catalogazione, trovato a Dehyr El Bahari, vicino Luxor, e
anch’esso conservato al Museo del Cairo (n. 46101),
è uno strumento risalente all’XI Dinastia e formato da quattro alette in forma di croce, con un foro centrale (come il vassoio di scisto), che certamente doveva servire a fissare l’utensile su un asse o perno. Lungo 12 cm. E alto 8, è certamente un oggetto con funzione “tecnologica”. Non è difficile ipotizzare che dovesse ruotare sull’asse principale, come farebbe una moderna ruota dentata. L’ingegnere egiziano Dawoud Khalil Messiha è certo che si tratti di quanto resta di una pompa idraulica.
è uno strumento risalente all’XI Dinastia e formato da quattro alette in forma di croce, con un foro centrale (come il vassoio di scisto), che certamente doveva servire a fissare l’utensile su un asse o perno. Lungo 12 cm. E alto 8, è certamente un oggetto con funzione “tecnologica”. Non è difficile ipotizzare che dovesse ruotare sull’asse principale, come farebbe una moderna ruota dentata. L’ingegnere egiziano Dawoud Khalil Messiha è certo che si tratti di quanto resta di una pompa idraulica.
LA CAVAZIONE
Passiamo ora a parlare dell’ingegneria egizia.
Per meglio intendere, quello che la civiltà egizia della 3° e 4° Dinastia (2700
a.C. – 2480 a.C.) ha (forse) prodotto, compareremo le varie fasi , con quello
che di meglio documentato abbiamo in nostro possesso. Naturalmente, per quanto
riguarda il materiale in questione (granito e diorite) abbiamo come paragone il
periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo, in cui si è impiegata una tecnologia “in fase di sviluppo”, a nostro
avviso molto simile a quella ipoteticamente utilizzata dagli egizi più di 4000
anni fa.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, il
marmo e il granito venivano estratti con una tecnica che, per la sua
complessità, comportava una lunga e accurata preparazione.
Questa
tecnica si chiamava e si chiama tutt’ora: “varata”. Con la varata la parete di roccia
veniva frantumata dividendosi in tanti blocchi di diverse dimensioni.
Prima di prelevare
il masso dalla parete rocciosa, bisognava liberarlo da quella parte di roccia
resa inservibile dall’alterazione superficiale. Il “cavatore tecchiaiolo”aveva
il compito di esaminare da vicino il marmo, liberandolo dalle parti
pericolanti, per fare questo doveva calarsi, appeso a una fune, davanti al
fronte della cava.
Anche in
epoca egiziana, suppongo si facesse la stessa identica operazione.
Successivamente
entravano in scena i cavatori addetti al piazzamento del “filo elicoidale”.
Questo era
un dispositivo per il taglio della roccia
costituito da una funetta formata da tre fili di acciaio, avvolti ad
elica e di lunghezza variabili, che poteva raggiungere i 1200 – 1500 metri per
i grandi tagli. In un’ora di marcia il filo poteva segare, in media 60 metri
cubi. Il filo elicoidale vaniva fatto scorrere a una velocità di 5 – 6 metri al
secondo, e il taglio del blocco era alimentato da una miscela abrasiva di acqua
e sabbia silicea.
Sappiamo per
certo che i cavatori egizi inserivano nelle fenditure della roccia dei pali di
legno di diverse misure, e successivamente li bagnavano. Il legno gonfiandosi
spaccava la roccia.
Noi,
supponiamo anche per l’utilizzo di una sorta di “filo elicoidale”, sicuramente
non di acciaio, forse una fune di robusta canapa intrisa con una pasta formata
da olio e sabbia silicea e forse, di più efficaci diamanti grezzi.
Forse il
“Vassoio di Scisto”, era parte integrante di un sistema a “filo elicoidale”.
Oggi il filo
diamantato permette di tagliare pezzi di monte ad una velocità incredibile: se tra
la fine del 1800 e l’inizio del 1900 per fare un taglio occorreva un mese e
mezzo, oggi il medesimo taglio si ottiene in tre o quattro giorni ! il filo
diamantato è come una collana di perle,
infatti i diamanti artificiali sono infilzati sul cavo e distanziati tra loro
con delle piccole molle.
Successivamente
entravano in scena i “riquadratori”, che a suon di “subbia” e martello,
cercavano di dare una forma quadrata al blocco di roccia.
