Da: http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2014/04/21/news/api_a_rischio_polline_contaminato-2107565/
di Valentina Tudisca
Un rapporto di Greenpeace appena pubblicato denuncia la
presenza, in Europa, di un'ampia varietà di pesticidi nel polline di cui si
nutrono le api: una possibile minaccia per la loro (e la nostra) sopravvivenza.
La misteriosa sindrome che da anni colpisce gli alveari di
tutto il mondo, causando la morte di milioni di api, potrebbe avere tra le sue
cause l'eccessivo uso di pesticidi: è la conclusione di un rapporto di
Greenpeace che rileva i dati sulle concentrazioni di sostanze dannose presenti
nel polline.
Il declino delle api non è preoccupante solo per la specie
in sé, ma anche per la sicurezza alimentare dell'uomo. Con il loro servizio di
impollinazione, infatti, questi insetti contribuiscono alla riproduzione dei
tre quarti delle colture destinate all'alimentazione umana.
Basato sul lavoro di un gruppo di ricerca della University
of Exeter, in Inghilterra, il documento di Greenpeace appena pubblicato
raccoglie dati sulle concentrazioni di pesticidi rilevate nel polline
proveniente da dodici paesi europei, tra cui l'Italia. Il polline esaminato è
stato in parte prelevato all'ingresso degli alveari dalle api bottinatrici
(Apis mellifera), in parte dal cosiddetto "pane d'api", il polline
stoccato nei favi. Le analisi hanno evidenziato la presenza di numerosi tipi di
pesticidi in entrambi i casi.
Cocktail velenosi
La ricerca ha considerato 25 campioni di pane d'api
immagazzinato durante l'inverno in sette paesi europei e 107 campioni di
polline prelevati in dodici paesi tra il 2012 e il 2013. Dalle analisi è emersa
la presenza di 17 pesticidi (9 insetticidi/acaricidi e 8 fungicidi) nei primi e
di 53 pesticidi (22 insetticidi/acaricidi, 29 fungicidi e due erbicidi) nei
secondi. Su 25 campioni di pane d'api, 17 contenevano almeno un pesticida,
mentre su 107 campioni di polline, erano 72 a contenerne almeno uno. In un solo
campione raccolto in Italia, inoltre, sono stati trovati residui di ben 17
pesticidi (3 insetticidi/acaricidi e 14 fungicidi); un dato preoccupante se si
considera che, secondo diversi studi, l'azione tossica di alcuni pesticidi può
venire amplificata quando si combinano con altri.
"La salute delle api è una questione delicata",
spiega Francesco Nazzi del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali
dell'Università di Udine. "Ci sono diversi fattori di stress che possono
agire sinergicamente a danno di questi insetti, che rendono il sistema fragile:
pesticidi, agenti patogeni come virus, malattie funginee, batteri, parassiti.
Alcuni sono indipendenti dalla nostra volontà, ma su altri - in particolare i
pesticidi - possiamo agire", continua lo studioso.
"La frammentazione degli habitat, la diffusione delle
monocolture e, in generale, la trasformazione del paesaggio agrario, invece,
costituiscono un pericolo soprattutto per i pronobi selvatici, parenti delle
api, anch'essi importanti per l'impollinazione e ancor meno tutelati".
Api (e legislazioni)
confuse
In base agli attuali dati scientifici, sarebbero almeno
sette (imidacloprid, thiamethoxam, clothianidin, fipronil, clorpirifos,
cipermetrina e deltametrina) gli insetticidi utilizzati nelle comuni pratiche
agricole il cui uso dovrebbe essere limitato per salvaguardare api e altri
impollinatori selvatici.
Queste sostanze chimiche, diffuse in Europa, possono essere
nocive per la salute delle api anche in dosi molto basse. Possono per esempio
comprometterne la capacità di apprendimento (la memoria olfattiva, essenziale
nel comportamento delle api) e la capacità di raccolta del polline (api che non
sanno più tornare alle arnie e non riescono a spostarsi in modo efficiente), e
possono causare lo sviluppo di disfunzioni, anche in larve e regine.
