IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

LA NUOVA CONOSCENZA

GdM

lunedì 23 settembre 2013

IMPIANTI EOLICI DI ALTA QUOTA...FUTURO POSSIBILE


di: Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

Altra applicazione futura...possibile


Il kite wind generator o kitegen è un impianto eolico d'alta quota, oltre i 500 metri di altezza. Si tratta di un aerogeneratore ad asse verticale che usa dei kite ovvero dei profili alari rigidi cioè degli aquiloni per fare
muovere una giostra molto grande, si pensa di realizzarla col raggio di 500 metri.
Kite wind generatorNell'immagine sotto,

si vede la grandezza del carosello rispetto agli alberi sottostanti. Dalle estremità delle braccia partono delle funi molto resistenti (ad alto modulo) che collegano il carosello con dei kite, ovvero degli aquiloni manovrabili che permettono di andare sia nella direzione del vento che contro vento come fanno le barche a vela.
Ogni kite di potenza cioè ogni profilo alare rigido è manovrato da una coppia di funi tramite un programma che risiede su un computer. Nella foto a fianco si vedono tre kite con due funi che ne controllano il movimento.

Nella foto marina si vede un kitesurfer che sta andando di bolina o al traverso cioè sta andando "controvento". Il kitegen sfrutta le stesse capacità delle barche o dei kitesurfisti di andare in tutte le direzioni tramite il vento.
Il software comanda i profili alari a compiere un movimento circolare che in tal modo fanno girare il carosello tramite la forza del vento. Il carosello, tramite un generatore di elettricità, produce molti megawatt di potenza paragonabile a quella prodotta da una media centrale nucleare o anche superiore.

A 500 metri di altitudine viaggiano venti molto costanti e molto più forti che a livello del suolo che permettono di generare potenze elettriche impensabili per i normali aerogeneratori eolici.
Il KiteGen può essere installato ovunque anche se la meteorologia e la scelta del sito sono senza dubbio parametri da tenere in massima considerazione e un sito ventoso è naturalmente più congeniale. In
particolare, il cielo italiano è attraversato da uno streamgeostrofico (nastro di vento) di alta quota che fa dell'Italia una regione particolarmente adatta all'istallazione del KiteGen.
Uno dei vantaggi di questo generatore risiede nell'andare a sfruttare il vento a quote alle quali soffia teso e costante. Per fare un esempio, ad un vento che soffi a terra alla velocità media europea, pari a 3 m/s,
corrisponde una velocità del vento di 9 m/s a mille metri di altezza, teso, costante e immune da turbolenze significative.
Le potenze in gioco sono della seguente rilevanza in base al diametro del carosello:

Diametro 100 m equivale ad un generatore da 0.5 MW
Diametro 200 m equivale ad un generatore da 5 MW
Diametro 300 m equivale ad un generatore da 18 MW
Diametro 1'000 m equivale ad un generatore da 500 MW
Diametro 1'260 m equivale ad un generatore da 1000 MW

Si noti la dipendenza cubica tra il diametro del carosello e la potenza generata. Tra 100 metri e 1000 metri di diametro della giostra vi è un rapporto pari a dieci mentre tra 0.5 megawat e 500 megawatt c'è un rapporto pari a mille: appunto, è una relazione cubica.
Le ore di vento all'anno sono molto alte e si stimano in 7000-8000 contro le 1700 degli impianti eolici italiani. Si tratta quindi di una fonte energetica non intermittente bensì costante. Così si può paragonare
direttamente il kitegen con una media centrale nucleare arrivando a dire che è sufficiente un carosello da 1260 metri di diametro per avere la stessa energia.

Mibile gen

Sopra si vede il camion in cui è installata l'attrezzatura per convertire l'energia del vento in elettricità e che comanda tramite due funi il kite di potenza che si vede nello sfondo della foto. Le funi servono sia per
trasmettere il moto del profilo alare che per controllarne il movimento.

L'immagine che segue è quella di una simulazione grafica dello STEM il prototipo di kitegen che dovrebbe fornire una potenza di alcuni megawatt.


STEM prototipo del Kitegen

4 commenti:

Marco La Rosa ha detto...

DAL DOTT. COTELLESSA

KITEnergy: energia eolica d’alta quota a costi inferiori del petrolio

http://sine.ni.com/cms/images/casestudies/it_polito_minca1.jpg?size

"Grazie a LabVIEW Real-Time ed al sistema multiprocessore, il software è stato sviluppato con una gestione parallela delle funzionalità, rendendo possibile la predizione e l’ottimizzazione del comportamento del sistema (come previsto dalla strategia MPC) in tempi accettabili."

