di: DOTT. GIUSEPPE COTELLESSA
L'applicazione del procedimento fisico-matematico della mia invenzione potrebbe dare un contributo significativo per l'ottimizzazione ed il buon funzionamento dei sistemi molto complessi, come la gestione di una centrale solare termodinamico e di un sistema termodinamico.
Solare termodinamico
Nell’ambito della tipologia dei collettori parabolici lineari, l’ENEA ha sviluppato una filiera tecnologica innovativa basata sull’uso di una miscela di sali fusi con funzione sia di trasporto del calore, sia di accumulo termico. Questa soluzione tecnologica consente di incrementare la temperatura di funzionamento rispetto all’utilizzo di olio termico e comporta significativi vantaggi sulla funzionalità, economia, sicurezza e compatibilità ambientale dell’impianto. Altri importanti vantaggi derivano dalla possibilità di integrare questo tipo di impiantosolare con centrali termoelettriche convenzionali e di accumulare in modo efficiente l’energia termica, aumentando la “dispacciabilità” dell’energia elettrica prodotta a fronte dell’aleatorietà della fonte solare.
Il primo impianto industriale basato sulla tecnologia solare ENEA è stato realizzato dall’ENEL presso la centrale di Priolo Gargallo (SR) - Progetto Archimede – attualmente in fase di dimostrazione.
Sulla base dell’esperienza e delle competenze maturate in questo progetto, l’ENEA rappresenta attualmente il punto di riferimento tecnologico nazionale per la tecnologia solare termodinamica, detiene numerosi brevetti e competenze esclusive ed è impegnata, in collaborazione con diverse aziende industriali, in varie iniziative nazionali e internazionali per il miglioramento e la diffusione di questa tecnologia. Le attività svolte dall’ENEAin questo settore riguardano:
In ingegneria energetica un impianto solare termodinamico, anche noto come impianto solare a concentrazione, è una tipologia di impianto elettrico che sfrutta, come fonte energetica primaria, la componentetermica dell'energia solare, attraverso tecniche di concentrazione solare e relativo accumulo, per la produzione di energia elettrica.
Deve il suo nome al fatto che, oltre alla captazione di energia termica solare a partire dalla radiazione solare incidente già presente nei comuni impianti solari termici, aggiunge un ciclo termodinamico (Ciclo Rankine) per la trasformazione dell'energia termica accumulata in energia elettrica tramite turbina a vapore e alternatore come avviene nelle comuni centrali termoelettriche.
La grande rivoluzione rispetto alle altre tecnologie solari (solare termico e fotovoltaico) è però la possibilità di produzione di elettricità anche in periodi di assenza della fonte energetica primaria durante la notte o con cielo coperto da nuvolosità grazie alla possibilità di accumulo del calore in appositi serbatoi, ponendo almeno parziale rimedio ai limiti fisici di continuità/intermittenza imposti da tale tipo di fonte energetica.
Si tratta dunque di una tecnologia energetica alternativa e rinnovabile rispetto a quelle tradizionali basate su combustibili fossili e nucleari, il cui principio di funzionamento ha lontane origini storiche essendo fatta risalire a più di 2 millenni fa all'idea di Archimede sugli specchi ustori.
L'accumulo è in contatto termico con uno scambiatore di calore, che attraverso una caldaia genera vapore; questo viene utilizzato per muovere delle turbine collegate a loro volta a degli alternatori (il complesso turbina-alternatore è detto anche turboalternatore) per produrre così corrente elettrica.
Il fluido termovettore può essere olio diatermico (centrali di 1ª generazione) oppure, secondo gli sviluppi di questi ultimi anni, una miscela di sali che fondono alle temperature di esercizio della centrale e per questo dettisali fusi (centrali di 2ª generazione).
La temperatura più alta raggiunta dai sali fusi (anche fino a 550 °C) rispetto all'olio diatermico consente una migliore resa energetica finale grazie alla possibilità di accoppiamento con centrali a recupero di calore dai fumi di scarico, più efficienti delle centrali standard e che lavorano a temperature più alte.
Con l'utilizzo di miscele a sali fusi è possibile inoltre migliorare la capacità di accumulo termico dell'impianto, prolungandone la produttività anche fino ad alcuni giorni senza esposizione al sole.
Una volta "catturata" l'energia del Sole (sorgente) il processo di produzione ovvero conversione in energia elettrica è quindi del tutto analogo a quanto avviene in una comune centrale termoelettrica.
In generale si possono definire un'efficienza di captazione del calore da parte degli specchi rispetto all'energia solare totale incidente (1°conversione), un'efficienza nel trasporto del calore nel tubo centrale, un'efficienza nell'accumulo di calore nel serbatoio di accumulo, un'efficienza di conversione del calore accumulato in energia elettrica (2° conversione) (sempre minori dell'unità per via di inevitabili perdite) e un'efficienza totale del totale rispetto alla fonte primaria di energia che si ottiene come prodotto delle varie efficienze precedenti.
Gli specchi concentratori sono completamente automatizzati in modo da inseguire costantemente il Sole nel suo moto apparente in cielo (sono detti per questo eliostati), massimizzando così la resa di captazione solare durante l'intero arco della giornata. In caso di forte vento è previsto l'abbassamento verso terra degli specchi in modo da evitare rotture, posizione utilizzata anche per pulire gli specchi.
Per far fronte ai periodi di scarso soleggiamento, specialmente nel periodo invernale e per impianti di grossa potenza, si è pensato di abbinare a questo tipo di impianti solari, dei sistemi di combustione tradizionali con cui poter mantenere la temperatura dei sali fusi oppure, come ad esempio nel caso del progetto Archimede, integrando l'impianto solare termodinamico con un impianto termoelettrico a ciclo combinato alimentato a metano. Un problema che presentano questo tipo di impianti e più in generale i sistemi energetici che sfruttano l'energia solare, sono le notevoli superfici libere da occupare in rapporto alla produzione elettrica. Ad esempio un impianto da circa 40 MW nominali di potenza elettrica in una zona con un DNI (Direct Normal Irradiance) attorno a 1800 kWh/m² anno (Sicilia), occupa circa 120 ettari di superficie.
Il problema della disponibilità dello spazio potrà essere superato costruendo gli impianti solari nel Sud Italia, che dispone di molte zone utilizzabili, come testimoniano i progetti già avviati[2].
Seguendo questa linea si è pensato anche alla costruzione di mega centrali solari-termodinamiche nelle aree desertiche del Nord Africa, in seguito ad accordi internazionali con Libia e Marocco (Progetto Desertec), laddove la disponibilità di spazio e condizioni climatiche relative all'insolazione media annua del tutto ottimali creerebbero situazioni particolarmente favorevoli alla produzione su vasta scala di energia elettrica: sembra che tale soluzione, unita alla realizzazione di reti di distribuzione elettrica a "corrente continua" e bassa perdita, possa arrivare a soddisfare anche l'intero fabbisogno energetico europeo.
Attualmente il "costo per kilowattora" dell'energia prodotta con tale tecnologia è superiore di 5 o 6 volte a quello di altre fonti come dichiarato dall'amministratore delegato dell'ENEL Conti, tuttavia si ritiene che i costi scenderebbero inizialmente lievemente e poi forse in maniera decisa, una volta avviata una produzione di massa di questi sistemi ovvero con quella che in gergo tecnico-economico si chiama "regime di economia di scala". Essendo una tecnologia relativamente nuova ed emergente non può però vantare ancora una piena maturità a livello commerciale rispetto ad altri sistemi di produzione energetica già testati e affermati da tempo.
Un altro svantaggio è che un siffatto sistema di produzione di energia, se fortemente centralizzato, risulterebbe facilmente soggetto ad attacchi di tipo terroristico, in quanto, vista la superficie occupata, non potrebbe essere sorvegliato come accade con impianti di altro tipo. Tale obbiezione appare però piuttosto strumentale, visto che l'attuale approvvigionamento energetico si basa su un sistema di poche, grandi centrali, e quindi soggette allo stesso tipo di rischi di sabotaggio. Anzi, una centrale di questo tipo, proprio grazie alla sua struttura, sarebbe molto più veloce e più economica da riparare rispetto ad una comune centrale a turbogas.
Qualcuno ritiene che la scalabilità di tali sistemi sia scarsa, senza pensare però che in zone desertiche "aggiungere" altre file di specchi a un impianto già esistente sarebbe decisamente più economico che aggiungere un nuovo generatore a una centrale a combustibile fossile. Nonostante queste limitazioni si ritiene tuttavia che tali sistemi rappresentino comunque una svolta o un miglioramento sensibile all'interno del panorama di produzione energetico da fonte solare, la fonte primaria di energia sulla Terra.
Nel marzo 2008, il governo ha ricevuto il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni per avviare questa anche nel resto del territorio nazionale.
Nel progetto Archimede dell'ENEA, sviluppato in collaborazione con l'ENEL e fortemente sponsorizzato dal premio Nobel Carlo Rubbia, come fluido termovettore venne usato una miscela di sali fusi (60% di nitrato di sodio e 40% dinitrato di potassio) che permette un accumulo in grandi serbatoi di calore e una temperatura di esercizio molto elevata (fino a 550 °C) aumentando l'efficienza dell'impianto. . L'uso di sali fusi come fluido di scambio termico compare anche nel progetto di nuovi sistemi che condividono la necessità di liquidi di conduzione ad alta temperatura come i reattori a fissione di IV Generazione ed i reattori nucleari a fusione.
È bene sottolineare che però questa è solo una coincidenza: l'utilizzo di sodio per il raffreddamento dei reattori a fissione, ad esempio del tipo SFR, risponde alla necessità di una moderazione più efficace dei neutroni ed evitare i rischi legati all'utilizzo dell'acqua a temperature dell'ordine del centinaio di gradi. A queste temperature infatti l'acqua si dissocia in idrogeno e ossigeno, entrambi gas con elevata attitudine esplosiva: tale dissociazione è evitabile solo mantenendo adeguatamente pressurizzata l'acqua, operazione economicamente costosa.
Nel luglio 2009 il Senato Italiano ha approvato una mozione decisamente critica riguardo al solare termodinamico, ritenuta una fonte non completamente ecologica in quanto necessita di essere combinata a fonti non rinnovabili che ne garantiscano il funzionamento anche in assenza di sole, e poco efficiente sotto diversi punti di vista anche in confronto con la nuova politica di rilancio del nucleare. Nella mozione si sottintende che il solare termodinamico abbia difficoltà a trovare siti adeguati, che abbia bisogno di una fonte d'acqua per il raffreddamento, che non debba essere troppo lontana dalla connessione alla rete, che l'efficienza energetica difficilmente potrà superare il 25%, che per funzionare senza soluzione di continuità abbia bisogno di combustibile e quindi non sarebbe ecologica, e critica l'utilizzo della componente termodinamica dal punto di vista economico perché i costi non sarebbero comprimibili, essendo una tecnologia matura, che i costi di produzione siano nell'ordine dei 6 euro a watt, che i costi sono comunque elevati poiché gli impianti sono piccoli e non beneficiano di fattori di scala, che manca un sistema industriale in Italia, che i costi per essere amortizzati in 20 anni devono essere inseriti in formule di cogenerazione con cicli combinati o impianti a carbone, che la tipologia e' complessa e quindi non alla portata di piccoli imprenditori, che i primi impianti (ndr: SEGS per 350 MW nel deserto del Mojave) non sarebbero stati persuasivi, e quindi abbandonati, che conviene puntare più sulla tecnologia fotovoltaica, del consumo di biomasse e dell'eolico.
Il 15 luglio 2010 è stata inaugurata dall'ENEL a Priolo Gargallo in provincia di Siracusa la prima centrale termodinamica italiana da 5 MW costata 60 milioni di euro (Progetto Archimede). Lo scopo principale di questo progetto è di tipo dimostrativo e vuole sottolineare la grande potenzialità del solare termodinamico applicato alle centrali a turbo gas al fine di migliorarne l'efficienza.
Il primo impianto industriale basato sulla tecnologia solare ENEA è stato realizzato dall’ENEL presso la centrale di Priolo Gargallo (SR) - Progetto Archimede – attualmente in fase di dimostrazione.
Sulla base dell’esperienza e delle competenze maturate in questo progetto, l’ENEA rappresenta attualmente il punto di riferimento tecnologico nazionale per la tecnologia solare termodinamica, detiene numerosi brevetti e competenze esclusive ed è impegnata, in collaborazione con diverse aziende industriali, in varie iniziative nazionali e internazionali per il miglioramento e la diffusione di questa tecnologia. Le attività svolte dall’ENEAin questo settore riguardano:
- progettazione, realizzazione e dimostrazione di impianti solari per la produzione di energia elettrica, per cogenerazione o per dissalazione dell’acqua, anche integrati con altre fonti rinnovabili o fossili;
- progettazione, realizzazione prototipale, sperimentazione, ingegnerizzazione e qualificazione di componenti innovativi per impianti solari, in particolare tubi ricevitori, collettori solari (struttura di supporto, pannelli riflettenti e sistema di puntamento) e componenti del circuito a sali fusi (giunti flessibili, riscaldatori ausiliari, strumentazione speciale);
- sviluppo di nuove applicazioni della tecnologia solare termodinamica, tra cui la produzione di idrogeno attraverso processi termochimici e l’utilizzazione industriale dell’energia termica ad alta temperatura da fonte solare.
In ingegneria energetica un impianto solare termodinamico, anche noto come impianto solare a concentrazione, è una tipologia di impianto elettrico che sfrutta, come fonte energetica primaria, la componentetermica dell'energia solare, attraverso tecniche di concentrazione solare e relativo accumulo, per la produzione di energia elettrica.
Deve il suo nome al fatto che, oltre alla captazione di energia termica solare a partire dalla radiazione solare incidente già presente nei comuni impianti solari termici, aggiunge un ciclo termodinamico (Ciclo Rankine) per la trasformazione dell'energia termica accumulata in energia elettrica tramite turbina a vapore e alternatore come avviene nelle comuni centrali termoelettriche.
Caratteristiche
A differenza dei comuni pannelli solari termici per la generazione di acqua calda a fini domestici (con temperature inferiori a 95 °C), questa tipologia di impianto genera medie ed alte temperature (600 °C e oltre) permettendone l'uso in applicazioni industriali come la generazione di elettricità e/o come calore per processi industriali (cogenerazione).
Si tratta dunque di una tecnologia energetica alternativa e rinnovabile rispetto a quelle tradizionali basate su combustibili fossili e nucleari, il cui principio di funzionamento ha lontane origini storiche essendo fatta risalire a più di 2 millenni fa all'idea di Archimede sugli specchi ustori.
Tipi di impianto e funzionamento
Impianto a collettori parabolici lineari
Questo tipo di impianto è formato da specchi parabolici - che ruotano su un solo asse - che riflettono e concentrano la luce diretta del sole su un tubo ricevitore posto nel fuoco del paraboloide.
Dentro il tubo scorre un fluido (detto fluido termovettore perché adatto ad immagazzinare e trasportare calore), che assorbe l'energia e la trasporta in un serbatoio di accumulo, necessario se si vuole supplire ai momenti di scarsa o nulla insolazione (come la notte). Per esempio nella centrale sperimentale Archimede di Priolo l'accumulo termico è sufficiente per coprire la produzione elettrica per 8 ore in assenza di sole.L'accumulo è in contatto termico con uno scambiatore di calore, che attraverso una caldaia genera vapore; questo viene utilizzato per muovere delle turbine collegate a loro volta a degli alternatori (il complesso turbina-alternatore è detto anche turboalternatore) per produrre così corrente elettrica.
