IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

giovedì 21 luglio 2016

LEMURI ED EVOLUZIONE...UMANA (?)



"Sono i lemuri l'anello mancante nell'evoluzione del comportamento umano"

E' questa la tesi dei ricercatori dell'Università di Pisa, che fanno il punto su 20 anni di ricerche in un volume pubblicato dall'Università di Cambridge.

Sono l'anello mancante (o semplicemente dimenticato) per capire l'evoluzione del comportamento umano. Si tratta dei lemuri, primati che condividono con noi un lontano antenato comune e che per la loro peculiarità rappresentano il modello ideale per far luce su comportamenti finora ritenuti esclusivi delle scimmie, delle grandi antropomorfe (e nostri). È questa la tesi centrale del volume "The Missing Lemur Link" appena pubblicato dalla Cambridge University Press. Gli autori, Elisabetta Palagi e Ivan Norscia, ricercatori del Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa, fanno il punto su venti anni di ricerche che hanno in buona parte condotto in prima persona, sia su esemplari in natura che in cattività.  Se infatti i lemuri sono stati studiati estesamente dal punto di vista biologico ed ecologico, altrettanto non si può dire per l'etologia e il comportamento sociale, che in alcuni casi si dimostra "inaspettatamente" sofisticato e complesso. Questi primati ad esempio sono capaci di riconoscimento individuale utilizzando anche il canale olfattivo, sanno gestire i conflitti attraverso meccanismi di riconciliazione e si scambiano servizi (come lo spulciamento) seguendo la regola di mercato della domanda e dell'offerta. "Riscontrare l'esistenza di questi comportamenti nei lemuri - spiegano Elisabetta Palagi e Ivan Norscia - ci permette non solo di affermare che la loro capacità cognitiva e il loro grado di socialità siano molto più complesse di quanto si credesse finora, ma anche di unire i puntini che ci legano ad essi, mettendoli in continuità con gli altri primati".


Il libro "The Missing Lemur Link" è composto da nove capitoli, ciascuno dei quali affronta una tematica etologica diversa, secondo un approccio comparativo, mettendo a confronto il comportamento dei lemuri con quello delle scimmie e delle grandi antropomorfe, uomo incluso. Ogni capitolo contiene inoltre dei box informativi a firma di esperti internazionali che espandono i concetti trattati.
Da:


PER APPROFONDIMENTO LEGGI:






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martedì 19 luglio 2016

IL "Kg" KILOGRAMMO E ...LA COSTANTE DI PLANCK


SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)

Il “kilogrammo” verso la pensione dopo 129 anni. Pronta una nuova definizione.