Ai tempi di
Michelangelo per portare a valle i blocchi di marmo si utilizzava il metodo di
farli rotolare a valle, questo metodo si chiamava “abbrivio”, che
successivamente data la pericolosità, fu sostituito dalla “lizzatura”, che
consisteva nel mettere i blocchi di pietra sopra una slitta ricavata da tronchi
di faggio o di querciae farli scorrere verso valle.
La “lizza”
era formata da diversi blocchi di marmo tenuti insieme da robuste corde di
canapa che servivano anche per far scendere lungo tutto il percorso l’intero
carico.
Alla
lizzatura partecipavano diversi uomini: era un lavoro di squadra molto
rischioso. Davanti a tutti c’era il capo lizza, che aveva il compito di
controllare che la discesa procedesse per il meglio. Era lui che disponeva i
“parati” sul terreno davanti alla lizza, e dava il segnale ai mollatori di
allentare o stringere i cavi al momento
giusto.
I parati
erano robuste assi di legno, che venivano aggiunte anteriormente, mano a mano
che il carico scendeva, consentendogli di scivolare senza incontrare ostacoli.
Il lavoro
della lizzatura, finiva nel momento in cui il carico arrivava al “poggio”, che
era il luogo dove i blocchi venivano liberati dalle corde, e caricati su carri
trainati dai buoi.
Tutto ciò
potrebbe essere molto simile al procedimento utilizzato dalla civiltà nilotica
oltre 4000 anni fa. A nostro parere la lizzatura veniva utilizzata dagli egizi
in due occasioni: nella fase appena sopra descritta, subito dopo la
riquadratura; e nella fase finale di trasporto in sito di costruzione.
Nella fase
intermedia il trasporto dalle cave (distanti mediamente 800 km.) al sito di
costruzione di Giza, si usavano sicuramente i buoi per il traino dei blocchi su
“slitte”con pattini lubrificati, in quanto per l’egittologia classica al tempo
non si conosceva la “ruota”, e di conseguenza il carro. Oppure su robuste
imbarcazioni lungo il Nilo.
Nonostante
quanto esposto poc’anzi, non dobbiamo assolutamente dimenticare il grado di
precisione e l’estrema accuratezza degli ideatori e costruttori delle piramidi.
E’ stato
realmente possibile edificare una piramide alta 147 metri con lati di 231 metri
(l’errore o lo spostamento rispetto ai punti cardinali risulta minore di 0,25
cm), composta da 2.500.000 blocchi di granito (Z. Hawass afferma, però, che
sono 750.000 circa) del peso medio di oltre 12 tonnellate, dalla massa di 2.633.000
metri cubi per un peso totale di 7 milioni di tonnellate, nei soli 23 anni di
regno del Faraone Khufu (Cheope), quando solo per tagliare una dozzina di
blocchi di roccia, all’inizio del 1900 occorrevano quasi due mesi, escludendo poi la
riquadratura, il trasporto, la levigatura e la posa in opera ?
Da un
semplice calcolo (che tutti possiamo fare) ,
risulta che:
solo per il
taglio (naturalmente con filo elicoidale in acciaio o diamantato) all’inizio
del 1900 dell’ e.c. sarebbero occorsi quasi diciotto anni per ottenere
2.500.000 blocchi di granito non riquadrati.
Per la
civiltà egizia, non in possesso di questi materiali per il taglio, almeno in
doppio, e cioè circa trentasei anni.
Per quanto riguarda
poi la levigatura e la posa in opera (la parte più complessa) siamo già fuori
termine, se teniamo conto anche che i mesi dell’anno utili per la costruzione
erano solamente quattro.
Questo dato
ci porta inevitabilmente a chiederci: possibile che le piramidi di Giza siano
il prodotto di una civiltà agli albori? Oppure la loro incredibile ingegneria
richiede una conoscenza diversa, una tecnologia appartenente a qualcun altro?
Andiamo a verificare, in qualche scritto dell’epoca, l’ipotesi secondo la quale
le piramidi e la Sfinge erano già li da molto molto tempo prima della civiltà
egizia ”conosciuta”.
Sulla sfinge
si sono espressi con competenza John Anthony West e Robert Shoch, i quali hanno
provato che l’età della Sfinge è ben lungi dall’essere dimostrata e che le ricerche circa le tracce di acqua riportano ad un’epoca molto più antica di
quella ufficiale. Meno conosciuta è, invece, una fonte che fa riferimento al
Grande Piramide di Giza quale tempio eretto prima del regno di Cheope. La prova
che la Grande Piramide esisteva già quando lo stesso cominciò a regnare, si
trova su una stele calcarea,
rinvenuta da Auguste Mariette a metà dell’800, fra
le rovine del tempio di Iside , proprio accanto alla Grande Piramide. E’
Zecharia Sitchin a parlarne in “Astronavi
del Sinai (pag. 300)”.