Il fluido termovettore può essere olio diatermico (centrali di 1ª generazione) oppure, secondo gli sviluppi di questi ultimi anni, una miscela di sali che fondono alle temperature di esercizio della centrale e per questo dettisali fusi (centrali di 2ª generazione).
La temperatura più alta raggiunta dai sali fusi (anche fino a 550 °C) rispetto all'olio diatermico consente una migliore resa energetica finale grazie alla possibilità di accoppiamento con centrali a recupero di calore dai fumi di scarico, più efficienti delle centrali standard e che lavorano a temperature più alte.
Con l'utilizzo di miscele a sali fusi è possibile inoltre migliorare la capacità di accumulo termico dell'impianto, prolungandone la produttività anche fino ad alcuni giorni senza esposizione al sole.
Una volta "catturata" l'energia del Sole (sorgente) il processo di produzione ovvero conversione in energia elettrica è quindi del tutto analogo a quanto avviene in una comune centrale termoelettrica.
In generale si possono definire un'efficienza di captazione del calore da parte degli specchi rispetto all'energia solare totale incidente (1°conversione), un'efficienza nel trasporto del calore nel tubo centrale, un'efficienza nell'accumulo di calore nel serbatoio di accumulo, un'efficienza di conversione del calore accumulato in energia elettrica (2° conversione) (sempre minori dell'unità per via di inevitabili perdite) e un'efficienza totale del totale rispetto alla fonte primaria di energia che si ottiene come prodotto delle varie efficienze precedenti.
Gli specchi concentratori sono completamente automatizzati in modo da inseguire costantemente il Sole nel suo moto apparente in cielo (sono detti per questo eliostati), massimizzando così la resa di captazione solare durante l'intero arco della giornata. In caso di forte vento è previsto l'abbassamento verso terra degli specchi in modo da evitare rotture, posizione utilizzata anche per pulire gli specchi.
Impianto a torre centrale
Esistono anche centrali solari con un sistema di specchi riflettenti indipendenti che inseguono il sole e concentrano i suoi raggi su un ricevitore fisso posto alla sommità di una struttura a torre posta al centro dell'impianto. In questo caso si parla di impianto a torre centrale o centrale solare a torre. Nel ricevitore al vertice della torre scorre il fluido termovettore che trasferisce il calore a un generatore di vapore, che alimenta un turboalternatore. Con questo sistema si possono raggiungere fattori di concentrazione, e quindi temperature, superiori rispetto ai collettori parabolici lineari.
Vantaggi e svantaggi
Nel 2008, il fisico italiano Rubbia ha stimato che un ipotetico quadrato di specchi di 40 000 km² (200 km per ogni lato) basterebbe per sostituire tutta l'energia derivata dal petrolio prodotta oggi nel mondo, mentre per alimentare un terzo dell'Italia bastava un'area equivalente (alla potenza) di 15 centrali nucleari: vasta, in pratica, quanto all'area circoscritta dal Grande Raccordo Anulare.
Il vantaggio riscontrabile nell'immediato rispetto ad un tradizionale impianto fotovoltaico consiste in una produzione di energia più uniforme nel tempo causa lo sfruttamento indiretto dell'energia solare anche di notte o in caso di cattivo tempo fino ad alcuni giorni grazie al sistema di accumulo del fluido termovettore e all'alta temperatura raggiungibile dai sali fusi (circa 550 °C).Per far fronte ai periodi di scarso soleggiamento, specialmente nel periodo invernale e per impianti di grossa potenza, si è pensato di abbinare a questo tipo di impianti solari, dei sistemi di combustione tradizionali con cui poter mantenere la temperatura dei sali fusi oppure, come ad esempio nel caso del progetto Archimede, integrando l'impianto solare termodinamico con un impianto termoelettrico a ciclo combinato alimentato a metano. Un problema che presentano questo tipo di impianti e più in generale i sistemi energetici che sfruttano l'energia solare, sono le notevoli superfici libere da occupare in rapporto alla produzione elettrica. Ad esempio un impianto da circa 40 MW nominali di potenza elettrica in una zona con un DNI (Direct Normal Irradiance) attorno a 1800 kWh/m² anno (Sicilia), occupa circa 120 ettari di superficie.
Il problema della disponibilità dello spazio potrà essere superato costruendo gli impianti solari nel Sud Italia, che dispone di molte zone utilizzabili, come testimoniano i progetti già avviati[2].
Seguendo questa linea si è pensato anche alla costruzione di mega centrali solari-termodinamiche nelle aree desertiche del Nord Africa, in seguito ad accordi internazionali con Libia e Marocco (Progetto Desertec), laddove la disponibilità di spazio e condizioni climatiche relative all'insolazione media annua del tutto ottimali creerebbero situazioni particolarmente favorevoli alla produzione su vasta scala di energia elettrica: sembra che tale soluzione, unita alla realizzazione di reti di distribuzione elettrica a "corrente continua" e bassa perdita, possa arrivare a soddisfare anche l'intero fabbisogno energetico europeo.
Attualmente il "costo per kilowattora" dell'energia prodotta con tale tecnologia è superiore di 5 o 6 volte a quello di altre fonti come dichiarato dall'amministratore delegato dell'ENEL Conti, tuttavia si ritiene che i costi scenderebbero inizialmente lievemente e poi forse in maniera decisa, una volta avviata una produzione di massa di questi sistemi ovvero con quella che in gergo tecnico-economico si chiama "regime di economia di scala". Essendo una tecnologia relativamente nuova ed emergente non può però vantare ancora una piena maturità a livello commerciale rispetto ad altri sistemi di produzione energetica già testati e affermati da tempo.
Un altro svantaggio è che un siffatto sistema di produzione di energia, se fortemente centralizzato, risulterebbe facilmente soggetto ad attacchi di tipo terroristico, in quanto, vista la superficie occupata, non potrebbe essere sorvegliato come accade con impianti di altro tipo. Tale obbiezione appare però piuttosto strumentale, visto che l'attuale approvvigionamento energetico si basa su un sistema di poche, grandi centrali, e quindi soggette allo stesso tipo di rischi di sabotaggio. Anzi, una centrale di questo tipo, proprio grazie alla sua struttura, sarebbe molto più veloce e più economica da riparare rispetto ad una comune centrale a turbogas.
Qualcuno ritiene che la scalabilità di tali sistemi sia scarsa, senza pensare però che in zone desertiche "aggiungere" altre file di specchi a un impianto già esistente sarebbe decisamente più economico che aggiungere un nuovo generatore a una centrale a combustibile fossile. Nonostante queste limitazioni si ritiene tuttavia che tali sistemi rappresentino comunque una svolta o un miglioramento sensibile all'interno del panorama di produzione energetico da fonte solare, la fonte primaria di energia sulla Terra.
Diffusione
Nel mondo
Questa tipologia di centrali è utilizzata da anni negli Stati Uniti. Il Solar-1 fu un progetto pilota, costruito nel deserto del Mojave, a est di Barstow in California. Solar-1 fu completato nel 1981, e fu operativo dal 1982 sino al 1986. Fu distrutto da un incendio che mandò a fuoco l'olio su cui i raggi del sole venivano concentrati. Seguì un Solar-2 sempre in California. Dal 1985, il cosiddetto SEGS è operativo in California; è costituito da 9 impianti per una capacità totale di 350 MW. Un nuovo impianto è il Nevada Solar One, con una capacità di 64 MW.
Tra il 2006 e il 2011 in Spagna sono state costruite 3 centrali di questo tipo: Andasol 1, Andasol 2 e Andasol 3, tutte con una capacità di 50 MW.In Italia
Nel dicembre 2007, il secondo Governo Prodi ha approvato un piano industriale per costruire dieci centrali da 50 MW nel sud Italia.Nel marzo 2008, il governo ha ricevuto il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni per avviare questa anche nel resto del territorio nazionale.
Nel progetto Archimede dell'ENEA, sviluppato in collaborazione con l'ENEL e fortemente sponsorizzato dal premio Nobel Carlo Rubbia, come fluido termovettore venne usato una miscela di sali fusi (60% di nitrato di sodio e 40% dinitrato di potassio) che permette un accumulo in grandi serbatoi di calore e una temperatura di esercizio molto elevata (fino a 550 °C) aumentando l'efficienza dell'impianto. . L'uso di sali fusi come fluido di scambio termico compare anche nel progetto di nuovi sistemi che condividono la necessità di liquidi di conduzione ad alta temperatura come i reattori a fissione di IV Generazione ed i reattori nucleari a fusione.
È bene sottolineare che però questa è solo una coincidenza: l'utilizzo di sodio per il raffreddamento dei reattori a fissione, ad esempio del tipo SFR, risponde alla necessità di una moderazione più efficace dei neutroni ed evitare i rischi legati all'utilizzo dell'acqua a temperature dell'ordine del centinaio di gradi. A queste temperature infatti l'acqua si dissocia in idrogeno e ossigeno, entrambi gas con elevata attitudine esplosiva: tale dissociazione è evitabile solo mantenendo adeguatamente pressurizzata l'acqua, operazione economicamente costosa.
Nel luglio 2009 il Senato Italiano ha approvato una mozione decisamente critica riguardo al solare termodinamico, ritenuta una fonte non completamente ecologica in quanto necessita di essere combinata a fonti non rinnovabili che ne garantiscano il funzionamento anche in assenza di sole, e poco efficiente sotto diversi punti di vista anche in confronto con la nuova politica di rilancio del nucleare. Nella mozione si sottintende che il solare termodinamico abbia difficoltà a trovare siti adeguati, che abbia bisogno di una fonte d'acqua per il raffreddamento, che non debba essere troppo lontana dalla connessione alla rete, che l'efficienza energetica difficilmente potrà superare il 25%, che per funzionare senza soluzione di continuità abbia bisogno di combustibile e quindi non sarebbe ecologica, e critica l'utilizzo della componente termodinamica dal punto di vista economico perché i costi non sarebbero comprimibili, essendo una tecnologia matura, che i costi di produzione siano nell'ordine dei 6 euro a watt, che i costi sono comunque elevati poiché gli impianti sono piccoli e non beneficiano di fattori di scala, che manca un sistema industriale in Italia, che i costi per essere amortizzati in 20 anni devono essere inseriti in formule di cogenerazione con cicli combinati o impianti a carbone, che la tipologia e' complessa e quindi non alla portata di piccoli imprenditori, che i primi impianti (ndr: SEGS per 350 MW nel deserto del Mojave) non sarebbero stati persuasivi, e quindi abbandonati, che conviene puntare più sulla tecnologia fotovoltaica, del consumo di biomasse e dell'eolico.
Il 15 luglio 2010 è stata inaugurata dall'ENEL a Priolo Gargallo in provincia di Siracusa la prima centrale termodinamica italiana da 5 MW costata 60 milioni di euro (Progetto Archimede). Lo scopo principale di questo progetto è di tipo dimostrativo e vuole sottolineare la grande potenzialità del solare termodinamico applicato alle centrali a turbo gas al fine di migliorarne l'efficienza.
Sistema termodinamico
Il sistema termodinamico è un innovativo bollitore basato sul sistema di pompa di calore in grado di assorbire l'energia ambientale e solare per riscaldare l'acqua sanitaria in modo particolarmente efficiente rispetto ai sistemi abituali.
E’ un impianto ad elevata efficienza energetica in grado di lavorare tutto l'anno con o senza radiazione solare. L'energia captata viene trasmessa all'acqua attraverso uno scambiatore di calore o condensatore
Un sistema innovativoE’ un impianto ad elevata efficienza energetica in grado di lavorare tutto l'anno con o senza radiazione solare. L'energia captata viene trasmessa all'acqua attraverso uno scambiatore di calore o condensatore
I pannelli solari termodinamici, a differenza di quelli tradizioni, sfruttano il ciclo di funzionamento del frigorifero, ma all'inverso. In un frigorifero il pannello interno raffredda sottraendo calore che verrà dissipato dal radiatore esterno, mentre nel sistema termodinamico la parte che raffredda verrà posta all'esterno dell'edificio per assorbire sia il calore del sole che quello ambientale. il calore così acquisito verrà trasferito ad uno scambiatore riscaldando così l'acqua all'interno dell'accumilo.
La tecnologia di questi pannelli basa sul Principio di Carnot (1824) ed un brevetto francese messo a punto venti anni fa.
Il sistema è efficiente e versatile. I vantaggi sono indubbiamente legati al funzionamento estremamente semplice ed alla tipologia di pannello, molto leggero e resistente, che non richiede alcun tipo di manutenzione.
I pannelli solari termodinamici sono di facile installazione e di ridotte dimensioni: ogni pannello pesa ca. 8 kg e non necessitano di particolari opere murarie in installazione.
La tecnologia di questi pannelli basa sul Principio di Carnot (1824) ed un brevetto francese messo a punto venti anni fa.
Il sistema è efficiente e versatile. I vantaggi sono indubbiamente legati al funzionamento estremamente semplice ed alla tipologia di pannello, molto leggero e resistente, che non richiede alcun tipo di manutenzione.
I pannelli solari termodinamici sono di facile installazione e di ridotte dimensioni: ogni pannello pesa ca. 8 kg e non necessitano di particolari opere murarie in installazione.
50 commenti:
COMMENTO AGGIORNAMENTO DEL DOTT. COTELLESSA:
prima parte
Seguito a insistere che l'applicazione del procedimento fisico-matematico della mia invenzione potrebbe dare un contributo significativo per l'ottimizzazione ed il buon funzionamento dei sistemi molto complessi, come la gestione di una centrale solare termodinamico sai con specchi parabolici lineari che a torre.
SOLARE TERMODINAMICO A SPECCHI PARABOLICI IN UMBRIA A PERUGIA
L’intuizione del premio Nobel Carlo Rubbia applicata a Perugia: il primo impianto a energia solare concentrata (CSP) che funziona con sali fusi a 550 gradi sarà inaugurata a Massa Martana il 3 luglio prossimo.
Nell’area industriale di ASE, in provincia di Perugia, Archimede Solar Energy (ASE) e Chiyoda Corporation hanno costruito il primo impianto dimostrativo al mondo che sfrutta gli specchi parabolici e i sali Fusi come fluido termo-vettore, sulla base di un concept fornito da Enea, con componenti italiani e lavoro ingegneristico giapponese.
Nel solare termodinamico, i vantaggi dell’uso dei sali fusi rispetto all’olio diatermico, usato negli impianti di prima generazione, sono notevoli: innanzitutto permettono di raggiungere temperature più elevate e quindi una migliore efficienza energetica, rendendo sfruttabili elemento come i fumi di scarico, per costruire centrali a recupero di calore. In secondo luogo, i Sali fusi migliorano la capacità di accumulo termico dell’impianto che rimane produttivo anche durante la notte o periodi di scarse radiazioni solari, permettendo così un’erogazione modulata dell’energia.
segue seconda parte
COMMENTO AGGIORNAMENTO DEL DOTT. COTELLESSA
seconda parte
Gli impianti diffusi nel mondo, che attualmente producono oltre 2 GWe, si basano tutti sulla combustione dell’olio diatermico, infiammabile e altamente inquinante, che brucia a una temperatura di 440 gradi. La nuova centrale sperimentale, invece, produrrà energia grazie alla fusione dei sali a 550 gradi, con continuità di esercizio anche durante i periodi di calo o di assenza di luce. Inoltre, i sali sono un fertilizzante naturale, cosa che rende le operazioni di stoccaggio sicure dal punto di vista ambientale.
