IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

mercoledì 20 novembre 2019

MOLECOLE DI OSSIGENO NELL'ATMOSFERA DI MARTE



L’annuncio della Nasa: “Individuati su Marte i primi indizi della presenza di ossigeno nell'atmosfera”

Il laboratorio mobile del rover i Curiosity ha rilevato le molecole della vita sopra il cratere Gale.

La Nasa ha individuato per la prima volta indizi della presenza di ossigeno su Marte nella sua tenue atmosfera. La scoperta è stata fatta al di sopra del cratere Gale dal laboratorio marziano Curiosity, attivo dall'agosto 2012. Gli strumenti di Curiosity hanno misurato negli ultimi tre anni marziani, pari a circa sei anni terrestri, i cambiamenti stagionali dei gas nel cielo sopra il cratere Gale. E hanno, così, "annusato", a sorpresa, variazioni stagionali di molecole di ossigeno, considerato sulla Terra sinonimo di vita.

Gli scienziati di Curiosity, coordinati da Melissa Trainer, del Goddard Space Flight Center della Nasa, hanno pubblicato i risultati sulla rivista Journal of Geophysical Research: Planets. Le analisi sono state fatte dal laboratorio di Curiosity, Sam (Sample Analysis at Mars). L'ossigeno marziano sembra comportarsi come il metano, già annusato in passato da Curiosity. I suoi livelli sono, infatti, molto bassi nel periodo invernale, al di sotto dell'1%, scrivono gli scienziati della Nasa, ma crescono notevolmente in primavera ed estate. Proprio come fa il metano.

I ricercatori della Nasa non hanno al momento una spiegazione per queste fluttuazioni. "Abbiamo visto questa sorprendente correlazione tra l'ossigeno molecolare e il metano per buona parte dell'anno marziano, e ci ha sorpreso molto", ha spiegato Sushil Atreya, dell'Università americana del Michigan, ad Ann Arbor, tra gli autori dello studio. "I due fenomeni devono essere collegati, ma non so dire in che modo. Nessuno lo sa al momento", ha continuato l'esperto.

La crescita e la repentina diminuzione dei livelli di ossigeno marziano non possono essere spiegati, infatti, con le normali dinamiche dell'atmosfera. Per gli scienziati deve esserci un'altra causa, ad esempio di natura geologica. Una seconda possibile spiegazione lega, invece, le oscillazioni di ossigeno e metano alla presenza di eventuali forme di vita batterica. "Stiamo considerando tutte le ipotesi, anche se al momento non esistono prove di attività biologica su Marte", concludono gli esperti. Curiosity non ha gli strumenti per sciogliere il dubbio. Maggiori dettagli potranno arrivare da due missioni in programma nel 2020: ExoMars 2020, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Mars 2020 della Nasa, che andranno a caccia di tracce di possibili forme di vita, presente o passata, su Marte.

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domenica 17 novembre 2019

IL MO.S.E.




Il MO.S.E. (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) è un progetto o opera di ingegneria civile, ambientale e idraulica (o anche geoingegneria), iniziato nel 2003 e tuttora in fase di realizzazione. Finalizzato alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte, attraverso la costruzione di schiere di paratoie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, di Malamocco e di Chioggia, dovrebbe essere in grado di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico durante gli eventi di alta marea.





PERCHÉ IL MOSE NON FUNZIONA?

L’esperto: nasce morto, è solo un esercizio di calcolo.

Il Mose di Venezia? “La sua realizzazione ha visto una serie di errori, tecnologie che non funzionano, ingegneria che lascia a desiderare”.

Usa parole profondamente amare il professor Marco Mancini, docente ordinario di Costruzioni idrauliche, insegnante di Sistemazione di bacini idrografici e infrastrutture idrauliche al Politecnico di Milano, nonché responsabile di progetti scientifici del Miur e dell’Esa, quando gli chiediamo della drammatica situazione che sta vivendo Venezia in queste ore. L’innalzamento record del livello delle acque, che ha toccato l’altro ieri addirittura i 187 centimetri, ha provocato la morte di due persone e danni gravissimi a strutture di interesse mondiale come la Basilica di San Marco.

                                                      Alluvione di Venezia del 1966

Può essere il Mose la soluzione a questi problemi?