Il NIST-4, la speciale bilancia statunitense che ha misurato la costante di Planck con una precisione di 34 parti per miliardo. L'anno prossimo potrebbe fare ancora meglio. Gli scienziati hanno compiuto un passo fondamentale verso una nuova e migliore definizione del chilogrammo, grazie alla misura di una grandezza fisica fondamentale, la costante di Planck. Per capire l'importanza di questa rivoluzione e delle sue conseguenze è necessario fare un passo indietro e spiegare almeno per sommi capi che cosa sono le definizioni delle unità di misura e come vengono calcolate. La Conférence générale des poids et mesures (CGPM) è l'ente intergovernativo che si occupa di definire rigorosamente le unità del Sistema Internazionale di Unità di Misura (SI). Tutte le unità delle grandezze fondamentali del SI sono definite in termini di ripetibili e misurabili fenomeni fisici, tranne una. Mentre il metro è definito come lo spazio percorso dalla luce del vuoto, il secondo è messo in relazione alla durata della radiazione di un ben preciso atomo, e così via, il chilogrammo, l'unità fondamentale di misura della massa nel SI, è definito come "la massa del prototipo internazionale del chilogrammo", conservato nell'Ufficio internazionale dei pesi e delle misure (BIPM) a Sèvres, in Francia. Il problema del definire una grandezza fisica in relazione a un manufatto - invece che rispetto a un fenomeno fisico - è che esso è soggetto all'usura del tempo e alle contaminazioni. Infatti, nonostante le importanti precauzioni prese, il prototipo internazionale di chilogrammo non ha una massa stabile.  Gli scienziati hanno paura a usare questo campione per timore di contaminarlo ulteriormente, quindi utilizzano uno dei prototipi nazionali presenti nei laboratori di metrologia di diversi Paesi. A complicare ulteriormente le cose si aggiunge il fatto che delle sette unità fondamentali di misura del SI, solo il kelvin (unità di misura della temperatura), il secondo e il chilogrammo hanno definizioni indipendenti, tutte le altre unità di misura fondamentali sono legate alle definizione delle unità indipendenti.  Questo comporta che - nonostante le variazioni riscontrante nel prototipo internazionale siano tipicamente dell'ordine di un miliardesimo della sua massa - una piccola variazione del campione di chilogrammo si propaga a cascata nelle definizioni di altre unità di misura. Per questi motivi la CGPM ha proposto diverse nuove possibili definizioni del chilogrammo basate su costanti fisiche, invece di un manufatto. Tuttavia, per poter adottare una nuova definizione, la CGPM richiede anche che siano disponibili per quella costante almeno due misurazioni del tutto indipendenti e che abbiano un elevatissimo grado di accordo fra di loro. Uno dei più promettenti candidati per rimpiazzare il prototipo internazionale del chilogrammo è la misura della costante di Planck, indicata dai fisici con h, che mette in relazione la frequenza di un fotone – la particella di cui è costituita la luce – con la sua energia e che svolge un ruolo fondamentale in tutta la teoria della meccanica quantistica. La miglior misura della costante di Planck attualmente disponibile è stata ottenuta dal National Research Council del Canada, con un'incertezza di 19 parti per miliardo.


  Inoltre, lo statunitense National Institute of Standards and Technology (NIST) ha da poco realizzato una misura della costante di Planck compatibile con quella canadese, con una incertezza di 34 parti per miliardo, e si propone di fare ancora meglio. Infatti, il NIST dovrebbe riuscire entro l'anno prossimo a calcolare nuovamente e con maggiore precisione la costante di Planck, facendo scendere l'incertezza sotto la soglia di 20 parti per miliardo richiesta dal CGPM.  Se l'istituto statunitense dovesse centrare questo obiettivo, già nel 2018 i tempi potrebbero essere maturi per avere una nuova definizione di chilogrammo e mandare in pensione il prototipo internazionale dopo 129 anni di onorata carriera.

Da:  

http://www.repubblica.it/scienze/2016/07/03/news/il_chilogrammo_andra_in_pensione_dopo_129_anni_arriva_una_nuova_definizione-143343893/?ref=fbpr


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venerdì 15 luglio 2016

CLONAZIONE E...FORSE CI SIAMO GIA' PASSATI ?


SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)

Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?

Il 5 luglio 1996 nasceva la pecora Dolly, il primo mammifero concepito con una tecnica di clonazione a partire da cellule di ghiandola mammaria di un esemplare adulto. Vent'anni dopo, le applicazioni della tecnica sono ben lontane dalle previsioni di allora, e limitate agli animali di allevamento, mentre la clonazione di un essere umano è stata scongiurata più per motivi etici che per motivi tecnici. Dolly tuttavia dimostrò che anche le cellule di mammifero possono essere riprogrammate, aprendo la strada a importanti progressi nel campo della ricerca sulle cellule staminali. Era una bellissima giornata di 20 anni fa quando Ian Wilmut e Alan Trounson, scienziati, colleghi e vecchi amici, partirono per un'escursione sulle colline intorno a Edimburgo, in Scozia. Di fronte al panorama della città, Wilmut confidò di avere un segreto da rivelare. Nell'ambito di uno studio più ampio, lui e alcuni collaboratori erano riusciti a far nascere un agnello in laboratorio. Non da una cellula uovo e da uno spermatozoo, bensì dal DNA estratto dalla ghiandola mammaria di una pecora adulta: avevano clonato un mammifero. “Diamine, ero sbalordito”, racconta Trounson, che, oggi come allora, lavora sulle cellule staminali presso la Monash University di Melbourne, in Australia. Era una giornata calda, ma Trounson sentì ugualmente un brivido lungo la schiena quando si rese conto delle implicazioni del risultato. “Da allora tutto cambiò”. La clonazione di un mammifero sfidava il dogma scientifico imperante a quel tempo. Il successo portò a previsioni fosche e fantastiche: anche gli umani sarebbero stati clonati. Le malattie sarebbero state sconfitte. I bambini persi durante la gravidanza sarebbero rinati. Oggi, due decenni dopo la nascita di Dolly, avvenuta il 5 luglio del 1996, l'impatto della clonazione sulla scienza di base ha superato le aspettative, mentre la realtà di ciò che tecnicamente si chiama trasferimento nucleare, la forma di clonazione utilizzata per Dolly, è in gran parte scomparsa dalla scena pubblica.

Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?La pecora Dolly imbalsamata, esposta al National Museum of Scotland (Wikimdia Commons)

Nel 2016, la clonazione di una persona rimane irrealizzabile, priva di qualunque beneficio scientifico e gravata da un livello di rischio inaccettabile, dicono molti scienziati. Nessuno, a quanto pare, sta pensando di cimentarsi in questa impresa (? NDR). E la clonazione di animali rimane limitata, anche se probabilmente è in aumento. Alcune tecniche di clonazione agricola sono utilizzate negli Stati Uniti e in Cina per sfruttare i geni di alcuni esemplari straordinari, dicono gli scienziati, mentre il Parlamento europeo ha votato l'anno scorso il divieto di utilizzare la clonazione negli animali destinati all'alimentazione umana. Uno scienziato in Corea del Sud fa pagare 100.000 dollari per clonare un animale domestico, anche se non è chiaro quale sia il livello della domanda di questo servizio. Il maggiore impatto della clonazione, dicono diversi ricercatori, è visibile nei progressi ottenuti nel campo delle cellule staminali. Il biologo cellulare ed esperto di staminali Shinya Yamanaka ha spiegato che la clonazione di Dolly lo spinse a iniziare a sviluppare le cellule staminali derivate da cellule adulte, un risultato che gli valse il premio Nobel nel 2012. "La pecora Dolly mi fece capire che la riprogrammazione nucleare era possibile anche in cellule di mammiferi e m'incoraggiò a iniziare il mio progetto, ha scritto Yamanaka, che si divide tra l'Università della California a San Francisco, e il Center for iPS Cell Research and Application (CIRA) dell'Università di Kyoto, in Giappone, di cui è direttore. Yamanaka usò cellule adulte di topo, anche se la tecnica è ora adatta anche alle cellule umane, per produrre staminali in grado di dare vita a una vasta gamma di altre cellule, essenzialmente riportando indietro i loro “orologi cellulari” fino all'infanzia in  modo che potessero maturare in diversi tipi di cellule adulte.

Poiché sono create artificialmente e possono avere diversi destini, esse sono chiamate cellule staminali pluripotenti indotte o cellule iPS. Queste cellule iPS, sempre più facilmente disponibili, hanno ridotto la necessità di cellule staminali embrionali, il cui utilizzo ha sollevato molte questioni etiche, e attualmente costituiscono la base per la maggior parte della ricerca sulle staminali. La nascita di Dolly è stata foriera di grandi cambiamenti, perché ha dimostrato che il nucleo della cellula adulta ha tutto il DNA necessario per dare luogo a un altro animale, dice il biologo cellulare Robin Lovell-Badge, a capo della divisione di Biologia delle cellule staminali e di Genetica dello sviluppo presso il Francis Crick Institute di Londra. In precedenza, alcuni ricercatori avevano ottenuto rane adulte da cellule di rana embrionali o cellule di rana embrionali da rane adulte, arrivando a una fase di stallo. "Quello di Dolly è stato il primo caso in cui si è presa una cellula adulta per ottenere un individuo adulto", sottolinea Lovell-Badge. "Questo significava poter riprogrammare un nucleo di cellula adulta per tornare a uno stadio embrionale."

Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?Campioni di cellule iPS in laboratorio: lo sviluppo delle tecniche per ottenerle è uno degli effetti della clonazione della pecora Dolly (Credit: Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, CSIRO)

Dolly morì il 14 febbraio del 2003, all'età di sei anni, per un'infezione polmonare comune tra gli animali che non hanno accesso all'aria aperta. Probabilmente la malattia non aveva niente a che fare con il fatto di essere un animale clonato, dice Wilmut, ora professore emerito presso il Roslin Institute dell'Università di Edimburgo.
La pecora, ottenuta da cellule della mammella, deve il nome alla famosa Dolly Parton, cantante americana nota per il suo prosperoso seno oltre che per la sua voce. "Non era nostra intenzione essere irrispettosi verso la signora in questione o le donne in generale", ha dichiarato Wilmut recentemente commentando il nome, che fu suggerito da un allevatore. Piuttosto, ha contribuito a umanizzare un progetto di ricerca che altrimenti sarebbe potuto sembrare distaccato dalla vita di tutti i giorni. “La scienza e la sua presentazione a volte possono sembrare terribilmente serie", ha detto. "Penso che sia stato un bene per noi: ci ha fatto apparire umani".
Wilmut ammette che la nascita di Dolly è stata un caso fortunato. Lui e i suoi colleghi stavano cercando di produrre cloni di cellule fetali e usavano quelle adulte come controlli sperimentali, senza aspettarsi la generazione di un embrione. "Non avevamo deciso di clonare cellule adulte, ma solo di lavorare idealmente con cellule staminali embrionali o cose del genere”, dice Wilmut. “Avere successo con le cellule adulte è stato un bonus inatteso e di grande valore. “L'obiettivo iniziale della ricerca di utilizzare il sistema di produzione di latte di un animale come una sorta di fabbrica per ottenere proteine utili al trattamento di malattie umane. Ma l'interesse per questa idea è diminuito con la produzione sempre più massiccia di sostanze chimiche di sintesi a basso costo.
Wilmut ritiene che clonare un essere umano sarebbe possibile, ma fortemente sconsigliato. La tecnica di clonazione utilizzata per Dolly ha dimostrato di non funzionare sui primati. Egli ritiene che potrebbe essere possibile utilizzando altre tecniche, ma si oppone con veemenza all'idea di clonare una persona. “Il solo fatto che ora la tecnica consenta di produrre una progenie non implica che dovremmo farlo”, dice. “È probabile che si otterrebbero aborti e malformazioni nei neonati".
Per esempio, uno degli agnelli clonato nel suo laboratorio subito dopo Dolly ha sviluppato problemi ai polmoni che si manifestavano con iperventilazione e continui svenimenti. “Già vederlo in un animale è stato piuttosto sconfortante", continua. “Non vorrei mai essere nei panni di una persona che si trova a guardare negli occhi un bambino per scusarsi”. Con i recenti progressi nella tecnologia di editing genetico, la necessità della clonazione per correggere gli errori genetici si ridurrà ancora di più", osserva Wilmut. "Ci sono ancora meno motivi per farlo rispetto a prima”.
Trounson ritiene che per gli embrioni di bestiame clonati vi sia un mercato enorme. “Può essere sorprendente, ma sono in molti a usarli, cercando di non farsi notare troppo”, spiega. “I vantaggi sono per l'eccellenza della produzione, e aumentare i parametri di produzione è una cosa molto positiva", aggiunge Trounson, che recentemente si è dimesso, dopo sei anni, dall'incarico di presidente del California Institute for Regenerative Medicine, un ente statale che fornisce prestiti e sovvenzioni per la ricerca sulle cellule staminali. "Questo è probabilmente il fattore decisivo che spinto molte aziende a restare negli Stati Uniti".
Nel 2008, il governo degli Stati Uniti ha stabilito che non vi fossero differenze distinguibili tra vacche, capre e maiali clonati e non clonati, e ha perciò consentito la produzione di questi animali, soprattutto per la produzione di mangimi piuttosto che di carne. In Cina una società chiamata Boyalife Group ha in programma di ottenere almeno 100.0000 bovini da carne clonati, che rappresentano solo una parte del totale di animali macellati ogni anno nel paese, come spiega un portavoce dell'azienda. "Potrebbe essere questo il momento migliore per far progressi nell'applicazione di questa tecnica da un punto di vista sia tecnologico sia commerciale".


Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?Rappresentazione artistica di un mammut: tra le tante applicazioni immaginate per la clonazione, vi è anche quella di riportare in vita specie estinte o in via di estinzione (Wikimedia commons)

In teoria, la clonazione potrebbe anche essere utilizzata per salvaguardare le specie in pericolo. Si è parlato di usarla per riportare in vita i mammut, i panda giganti e perfino l'Uomo di Neanderthal, ma si tratta di idee che Lovell-Badge liquida come "abbastanza stupide". Trounson sostiene di avere ancora una scorta di campioni di pelle di vombati, in pericolo critico di estinzione, conservati nell'azoto liquido, nel caso in cui qualcuno volesse mai tentare di ripristinare le popolazioni di questa specie. I cloni, tuttavia, sono creati prendendo una cellula adulta e fondendola con una cellula uovo ricevente. Produrre un clone richiede un nucleo intatto, che non sarebbe disponibile per la maggio parte delle specie estinte.
Diversi ricercatori stanno ora utilizzando tecniche di clonazione per produrre cellule staminali embrionali, evitando così la necessità di raccogliere nuovi embrioni. Il cosiddetto trasferimento nucleare da cellula somatica può aiutare i ricercatori a capire meglio le fasi precoci dell'embriogenesi umana e la biologia delle cellule staminali, secondo Paul Knoepfler, biologo dell'Università della California a Davis, che non era coinvolto direttamente nel lavoro. Knoepfler ha scritto via e-mail che non "vede alcun beneficio terapeutico imminente, ma le cose in futuro potrebbero cambiare".
L'idea di clonare un caro defunto, sia esso umano o animale, è invece caduta in disgrazia, in parte perché è difficile disconoscere l'influenza dell'ambiente sul comportamento. La componente genetica potrebbe essere la stessa, ma un clone sarebbe ancora lo stesso individuo che abbiamo amato? “Non sarà mai possibile riavere indietro il vostro Fufi, o qualunque altra cosa”, sottolinea Lovell-Badge, aggiungendo che l'idea di clonare un animale domestico “è stupida”. “L'unico caso a cui si potrebbe vagamente pensare”, conclude, “è quello di un cane particolarmente prezioso”, per esempio dotato di un super-olfatto: in questo caso gli scienziati potrebbero essere interessati a chiarire se si tratta di una qualità innata o appresa.

Lovell-Badge è ancora più sprezzante verso l'idea di clonare una persona. “Dovremmo conoscere molte più cose sulla riprogrammazione ed essere in grado di eseguirla con un'efficacia del 100 per cento”, spiega. “E non ho mai trovato una ragione sufficiente per clonare un essere umano."

Da:
http://www.lescienze.it/news/2016/07/07/news/clonazione_20_anni_dopo_pecora_dolly-3152306/


COMMENTO:

Ringrazio il sempre puntuale Dr. Cotellessa di ENEA, che ci stimola a riflettere su argomenti sempre attuali e molte volte "scomodi" alla nostra coscienza.
Non voglio aggiungere altro a questo interessante e circostanziato articolo sulla "clonazione", se non suggerire (per chi vuole) l'approfondimento con lo studio che ho da poco pubblicato insieme con il Dr. Giorgio Pattera e che ...riguarda proprio da vicino la "clonazione".

MLR 

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martedì 12 luglio 2016

L'OCCHIO BIONICO


SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)

L’Europa dice sì all’occhio bionico: Arriva la prima protesi per retina.

Dopo due decenni di ricerche e sviluppo, la prima protesi per la retina riceve l’approvazione europea: verrà commercializzata e utilizzata durante gli interventi clinici. “Si tratta di un dispositivo che aiuta i pazienti con danni alla retina”.