Gli specchi parabolici concentrano i raggi su dei tubi, all’interno dei quali scorrono i Sali fusi: grazie a questi tubi forniti da Ase, attualmente unico produttore al mondo di tubi per Sali fusi, permettono di moltiplicare l’intensità della luce di 80 volte. I Sali vengono poi accumulati in un deposito ad alta temperatura, isolato termicamente, che conserva il calore per molte ore: da qui vengono inviati alla centrale elettrica dove, riscaldando il vapore che fa girare la turbina, producono corrente elettrica tramite il generatore.
La centrale sperimentale di Massa Martana, costruita grazie ad aziende italiane come Meccanotecnica umbra, Techint, Rdm, Sqm, Axel, Reflex, Ceu e Bfr Meccanica, vuol essere da esempio e aprire la strada alla ricerca sul termodinamico a Sali Fusi: in particolare promuovere l’economia, la bancabilità e l’affidabilità degli impianti a parabola.
SOLARE TERMODINAMICO A SPECCHI PARABOLICI IN SICILIA A CATANIA
Entro il 2015 sarà terminato in Sicilia, in provincia di Catania, il primo impianto solare termodinamico puro in Italia. A differenza dell’ormai famoso impianto Archimede di Priolo Gargallo, nel siracusano, quello di Catania sarà un parco solare termodinamico senza alcun collegamento con una centrale termoelettrica a gas.
segue terza parte
COMMENTO AGGIORNAMENTO DEL DOTT. COTELLESSA
terza parte
L’annuncio dell’avvio della costruzione del nuovo impianto è stato dato l’altro ieri a Palermo, nel corso di un convegno sull’energia distribuita e il termodinamico organizzato da Anest (l’Associazione italiana energia solare termodinamica) e dal Fred (il Forum regionale per l’energia distribuita).
Si tratta di un impianto Enel Green Power da 100 MW termici e 30 elettrici: il sole, concentrato dagli specchi parabolici su un tubo contenente sali fusi, riscalda il liquido vettore fino a 550 gradi centigradi. Questo calore serve a generare vapore che poi viene sfruttato per produrre energia elettrica con una normale turbina. Stiamo parlando, in pratica, dell’altro lato della medaglia solare: il primo lato, quello fino a oggi più sfruttato e conosciuto, è il fotovoltaico e il secondo è il termodinamico.
Con 100 MW termici e 30 elettrici, se la matematica non mente, l’efficienza di questa tecnologia è nettamente superiore a quella del fotovoltaico. Altra buona notizia: mentre il fotovoltaico è in grado di produrre energia per circa 1.500-1.800 ore l’anno, il termodinamico può arrivare fino a 3.800-4.000 ore grazie al serbatoio che accumula il calore e permette la produzione elettrica anche dopo il tramonto.
Infine, mentre il fotovoltaico ha una filiera quasi interamente straniera (con la nota disputa antidumping tra Ue e Cina), il termodinamico è praticamente 100% italiano. Per quale motivo, allora, questa tecnologia non ha ancora avuto uno sviluppo neanche paragonabile a quello del fotovoltaico?
Il motivo principale è che fino a poco tempo fa sono mancati gli incentivi. Con il nuovo Decreto Rinnovabili elettriche, criticato da più parti per aver stroncato e burocratizzato il supporto statale alla maggior parte delle fonti pulite, è stata introdotta una ricca tariffa per il termodinamico: 32 centesimi al kWh, più o meno come il vecchio terzo conto energia per il fotovoltaico, per gli impianti di grandi dimensioni.
Un altro motivo è che il termodinamico ha bisogno di molto sole e non è adatto alle regioni del nord Italia. L’ideale è il nord Africa, tanto che è proprio il termodinamico la tecnologia alla base del progetto Desertec, ma anche la Sicilia e il sud della Sardegna possono dare buoni frutti.
segue quarta parte
COMMENTO AGGIORNAMENTO DEL DOTT. COTELLESSA
quarta parte
SOLARE TRMODINAMICO A TORRE IN ARIZONA
Ottocento metri d’altezza, pari a due volte l’Empire State Building. Tanto è alta la torre solare termodinamica che sarà realizzata dall’australiana EnviroMission nel deserto dell’Arizona. Il progetto, nel quale sono stati investiti 750 milioni di dollari, dovrebbe essere ultimato nel 2015 e pare preluda già a un accordo tra la stessa EnviroMission e la Southern California Public Power Authority, che dovrebbe acquistare per trent’anni l’energia che sarà prodotta.
Ma come funzionerà la torre termodinamica? L’impianto, che diventerà uno dei grattacieli più alti del mondo, sarò ospitato da una serra di circa 40 km quadrati di superficie, all’interno della quale l’aria si riscalderà per effetto dei raggi solari. L’aria calda sarà poi convogliata nella torre, grazie a una sorta di “vento artificiale” con una velocità di circa 60 km all’ora.
Mosse da questa circolazione d’aria, le 32 turbine ospitate nel corpo della torre produrranno elettricità con una capacità di circa 200 Megawatt, sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico di 150 famiglie americane. Grazie alla tecnologia termodinamica, e all’escursione termica tipica del deserto americano, l’impianto produrrà elettricità a ciclo continuo, sia di giorno che di notte.
Il calore accumulato durante il giorno sotto la copertura circolare della serra, infatti, sarà rilasciato gradualmente nelle ore notturne. Il progetto della torre solare dell’Arizona segue quello, lanciato qualche tempo fa dalla stessa EnviroMission e poi naufragato, di realizzare un impianto analogo in territorio australiano.
Trovo questo sito interessante perchè permette ai lettori di essere messi a conoscenza dello stato dell'arte delle applicazioni del solare termodinamico,con una panoramica sulle recenti iniziative.
COMMENTO PRECISAZIONE DEL DOTT. COTELLESSA
Un grande impianto solare termodinamico sorgerà in Egitto. E' MATS (Multipurpose Applications by Thermodynamic Solar), un impianto in grado di produrre elettricità, calore, raffreddamento ed acqua dissalata utilizzando l'energia solare integrata con altre fonti pulite e basato sulla stessa tecnologia ENEA già utilizzata nell'impianto Archimede dell'Enel in provincia di Siracusa.
Questo nuovo progetto prevede, "l’utilizzo di sali fusi alla temperatura massima di 550°C, quale fluido di processo, e di un sistema di accumulo termico che permette di distribuire energia anche in assenza di fonte solare. Inoltre, l’integrazione dell’impianto solare con generatori alimentati a combustibili alternativi (preferenzialmente biomasse) rende l’intero sistema ancora più flessibile, garantendo una maggiore continuità nella produzione di energia".
Il progetto MATS per la costruzione di questo impianto solare termodinamico in Egitto si articolerà in tre fasi distinte:
1) sviluppo di ogni singolo componente dell'impianto mediante sperimentazione e modellazione numerica;
2) costruzione dell'impianto completo all'interno del Campus universitario della Città della Scienza e Tocnologia di Borg-el-Arab, vicino Alessandria d’Egitto;
3) dimostrazione sperimentale dell'impianto in grado, una volta ultimato di co-generare 1 MW di energia elettrica e 4 MW di energia termica per alimentare apparecchiature di climatizzazione di edifici e un dissalatore da 250 metri cubi al giorno.
All'ENEA spetterà il compito di coordinare l'intero progetto a cui partecipano anche altri enti di ricerca (il francese CEA, il tedesco ISE del centro Fraunhofer e gli egiziani ASRT e NREA), università (la britannica University of Cranfield) oltre che i partner industriali italiani (Tecnimont KT, Ronda Group e Archimede Solar Energy) ed egiziani (Orascom Construction Industries e Delft Environment).
COMMENTO PERVENUTO VIA MAIL DAL DOTT. COTELLESSA:
Rinnovabili al 30% del fabbisogno italiano
Nei primi otto mesi del 2013, di fronte ad una richiesta di energia di 212.972 GWh, le green energy hanno risposto con una produzione complessiva di 67.948 GWh
Rinnovabili al 30% del fabbisogno italiano
Quanto fanno realmente le energie rinnovabili in Italia? Alla domanda risponde il nuovo aggiornamento mensile di Terna in merito al sistema elettrico nazionale. Secondo il nuovo bilancio dell’operatore di rete, le fonti rinnovabili sarebbero attualmente arrivate a coprire oltre il 30 per cento del fabbisogno su base annua. Un vero e proprio dato storico quello che contraddistingue i primi otto mesi del 2013 dove, di fronte ad una richiesta di energia di 212.972 GWh – in flessione del 3,8% rispetto al corrispondente periodo del 2012 – le green energy (idroelettrico, geotermico, fotovoltaico, eolico) hanno risposto con una produzione complessiva di ben 67.948 GWh.
Confrontando il mese di agosto 2013 con quello dell’anno precedente, Terna mostra una forte crescita sia per la produzione idrica (+21,0%), quella fotovoltaica (+16,4%) eolica (+22,4%), e quella geotermica (+5,0%); in netta la flessione invece la produzione da fonte termoelettrica (-18,8%). Il nuovo traguardo verde raggiunto dall’Italia è stato commentato con soddisfazione da Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera. “E’ un risultato importante e impensabile fino a pochi anni fa […] Ma si può fare molto di più e possiamo porci obiettivi più ambiziosi di quelli attuali, come arrivare alla soglia del 50% della domanda elettrica soddisfatta da rinnovabili”. “Un’anticipazione di come sarà l’energia di domani l’abbiamo avuta lo scorso 16 giugno, tra le 14 e le 16, quando – ricorda Realacci – per la prima volta nella storia il prezzo d’acquisto dell’energia elettrica è sceso a zero su tutto il territorio nazionale. Fatto che segnala come in quelle due ore energia solare, eolico e idroelettrico hanno prodotto il 100% dell’elettricità italiana. Non ci sono dubbi sulla direzione da seguire: il futuro dell’energia è nel risparmio energetico, nell’efficienza, nell’innovazione, nella ricerca e nelle fonti rinnovabili”.
DAL DOTT. COTELLESSA
Canned Sunshine
Although batteries are great for some things, they aren't quite up to storing large-scale solar power for later use. That's why many people are trying to make fuel from light instead.
"The idea is to take the energy in light and store it as a fuel we can use later. So we made the GRAFSTRR (Gravity-Fed Solar-Thermochemical Receiver/Reactor)—a 1,000-pound cylinder of insulated steel, about 3 feet wide and 2.5 feet tall. In the lab, 10 lamps simulate only 10 to 20 kilowatts of sunlight. (In the real world, though, tens of thousands of small mirrors across a field would reflect sunlight into the reactor.) The light enters the top of the reactor and passes through a circular quartz window that keeps out air, which can contaminate the chemical reaction inside. At the light’s most concentrated and hottest point—3,000°F—it enters the reaction cavity.
Fifteen hoppers drop zinc oxide powder into the cavity. When the radiation there hits the zinc oxide, it breaks the bond between the zinc and the oxygen, making free zinc. In the future, a second reactor would use the zinc to strip the oxygen from water, making hydrogen gas. Theoretically, we could capture about 40 percent of the energy, but in lab experiments to demonstrate the design, we get less than 3 percent. Our reactor is mostly a proof-of-concept, but I think it could be scaled up in my kids’ lifetime.”
DAL DOTT. COTELLESSA
Nel settore degli impianti solari è importante raggiungere temperature molto elevate fino a 800 °C. Il raggiungimento di queste temperature permette di fornire calore a numerosi processi endotermici per lo stoccaggio dell'energia solare, quali i cicli termochimici per la produzione di idrogeno o i processi di reforming degli idrocarburi, processi questi che richiedono temperature operative nell'intervallo tra 600 e 800 °C attualmente al di fuori della portata dei comuni ricevitori lineari come i tubi a vuoto. Questo risultato si può ottenere con un ricevitore a cavità riflettente ellittica: il concentratore primario concentra i raggi solari in uno dei fuochi dell'ellisse, e questi vengono poi riflessi nel secondo fuoco, dove si trova un tubo ricevitore. Il tubo è schermato dall'eccessiva emissione termica dalla cavità intorno, trovandosi vicino al fondo della cavità e quindi lontano dall'apertura verso l'esterno. La superficie esterna della cavità è coperta da uno strato di materiale isolante per ridurre ulteriormente le perdite termiche. Il sistema non deve presentare giunzioni vetro-metallo, vuoto o superfici selettive delicate, fattori questi che limitano la temperatura d'esercizio nei tubi a vuoto usati generalmente come ricevitori.
DAL DOTT. COTELLESSA
The new Parker Balston H2PEMPD Hydrogen Generator will replace dangerous, expensive cylinders of hydrogen fuel gases and helium carrier gases in the laboratory, allowing users to supply, control, and automate all hydrogen gas supplies. The Generator will produce 1,300 cc/minute of 99.99999+% pure hydrogen. A single generator can support up to as many as 20 instruments with fuel and carrier gas. With delivery pressures of up to 175 PSI this product is ideal for Fast, Ultra-Fast and Flash GC applications.
https://www.labx.com/web/banners/originals/PEMPDAugust2013article.jpgParker Balston H2PEMPD Hydrogen Generators are an excellent source of ultra-pure, dry hydrogen for a wide range of laboratory uses. The generator can be used with Gas Chromatographs (GC), as a fuel gas for Flame Ionization Detectors (FID), as a reaction gas for Hall Detectors, and as a carrier gas to ensure absolute repeatability of retention times. In high sensitivity trace hydrocarbon analyzers and air pollution monitors, the hydrogen produced ensures the lowest possible background noise. Other applications include using hydrogen for hydrogenation reactions and for FIDs used in the analysis of engine gas emissions in the automobile industry.
With an output capacity of up to 1,300 cc/minute, one generator can supply 99.99999+% pure carrier gas at up to 175 psig to multiple GS', and fuel gas to up to 45 FIDs. The Parker Balston H2PEM series hydrogen generators use a Proton Exchange membrane (PEM) to produce hydrogen on demand. Each generator incorporates a maintenance free palladium purifier module to remove oxygen down to <0.01 ppm and moisture down to <1.0 ppm. Only 100mL of hydrogen gas is stored in the system at any time. Based on cylinder gas savings alone, a Parker Balston hydrogen generator pays for itself in less than one year.
This new range of hydrogen generators incorporate breakthrough proton exchange membrane design, software, microprocessor controls and automatic water feed for unattended operation that laboratories can depend on. Up to 32 hydrogen generators can be connected together using Parker's cascading, load balancing software to supply gas to a large gas delivery system. Built in remote monitoring capability enables users to view system performance from a PC; multiple systems can be monitored at one time. Data logging of gas generator performance is incorporated into the H2PEMPD series for use in regulated environments where system validation may be required. Parker is offering a three year warranty on the Proton Exchange Membrane for this new to world product.
DAL DOTT. COTELLESSA
NEW HI-RESOLUTION Thermal IR Camera
NEW HI-RESOLUTION Thermal IR Camera-Image
The Micro Epsilon TIM Infrared Imager is a full radiometric thermographic device, showing temperature images and profiles of the target area to be observed. It is a new state of the art thermal imager with ready to use USB 2.0 interface for real-time thermography with 120 Hz frame rate - up to 100 m cable length. The measurement temperature ranges is from -20 to 1500°C.