I rischi legati ad alcuni di questi pesticidi - i tre
neonicotinoidi, in particolare - sono stati confermati dall'Autorità Europea
per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e il loro uso nell'Unione Europea è soggetto
a restrizioni.
"Per esempio non si possono usare i tre neonicotinoidi
per conciare le sementi, però è consentito usarli sulle colture in
post-fioritura", spiega Nazzi.
"Di fatto, come emerge anche dal rapporto di
Greenpeace, l'ambiente è seriamente contaminato e queste sostanze raggiungono
l'alveare".
Apicoltori eroici
Il collasso delle colonie di api è stato di recente
certificato da uno studio della Commissione Europea chiamato Epilobee, che ha
monitorato 32.000 colonie d'api in 17 paesi europei tra il 2012 e il 2013.
Sebbene, in base ai dati di Epilobee, l'Italia sia uno dei
paesi meno a rischio insieme a Grecia e Spagna, anche qui sono state osservate
morie anomale di api e spopolamenti di alveari, in particolare in
corrispondenza di coltivazioni intensive soggette a trattamenti con pesticidi
(per esempio mais, vite, melo).
"In Italia la mortalità media delle colonie di api, in
base agli ultimi dati della rete internazionale di ricercatori COLOSS
(Prevention of honey bee COlony LOSSes), è del 20-25 per cento annuo",
dice Francesco Nazzi, che poi precisa "Questo non vuol dire che ogni anno
c'è il 25 per cento in meno di api: anche se d'inverno muoiono, poi gli alveari
vengono ricostituiti dagli apicoltori, per cui il patrimonio rimane costante.
Tuttavia, questo è possibile soltanto grazie a un lavoro enorme per compensare
le perdite, che ha scoraggiato i piccoli apicoltori".
"C'è anche da dire", continua il ricercatore,
"che la richiesta di cibo, e quindi di impollinazione, è in crescita:
riuscire a mantenere stabili le popolazioni di api non è ancora
abbastanza".
Ricerche scientifiche
e politica
Nell'ambito della terza edizione della settimana europea
delle api e dell'impollinazione svoltasi presso il Parlamento Europeo a
Bruxelles, l'EFSA ha lanciato un appello per un maggiore coordinamento della
ricerca scientifica, che produca dati su cui basare interventi politici a favore
di questi insetti.
Secondo Nazzi "In Europa c'è una grande tradizione di
ricerca sulle api, e l'Unione Europea sta finanziando progetti in questo
ambito. Tuttavia sono ricerche costose. In Italia, per esempio, del progetto
'Apenet: monitoraggio e ricerca in apicoltura', avviato nel 2009 e coordinato
dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), oggi è
rimasto solo l'aspetto del monitoraggio, mentre si è rinunciato
all'individuazione delle cause e dei rimedi".
C'è chi, sulla base di un recente studio pubblicato su Plos
One da un gruppo dell'Università di Pisa, invita a piantare vedovine maggiori
(Cephalaria transsylvanica), piante che fioriscono in autunno, quando polline e
nettare scarseggiano, per dare ristoro alle api. Greenpeace invita a firmare
una petizione per vietare l'uso di pesticidi dannosi per api e altri
impollinatori e per adottare piani di monitoraggio delle colonie e promuovere
modalità agricole più sostenibili.
Il caso Kenya
Una conferma indiretta dei risultati dello studio viene da
un'altra ricerca pubblicata su Plos One. Elliud Muli, esperto di apicoltura
dell'International Center for Insect Physiology and Ecology (ICIPE), assieme a
un gruppo di ricercatori della Penn State University ha monitorato le
popolazioni di api del Kenya: pur soggette agli stessi parassiti e alle stesse
malattie che stanno sterminando le api "occidentali", quelle africane
non mostrano segni di declino. I ricercatori ipotizzano che questa
straordinaria resistenza possa essere dovuta sia a motivi genetici sia alle
diverse pratiche in uso in Africa orientale, dove l'apicoltura
"industriale" praticamente non esiste e l'uso di pesticidi è molto
limitato.
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