In tanti hanno studiato il Mose come possibile soluzione, ma i risultati di un progetto che di fatto non è stato chiuso mai, mi fanno dire che è una soluzione che lascia a desiderare.In effetti, nel mirino è più volte finito il sistema protettivo, le schiere di paratie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto, cioè i varchi che collegano la laguna di Venezia con il mare aperto, che nelle intenzioni dovrebbero isolare la laguna dal mare Adriatico proprio durante le fasi di alta marea. Perché? Sarebbe interessante andare a chiedere a tutti quelli che hanno gestito il Mose quanto tempo hanno perso. E ai progettisti, perché non funziona. Pochi giorni fa, nel corso dell’ennesimo tentativo di collaudo della struttura, si sono verificate vibrazioni anomale e le cerniere delle paratie sono risultate arrugginite e da sostituire… 


Il Mose è un bell’esercizio di idraulica, ma probabilmente non è inserito bene nella realtà di Venezia. C’è chi porta come esempio il sistema posto a difesa della città di Londra, sul Tamigi. Che ne pensa?

È sì un sistema analogo, ma per la situazione del territorio che si affaccia sul Tamigi, meno complesso e meno esteso rispetto alla Laguna, è più semplice dal punto di vista della movimentazione della paratia, che infatti non si gonfia. Lì non viene immessa aria e si toglie l’acqua come con il Mose, ma funziona con un meccanico rigido.

                                                             Barriera del Tamigi

                                                 Barriere di Rotterdam (Paesi Bassi)

Insomma, sul Mose l’ingegneria italiana non ci fa una bella figura?

Stiamo parlando di società di ingegneria importanti che hanno lavorato per il Mose, eppure il sistema non funziona. Vuol dire che il progetto non può essere solo un mirabile esercizio di calcolo, ma va inserito bene là dove deve funzionare.

È un po’ quello che è successo con il ponte Morandi a Genova?

Anche il ponte Morandi era un mirabile esercizio di calcolo, ma lo stesso Morandi si diceva preoccupato perché era posizionato in un posto dove l’atmosfera era corrosiva per la sua struttura, dunque non era la soluzione giusta. Evidentemente anche per il Mose vale lo stesso discorso.

C’è da augurarsi, quindi, che vengano risolti i problemi tecnologici, frutto di una progettazione non del tutto attenta, così che le pareti del Mose non corrano il rischio di arrugginirsi?

La sua realizzazione ha visto evidentemente una serie di errori, tecnologie che non funzionano adeguatamente e probabilmente siamo in presenza di un’ingegneria che lascia un po’ a desiderare.
Intanto tutto il mondo è sottoposto a cambiamenti climatici estremi.

Quanto influiscono sulla singolarità di Venezia dal punto di vista idrologico?

Il problema di Venezia è complesso. Nasce su una laguna, che è soggetta alle fluttuazioni cicliche delle maree, e l’acqua alta è un fenomeno che si manifesta per la concomitanza di più fattori, legati per esempio all’astronomia o ai venti che provengono dal sud dell’Adriatico. A questo dobbiamo aggiungere altri problemi come i piccoli cedimenti strutturali della falda, le condizioni climatiche peggiorate negli ultimi anni e il complessivo innalzamento del livello del mare. E in futuro il quadro sicuramente si aggraverà. Purtroppo eventi di questo tipo si verificano e si verificheranno sempre più spesso e Venezia ne soffre sempre di più.





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sabato 16 novembre 2019

CI SONO ALTRE CIVILTA' INTELLIGENTI NELLA NOSTRA GALASSIA?


Alieni: confermata la presenza extraterrestre nella nostra Galassia?

Secondo gli autori di un nuovo studio è sbagliato pensare che gli alieni siano solo frutto dell’inventiva degli studios cinematografici. Ci sarebbe del vero dietro la teoria secondo cui gli extraterrestri sarebbero tra noi. Un nuovo modello matematico ne proverebbe l’esistenza oltre ogni ragionevole dubbio. Ecco quali sono le novità del momento.

Alieni: trovati dal modello di studio matematico aggiornato dai ricercatori in queste settimane

Il gruppo dell’Università di Rochester coordinato da Jonathan Carroll-Nellenback avvalora la tesi sulla presenza di alieni. Vengono descritti come esploratori dello spazio. Non sono ancora giunti a noi ma sfruttando il movimento delle stelle è stato possibile rilevare che sono alla ricerca di pianeti abitabili da colonizzare. Tracce tangibili del loro passaggio non sono rilevabili sulla Terra “ufficialmente” ma l’ipotesi della loro presenza incuriosisce il mondo e la comunità scientifica.