- M. Milanese, KITENERGY srl,

La sfida:
Circa l’80% dell’energia mondiale è attualmente prodotta da fonti fossili, con i relativi problemi di sostenibilità ambientale e di stabilità economica e politica. È ormai ampiamente riconosciuto a livello internazionale come lo sviluppo di fonti energetiche alternative sia cruciale per far fronte a tali problemi. Studi recenti indicano che l’energia del vento, considerando unicamente siti sulla terraferma e altezze dal suolo fino a 150 metri, potrebbe da sola fornire cinque volte l’intero fabbisogno energetico mondiale. Tuttavia, la tecnologia eolica attuale non è in grado di sfruttare appieno tale potenziale e non è competitiva senza incentivi economici, in quanto presenta un costo ed una occupazione del territorio troppo elevati rispetto alle tecnologie basate su fonti fossili. Si stima che i futuri avanzamenti dell’attuale tecnologia eolica potranno portare solo miglioramenti contenuti rispetto allo stato attuale. Sarebbe necessaria invece una vera e propria innovazione radicale per convertire l’energia del vento a costi inferiori rispetto a quelli da fonti fossili e senza l’ausilio di incentivi per il suo impiego, permettendo quindi di incrementare in modo significativo la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (attualmente inferiore al 1%, se si esclude l’energia idroelettrica).

La soluzione:
Una rivoluzione nel campo dell’energia eolica può essere ottenuta con lo sviluppo di una tecnologia innovativa, denominata Kitenergy, per la conversione dell’energia dei venti di alta quota (tra 200 e 1000 metri dal suolo) in elettricità. I venti di alta quota presentano infatti il vantaggio di essere più forti e costanti rispetto al vento intercettato dalle torri eoliche. Poiché la potenza generata cresce con il cubo della velocità del vento, poter sfruttare i venti di alta quota presenta notevoli vantaggi. La tecnologia Kitenergy si basa sull’utilizzo di profili alari di potenza (chiamati genericamente aquiloni o kite), collegati a terra da due cavi. I kite, equipaggiati con sensori di bordo per tracciarne in tempo reale posizione, velocità e orientamento e comandati da un sistema di controllo posto al suolo, sono in grado di volare ad altezze pari a 200-1000 metri, intercettando quindi venti di notevole intensità. Il sistema elettromeccanico al suolo permette inoltre di convertire le forze agenti sui cavi in potenza elettrica, tramite opportuni meccanismi messi in moto dal movimento del profilo alare. Studi approfonditi sono stati condotti negli ultimi 5 anni al Politecnico di Torino, nell’ambito di 3 progetti finanziati dalla Regione Piemonte e a cui hanno collaborato alcune aziende hi-tech, tra cui uno spin-off del Politecnico. Tali studi hanno compreso analisi teoriche, simulazioni numeriche e prove sperimentali con il primo prototipo costruito al mondo (un video sulle prove del prototipo è visibile su: www.youtube.com/user/mmkitenergy).

I risultati ottenuti permettono di valutare che la tecnologia Kitenergy è in grado di produrre grandi quantità di energia rinnovabile a costi inferiori rispetto alle fonti fossili, praticamente ovunque nel mondo.

SEGUE SECONDA PARTE

Marco La Rosa ha detto...

DAL DOTT. COTELLESSA

SECONDA PARTE

LabVIEW – Sviluppatore National Instruments



LabVIEW (abbreviazione di Laboratory Virtual Instrumentation Engineering Workbench) è l'ambiente di sviluppo integrato per il linguaggio di programmazione visuale di National Instruments. Tale linguaggio grafico viene chiamato Linguaggio G.

Originalmente realizzato per Apple Macintosh nel 1986, LabVIEW viene utilizzato principalmente per acquisizione e analisi dati, controllo di processi, generazione di rapporti, o più generalmente per tutto ciò che concerne l'automazione industriale su diverse piattaforme come Windows,Linux, Mac OS, e controllori National Instruments.


Programmazione G

Il linguaggio di programmazione usato in LabVIEW si distingue dai linguaggi tradizionali perché grafico, e per questa ragione battezzato G-Language (Graphic Language). Un programma o sottoprogramma G, denominato VI (Virtual Instrument), non esiste sotto forma di testo, ma può essere salvato solo come un file binario, visualizzabile e compilabile solo da LabVIEW.

La definizione di strutture dati ed algoritmi avviene con icone e altri oggetti grafici, ognuno dei quali incapsula funzioni diverse, uniti da linee di collegamento (wire), in modo da formare una sorta di diagramma di flusso. Tale linguaggio viene definito dataflow (flusso di dati) in quanto la sequenza di esecuzione è definita e rappresentata dal flusso dei dati stessi attraverso i fili monodirezionali che collegano i blocchi funzionali. Poiché i dati possono anche scorrere in parallelo attraverso blocchi e fili non consecutivi, il linguaggio realizza spontaneamente il multithreading senza bisogno di esplicita gestione da parte del programmatore.

La semplicità di programmazione (abbastanza intuitiva in quanto modellata su un diagramma di flusso), la semplicità di utilizzo (l'utente finale dispone di uno strumento virtuale disegnato sullo schermo del computer) e la grande versatilità, hanno reso LabVIEW molto impiegato e diffuso nell'ambito dell'acquisizione dei dati e nel loro controllo nei processi industriali, nonché nel campo della ricerca scientifica (tramite LabView sono gestiti i sistemi DAQ degli acceleratori di particelle)

È determinante anche la velocità di realizzazione del software, che si limita spesso al semplice collegamento di blocchi già pronti, grazie alla vasta libreria di funzioni predefinite e driver per la gestione dell'hardware. LabVIEW è completamente integrato per la comunicazione con l'hardware di tipo IEEE 488, VXI, PXI, RS-232, RS-485 e dispositivi DAQ plug-in. I programmi LabVIEW sono pienamente compatibili con tutti i modelli dei più importanti costruttori di strumenti programmabili e schede di acquisizione.