The model TIM 160 is the most economic thermal imager. At only 195 gram, sized in a 45x45x62mm IP67 housing it takes real time thermal images a rate of 120Hz with 0.08K(NEDT)
optics with 72° , 48°, 23° 6° FOV
analog and digital process interface
The bi-spectral model TIM 200 operates by using new bi-spectral technology that combines two images into one. The compact USB infrared camera in the TIM 200 version is equipped with an additional visual camera that records an IR image and in addition to the real time image. The camera processes image information from different spectral ranges at the same time.
optics with 80° , 48°, 23°, 6° FOV
visual image 54°, 30° FOV
The model TIM 400/450is the highest resolution and most sensitive thermal imager. At only 320 gram, sized in a 46x56x90mm IP67 housing it takes real time thermal images a rate of 80Hz with 0.04K(NEDT)
optics with 13° , 30°, 62° FOV
382 x 288 pixel
All the TIM use an uncooled micro bolometer Focal Plane Array (FPA) with 160x120/ 382x288 pixels and a pixel size of 35µm x 35 μm. A range of interchangeable lenses allow the temperature measurements in a variety of object distances, from a close focus, standard focus to a far field focus.
The good thermal sensitivity (NETD 0.04 K with30° FOV) gives the imager the opportunity to show finest temperature details of an object.
The operator can use a flexible spot with cross-hair marking and a fixed measurement area with automatic display of maximum-, minimum- or average value. Temperature profiles along defined lines inside the image can be shown in a separate graph.
The software TIM Connect includes a recording function with radiometric video, snap shot, an analysis and post processing of infrared images and videos. It offers a complete set up of parameters and remote control of the infrared imager.
Beside the digital interface USB 2.0 for image processing an additional Process Interface (PIF out) with 0-10 V analog output is offered. There can be send out such as the temperature of the object or other measurement in formations. A Process Interface input (PIF in) allows analog remote emissivity adjustments.
The Micro Epsilon TIM is extremely lightweight and one of the smallest in the world. With dimensions of 45 mm x 45 mm x 62 mm and a weight of 250g (incl. lens and 1 m USB cable) it fits in narrow spaces and is ideal for use in machines and test stations. The environmental rating is IP65 (NEMA-4).
With our water cooling jacket you can measure in an environment of up to 180C or even in vacuum.
The Micro Epsilon TIM is powered via the USB 2.0 interface with a current draw of maximum 500 mA.
The Micro Epsilon TIM is easily integrated into Windows environments like mini PCs and rail mount PCs. An Ethernet connection to control stations makes the application independent from larger distances. A DLL gives the engineers the opportunity to implement the thermal images of the TIM into customer specific software.
Micro Epsilon provides a complete SDK ( software developer kit ) to embed the IR measurement into your application. We even offer LAB VIEW interface and support.
DAL DOTT. COTELLESSA
Solar Panel in Periodic Flow
Model ID: 12205
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The coupling of fluid flow and structural mechanics is a challenging problem for several reasons. The fluid flow problem usually requires a specific kind of mesh that is not appropriate for structural mechanics. Additionally, one may want to include geometric features in the structural model that are not significant for the fluid flow model.
This model computes the structural stresses and deflections on a solar panel due to a turbulent wind load. Different geometries and meshes are used for the fluid and structural problems. The free stream air flow is 15 m/s, and the solar panel is in a regularly spaced array, implying periodic flow boundary conditions.
Indirizzo internet per visualizzazione relativa immagine
http://www.comsol.it/model/image/12205/big.png
DA DOTT. COTELLESSA
Il progetto MED-DESIRE mira a facilitare il ricorso all'energia solare e il perseguimento dell'efficienza energetica da parte dei paesi del bacino del Mediterraneo, attraverso la cooperazione transfrontaliera tra i paesi partner e la sensibilizzazione dei cittadini e degli stakeholder sui benefici per l'ambiente e per lo sviluppo locale sostenibile.
Target specifici di MED-DESIRE sono le amministrazioni centrali e locali, le istituzioni e le agenzie dei paesi partner, le piccole e medie imprese locali, tecnici e professionisti, gli istituti finanziari, le associazioni imprenditoriali e i distretti industriali. I beneficiari finali, che potranno usufruire dell'impatto a lungo termine del progetto, sono le comunità locali, i consumatori di energia, i centri di ricerca e le università.
Il progetto è finanziato dal Programma di Cooperazione Territoriale Europea CBC ENPI - Bacino del Mediterraneo e destinato a realtà territoriali specifiche dei paesi del bacino del Mediterraneo.
Obiettivi
http://www.efficienzaenergetica.enea.it/img/2013progetti/obiettivi-MED-DESIRE.jpgIl progetto sostiene il trasferimento di conoscenza nei paesi partner e mira a diffondere, dimostrare ed attuare esempi di buone pratiche replicabili nel campo legislativo, normativo, economico, organizzativo e dei meccanismi di finanziamento innovativi. In particolare MED-DESIRE si propone di:
rafforzare le capacità delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni regionali
ottenere più elevate d diffuse competenze di tecnici e professionisti locali, atte a rimuovere i principali ostacoli tecnici alla distribuzione della tecnologia solare
definire meccanismi finanziari innovativi su misura e strumenti di incentivazione del mercato volti a sostenere l'ampia diffusione di tecnologie energetiche solari e il miglioramento dell'efficienza energetica
raggiungere una maggiore consapevolezza e un forte approccio partecipativo tra gli attori locali pubblici e privati
determinare un ampio consenso tra i principali stakeholder pubblici e privati sul ruolo centrale dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili per lo sviluppo sostenibile e la protezione dell'ambiente
stabilire nei paesi europei e mediterranei un quadro di cooperazione tra i fornitori di tecnologie e servizi energetici per favorire lo sviluppo di un mercato comune dell'energia sostenibile
SEGUE SECONDA PARTE
DA DOTT. COTELLESSA
SECONDA PARTE
Le principali azioni
http://www.efficienzaenergetica.enea.it/img/2013progetti/kick-off-MED-DESIRE.jpg"Analisi dello stato dell'arte delle tecnologie solari", che si concentrerà sull'analisi del potenziale dell'energia solare in ogni paese partner, considerando l'attuale stato di implementazione della tecnologia nei mercati e la futura evoluzione della domanda finale;
"Strumenti per rimuovere le barriere che impediscono l'adozione delle tecnologie solari nei mercati locali", che consisterà nella progettazione di schemi pilota di formazione e certificazione, per contribuire concretamente a una più ampia diffusione della tecnologia solare;
"Meccanismi finanziari innovativi e strumenti di incentivazione del mercato per diffondere l'efficienza energetica e le tecnologie di energia solare", che promuoverà l'attuazione di detti meccanismi nelle regioni di destinazione in collaborazione con gli enti locali, le banche e le istituzioni finanziarie internazionali;
"Campagne d'informazione e sensibilizzazione", dedicata alla comunicazione e disseminazione dei risultati di progetto verso gli utenti finali, per stimolare l'uso delle tecnologie;
"Capitalizzazione dei risultati", volta alla diffusione e valorizzazione dei risultati di progetto verso gli stakeholders pubblici e privati, eseguita a livello internazionale, nazionale e regionale, per consolidare l'acquisizione delle conoscenze e delle competenze prodotte
"Comunicazione di progetto", comunicazione istituzionale verso il grande pubblico, finalizzata a far conoscere il Programma europeo di cooperazione e il progetto MED-DESIRE
DA DOTT. COTELLESSA
Produrre idrogeno utilizzando l’energia solare e’ la sfida che si sono posti i ricercatori ENEA per arrivare ad ottenere, a emissioni zero, quella che sembra una delle più promettenti tecnologie energetiche del futuro e che, attualmente viene invece prodotta a partire dai combustibili fossili.
“L’idrogeno è una sostanza che viene largamente utilizzata nell’industria chimica attualmente e ha un ruolo importante per quanto riguarda la questione energetica, il problema energetico ed ambientale. Nel prossimo futuro si prevede un grande uso di idrogeno negli usi quotidiani che interessano più direttamente la vita delle persone, soprattutto nel settore dei trasporti per alimentare veicoli e anche si prevede un aumento dell’uso dell’idrogeno nel settore industriale e anche come vettore energetico, come sistema di trasporto dell’energia in parallelo all’energia elettrica”.
ENEA ha sperimentato con successo la produzione di idrogeno dall’acqua attraverso il ciclo termochimico zolfo-iodio alimentato da energia solare. In pratica, si tratta scindere le molecole dell’acqua in idrogeno e ossigeno attraverso una sequenza di reazioni chimiche che generano e consumano ciclicamente gli stessi componenti, a temperature inferiori ai 900° C, che rendono possibile l’uso dell’energia solare.
Il ciclo termochimico zolfo-iodio sembra, al momento, il più promettente. Oltre l’ENEA, ci stanno lavorando altri enti di ricerca negli Stati Uniti, in Francia e in Giappone.
“Nei laboratori ENEA della Casaccia stiamo sviluppando questa attività di ricerca e sviluppo sul ciclo zolfo-iodio. Il nostro obiettivo è quello di realizzare entro la fine dell’anno un impianto in scala di laboratorio completo. Un impianto completo significa che consuma acqua come materia prima e produce idrogeno e ossigeno in modo continuo. Questo impianto sarà il primo del genere realizzato in Europa e costituirà il primo passo per un successivo sviluppo verso dimensioni maggiori e quindi applicazioni future più importanti di questi nuovi metodi di produzione dell’idrogeno”.
Per le applicazioni industriali bisognerà attendere almeno il 2025.
“Tuttavia nella nostra attività di medio-lungo termine abbiamo trovato delle applicazioni in particolare del ciclo sul quale stiamo intensamente lavorando che è il ciclo zolfo-iodio, anche come impianti di desolforazione per prodotti petroliferi o impianti di combustione che utilizzano combustibili contenti zolfo”.
DA DOTT. COTELLESSA
Arizona, inaugurato il più grande impianto solare termodinamico al mondo
In Arizona è stato realizzato il più grande impianto solare termodinamico al mondo. Si chiama Solana Generating Station, ha una potenza installata di 280 MW ed è stato costruito dalla spagnola Abengoa.
http://www.nextville.it/deposito/Immagini-2011/news/fotovoltaico/solana_arizona.jpg
Il solare termodinamico (CPS) è basato sulla tecnologia e in Italia vede impegnata l'azienda Angelantoni e l’ENEA. L'impianto statunitense produce elettricità raccogliendo la luce solare e creando vapore che alimenta le turbine. E' composto di 2700 specchi parabolici che seguono il movimento del sole per concentrare il calore su tubi che contengono un particolare fluido (heat transfer fluid). Si tratta di un olio sintetico che può raggiungere temperature di 735 gradi Fahrenheit (circa 390 gradi Celsius).
Il fluido così riscaldato raggiunge le caldaie dove è in grado di riscaldare l'acqua per produrre vapore. Il vapore a sua volta alimenta le due turbine da 140 MW dell'impianto che producono elettricità. Ciò che distingue questo sistema dai tradizionali impianti fotovoltaici è la possibilità di immagazzinare calore fino a 6 ore per la produzione di elettricità durante la notte (quando solitamente gli impianti fotovoltaici non sono in grado di lavorare). Infatti oltre a produrre vapore, il fluido è usato anche per riscaldare i sali fusi in serbatoi adiacenti all'impianto.
Questo sistema comprende sei paia di cisterne calde e fredde con una capacità di 125 mila tonnellate di sali dove i sali fusi sono mantenuti a una temperatura di 530 gradi Fahrenheit (275 gradi Celsius). Durante la notte, il fluido può essere riscaldato grazie ai sali fusi per creare vapore e mantenere attivo l'impianto.
Se si esclude l'impianto nel deserto del Mohave, in California, che è anch'esso un impianto solare termodinamico - ma a torre centrale e non a collettori paraboloci - che raggiunge una capacità di 354 MW, Solana Generating Station è attualmente l'impianto solare termodinamico in attività più grande al mondo.
DA DOTT. COTELLESSA
Arizona, inaugurato il più grande impianto solare termodinamico al mondo
In Arizona è stato realizzato il più grande impianto solare termodinamico al mondo. Si chiama Solana Generating Station, ha una potenza installata di 280 MW ed è stato costruito dalla spagnola Abengoa.
http://www.nextville.it/deposito/Immagini-2011/news/fotovoltaico/solana_arizona.jpg
Il solare termodinamico (CPS) è basato sulla tecnologia e in Italia vede impegnata l'azienda Angelantoni e l’ENEA. L'impianto statunitense produce elettricità raccogliendo la luce solare e creando vapore che alimenta le turbine. E' composto di 2700 specchi parabolici che seguono il movimento del sole per concentrare il calore su tubi che contengono un particolare fluido (heat transfer fluid). Si tratta di un olio sintetico che può raggiungere temperature di 735 gradi Fahrenheit (circa 390 gradi Celsius).
Il fluido così riscaldato raggiunge le caldaie dove è in grado di riscaldare l'acqua per produrre vapore. Il vapore a sua volta alimenta le due turbine da 140 MW dell'impianto che producono elettricità. Ciò che distingue questo sistema dai tradizionali impianti fotovoltaici è la possibilità di immagazzinare calore fino a 6 ore per la produzione di elettricità durante la notte (quando solitamente gli impianti fotovoltaici non sono in grado di lavorare). Infatti oltre a produrre vapore, il fluido è usato anche per riscaldare i sali fusi in serbatoi adiacenti all'impianto.
Questo sistema comprende sei paia di cisterne calde e fredde con una capacità di 125 mila tonnellate di sali dove i sali fusi sono mantenuti a una temperatura di 530 gradi Fahrenheit (275 gradi Celsius). Durante la notte, il fluido può essere riscaldato grazie ai sali fusi per creare vapore e mantenere attivo l'impianto.
Se si esclude l'impianto nel deserto del Mohave, in California, che è anch'esso un impianto solare termodinamico - ma a torre centrale e non a collettori paraboloci - che raggiunge una capacità di 354 MW, Solana Generating Station è attualmente l'impianto solare termodinamico in attività più grande al mondo.
DA DOTT. COTELLESSA
The Power of Hot Electrons
Researchers have developed a new mechanism for extracting energy from light that promises to improve solar energy harvesting. The technique uses plasmonic nanostructures consisting of gold particles and light-sensitive porphyrin molecules to enhance the scattering of light. These plasmons could be used to increase light absorption in solar cells. The researchers contend that devices incorporating this hot electron-harvesting mechanism could be tailored for specific applications simply by changing the size and spacing of the nanoparticles. For example, a plasmon coating on an electronic device could act as a solar cell.
DA DOTT. COTELLESSA
Sizeable Solar Plant Feeds the Grid
The Ivanpah Solar Electric Generating System, situated on 3,500 acres of public land in California's Mojave Desert, delivered power to the grid for the first time in September. The proof-of-concept test at Unit I provided power for Pacific Gas and Electric, and operational testing at the remaining two towers is planned for the near-term. PV-Tech reports that when fully operational later this year, the 392 MW facility will double the amount of commercial solar thermal energy available in the U.S. The $2.2 billion project, shown under construction, is now the world's largest thermal solar power plant.
DA DOTT. COTELLESSA
American National Standards Institute, Inc.