Le persone affette da malattie degenerative dell’occhio potranno scegliere di comprarsi un nuovo impianto visivo, che aumenta in parte le compromesse funzioni dell’occhio. Secondo il CEO di Second Sight, l’azienda che ha sviluppato il dispositivo, afferma che "è l’inizio di un’era in cui la vista può essere recuperata, a livelli ancora più sorprendenti”. Walter Wrobel, il capo di Retina Implant AG di Reutlingen in Germania, sta sperimentano altri strumenti simili in diversi paesi e ritiene che l’approvazione europea potrebbe avere importanti sviluppi per le centinaia di migliaia di persone che soffrono di malattie degenerative dell’occhio, come la retinite pigmentosa. Il dispositivo sviluppato da Second Sight si chiama Argus II e ha un costo di circa 115.000 dollari. Sarà disponibile in alcune cliniche in Svizzera, Francia e nel Regno Unito. La compagnia californiana, dopo il sì dell’Europa, prospetta di avere il permesso alla commercializzazione di Argus II anche dalla U.S. Food and Drug Administration. Come e quando funziona – il sistema di Argus II prevede che una camera, montata su un paio di occhiali, catturi le immagini e possa inviarle al chip impiantato nella retina dell’occhio con dei segnali wireless. I segnali stimolano, tramite gli impianti elettrici, le cellule della retina, producendo luce nel campo visivo del paziente. Il processo funziona con persone affette da retinite pigmentosa perché la malattia attacca i fotoricettori della luce, lasciando il resto della retina inalterato e funzionante. Per cui Argus II è in grado di riparare solo una vista limitata: "I pazienti possono riconoscere e localizzare semplici oggetti, vedere le persone di fronte a loro e riconoscerne i movimenti”, secondo i ricercatori di Second Sight.


Vedere anche con gli occhi chiusi: merito dell''occhio bionico Argus II A

Un occhio bionico, per la prima volta usato per ridare la vista a un uomo di 80 anni affetto da degenerazione maculare senile secca (AMD), una malattia che colpisce circa 20 milioni di persone in tutto il mondo. Grazie al sistema Argus II A, Ray Flynn è in grado di distinguere la sagoma di persone e oggetti, anche tenendo gli occhi chiusi, dimostrando così che non sta usando la rimanente visione naturale per individuare le forme e i contorni. Finora Argus II A era stato utilizzato in pazienti affetti da retinite pigmentosa pigmentosa ed è la prima volta che viene sfruttato per casi come quello di Flynn. A rivelare il successo dell'impianto è stato il dott. Paulo Stanga del Manchester Royal Eye Hospital. “Flynn è il primo paziente ad avere impiantato Argus II come parte di un processo che stiamo portando avanti e che mira a stabilire se i pazienti non vedenti con totale perdita della visione centrale a causa dell'AMD possono beneficiare di una retina artificiale”. La procedura per impiantare Flynn ha avuto luogo il 16 giugno ed è durata quattro ore. Il sistema però è stato attivato per la prima volta il 1° luglio. Le prove effettuate lo stesso giorno consistevano nel far guardare al paziente uno schermo invitandolo ad individuare i modelli in bianco e nero, a diversi orientamenti. Come funziona l'occhio bionico? Argus II A è in grado di convertire le immagini video,registrate da una minuscola telecamera che si trova negli occhiali indossati dal paziente in impulsi elettrici, poi inviati tramite wireless agli elettrodi che si trovano sulla superficie della retina. A loro volta, gli impulsi stimolano le cellule ancora presenti sulla retina portando il cervello a percepire forme di luce. La capacità di Flynn di identificare correttamente la direzione delle linee e la differenza tra le linee diagonali e orizzontali indicava che Argus II garantiva la funzionalità visiva centrale che non esisteva prima dell'intervento.

“I progressi del sig. Flynn sono davvero notevoli, l'uomo riesce a vedere la sagoma di persone e oggetti in modo molto efficace”. Piccoli miracoli della tecnologia e della medicina.