La pubblicazione del resoconto non si è fatta attendere sull’Astronomical Journal. Sebbene sia sostenuta solo da simulazioni matematiche è un primo e chiaro tentativo di saperne di più su una civiltà evoluta da cui potremmo imparare molto. Si punta a risolvere il paradosso di Fermi, secondo cui vi è certezza della presenza di vita oltre la Terra pur non avendone conferma.

Nella sola Via Lattea vi sono all’incirca 100 miliardi di stelle. Dati della simulazione alla mano, una potenziale conferma di questi ultimi potrebbe ribaltare le sorti dell’opinione comune circa la presenza degli alieni nella galassia. La mancata presenza di segnali dallo spazio, secondo l’opinione di Carroll-Nellenback,”non significa che siamo soli. Significa soltanto che i pianeti abitabili sono probabilmente rari e difficili da raggiungere“.

Il sistema di computo matematico ha tenuto in considerazione tre parametri fondamentali così descritti:

vicinanza di una razza di extraterrestri a sistemi stellari come il nostro

velocità delle sonde interstellari di cui dispongono

distanza che le loro sonde o navi potrebbero coprire e la frequenza dei lanci.

Non è da escludere che gli alieni possano essere entrati in contatto con noi. La mancanza “ufficiale” di prove non preclude tale possibilità. Solo la scienza potrà rispondere a questo millenario quesito irrisolto.

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mercoledì 13 novembre 2019

MAMMUT...IN EGITTO?



Il Mistero dei Mammut d’Egitto; di Giancarlo Pavat.

Da:

(Su questo sito ci siamo spesso occupati di opere d’arte come affreschi,  miniature, bassorilievi ecc che raffigurano piante,  frutti, ortaggi, persino animali che non sarebbero dovuti esistere o essere conosciuti nei luoghi e all’epoca di realizzazione di quei manufatti.

Si è  parlato, ad esempio,  delle ananas presenti in sculture e mosaici Romani, come quelli visibili al Museo Archeologico Nazionale di Palazzo Massimo a Roma.  In alcuni casi io stesso ho svolto ricerche “sul campo”. Come nel caso del pappagallo amazzonico visibile nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma e realizzato (probabilmente) da Melozzo da Forlì ben prima della scoperta dell’America. Oppure dei Kakatoa miniati sul DE ARTE  VENANDI CUM AVIBUS, capolavoro di Federico II di Svevia. Per non parlare poi del misterioso quadrupede presente in un mosaico pavimentale del V secolo d.C. della basilica di Aquileia in Friuli – Venezia Giulia.

Nel mio libro  “Nel Segno di Valcento” (edizioni Belvedere 2010) ho pure parlato delle famose (famigerate) pannocchie di mais scolpite sul portale della chiesa medievale di Santa Maria della Libera ad Aquino (FR). E nella lunetta dell’ingresso della medesima chiesa, Tommaso Pellegrini ha segnalato due raffigurazioni di piante che sembrano due cactus centramericani.


Questa volta ci occuperemo di quanto segnalatoci da un nostro lettore; Mariano C. da Genova; il quale ci ha segnalato un sito in lingua inglese in cui è riportata la notizia della scoperta in una tomba egizia di un affresco raffigurante addirittura un piccolo mammut! Si tratta della tomba di un alto funzionario egizio di nome Rekhmire, vissuto tra il 1479 e il 1401 a.C.. Il primo dare la notizia del dipinto con uno strano animale peloso dotato di proboscide e di zanne da elefante, è stato nel 1994, l’archeologo israeliano Baruch Rosen, che ne parlò in un breve articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature”. Mentre, per quanto ne sappiamo, il primo a parlarne in un sito in lingua italiana è stato Lorenzo Rossi nell’articolo “Storie di mammut tra finzione e realtà” pubblicato sul sito www.criptozoo.com; il 5 settembre 2017.

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sabato 9 novembre 2019

VITA "MARZIANA" SI, NO...FORSE



Marte: ci sarebbe vita sul pianeta, ma la NASA non vuole ammetterlo.