A special collection of ISO, IEC, ASTM, and SAE standards for solar energy are grouped on the ANSI Webstore. These wide-ranging solar energy standards address terms and definitions, testing energy conversion, measuring reflectance, materials properties, fabricating arrays, and integrating into the smart grid. They cover solar electricity, solar hot water, solar heat, and the controls and materials of construction in various applications including windows, doors, buildings, agricultural vehicles, and spacecraft.
Solar Sandwich Offered on the Thin Film Diet Plan
Solar Sandwich Offered on the Thin Film Diet PlanNo wonder graphene is a wonder material: its electrical conductivity and transparency properties remain unaffected by the application of thin silicon film. German researchers observed no loss of performance or structural integrity after encasing a 0.03 nm-thick graphene sheet between silicon layers. With a carrier mobility 30x that of zinc oxide, graphene solar cells offer a tantalizing taste of future developments.
DA DOTT. COTELLESSA
Maryland Inaugrates Solar Microgrid
Maryland Inaugrates Solar MicrogridEmergency backup power and other benefits will be realized at the Laurel, MD, headquarters of a real estate developer with completion of the state's first solar microgrid project. The system, consisting of a canopied 402 kW PV array, two electric vehicle chargers, and a 300 kWh grid-interactive, lithium-ion energy store, is expected to supply 20% of the building's power needs.
DA DOTT. COTELLESSA
Domestic Water Heating Debate: Thermal vs PV
Domestic Water Heating Debate: Thermal vs PVThe most cost-effective way to heat domestic hot water is to use a solar thermal system, right? Not according to this CleanTechnica piece: PV technology cost reductions and the advent of air-to-water heat pumps point to PV as the preferred option. Solar heat pump drawbacks, such as lower efficiency compared with direct gas use, are offset by lower upfront costs and freedom from maintenance and freeze/overheat concerns.
DA DOTT. COTELLESSA
Producing Produce and PV Power
Producing Produce and PV PowerCan arable land and PV systems coexist? They can and do in Japan, where the Solar Sharing concept has taken root. Rows of PV panels attached to pipes are spaced to allow sufficient solar radiation to reach cultivated land, providing farmers with income from both crops and solar power. Small farmers are benefiting from the solar feed-in tariff, according to Renewable Energy World.
DA DOTT. GIUSEPPE COTELLESSA
Record-setting Light Absorber Could Brighten Solar Cell Future
Record-setting Light Absorber Could Brighten Solar Cell FutureStanford University scientists have created super thin wafers that have demonstrated the most efficient light absorption on record. The Stanford team used atomic layer deposition to coat nanosize wafers with tiny particles of gold just 1.6 nm thick. The process created a structure a thousand times thinner than today's thinnest commercial solar cell films. The coating helped them achieve almost complete absorption of light with minimal material. Further development of the breakthrough technology could be used to improve the cost and the efficiency of solar cells.
DA DOTT. COTELLESSA
Are Utilities Doomed If Consumers Become More Self-Reliant?
Consumers are increasingly exploring ways to supply their own energy - e.g., distributed generation and microgrids - and many observers have claimed that these alternatives may begin a death spiral for traditional utility business models. Is this true? What should utilities do now?
Although utilities are faced with more distributed resources on the grid, the death of the electric utility has been greatly exaggerated. The industry may be facing profound changes to the manner in which electricity is produced and delivered, but there is an opportunity for utilities to begin to integrate new resources in a way that leverages existing infrastructure and ensures (and even improves) reliability.
The resources that have the potential to shift the utility business model are generally appearing on the customer side of the meter and providing utility customers with alternatives to supply their electricity needs that did not exist before. The principal self-supply energy resources include distributed generation, such as solar photovoltaic (PV) and combined heat and power (CHP), demand response, and microgrids.
Self-supply resources, when coupled with enabling technological innovation on the distribution grid, create the potential for disruptive change.
The fact that these changes to the manner in which electricity is generated and delivered are happening against the backdrop of declining demand growth across the U.S. exacerbates the issues and increases the urgency with which the industry needs to consider these challenges.
Interestingly, there is one category of electricity sales end use that has increased steadily since 2009, according to the Energy Information Agency (EIA). That category is “direct use” - it includes the self-supply of generation by commercial and industrial customers.
DRIVERS OF CHANGE
There are several drivers of this movement toward self-supply, including technology and distributed generation advances, policy support, and customer preferences.
Technology advancements
The smart grid, distributed generation and microgrids continue to advance, providing both enhancements and alternatives to the traditional central station generation/long-haul transmission model. Technology advances play an important role in the shifting utility business model because they are potentially disruptive in two ways.
First, through distribution automation, advanced and aggregated demand response, energy efficiency and automated metering infrastructure, utilities are improving the reliability and efficiency of the grid. These technologies also have the potential to reduce utility loads, worsening the impacts of declining demand growth.
Second, the advent of self-supply technologies gives customers new alternatives. CHP has been available to industrial customers for a long time; according to the EIA, there are currently more than 70 GW of capacity on the U.S. system, and this will likely continue to grow, particularly given low gas prices. PV is growing exponentially and will continue to proliferate thanks to supportive policy and declining costs. Microgrids are also garnering significant attention in the U.S. The U.S. military, university campuses, hospitals and commercial customers have been the primary early adopters, and microgrids have been touted as a potential solution to enhance the reliability of the grid in the wake of Superstorm Sandy.
SEGUE SECONDA PARTE
DA DOTT. COTELLESSA
SECONDA PARTE
Distributed generation advancements
Solar PV has grown significantly in recent years, and this trajectory is expected to continue. According to the Solar Electric Power Association (SEPA), solar PV projects, effectively the customer-facing part of the market, accounted for 99% of the number of installed systems in 2012, and 80% of these are concentrated in five states (California, New Jersey, Arizona, Hawaii and Massachusetts). U.S. utilities reported more than 90,000 PV systems installed in 2012, accounting for nearly one-third of all distributed solar PV at the end of the year. An additional 59,000 distributed systems were installed in the first half of 2013, and solar capacity is expected to double every two years in the near term.
While experts disagree about the costs and benefits of solar PV, it is generally agreed that the direct cost is approaching or has reached grid parity in some areas of the country. Prices may continue to decline, making the economics more attractive over time. In addition, subsidies for solar installations have made them relatively cost-attractive, even in regions where the technology has not yet reached grid parity.
Advances in PV are introducing unprecedented levels of non-traditional generation to the grid. While the cumulative megawatts are not yet large, the number of installations is growing.
Policy Support
Public policy support has been a key driver in the growth of distributed generation. Policies driving adoption include net metering, renewable portfolio standards (RPS) with distributed generation requirements, authorization to allow third-party ownership models and incentives. Policymakers often support these and other clean energy policies in an effort to promote local economic development and job creation; diversify generation resources to ensure reliability and stability; encourage private investment and customer-sited generation; reduce pollution and improve public health; and increase energy independence.
The policy to allow net metering has provided significant support for distributed generation. This affords a billing arrangement by which customers receive credit for excess generation supplied to the electric grid, usually at retail rates.
In conjunction with net metering policies, several states have enacted specific distributed generation and/or solar PV requirements within their broader RPS. These requirements support the deployment and adoption of solar PV. In turn, this is supporting the growth of new business models in a variety of markets across the U.S.
For example, there has been rapid growth of third-party ownership of solar PV. Third-party ownership models consist of solar power purchase agreements and/or solar leases. Under this kind of model, a customer signs a long-term contract for the installation and maintenance of a solar system.
More than 20 states authorize or allow third-party ownership of renewable generation. Most of these markets are located in the Southwest and Northeast. Third-party ownership has been a significant driver in the advancement of distributed generation among residential customers in these states. In other states, regulators have decided that third-party ownership violates the regulatory compact provided to electric utilities.
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Customer Preferences
Electric customers are increasingly looking for “green” or sustainable choices in electricity supply. Customer preferences may be the wild card in the proliferation of distributed generation and microgrid alternatives.
Because of increased pressure on and interest by businesses to present the public with green solutions, many are taking steps to incorporate or use renewables in their energy supply. It is driving some businesses to seek more sustainable energy solutions or grid independence. The past year has seen announcements by Apple and others about the development of completely self-sufficient data centers using microgrid solutions.
The preference for green alternatives is also driving individual customers to consider distributed generation, particularly as costs continue to decline and incentives remain available.
ISSUES AND CONSEQUENCES
Distributed resources introduce complexity to the traditional central station generation/long-haul transmission model. This complexity touches everything from the utility’s fundamental role as an electric service provider to the manner in which the resources should be integrated into the grid. The issues range from strategic to highly tactical and include the following:
- Third-party sales of electricity may displace the utility’s role with the retail customer.
- Microgrids introduce the question of franchise rights and the definition of a utility.
- Utilities may need to upgrade distribution infrastructure (relaying, reclosers, conductors and transformers) to accommodate two-way power flows that come from these installations.
- Utilities need to be able to “see” where resources are located on the grid and manage intermittency at the distribution level.
- Distributed resources and demand response (and its aggregation) have the potential to change the load curve of utilities in specific networks in the distribution system.
- Due to net metering provisions, distributed generation customers may not participate fully in paying for the distribution upgrades required to interconnect their rooftop solar installation.
- Cross-subsidization of rate classes is taking place.
- Large corporations (which are utilities’ largest customers) are facing pressure from their customers to create sustainably produced products and services.
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WHAT UTILITIES SHOULD DO NOW
Operations
Increased penetration of distributed resources will force changes in the planning, design and operation of electricity systems. The electrical grid was designed and is operated under a model in which power flows one way from large, dispatchable central-generating stations through the transmission and distribution (T&D) system to the customer. The vertically integrated utility typically controls most, if not all, of this infrastructure, particularly T&D.
With higher penetrations of distributed resources, this model will change. Integrating distributed resources into the grid will require a more sophisticated understanding of their effects in order to optimize the system - not just overall impact on load, but the more refined locational and temporal behavior. This will require a shift from the current deterministic approach to a more predictive approach to planning and managing this new network of resources.
Protocols that dictate distributed resources availability and “callability” will be required. For example, there is currently a standard in place that limits the ability of utilities to control inverters (which serve as the interface for distributed solar panels); this prevents utilities from managing that resource. While there are different sides to this argument, the degree to which utilities are able to effectively leverage distributed resources may improve their ability to manage the grid in critical areas.
Once these protocols are defined, utilities will have the opportunity to either manage or integrate with a growing base of diverse resources. These resources may be managed centrally (by utilities or third parties) or locally by a distributed network of providers. These distributed resources can then be used to help reduce overloads on specific feeders, provide VAR support or address local reliability.
Load forecasting and system planning
Distributed generation and demand response are changing traditional utility load forecasting and system planning.
Utilities typically predict future load (in aggregate and in sub-regions) and then plan the infrastructure to meet peak demand. Incorporating demand response, energy efficiency and distributed generation into load forecasts reduces the peak loads to which assets must be planned and, as these are localized resources, may shift the geographical areas of the grid requiring expansion, reinforcement or upgrades.
Distributed resources will affect planning for system peak and, more importantly, for peak at specific locations in time, as these resources will reshape the demand curve. The promotion of distributed resources in constrained areas may be used as a strategy to delay capital investment and improve reliability; however, this requires a move away from traditional T&D planning. Proactive consideration of the changes to the planning process will be important.
Regulations, public policy and customers
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Regulations, public policy and customers
In these arenas, utilities should consider the implications on their ability to earn their allowed rate of return and on their rate structure. Even in states that are revenue decoupled, the combined loss of load and customers will likely put increased pressure on rates. Many have highlighted the issue of net metering and the potential cross-subsidization of customers. Utilities need to make their positions clear about the consequences of net metering across all customer classes. It is increasingly important to identify the value provided by the grid itself and devise rate structures that compensate for that value whether customers self-supply or not.
Utilities may also want to consider further segmentation of customer rate classes and associated tariffs. They may need to consider a new regulatory paradigm with different rate structures, perhaps charging separately and using different pricing mechanisms for different business components (e.g., supply, wires, reliability, standby and back office).
As customers become more differentiated in their needs, utilities may be able to provide greater flexibility and potentially have the opportunity to earn a premium on “specialized” services where customers require them. This approach should consider fairness questions and appropriate treatment of various customer classes.
There are myriad policies driving the proliferation of self-supply options. Utilities need to think carefully about the advocacy positions they take to ensure they are consistent with the obligation to serve and provide reliable service, as well as enable customers to access the alternatives they are seeking. Through consideration of operational and system planning needs, utilities should advocate for policies and rate-making constructs that support the reliable, cost-effective integration of these resources.
There are new segments of customers emerging with different needs than the traditional residential, commercial and industrial customer classes. By taking a proactive stance with these customers, utilities have the opportunity to effectively and reliably manage the integration of these non-traditional resources into the grid.
Some utilities have publicly talked about the need to remain the single point of contact for their customers, regardless of the technologies being implemented on the grid. If utilities can find a way to do this, in light of changing regulation and customer needs and alternatives, they will have a better chance of weathering the storm in the coming years.
CONCLUSION
Utilities are facing an unprecedented set of challenges due to the combined impacts of declining demand growth and customer alternatives for self-supply on offer. While these challenges are real, they need not be the death knell for the industry. Yes, there will be significant changes in the years to come (this has started in California and New York), but the entire country will not shift at the same pace.
This is the time to think strategically and tactically about what the introduction of these resources means and ensure that responses are aligned in a cohesive course of action. The companies that get this right will be here to talk about the experience.
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Will Germany Be Forced to Put the Brakes on
Renewables?
Germany's been determined to increase renewable power generation for some time, but will high costs threaten its plans? A new study argues that if Germany doesn't moderate its energy policy, its rising costs — combined with lower energy prices in North America — will damage the country's competitiveness. IHS shares the study's recommendations for Germany's long-term power play.
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L’ENEA, attraverso il progetto STS-Med, promuove i sistemi a concentrazione solare per le aree del Mediterraneo
Lo sviluppo e la diffusione di tecnologie avanzate per l’impiego di sistemi a concentrazione solare a scala ridotta sono stati al centro del workshop “I sistemi a concentrazione solare poligenerativi: una risposta integrata al fabbisogno energetico delle comunità mediterranee”, organizzato dall’ENEA, in collaborazione con il Consorzio ARCA e con la Regione Siciliana, che si è tenuto oggi a Palermo. Il workshop ha rappresentato l’occasione per fare il punto sullo stato di attuazione del Progetto STS-Med –Small (scale solar district units for Mediterranean communities), divulgandone gli obiettivi a medio e lungo termine, i risultati sinora raggiunti e gli interventi in cantiere a beneficio degli stakeholder territoriali (istituzioni, imprese, associazionismo ambientale, mondo della ricerca e dell’istruzione).
http://www.enea.it/it/enea_informa/img-1/news/STSMedPalermo.jpg/@@images/5c7fd5ec-81a6-49bb-a2e4-fcd4348588e1.jpegIl progetto STS-Med è finanziato dal Programma europeo ENPI CBC Bacino del Mediterraneo. L’obiettivo è lo sviluppo e la diffusione di tecnologie avanzate per l’utilizzo dell’energia solare come fonte primaria al fine di soddisfare il fabbisogno di tutti i servizi energetici (elettricità, condizionamento, trattamento acque) richiesti da edifici di diversa tipologia. Nell’ambito del progetto verranno realizzati 4 impianti dimostrativi per soddisfare il fabbisogno energetico di 20 comunità mediterranee locali. Il parternariato del progetto STS-Med è coordinato dal consorzio siciliano ARCA ed è composto da 14 organizzazioni tra cui ENEA provenienti da 6 nazioni: Italia, Francia, Cipro, Egitto, Grecia, e Giordania.