SEGUE TERZA PARTE

Marco La Rosa ha detto...

DA DOTT. COTELLESSA

TERZA PARTE

Dettagli dei VI

Sono visibili il pannello frontale (in alto) e il diagramma a blocchi (in basso)

Nell'ambiente di sviluppo, i VI constano di tre componenti principali:
•il pannello frontale
•lo schema a blocchi
•il riquadro connettori

Pannello frontale

Il pannello frontale è l'interfaccia utente del VI. Si realizza con controlli e indicatori, che costituiscono i terminali interattivi d'ingresso e d'uscita, rispettivamente. Sono ben più numerosi e complessi dei widget normalmente forniti dal sistema operativo. I controlli sono matrici, manopole, potenziometri, pulsanti, quadranti e molti altri; simulano i dispositivi d'ingresso degli strumenti e forniscono dati allo schema a blocchi del VI. Gli indicatori sono grafici, tabelle, LED, termometri e molti altri; simulano i dispositivi d'uscita degli strumenti e visualizzano i dati che lo schema a blocchi acquisisce o genera.

Schema a blocchi

Lo schema a blocchi è il diagramma di flusso che rappresenta il codice sorgente in formato grafico. Gli oggetti del pannello frontale appaiono come terminali di ingresso o uscita nello schema a blocchi. Gli oggetti dello schema a blocchi comprendono:
•terminali
•funzioni
•costanti
•strutture
•chiamate ad altri VI (subVI)
•fili di collegamento
•commenti testuali

SEGUE QUARTA PARTE

Marco La Rosa ha detto...

DA DOTT. COTELLESSA

QUARTA PARTE

Le funzioni sono chiamate esse stesse VI, anche se non hanno un loro pannello frontale e un loro schema a blocchi. Possono avere un numero indefinito di ingressi e di uscite come ogni VI.

Le strutture eseguono il controllo di flusso di base. Ad esempio il ciclo FOR è rappresentato da un contenitore quadrato, che ripete N volte la porzione di schema a blocchi che si trova al suo interno.

I fili di collegamento possono trasportare teoricamente qualunque mole di dati di qualunque tipo, anche aggregati (bundle) definiti dal programmatore. Il colore e lo spessore del filo cambiano di conseguenza per permetterne una facile identificazione. Ad esempio gli interi scorrono su fili blu e le stringhe su fili rosa.

Lo schema a blocchi può essere reso visibile anche durante l'esecuzione, cosa molto utile in fase di debug, in quanto a richiesta si può visualizzare con un'animazione al rallentatore il movimento dei dati lungo i fili e il loro valore momentaneo.

Riquadro connettori

Ogni VI può essere a sua volta utilizzato come subVI (o sottoVI) e comparire all'interno dello schema a blocchi di altri VI, proprio come una qualsiasi funzione, e come tale può avere ingressi e uscite a cui collegare le linee di flusso. Il riquadro connettori serve appunto a definire qual è l'aspetto del VI quando appare come subVI in uno schema a blocchi: che facciata ha l'icona, ma soprattutto come e dove vanno collegate le linee per permettere il passaggio dei dati. In generale con pochi click ogni controllo può essere associato a un ingresso e ogni indicatore può essere associato a un'uscita.

Eseguibili

A partire dai VI si possono anche creare eseguibili a sé stanti e librerie condivise (DLL), perché LabVIEW è un vero compilatore a 32 bit. Per usare tali eseguibili e DLL non occorre un'installazione di LabVIEW, ma è necessario che sul computer di destinazione sia installato almeno il run-time engine di LabVIEW, peraltro distribuito gratuitamente.



Storia



Il progetto LabVIEW nasce nel 1983 dalla necessità della National Instruments di disporre di un software grafico, con il quale testare rapidamente gli apparati hardware prodotti da tale industria statunitense.

Già nel 1986 è resa pubblica la versione 1 del software compatibile con i sistemi Macintosh. Nel gennaio del 1990 viene pubblicata la versione 2, le migliorie sul software rendono la velocità di esecuzione del VI paragonabile ai programmi compilati in Ansi C. Il mese successivo in virtù dell'innovatività dell'approccio grafico alla programmazione, viene pubblicato il brevetto dal US Patent Office. Infine nel settembre 1992 ne viene sviluppata una versione multipiattaforma, cioè per Microsoft Windows, Mac OS e SunOS. In seguito venne supportato anche Linux.

La versione 8.0, pubblicata nel 2005, introduce per la prima volta anche il supporto per la programmazione a oggetti. Il 4 agosto 2009 è stata pubblicata la versione LabVIEW 2009, a 32 o 64-bit, che succede alla versione 8.6