La ricerche su Marte hanno portato a risultati un tempo inaspettati. E’ stata infatti confermata più volte l’antica presenza di acqua, in superficie e non di gas metano. Si stanno quindi cercando le tracce di un antico passaggio di forme di vita sul pianeta. Nessuno al momento si sarebbe sbilanciato più di tanto, affermando o meno la presenza di vita, ora come in passato. Secondo lo scienziato Gilbert Levin però ci sarebbe vita sul pianeta. Il celebre studioso ha collaborato con la NASA durante gli anni ’70, effettuando gli studi sulle sonde Viking che arrivarono sul Marte. I dati ricevuti da quest’ultime indicavano la presenza di respirazione microbica. Questa, confrontata con i valori terrestri, ci indicherebbe con precisione la veridicità di tale affermazione.

Marte: sappiamo che c’è vita già dagli anni ’70 




Gli studi su Marte del celebre scienziato Gilbert Levin sono stati RI-pubblicati recentemente sulle pagine di Scientific American. Per seguirne il filo logico bisogna fare un viaggio nel tempo, tornando all’esperimento delle Viking che rilevò il rilascio di anidride carbonica marcata. Secondo la NASA questo non era sufficiente a definire la presenza di vita, ma unicamente di una sostanza in grado di imitarla. Lo stesso Levin spiega: “Pensai che se si fosse preso un campione di terreno marziano e lo si fosse spruzzato con acqua e sostanze nutrienti che contenessero carbonio radioattivo, eventuali organismi presenti nel campione se ne sarebbero nutriti, e di conseguenza avrebbero emesso anidride carbonica la cui molecola sarebbe stata composta anche dal carbonio radioattivo immesso, e quindi sarebbe stato facile da rilevare”.La sua intuizione si rivelò corretta, portandolo a credere che l’esistenza di vita “marziana” fosse reale. Purtroppo però in un secondo esperimento non si riuscì a replicare il risultato, probabilmente a causa delle apparecchiature antiquate. Questo sarebbe confermato dalla contro prova effettuata con la stessa sonda sulla superficie terrestre. Anche in questo casi infatti non furono rilevati microrganismi. Purtroppo le intuizioni e le parole di Levin troveranno seguito solo nel futuro lancio del 2020. A bordo del Rover di ESA saranno infatti presenti gli strumenti adeguati a verificare la presenza di vita sul Pianeta Rosso. A distanza di 43 anni dal lancio delle sonde Viking potrebbero finalmente arrivare delle risposte e le ipotesi dello scienziato saranno finalmente confermate o confutate (?).

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martedì 5 novembre 2019

VIRUS EBOLA ED EUROPA



SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

Autorizzato in Europa il primo vaccino contro Ebola


Dopo l'utilizzo in Congo in via sperimentale.

Via libera in Europa al primo vaccino contro il virus Ebola. A deciderlo è stato il comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia Europea dei Medicinali (Ema), che ha raccomandato l'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata nell'UE per Ervebo, il primo vaccino per soggetti di età pari o superiore a 18 anni a rischio di infezione. Lo stesso vaccino è stato utilizzato in Congo in via sperimentale. Sempre in Africa è da poco impiegato, sempre in via sperimentale, anche un secondo vaccino.

Per il direttore esecutivo Ema, Guido Rasi, è "un passo importante per alleviare il peso di questa malattia mortale" e "la raccomandazione è il risultato di molti anni di sforzi globali collaborativi per sviluppare nuovi medicinali e vaccini contro l'Ebola". L'attuale epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha infettato oltre 3.000 persone con tassi di mortalità di circa il 67%. Qui, il vaccino Ervebo, prodotto da Merck, viene utilizzato in base a un protocollo di "uso compassionevole" per proteggere le persone a più alto rischio di infezione, come operatori sanitari o persone che sono venute a contatto con pazienti infetti.

Di recente il suo utilizzo, in Congo, è stato affiancato da un secondo vaccino, utilizzato sempre in via sperimentale, prodotto dalla Johnson & Johnson. Lo sviluppo clinico di Ervebo è stato avviato in risposta all'epidemia di Ebola 2014-2016 in collaborazione con istituzioni nazionali internazionali di sanità pubblica. Si tratta di un vaccino vivo attenuato e i dati provenienti da studi clinici e programmi di uso compassionevole hanno dimostrato che protegge contro la malattia dopo una singola dose. Ervebo è stato testato in circa 16.000 soggetti coinvolti in numerosi studi clinici in Africa, Europa e Stati Uniti, dimostrandosi sicuro ed efficace. Il parere dell'Ema verrà ora inviato alla Commissione europea per l'adozione della decisione su un'autorizzazione all'immissione in commercio a livello UE.

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venerdì 1 novembre 2019

PIU' VELOCE DELLA LUCE ?