Da:

http://www.focus.it/scienza/scienze/leuropa-dice-si-allocchio-bionico
http://www.nextme.it/tecnologia/biotecnologie/9206-argus-ii-a-occhio-bionico-degenerazione-maculare

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venerdì 8 luglio 2016

EVOLUZIONE E...DNA ANOMALO


SEGNALATO DA CRISTIAN VITALI (http://ufoealtrimisteri.blogspot.it/)

Un Dna di 400 mila anni manda in Tilt gli Antropologi



Lo hanno estratto da un femore scoperto in una grotta spagnola. Ma anzichè aiutare nella comprensione dell’evoluzione umana, questo reperto aggiunge nuovi interrogativi e misteri: risale infatti a 400 mila anni fa e presenta una sequenza genetica non prevista. Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature. All’inizio, quell’osso era stato attribuito ad un Uomo di Neanderthal – la specie umana più diffusa in Europa fino al 30 mila a.C., quando si estinse per motivi ancora tutti da accertare. Invece il DNA ha raccontato una storia diversa: ha molti punti in contatto con l’Uomo di Denisova. Fino ad oggi, era noto solo grazie alle sequenze genetiche risalenti ad 80 mila fa recuperate da un fossile scoperto in Siberia. Dunque, qualcosa non torna dal punto di vista cronologico e geografico. Gli scienziati sono ora costretti a ripensare alla nostra evoluzione degli ultimi 400 mila anni.  Forse esistevano molti tipi diversi di popolazioni umane che si sono estinte e che non abbiamo ancora scoperto. Potrebbero esserci stati vari mescolamenti genetici, attraverso l’accoppiamento. “Al momento, abbiamo praticamente prodotto un grosso punto interrogativo“, ha ammesso Matthias Meyer, ricercatore di Antropologia evoluzionistica presso il Max Planck Institut di Lipsia, in Germania, e co-autore dello studio. Le ossa incriminate sono state rinvenute in una grotta denominata “Sima de los Huesos” (“Il pozzo delle ossa”), una cavità scoperta negli anni ’70. Negli ultimi 30 anni di scavi, da questo luogo sono emersi 28 scheletri umani quasi integri, risalenti a centinaia di migliaia di anni fa. “È un luogo davvero speciale”, ha confermato il dottor Juan Luis Arsuaga, paleoantropologo dell’Università Complutense di Madrid, responsabile degli scavi. Finalmente, è stato possibile estrarre il DNA da una di quelle ossa umane così antiche. “Solo un anno fa non saremmo stati in grado di farlo”, ha aggiunto Arsuaga. Basandosi sull’anatomia del fossile, il docente spagnolo era convinto che appartenesse ad un Neanderthaliano. Tutti si aspettavano che il test genetico confermasse questa ipotesi, ma il campione prelevato dall’osso non corrispondeva. Per questo, Matthias Meyer ha pensato di confrontarlo con il DNA del Denisovano: con sua grande sorpresa, ha scoperto grandi similarità. “All’inizio non potevamo crederci“, ha detto il genetista tedesco. “Abbiamo incrociato i dati più volte, per esserne assolutamente certi.” Ma la nuova scoperta non collima con l’idea dell’evoluzione umana immaginata finora. Gli antropologi avevano sempre circoscritto questo ominide evolutosi in modo parallelo al Sapiens in una precisa area geografica – l’Asia orientale- ed erano convinti che avesse una morfologia diversa da quella del Neanderthal. Inoltre, sulla base dei ritrovamenti precedenti, ritenevano che un nostro antenato diretto avesse condiviso, con queste altre due specie umane, un comune predecessore arrivato dall’Africa circa 500 mila anni fa.Le strade dei Neanderthal e dei Denisovo si sarebbero separate 300 mila anni fa, per dare origine a due diverse linee evolutive: i primi si sarebbero stanziati in Occidente, nell’odierna Europa, i secondi ad Oriente, quindi in Asia. Il nostro antenato sarebbe invece rimasto più a lungo in Africa, dove si sarebbe evoluto nell’ Homo Sapiens circa 200 mila anni fa per poi iniziare la sua conquista del mondo: 60 mila anni fa,  si diffuse ovunque, incrociandosi con le altre specie che finirono però con l’estinguersi, scomparendo per sempre. Ma adesso, secondo Arsuaga, bisogna ripensare tutta la nostra storia. Probabilmente l’Uomo di Denisova occupava un territorio molto più vasto del previsto- dalla Siberia fino alla Spagna –  ed era molto simile al Neanderthal. Forse, in quella caverna colma di fossili, ci sono gli scheletri dell’antenato comune tra le due specie. Una parte del suo DNA si sarebbe conservato in un tipo di ominide, per scomparire invece nell’altro, rimpiazzato da altre varianti. Beth Shapiro, esperta di paleogenetica presso l’Università della California a Santa Cruz, è su una posizione più radicale: quei reperti della Sima de Los Huesos apparterebbero ad un altro ramo dell’evoluzione umana, di quella specie detta Homo Erectus, sviluppatasi circa 1.8 milioni di anni fa e scomparsa qualche centinaio di migliaia di anni dopo. “Più sappiamo dal DNA estratto da queste ossa, più il quadro si fa complesso“, ha detto. È solo da 20 anni a questa parte che la scienza è in grado di analizzare geneticamente i fossili più antichi. Un’operazione piuttosto difficile. Quando un organismo muore, infatti, il suo DNA si disgrega e viene contaminato dal DNA batterico. Ricostruire le sequenze è un po’ come rimettere insieme i cocci di un vaso di cristallo andato in frantumi. Pioniere in questo campo è stato il ricercatore svedese Svante Paabo che nel 1997 è riuscito, per primo, a ricostruire il DNA di un Neanderthal risalente a 40 mila anni fa. L’intero genoma è stato mappato da Paabo, Meyer e da altri colleghi del Max Planck Institut nel 2010. Sono stati loro a dimostrare – test genetico alla mano – l’ibridazione tra questa specie umana estinta e il Sapiens avvenuta circa 50 mila anni fa. Sempre il centro tedesco ha poi sequenziato il genoma estratto da un dito scoperto in una caverna della Siberia, appurando che si trattava di un gruppo umano distinto e diverso da tutti gli altri, soprannominato da quel momento Homo Denisova, dal nome del luogo del rinvenimento. Ora, questo fossile spagnolo ha rimescolato tutte le carte in tavola e confuso le idee ai ricercatori. La speranza è di recuperare altro materiale genetico dalla Sima de los Huesos da poter esaminare e dal quale ricavare qualche informazione utile a risolvere l’enigma. “Per ora è estremamente difficile trovare un senso, siamo ancora piuttosto fuori strada”, ha confessato il dottor Meyer.