L’iscrizione
mostra che si tratta di un monumento “autocelebrativo” voluto da Cheope per
commemorare la ricostruzione del tempio di Iside da lui ordinata e il restauro
delle immagini e dei simboli delle divinità che egli stesso trovò all’interno
del tempio in rovina.
I versi
iniziali identificano Cheope grazie al suo cartiglio.
Dopo un’
invocazione a Horus e l’augurio di lunga
vita per il re, seguono i versi che ci interessano maggiormente.
L’iscrizione
afferma: “Viva Horus Mezdau; Al Re
dell’Alto e del Basso Egitto, Khufu, E’ data la vita. Egli fondò la casa di
Iside, Signora dell Piramide, accanto alla casa della Sfinge”.
Questa stele
(che oggi si trova al Museo del Cairo), suggerisce che la Grande Piramide era
già lì quando Cheope salì al trono. Non solo, anche la Sfinge – attribuita a Chefren
– era già lì, nella posizione in cui la
vediamo ancora oggi.
La continuazione dell’iscrizione individua con grande precisione la posizione della Sfinge.
La continuazione dell’iscrizione individua con grande precisione la posizione della Sfinge.
Nel suo
cartiglio, Cheope continua affermando di
aver costruito una piramide per la principessa Henutsen “ accanto al tempio della Dea”.
Gli archeologi hanno trovato prove di conferma che la più meridionale delle tre
piramidi , poste accanto alla Grande Piramide, cioè quella più vicina al Tempio
di Iside, era effettivamente dedicata a Henutsen, una delle mogli di Cheope.
Quanto è
riportato nell’iscrizione corrisponde quindi al “verificato”: Cheope afferma
di aver costruito una sola piramide, quella per la principessa, e la grande
Piramide è dedicata a Iside. Questa “stele dell’inventario”, come è stata
chiamata, è un documento autentico eppure, fin da quando è stata scoperta ,
molti studiosi non hanno saputo “rassegnarsi” ad accettare le inevitabili
conclusioni dichiarandola un’iscrizione realizzata in epoca successiva rispetto
a quella di Cheope.
LE IPOTESI
I manufatti
e le opere di ingegneria descritte potrebbero suggerire l’esistenza di una
civiltà molto progredita in un periodo imprecisato, tra i 15.000 ed i 20.000
anni fa, che ha influenzato o addirittura dato origine a tutte, o quasi, le
civiltà mondiali successive, presumibilmente dopo un cataclisma che ne ha
causato la parziale distruzione e la “diaspora”. Naturalmente il termine “progredita”
è per noi sempre misurato in base alla nostra civiltà tecnologica e
materialista. Il termine yuga significa
“età” e fa riferimento alla dottrina indù secondo cui l’umanità si trova su
questo pianeta da molto più tempo rispetto a quanto la scienza occidentale sia
disposta ad ammettere. Questa misteriosa civiltà così ostinatamente negata dall’archeologia
classica potrebbe avere avuto un’evoluzione durata migliaia di anni, ma che
invece di imboccare la strada del materialismo tecnologico, si è sviluppata
sulla strada etico-spiritualista , arrivando ad un livello evolutivo superiore,
per cui progresso tecnologico e spirituale erano in perfetto equilibrio.
Non è da
escludersi l’impiego di una scienza i cui parametri potrebbero differenziarsi
da quelli attuali, chiamando in causa forze ed energie disponibili in natura,
come ad esempio l’elettromagnetismo o le frequenze sonore. Resta comunque
emblematica la scomparsa, senza tracce, di tutta la tecnologia utilizzata da
questa civiltà, per creare le meraviglie lasciateci".
da: HERA n.43 Luglio 2003.
BIBILIOGRAFIA:
C. Jacq – Il
segreto dei geroglifici – Piemme 1995
C. Jacq – I
testi delle piramidi – Bompiani 1998
M. Guilmot –
Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto – Mediterranee 1999
Hera –
2000-2001-2002
Z. Sitchin –
Le Astronavi del Sinai- Piemme 1998
I cavatori
della Lunigiana – Internet 2000 –I sentieri del Marmo – www.versilia.toscana.it-
Franco
Cimmino – Vita quotidiana degli egizi – Rusconi 1988
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