Tra i temi affrontati nel corso del workshop, la situazione attuale della domanda energetica in Sicilia e nel bacino del Mediterraneo, il fabbisogno di servizi energetici negli edifici pubblici e la possibile risposta offerta dalle tecnologie solari poligenerative, le opportunità di sviluppo per le piccole e medie imprese siciliane nell’ambito della filiera delle tecnologie solari. Gli interventi si sono soffermati, in particolare, sulle politiche di supporto all’adozione di sistemi solari a concentrazione di piccola taglia che potranno essere adottate nell’ambito del Patto dei Sindaci e del PEAR (Piano Energetico Ambientale Regionale) della Sicilia. Inoltre, alcuni ricercatori ENEA, impegnati da anni in questi settori, hanno illustrato gli aspetti tecnologici e normativi del solar cooling e del solare termodinamico.
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La bolla del carbonio
Un gruppo di 70 investitori, responsabili collettivamente di oltre 3.000 miliardi di asset, scrive ai colossi dell'industria energetica mondiale: si pretendono chiarimenti su come queste compagnie intendano affrontare il rischio che un'auspicabile decarbonizzazione dell'economia pone alle loro attività. Il pericolo di una bolla degli asset del fossile non può essere più ignorato.
Gli investitori stanno sentendo sempre più chiaramente il ticchettio della bomba finanziaria legata agli asset in fonti fossili e chiedono ai grandi dell'energia un ripensamento strategico. L'ultima notizia è quella della lettera che un gruppo di 70 investitori, responsabili collettivamente di oltre 3.000 miliardi di asset, ha spedito ai colossi dell'industria energetica mondiale, 45 compagnie, tra le quali la nostra partecipata pubblica Eni.
"Vogliamo sapere quanto le riserve (della compagnia, ndr) siano esposte ai rischi associati alle attuali e future politiche orientate alla riduzione delle emissioni di gas-serra dell'80% entro il 2050", recita la missiva, che chiede spiegazioni su quali siano "le opzioni messe a punto per la gestione di questi rischi". Ad esempio "la riduzione della 'carbon intensity' degli asset o l'alienazione di quelli più inquinanti", ma anche "la diversificazione dei business attraverso l'investimento in fonti con minori emissioni".
Il problema è noto: se vogliamo evitare gli effetti peggiori del global warming gran parte delle riserve fossili in possesso delle compagnie del settore dovranno rimanere nel sottosuolo, con conseguenze economiche potenzialmente disastrose per i loro bilanci. Ma allo stesso tempo se questi idrocarburi venissero bruciati, gli impatti sul cambiamento climatico colpirebbero duramente anche l'industria delle fossili: basti pensare ai milioni di barili al giorno di capacità estrattiva che gli uragani Rita e Kathrina hanno messo fuori gioco per mesi.
Nella lettera si spiega efficacemente questo dilemma. Nel suo World Energy Outlook 2012, la IEA valuta che per raggiungere l'obiettivo dei 2 °C di riscaldamento massimo, non si potrà bruciare più di un terzo delle riserve provate. In questo scenario, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende del settore crollerebbe del 40-60%. La decarbonizzazione necessaria per frenare il global warming potrebbe inoltre far calare il prezzo dei prodotti petroliferi, riducendo ulteriormente il valore delle riserve, evento che, secondo Standard & Poor’s, porterebbe ad un declassamento nel rating di affidabilità delle compagnie del comparto oil & gas.
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Eppure il mondo delle fossili sembra procedere come nulla fosse: nel 2012, mostra un report dell'ong Carbon Tracker Initiative (allegato in basso), le 200 aziende più grandi hanno investito 674 miliardi di dollari in nuove riserve. Gas, petrolio e carbone che potrebbero essere destinati a rimanere sotto terra, con un conseguente buco nell'acqua a livello economico: stranded assets è il termine usato, cioè asset “arenati”, che non potranno essere valorizzati.
È la cosiddetta bolla della CO2 o bolla del carbonio, una bomba che potrebbe minare l'economia mondiale: la capitalizzazione legata alle risorse fossili al momento ha un ruolo molto importante su diverse Borse: 20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo (vedi grafico sotto per i valori assoluti in CO2). Inoltre nelle fonti fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione.
La nota positiva è che le voci che si levano per avvertire del rischio i giganti delle fossili sono sempre di più. L'iniziativa in questione - promossa da Ceres, organizzazione non-profit che dirige un network con oltre 100 investitori istituzionali da 12.000 miliardi di dollari, da Carbon Tracker Initiative e da Global Investor Coalition on Climate Change - arriva in un clima sempre più saturo di dubbi da parte degli azionisti delle grandi dell'oil & gas sul merito e l'opportunità degli investimenti realizzati o da realizzare. “Stiamo operando in un contesto in cui c'è molto malcontento su come si sta gestendo l'industria delle fossili; un clima molto diverso rispetto a quattro o cinque anni fa, quando le compagnie sembravano intoccabili”, spiega Andrew Logan di Ceres.
Frutto del nuovo clima il fatto che 30 dei 45 colossi industriali interpellati hanno iniziato a fornire dei riscontri preliminari alle perplessità espresse dagli investitori. "Molte delle risposte ricevute - ha fatto sapere Mark Fulton, membro del Carbon Tracker's Advisory Board e consigliere di Ceres - riconoscono che esistono rischi legittimi" e le aziende si sono mostrate "aperte a continuare un confronto con la comunità degli investitori".
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Fotovoltaico, convergono i prezzi di moduli cinesi ed europei
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Sempre più vicini il prezzo dei moduli fotovoltaici made in China e quello dei moduli europei. Mentre quello dei secondi ha accelerato il calo, il prezzo dei prodotti cinesi, stabilizzatosi questa primavera, ha subito un forte rialzo nell'ultimo mese. Lo mostrano i dati raccolti da EuPD Research’s PV SalesMonitor sul mercato tedesco.
A ottobre, in Germania, il prezzo di un impianto di piccola taglia con moduli cinesi tier 1 (la qualità migliore) è salito a 1.459 euro/kWp, mentre il prezzo medio di tutte le offerte (sempre con moduli tier 1) è stato di 1.522 euro/kWp.
Nonostante il “rimbalzo” dei sistemi con moduli cinesi registrato a ottobre, la discesa dei prezzi però continua e lo si vede bene sia nella picchiata della linea dei prezzi dei sistemi con pannelli tedeschi che nell'andamento dal 2011.
Una tendenza che non si fermerà: ci sono ulteriori sostanziosi margini di riduzioni nei prezzi e nei costi di produzione, dicono diversi report di cui abbiamo parlato recentemente.
Secondo le stime di GTM Research, i costi di produzione dei moduli fotovoltaici cinesi tier 1 potrebbero passare dai circa 50 centesimi di dollaro a watt a 36 centesimi nel 2017. Gran parte della riduzione dei costi (80%) verrà dall'innovazione tecnologica: taglio dei wafer con filo di diamante, nuove tecniche nella lavorazione dei metalli e maggiore automazione che ridurrà il fabbisogno di forza lavoro.
Che si riescano ad abbassare ancora i costi è quasi incredibile guardando alle riduzioni ottenute negli ultimi due anni. Un modulo cinese in silicio cristallino oggi ha costi di produzione intorno agli 0,50 $/W, nel quarto trimestre 2010 erano pari a 1,1-1,2 $/W: sono dunque calati del 55-60%. Sul fronte dei prezzi di vendita il crollo è stato ancora più marcato: del 70% a livello globale negli ultimi due anni. A giugno 2013 i moduli cinesi erano in media scambiati a circa 0,71 $/W, mentre quelli tedeschi a 0,95 $/W, a giugno 2011 invece i tedeschi costavano in media 1,69 $/W e i cinesi 1,49 $/W.
Andando ancora a più a ritroso nel tempo, nel terzo trimestre del 2008, prima del vero grande boom del mercato mondiale, i prezzi dei moduli si attestavano oltre i 3,9/4 $/W.
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Immagazzinare energia a basso costo. Dal MIT una possibile svolta.
Dai laboratori del MIT una nuova tecnologia potrebbe rendere molto economico accumulare energia, rivoluzionando il sistema elettrico, a beneficio della produzione da rinnovabili. Un batteria a flusso dalla tecnologia rivoluzionaria con densità di carica 10 volte superiore a quella di una batteria al litio e un costo 10 volte inferiore.
Il “Santo Graal” dei futuri sistemi energetici è trovare un modo economico per immagazzinare grandi quantità di energia, così da compensare gli alti e bassi della produzione da rinnovabili non programmabili. Le batterie sarebbero i sistemi ideali di accumulo, vista la loro rapidità di risposta, grande efficienza e semplicità d’uso, se solo non costassero carissime e non avessero grandi limitazioni di capacità.
Dai laboratori del MIT di Boston ora arriva una nuova tecnologia che potrebbe aggirare questi problemi.
Per capire di cosa si tratta facciamo un passo indietro.
Esiste un tipo di batteria, in cui i limiti di capacità non esistono: sono le batterie a flusso, un misto fra una normale batteria e una cella a combustibile, dove la reazione elettrochimica che produce elettricità, non avviene fra elettrodi solidi, per esempio piastre di zinco e rame, ma fra due “elettrodi liquidi” di differente potenziale elettrochimico, fatti fluire sui due lati di una membrana.
Queste sostanze, ad esempio soluzioni di sali di vanadio, quando vengono avvicinate fra loro, reagiscono cedendo e accettando elettroni, ma essendo i due liquidi separati da una membrana impermeabile agli elettroni, questi ultimi passano attraverso un circuito esterno, producendo corrente. La carica di una batteria a flusso dipende solo dalla riserva di elettroliti “freschi” di cui dispone. Ma anche se il volume è limitato gli elettroliti possono sempre essere “rigenerati”, facendo funzionare la batteria al contrario, con un flusso di elettricità dall’esterno, che li riporta allo stato iniziale.
Perché, allora, le batterie a flusso non sono tutte intorno a noi? Il loro problema è la membrana: molto costosa e molto delicata, che si rompe spesso, soprattutto se si tentano di usare elettroliti più economici, ma più aggressivi, dei sali di vanadio. Adesso un gruppo di ingegneri del MIT, diretti da Cullen Buie, è riuscito a realizzare un prototipo di cella a flusso che non ha bisogno di membrana e usa composti del bromo, molto più economico del vanadio. Al catodo della cella viene fatto scorrere bromo liquido, mentre nell’anodo poroso fluisce idrogeno, in mezzo ai due un flusso di acido idrobromico, il risultato della reazione fra i due elementi. Con un'opportuna progettazione del canale e dei flussi,i due reagenti liquidi, bromo e acido idrobromico, scorrono uno sopra l’altro, senza mescolarsi e, visto che l’acido idrobromico non fa passare gli elettroni, il flusso di questi fra idrogeno e bromo, deve scorrere all’esterno della cella, creando nuovo acido idrobromico in fase di scarica, e nuovo bromo e idrogeno in fase di carica.
La cella sperimentale del MIT ha una densità di carica 10 volte superiore a quella di una batteria al litio, ma il suo costo industriale è stimato essere 10 volte inferiore. "In produzione industriale e su grande scala - dice Buie - dovrebbe permettere di realizzare un sistema di accumulo da un MWh per soli 100.000 dollari, un livello di costo che viene indicato la soglia necessaria per innescare l’uso di accumulo massivo di elettricità solare ed eolica, da parte delle utilities".
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Tecnologie innovative
Il solare termodinamico può rappresentare anche per l’Italia, in particolare nelle zone più assolate del meridione, un’ambiziosa opportunità di riconversione energetica in chiave sostenibile. La ricerca sviluppata dall’ENEA sul termodinamico, insieme all’introduzione di un “conto energia” specifico per l’energia prodotta da questo tipo di impianti, costituisce un’ottima premessa per future installazioni sul territorio italiano.
Anche l’energia dal mare non è una fonte da sottovalutare. Il grande numero di impianti esistenti e di progetti pilota testimonia la fattibilità tecnica di soluzioni in grado di sfruttare l’energia presente nel moto ondoso, nelle maree, nel gradiente geotermico degli oceani e nelle correnti sottomarine.
Infine uno sguardo alle potenzialità e alle problematiche dell'idrogeno. Nonostante la scarsissima diffusione attuale, questo interessante combustibile ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo sempre più importante nella transizione verso un sistema energetico sostenibile.
Sistemi a collettori parabolici lineari, a torre centrale, dish-stirling
Nella categoria del “solare termodinamico” rientrano una serie di soluzioni tecnologiche che sfruttano la radiazione solare per produrre energia elettrica.
A differenza del solare fotovoltaico, che trasforma direttamente la radiazione solare in energia elettrica, nel caso del termodinamico la radiazione viene concentrata e utilizzata per riscaldare un fluido termovettore (olio minerale, sali fusi, gas, ecc.), che a sua volta produce energia meccanica, solitamente tramite turbine, e quindi energia elettrica.
Le prime vere sperimentazioni sul solare termodinamico hanno avuto inizio a partire dagli anni 70 del secolo scorso. A partire dal 1981, nel deserto californiano del Mojave sono stati realizzati diversi impianti commerciali, per un totale installato di 354 MW elettrici.
Questi impianti, realizzati con la tecnologia dei collettori parabolici lineari, hanno dato buoni risultati in termini sia di prestazioni che di costi dell’energia prodotta. Per i 5 impianti californiani tuttora in funzione, con potenza di 30 MWe ciascuno, si è calcolato un costo del kWh elettrico pari a circa 12-14 cent USD.
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Le tre principali tecnologie solari termiche per la produzione di elettricità sono:
• Sistemi a collettori parabolici lineari
• Sistemi a torre centrale
• Sistemi dish-stirling
Tra queste opzioni tecnologiche del solare termodinamico, i sistemi a collettori parabolici lineari sono quelli con la maggiore maturità commerciale.
Ricordiamo che l'energia elettrica prodotta da solare termodinamico beneficia di uno specifico "conto energia", che consiste nell'erogazione di una tariffa incentivante aggiuntiva rispetto ai proventi derivanti dalla vendita dell'elettricità. Questo conto energia incentiva anche gli impianti ibridi, prevedendo tariffe differenziate a seconda della frazione coperta dalla fonte solare. Tutte queste novità sono state introdotte dal Dm Sviluppo 11 aprile 2008 e attuate dalla delibera ARG/ elt 95/08 dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas. Alcune modiiche migliorative al Dm 11 aprile 2008 sono state apportate dal Dm Sviluppo 6 luglio 2012. Per approfondire, vedi le corrispondenti voci nel menu di destra.
Sistemi a collettori parabolici lineari
Si tratta di impianti formati da lunghe file di collettori riflettenti di forma parabolica. I collettori riflettono la luce del sole, concentrandola su un tubo ricevitore in vetro e acciaio, all'interno del quale scorre un fluido termovettore (olio minerale o sali fusi).