Verso le stelle col motore elicoidale?

Per un ingegnere della NASA i viaggi interstellari alla velocità della luce o quasi sono già realizzabili.


“velocita-superluminale”
Illustrazione - Un veicolo spaziale che viaggia inducendo un ponte di Einstein-Rosen, liberamente basato sulla pubblicazione del 1994 di Miguel Alcubierre sulla propulsione ultraluce.|NASA CD-98-76634 BY LES BOSSINAS, VIA WIKIMEDIA

Di tanto in tanto sbucano fuori nuove idee per tentare di accelerare i voli spaziali fino a velocità prossime a quella della luce: questo perché siamo troppo lenti per poter raggiungere le stelle in tempi umani. Purtroppo fino a oggi tutti i progetti sono finiti in nulla o al più rimangono come possibilità remote - ma chi non si arrende immagina anche motori di nuova concezione e che magari sfidano le leggi della fisica. Recentemente si era parlato di nuovo dell’EM Drive, ma poi non ne è venuto fuori niente - almeno per ora. Al momento non sembra esserci la possibilità di sfuggire a quella semplice e banale legge della fisica che ci racconta di azione e reazione: è così che ci solleviamo da terra, voliamo nel cielo e viaggiamo nello Spazio - indirizzando una energia in una direzione per muoverci nella direzione opposta. Ora però un ingegnere della NASA, David Burns, del Marshall Space Flight Center, sostiene di aver messo a punto un sistema che darebbe modo a un razzo di raggiungere e viaggiare nello Spazio senza bisogno di carburante (la fonte di energia). E c'è di più: il suo motore porterebbe un razzo a velocità vicine a quella della luce. Burns sostiene che il suo motore elicoidale (così lo chiama) sfrutta gli effetti di "alterazione di massa" che si verificano a velocità che rasentano quella della luce.

Lo studio è online nella biblioteca digitale della NASA. Sarebbe davvero strano se le idee di Burns fossero abbracciate con entusiasmo dalla comunità scientifica, ma Burns sostiene di non avere paura di confrontarsi con gli scienziati e, aggiunge (bizzarramente), «se qualcuno dimostrerà che non funziona, sarò il primo a riconoscerlo». Bizzarramente perché in effetti dovrebbe essere lui a dimostrare che funziona, ma procediamo a piccoli passi.

COME FUNZIONA? Si immagini di avere una scatola posta su una superficie senza attrito, per esempio nello Spazio. Dentro la scatola vi è un’asta sulla quale può scorrere un anello. Se si desse una spinta all’anello questi andrebbe in una direzione e la scatola nell’altra (azione e reazione...). Arrivato a fine corsa l’anello rimbalzerebbe indietro e la scatola si muoverebbe nell’altra direzione. Fin qui è tutto normale. Ma se la massa dell’anello diventasse molto elevata quando scorre in una direzione rispetto a quando scorre nell’altra, la scatola riceverebbe una spinta maggiore a un’estremità e minore all’altra. Così la scatola si sposterebbe "di più" in una direzione.

SI PUÒ CAMBIARE MASSA? Il trucco di Burns è che vuole far cambiare massa a un oggetto: non è impossibile se, come dice Einstein, si lancia un oggetto a velocità prossime a quella della luce - in quanto guadagnerebbe massa. E dunque basterebbe, secondo Burns, sostituire l’anello con un acceleratore di particelle dove gli ioni vengono rapidamente accelerati in una direzione e velocemente rallentati nell’altra. Per ragioni tecniche l’acceleratore dovrebbe essere costruito a forma di elica (ecco da dove viene "motore elicoidale"). GRANDE QUANTO? Nel suo lavoro Burns non si ferma alla teoria, ma dà anche valori concreti: un acceleratore grande 200 metri in lunghezza e 12 metri in diametro, con una richiesta di 165 megawatt di potenza (165.000 chilowatt) potrebbe generare solo 1 newton di spinta, una forza simile a quella che si produce quando si tamburellano le dita sul tavolo - in effetti un poco di più, ma poco.

 Ma se il motore venisse azionato nello Spazio, dove non c’è attrito, la continua accelerazione lo potrebbe portare a velocità relativistiche. Ci sono dei limiti in quest'idea, è vero, ed è lo stesso Burns ad affermare che realizzato così il motore elicoidale sarebbe poco efficiente, ma, sottolinea, ancora una volta si dimostra che con ciò che sappiamo possiamo già ottenere risultati inaspettati.

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