Al di là delle diverse soluzioni tecniche, si possono individuare le principali fasi di funzionamento di un impianto solare termodinamico a collettori parabolici lineari:
• la radiazione solare viene riflessa dai collettori e concentrata sul tubo ricevitore
• il fluido termovettore all’interno del tubo ricevitore si scalda, convertendo così la radiazione solare in energia termica
• l’energia termica viene trasportata ed eventualmente accumulata
• l’energia termica, trasformata in vapore mediante uno scambiatore di calore, viene utilizzata per alimentare un ciclo a vapore per la produzione di energia elettrica
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Il fluido termovettore è normalmente un olio minerale, che si scalda fino a raggiungere temperature vicine ai 400 °C.
Negli impianti in ogni caso può essere presente un sistema ausiliario integrativo, per dare continuità alla produzione di energia anche in caso di scarsità o assenza prolungata di radiazione solare.
Si tratta di impianti che possono raggiungere notevoli potenze elettriche, da 30 fino anche a 80 MW.
Una variante della tecnologia a collettori parabolici lineari è quella dei concentratori lineari Fresnel, ad oggi ancora in fase di sperimentazione. Diversamente dai collettori parabolici lineari, il movimento riguarda solo il concentratore mentre il tubo ricevitore è fisso. Con il ricevitore fisso, si può evitare la realizzazione di sistemi flessibili per il collegamento tra i singoli collettori e tra questi e le tubazioni della rete di distribuzione.
Il programma ENEA per il solare termodinamico
A partire dal 2001, l'ENEA ha avviato un ambizioso programma di ricerca, mirato a introdurre diverse innovazioni nella tecnologia a collettori parabolici lineari.
Rispetto alla tecnologia convenzionale, le novità sperimentate dall'ENEA riguardano:
• l'utilizzo di una miscela di sali fusi come fluido termovettore
Si tratta dell'aspetto tecnico più rivoluzionario. Attualmente, gli impianti utilizzano come fluido termovettore un olio minerale che raggiunge temperature non superiori ai 390 °C. Questo fluido presenta diversi svantaggi, in termini di costi, di rischi di infiammabilità e di impatto ambientale. I sali fusi, invece, hanno il vantaggio di lavorarare ad altissime temperature, comprese tra 290 e 550 °C, senza rischi per l'ambiente e con costi ridottissimi.
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• l'utilizzo di un sistema di accumulo molto efficiente
Accumulare il calore prodotto è indispensabile per assicurare continuità nell'erogazione di energia, di notte e in caso di prolungata scarsità di radiazione solare. L’Enea ha sviluppato un sistema di accumulo particolarmente efficiente, che nel corso di 24 ore giorno disperde appena l’1% dell’energia termica accumulata. Grazie alle alte temperature raggiungibili con i sali fusi, si è calcolato che bastano 5 m³ di sali fusi per accumulare una quantità di calore sufficiente a produrre un MWh di energia elettrica.
• l'utilizzo di un nuovo collettore solare
L'Enea ha sviluppato dei pannelli riflettenti di grandi dimensioni, facili da assemblare e caratterizzati da elevate prestazioni ottiche.
• l'utilizzo di un nuovo tubo ricevitore
L'Enea ha sviluppato un particolare rivestimento selettivo, applicato sulla parte esterna del tubo ricevitore, indispensabile per raggiungere le alte temperature di esercizio (fino a 550 °C) con i sali fusi.
La ricerca dell'Enea dovrebbe concretizzarsi con l'entrata in funzione, nel 2010, della centrale "Archimede" di Priolo Gargallo (SR). Il progetto Archimede prevede l'integrazione tra un impianto solare a collettori parabolici lineari con potenza di 20 MWe, dotato di tutte le innovazioni tecnologiche ideate dall'Enea, e un impianto termoelettrico (esistente) a ciclo combinato.
http://www.nextville.it/deposito/Image/tecnologie%20innovative/image3.gif
(fonte: Enea)
Il principale vantaggio di questo tipo di impianti, di cui Archimede rappresenterebbe il primo esempio a livello mondiale, consiste nella possibilità di utilizzare le infrastrutture e le installazioni proprie della centrale convenzionale esistente. In questo modo, la gran parte dell'investimento può essere concentrata sui componenti dell'impianto solare, limitando al massimo le spese per gli interventi infrastrutturali.
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Sistemi a torre centrale
Nei sistemi a torre centrale, si utilizzano centinaia di grandi specchi riflettenti (i cosiddetti "eliostati"), che seguono il movimento del sole e concentrano la luce solare su un ricevitore posto sulla sommità di una torre, a decine o anche centinaia di metri di altezza. Gli eliostati, di grandi dimensioni (oltre 100 m²), sono disposti a cerchio o a emiciclo intorno alla torre.
All'interno del ricevitore, che è una sorta di grande caldaia, un fluido termovettore (aria, acqua o sali fusi) viene portato ad altissime temperature, producendo così il vapore necessario ad alimentare una turbina per la produzione di energia elettrica.
http://www.nextville.it/deposito/Image/tecnologie%20innovative/solartwo.jpg
Nel corso dei primi anni 80, venne realizzato nel deserto californiano il primo impianto dimostrativo a torre centrale: il Solar One, con una potenza elettrica di 10 MW. Nel 1995, l'impianto Solar One venne ripensato e modificato in molti aspetti, prendendo il nome di Solar Two e rimanendo in attività fino al 1999.
E' proprio sulla scia di questi primi incoraggianti esperimenti, che ora in molte parti del mondo (Spagna, Stati Uniti, ecc.) diversi impianti a torre sono in fase di progettazione o di realizzazione.
In ogni caso, nonostante abbia dimostrato una piena fattibilità tecnica, si tratta di una tecnologia che a differenza dei sistemi a collettori parabolici non viene considerata ancora pienamente matura dal punto di vista commerciale.
Sistemi dish-stirling
Si tratta di sistemi formati da un grande paraboloide riflettente, che insegue il movimento del sole e concentra la radiazione su un ricevitore montato sul punto focale. Il ricevitore consiste in un particolare motore a combustione esterna: il motore stirling.
Il motore stirling ha la caratteristica unica di funzionare con qualsiasi fonte di calore, grazie all’utilizzo di gas a ciclo chiuso, che non scambiano con l’esterno. Il motore stirling trasforma l’energia termica in energia meccanica, con il movimento dei pistoni, e quindi in energia elettrica mediante un alternatore. I principali benefici dei motori stirling consistono nell’assenza di emissioni e nel funzionamento silenzioso.
I sistemi dish-stirling sono particolarmente efficienti, poiché hanno un fattore di concentrazione superiore a qualsiasi altra tecnologia solare e pari a oltre 2.000 soli. Questo significa che, sul punto focale, viene concentrata una quantità di radiazione solare pari a quella emessa da 2.000 soli.
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A titolo indicativo, su un disco di 10 m² di diametro può essere installato un motore stirling con potenza elettrica di circa 25 kW. Per motivi di tipo economico, normalmente le dimensioni e le potenze installate non sono superiori a queste cifre.
Quindi, a differenza dei sistemi a torre e di quelli a collettori parabolici, i sistemi dish-stirling sono ideali per la produzione decentrata di energia, anche per l’alimentazione di utenze isolate dalla rete elettrica. Possono in ogni caso essere installati in serie, raggiungendo così notevoli potenze elettriche.
Si tratta di una tecnologia ancora poco diffusa, ma che già oggi assicura ottime prestazioni e costi di produzione dell’energia elettrica competitivi con quella prodotta da fotovoltaico.
Energia maremotrice, moto ondoso, gradiente geotermico, correnti sottomarine
Il mare costituisce un’enorme fonte di energia pulita, sfruttata finora solo in minima parte, ma che potenzialmente è superiore all’intera domanda energetica mondiale.
Attualmente, soltanto pochi impianti utilizzano l’energia del mare in impianti di tipo commerciale; molto più numerosi sono gli impianti sperimentali e i prototipi, che stanno dimostrando in molti casi piena fattibilità economica e lasciano bene sperare per il futuro di queste tecnologie.
L’energia ricavabile dal mare può essere suddivisa in diverse tipologie, a cui corrispondono differenti soluzioni tecnologiche:
• energia maremotrice
• energia dal moto ondoso
• energia dal gradiente termico oceanico
• energia dalle correnti sottomarine
Energia maremotrice
Sappiamo tutti che la forza di attrazione gravitazionale della Luna è causa del fenomeno delle maree, che si manifesta con regolari e periodici abbassamenti e innalzamenti di enormi masse d’acqua. Meno noto è il fatto che, utilizzando i dislivelli tra alta e bassa marea, è possibile produrre energia elettrica.
Gli impianti maremotrici sono caratterizzati da grandi dimensioni, dalla presenza di importanti opere di sbarramento delle acque (dighe, chiuse) e di un bacino di accumulo. La produzione di energia elettrica avviene grazie a delle turbine idrauliche.
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SETTIMA PARTE
Il funzionamento di questi impianti si può dividere in due fasi:
• nella fase di alta marea, l’apertura delle chiuse permette il riempimento del bacino di accumulo
• nella fase di bassa marea, il rilascio controllato dell’acqua contenuta nel bacino assicura l’erogazione di notevoli quantitativi di energia, in maniera simile a quanto accade nei grandi impianti idroelettrici
Le turbine funzionano in entrambe le direzioni, sia con l’acqua in ingresso che con l’acqua in uscita.
I maggiori limiti delle centrali maremotrici sono nell’elevato impatto ambientale, in termini di realizzazione di infrastrutture di grandi dimensioni e di rischi per l’erosione delle coste.
Un modo meno impattante per utilizzare l'energia maremotrice consiste nello sfruttare le correnti sottomarine causate dalle maree. In questa maniera, è possibile realizzare impianti parzialmente o totalmente immersi in acqua e privi di opere di sbarramento. Al riguardo, vedi l'ultimo paragrafo di questa pagina "Energia dalle correnti sottomarine".
Energia dal moto ondoso
Tra tutte le forme di energia dal mare, quella dal moto ondoso è senza dubbio quella studiata da più tempo e che conosce il maggior numero di sperimentazioni, soluzioni e prototipi impiantistici.
Il moto ondoso, che è provocato dall’effetto del vento sulla superficie del mare, è caratterizzato da un’alta densità energetica. La potenza del moto ondoso viene misurata in kW per metro di fronte ondoso.
Rispetto all’energia mareomotrice, quella dal moto ondoso presenta il vantaggio di adottare soluzioni tecnologiche a basso impatto ambientale. Anche gli investimenti economici richiesti sembrano essere contenuti, nonostante manchi ancora una produzione serializzata dei principali componenti impianti e quindi un’economia di scala in grado di ridurre i costi specifici.
Inoltre, ci sono alcune difficoltà non pienamente risolte legate soprattutto all’irregolarità tipica del moto ondoso, che in caso di eventi estremi potrebbe portare al danneggiamento degli impianti.
Esistono diverse tecnologie di sfruttamento del moto ondoso, di cui vi presentiamo alcune tra le più promettenti.
Sistemi con impianti sommersi
Si tratta di una tecnologia off-shore che sfrutta il principio di Archimede: l’AWS (Archimedes Wave Swing). Consiste in una struttura sommersa e fissata al fondale marino. La parte superiore della struttura è un cilindro cavo che si muove in verticale, sfruttando il cambiamento di pressione idrostatica dovuto al passaggio delle onde.
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L’energia meccanica che ne deriva viene trasformata in energia elettrica grazie ad un generatore. La potenza ideale di questi impianti, di cui esiste un realizzazione funzionante lungo le coste del Portogallo, è di circa 2 MW.
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OTTAVA PARTE
Sistemi con apparati galleggianti
Si tratta del sistema Pelamis, formato da cilindri galleggianti che sfruttano l’ampiezza delle onde in mare aperto. Il movimento delle onde mette in moto dei pistoni idraulici collegati ad un generatore elettrico.
I prototipi finora realizzati sono composti normalmente da 5 grossi cilindri collegati tra loro, per una lunghezza complessiva superiore ai 100 metri.
http://www.nextville.it/deposito/Image/tecnologie%20innovative/gulls-on-pelamis.jpg
I maggiori problemi di questa tecnologia sono dovuti all’ impatto visivo e all’occupazione di superficie marina, potenzialmente pericolosa per la navigazione.
Sistemi OWC
Si tratta di una soluzione tecnologica molto interessante, che sfrutta il principio della colonna d’acqua oscillante: l’OWC (Oscillating Water Column).
Questo tipo di impianti viene installato lungo la costa, con indubbi vantaggi rispetto alle installazioni in mare aperto. Soprattutto per quanto riguarda i costi di realizzazione, che sono inferiori dal momento che non risulta necessaria la presenza di elettrodotti sottomarini o di sistemi di ancoraggio al fondale.
I sistemi OWC sono formati da strutture in acciaio o calcestruzzo, in parte immerse in mare. Anche se normalmente vengono realizzati nei pressi della linea di costa, possono anche essere installati su piattaforme off-shore, per sfruttare la maggiore potenza delle onde al largo delle coste.
http://www.nextville.it/deposito/Image/tecnologie%20innovative/image013.jpg
L’energia elettrica si ottiene grazie a un processo di tipo pneumatico, abbinato al particolare principio di funzionamento delle turbine Wells. L’onda ascendente provoca una compressione d’aria all’interno della camera in cui è installata la turbina, mettendola in rotazione. L’onda discendente provoca invece una decompressione, che anch’essa mette in moto la turbina.
La particolarità della turbina Wells consiste nel fatto che, pur funzionando con due flussi d’aria in direzioni opposte (compressione e decompressione), il suo senso di rotazione non cambia.
Il funzionamento di tipo pneumatico presenta un grande vantaggio: la parte meccanica e la turbina non subiscono l’azione corrosiva dell’acqua marina. I principali svantaggi di questa tecnologia sono dati dall’impatto visivo e dalla rumorosità della turbina.
Esistono diversi esempi di impianti OWC realizzati e perfettamente funzionanti; per questo motivo la tecnologia OWC costituisce oggi la soluzione più economica per produrre energia elettrica dal moto ondoso. Il range di potenza degli impianti esistenti va dai 60 kW ai 1000 kW.
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Energia dal gradiente termico oceanico
Sfruttare il gradiente termico oceanico significa sfruttare la differenza di temperatura tra le acque marine superficiali e le acque marine profonde. Un gradiente termico di 20 °C è sufficiente per produrre energia elettrica in maniera economicamente conveniente, utilizzando la tecnologia OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion).
Il calore delle acque superficiali fa evaporare il liquido di lavoro (ammoniaca o acqua), fungendo così da sorgente calda per l’alimentazione di un ciclo a vapore, con turbina e generatore elettrico. Le acque di profondità aspirate dal fondo fungono da sorgente fredda, che raffredda i vapori e li fa tornare allo stato liquido, chiudendo così il ciclo.
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Esistono alcuni impianti operativi, caratterizzati però da basse potenze e da elevati costi di realizzazione. Possono essere realizzati lungo le coste oppure su piattaforme galleggianti.
Energia dalle correnti sottomarine
Tra tutte le forme di energia dal mare, quella dalle correnti sottomarine presenta le maggiori potenzialità nel medio-lungo termine.
Basti pensare che soltanto in Europa si stima una disponibilità pari a circa 75 GW. Secondo alcuni studi, le correnti sottomarine dello stretto di Messina presentano una potenzialità energetica di 15.000 MW.
Si possono utilizzare turbine ad asse verticale (per le correnti costanti) o ad asse orizzontale (per le correnti di marea).
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A Strangford Lough, in Irlanda del Nord, è in funzione la prima centrale elettrica alimentata dall'energia cinetica delle correnti di marea. Dopo una prima fase sperimentale durata alcuni mesi, ora la centrale, con una potenza installata di 1,2 MW, può soddisfare il fabbisogno di energia di circa 1.000 abitazioni. Le turbine di questo impianto, sviluppate dalla società Seagen, hanno un aspetto molto simile a quelle dell'immagine riportata qui sopra.
L’assenza di sbarramenti e di infrastrutture impattanti, grazie alla parziale o totale immersione in acqua delle turbine, riducono al minimo l’impatto ambientale di questi impianti.
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Incentivi
Secondo quanto previsto dal Dm 6 luglio 2012, l'elettricità prodotta da impianti da energia oceanica
(comprese
maree
e
moto
ondoso), entrati in esercizio in data successiva al 1° gennaio 2013, ha diritto a beneficiare del meccanismo della Tariffa onnicomprensiva o della Tariffa incentivante.
La Tariffa onnicomprensiva
Hanno diritto alla Tariffa onnicomprensiva gli impianti da energia oceanica
(comprese
maree
e
moto
ondoso) di taglia non superiore a 1 MW. La Tariffa onnicomprensiva consiste nel riconoscimento di una tariffa incentivante pari a 0,30 € per ogni KWh di elettricità netta prodotto dall'impianto e immesso nella rete elettrica.
L'incentivo viene corrisposto per un periodo di 15 anni.
Per maggiori approfondimenti, consulta la voce "Tariffe Rinnovabili elettriche 2013" nel menu di destra.
La Tariffa incentivante
Hanno diritto alla Tariffa incentivante gli impianti da energia oceanica
(comprese
maree
e
moto
ondoso) di taglia superiore a 1 MW e quelli di potenza non superiore a 1 MW che non optano per la Tariffa onnicomprensiva.
La Tariffa incentivante corrisponde all’incentivo "puro", e viene calcolata a partire dalla Tariffa incentivante base (che corrisponde alla Tariffa onnicomprensiva), dalla quale si scorpora il prezzo zonale orario dell’energia.
L'incentivo viene corrisposto per un periodo di 15 anni per gli impianti fino a 5 MW e di 20 anni per gli impianti superiori a 5 MW.
Per maggiori approfondimenti, consulta la voce "Tariffe Rinnovabili elettriche 2013" nel menu di destra.
Idrogeno - Caratteristiche, produzione, accumulo, trasporto
L’idrogeno (H) è il più leggero e comune elemento in natura, ma sulla Terra è difficile da trovare come elemento isolato. Infatti lo si trova essenzialmente comecomponente –combinato all’ossigeno- dell’acqua, assieme al carbonio in diversi idrocarburi, nonché in piante, animali e in altre forme di vita. L’idrogeno che compone l’acqua e le altre forme organiche rappresenta oltre il 70% di tutto ciò che si trova sulla superficie terrestre.
Una volta isolato, l’idrogeno diviene una utile riserva, o fattore di produzione, per una varietà di attività industriali, nonché un combustibile dalle grandi potenzialità, sufficiente a fornire energia per quasi tutti gli impieghi nella società, dalle unità abitative ai servizi elettrici, dalle imprese all’industria ai trasporti.
http://www.nextville.it/deposito/Image/idrogeno/glasscar3he.jpg
Le celle a combustibile (fuel cells) rappresentano oggi la tecnologia più utilizzata per produrre energia meccanica, elettrica e termica a partire dall'idrogeno. Per maggiori informazioni specifiche sulla cogenerazione con celle a combustibile, vedi la voce corrispondente nel menu di destra.
Ricordiamo che l’idrogeno, dal momento che deve essere estratto dai suoi composti attraverso processi che consumano energia, va considerato più un vettore energetico (come ad esempio l’elettricità) che una fonte energetica primaria (come ad esempio il petrolio).
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Caratteristiche
L’idrogeno presenta caratteristiche molto particolari. E’ assolutamente incolore, inodore e insapore, e può essere prodotto, stoccato e utilizzato sia in forma gassosa che in forma liquida.
La combustione dell'idrogeno produce, come unico scarto, acqua o vapore acqueo. Infatti due molecole di idrogeno (H2) si combinano con una di ossigeno (O2), provocando una reazione chimica rappresentabile come:
2H2 + O2 = 2H2O
L'idrogeno, grazie ad una combustione priva di prodotti di scarto quali anidride carbonica, polveri e incombusti, rappresenta senza dubbio il carburante più ecologico oggi esistente (almeno in fase di utilizzo).
L’idrogeno, liquido o gassoso che sia, ha però lo svantaggio di possedere unadensità molto bassa, al punto che l’energia per unità di volume è inferiore a quella degli altri combustibili tradizionali:
• 1/5 di quella del metano, per l’idrogeno gassoso
• 1/3 o 1/4 dei combustibili liquidi, per l’idrogeno liquido
Si tratta di una caratteristica che ne rende complesso l’immagazzinamento e il trasporto, nonché l’utilizzo su veicoli terrestri. Da notare invece come l’energia per unità di massa sia da 2.4 a 6 volte superiore a quella degli altri combustibili: questo costituisce un indubbio vantaggio in campo aeronautico e aerospaziale.
L’utilizzo di idrogeno, inoltre, pone alcuni problemi di sicurezza, in relazione alla possibilità di combustioni accidentali. Questo è dovuto soprattutto al basso valore di energia minima di accensione (0,02 MJ), che è inferiore di circa 10 volte a quella degli altri combustibili. Nell’industria chimica grandi quantitativi di idrogeno vengono normalmente utilizzati in tutta sicurezza; il problema, quindi, rimane quello di garantire questa sicurezza ai veicoli e agli impianti di erogazione. Su questi aspetti esistono pareri discordanti, anche perché l’idrogeno gassoso ha la caratteristica di essere molto leggero e di disperdersi velocemente nell’aria, portandosi velocemente al di sotto del limite di infiammabilità.
L’idrogeno inoltre ha il vantaggio di essere atossico, diversamente dal metano e dalle benzine ad elevate concentrazioni.
Come si produce
Ad oggi, la maggior parte dell’idrogeno viene prodotto nelle raffinerie di petrolio o dall’industria chimica. In genere, l’idrogeno non viene commercializzato ma impiegato sul posto, principalmente come elemento di raffinazione del petrolio e per la lavorazione di fertilizzanti ammoniacali, resine, plastiche, solventi e altri prodotti industriali.
Solo una piccolissima parte dell’idrogeno prodotto viene qualificata come “commerciale” e distribuita sotto forma liquida o gassosa, a dimostrazione dello scarso impiego dell’idrogeno come vettore energetico.
La produzione mondiale annua di idrogeno è di circa 600 miliardi di Nm³, equivalenti a 50 milioni di tonnellate, ottenuti:
• per il 50% da reforming del gas naturale
• per il 30% dal cracking di idrocarburi più pesanti (petrolio)
• per il 16% dalla gassificazione del carbone.
Il rendimento di questi processi è molto basso, dal momento che viene perso il 30-50% dell’energia contenuta nel combustibile primario. Senza contare che si tratta in ogni caso di combustibili fossili che rilasciano notevoli quantitativi di CO2.
La produzione da acqua tramite elettrolisi ha un migliore bilancio energetico, ma rappresenta soltanto il 4% della produzione attuale ed è destinata unicamente ad applicazioni che richiedono un elevato livello di purezza.
Vediamo ora brevemente una rassegna delle principali tecnologie di produzione dell’idrogeno.
Reforming del gas naturale
Il modo più comune e meno costoso per produrre idrogeno è attraverso il reforming del gas naturale. Il procedimento comporta un surriscaldamento –in un reattore catalitico- del metano, di cui il gas naturale è in gran parte composto. Questo procedimento isola gli atomi di idrogeno; quindi viene aggiunto il vapore per liberare più idrogeno, producendo come scarto anidride carbonica.
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Gassificazione
I gassificatori sono impianti che realizzano processi di combustione in regime discarsità di ossigeno. Diversamente dalla normale combustione, con la gassificazione si innesca un particolare processo detto di pirolisi, cioè di decomposizione termochimica della materia utilizzata (carbone, rifiuti, biomasse), che porta alla scissione dei legami chimici originari e alla formazione di gas di sintesi (syngas) ricco, tra l’altro, di idrogeno. E’ compito poi di opportuni reattori chimici, posti a valle del gassificatore, trasformare il syngas in idrogeno della purezza desiderata.
Elettrolisi
Si tratta di un processo ancora poco diffuso, ma con ottime prospettive di medio-lungo termine. Attraverso l’uso di elettricità, l’elettrolisi porta alla scissione delle molecole d’acqua in atomi di idrogeno e di ossigeno. Si utilizza quindi l’energia elettrica per realizzare una reazione chimica, in modo esattamente opposto a quanto avviene con le pile.
Questo procedimento si è già dimostrato efficiente sotto il profilo dei costi, almeno per la produzione di idrogeno estremamente puro in quantità limitate. L’impiego dell’elettrolisi a partire da fonti rinnovabili di energia dà luogo a un ciclo di produzione estremamente pulito e rappresenta anche una enorme fonte potenziale di idrogeno. I costi dei sistemi a elettrolisi basati su impianti fotovoltaici o eolici sono ancora elevati, ma il notevole miglioramento tecnologico si accompagna anche ad una costante diminuzione dei costi.
Le zone in cui davvero l’elettrolisi può essere utilizzata su grande scala a partire da fonti di energia rinnovabile sono quelle in cui c’è già una capacità idroelettrica a basso costo. Anche in questi casi comunque il costo dell’energia elettrica rappresenta all’incirca il 70% del costo dell’idrogeno prodotto. Da non dimenticare le opportunità offerte dall’energia geotermica, ove disponibile in grandi quantità, come dimostra il caso virtuoso dell’Islanda (vedi anche www.newenergy.is).
Immagazzinamento
Per diventare un importante vettore di energia, l’idrogeno deve anche poter essereimmagazzinato e trasportato in modi economicamente efficienti. Si tratta di una sfida notevole, data la bassa densità energetica. Esistono diverse tecnologie di stoccaggio, che dipendono soprattutto dal tipo di applicazione.
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TREDICESIMA PARTE
La maggior parte delle ricerche riguardano il settore dell’autotrazione, per il quale esistono due principali alternative:
• Serbatoio per idrogeno gassoso e compresso a pressioni da 200 a 700 bar (compressed gaseous hydrogen, CGH2)
• Serbatoio per idrogeno liquido a temperature criogeniche (liquid hydrogen, LH2)
Le case automobilistiche sembrano preferire l’utilizzo di idrogeno gassoso, ma non mancano veicoli studiati per l’alimentazione a idrogeno liquido. Al momento non è ancora chiaro quale sarà la scelta vincente e quindi ancora per qualche tempo si assisterà a una coesistenza delle due alternative. Anche i primi distributori a idrogeno saranno probabilmente studiati per offrire idrogeno sia in forma liquida che gassosa.
Gli svantaggi dell’idrogeno gassoso rispetto a quello liquido, in termini di volume dei serbatoi, possono essere superati soltanto applicando pressioni di 700 bar, ben superiori a quelle attualmente impiegate per il metano (200 bar).
Ma anche i serbatoi criogenici per l’idrogeno liquido presentano un grande ostacolo: il boil-off, cioè l’ evaporazione dell’idrogeno dal serbatoio. Si tratta di perdite che, nonostante gli alti livelli di coibentazione, vanno dallo 0.1% al giorno per grandi serbatoi, fino al 2% al giorno per i serbatoi di piccola taglia. Le perdite sono proporzionali al rapporto superficie/volume: questo fattore costituisce un problemanon del tutto risolto per i piccoli serbatoi dei veicoli.
Senza contare che la riduzione allo stato liquido dell’idrogeno richiede un notevole consumo di elettricità. Inoltre l’idrogeno liquido deve essere conservato a temperature inferiori a 250 C°, con tutto ciò che questo comporta in termini di maggiori costi.
Altre opzioni di stoccaggio prevedono l’impiego di idruri metallici e di nanostrutture di carbonio, ma si tratta di tecnologie ancora in fase di studio e di perfezionamento.
Il trasporto
Esistono diverse alternative per il trasporto dell’idrogeno:
• Via tubo (idrogeno gassoso)
• Via gomma (idrogeno liquido e gassoso)
• Via treno e via nave (idrogeno liquido)
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QUATTORDICESIMA PARTE
Trasporto via tubo
Così come è accaduto con i metanodotti, si può ipotizzare che anche l’idrogeno in futuro verrà trasportato sulle lunghe distanze attraverso appositi idrogenodotti. Si tratta di condutture simili a quelle utilizzate per il gas naturale, ma modificate per adattarsi alla minor densità energetica tipica dell’idrogeno gassoso.
Condutture per il trasporto dell’idrogeno già esistono in aree industriali di Stati Uniti, Canada, ed Europa. In Germania è operativo sin dal 1939 un idrogenodotto di 210 km. Attualmente, l’idrogenodotto più lungo esistente al mondo –di proprietà della francese Air Liquid- misura 400 km tra il nord della Francia e il Belgio. Negli Stati Uniti ci sono oltre 720 km di idrogenodotti, situati lungo la costa che si affaccia sul Golfo del Messico e attorno ai Grandi Laghi. Nel 2008, ad Arezzo è stato realizzato il primo idrogenodotto urbano al mondo: si tratta di tubature interrate della lunghezza di 500 metri, al servizio di alcune industrie cittadine (vedi www.idrogenoarezzo.it).
Uno dei più grandi problemi da risolvere nella creazione degli idrogenodotti è l’elevato costo di realizzazione, che incide notevolmente sul prezzo dell’idrogeno stesso. C’è però da osservare come gli idrogenodotti necessitano di distanze inferiori rispetto a quelle dei gasdotti; l'idrogeno infatti può essere prodotto vicino al luogo di utilizzo, nell'ottica della generazione distribuita di energia. Inoltre, poiché l’idrogeno è decisamente più costoso del metano, anche i costi di trasporto incidono meno sul costo finale.
Tutti gli idrogenodotti esistenti, realizzati in acciaio al carbonio o basso legato, stanno dimostrando una buona resistenza e una lunga vita utile.
Trasporto via gomma
L’idrogeno può essere trasportato via gomma in due modalità:
• Autocarri criogenici (idrogeno liquido)
• Carri bombolai (idrogeno gassoso)
Mentre un serbatoio criogenico per tir può trasportare circa 3,5 tonnellate di idrogeno, un carro bombolaio arriva a poco più di 500 kg. Nel trasporto via terra, quindi, l’idrogeno gassoso è particolarmente svantaggiato: facendo un confronto con la benzina, risulta che sarebbe necessario un traffico di autobotti 16 volte superiore. Va meglio invece per l’idrogeno liquido, con un aumento di 2,5 volte del traffico di autobotti.
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Quindi, se il trasporto via gomma dell’idrogeno liquido sembra essere una strada percorribile, lo stesso non si può dire per quello gassoso, al quale sono da preferire gli idrogenodotti.
Trasporto via treno e via nave
Il trasporto su rotaia di grandi quantità di idrogeno liquido è già oggi una soluzione praticata, soprattutto negli Stati Uniti. Ancora in fase di studio la possibilità di realizzare grandi navi in grado di trasportare idrogeno liquido, in modo simile a quanto avviene con le navi metaniere che trasportano gas naturale liquefatto (GNL).
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