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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs








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martedì 5 luglio 2016

IL DNA E LA VITA DOPO LA MORTE


SEGNALATO DA MARCO VECCHI (OmPhi Labs):

“Ciao Marco,
come ben sai, da sempre le credenze esoteriche (vari "libri dei morti" tibetano, egizio, ecc.) nonché i sensitivi affermano che, nella maggior parte dei casi, l'anima del defunto resta collegata al corpo per alcun giorni, prima del distacco finale. E adesso scoprono che...”:

Studio: "Dna, la vita prosegue dopo la morte per quattro giorni"

Fenomeno osservato nei topi e nei pesci. Tra gli scenari, il miglioramento delle tecniche dei trapianti



Nel DNA la vita prosegue dopo la morte almeno per altri quattro giorni: è stato osservato nei topi e nei pesci, nei quali alcuni geni sembrano continuare a essere attivi per molte ore dopo la morte. Sono le conclusioni dello studio del microbiologo Peter Noble, dell'università di Washington a Seattle, per ora pubblicato sul sito BioRxiv, che non richiede la revisione della comunità scientifica, e citato sul sito della rivista Science. La scoperta potrebbe migliorare le tecniche per conservare gli organi destinati ai trapianti.
Quando un organismo vivente muore non sempre le funzioni vitali cessano nello stesso momento e alcuni processi interni possono proseguire per molte ore. In passato, analizzando cellule umane di sangue e fegato di esseri umani dopo la morte, alcuni studi avevano indicato che l'attività di alcuni geni proseguiva. Seguendo questa strada, Nobles è andato alla ricerca della possibile attività post mortem di oltre 1.000 geni in topi e pesci zebra, i pesci più studiati nei laboratori di genetica.
Ha scoperto così che centinaia di geni continuano a funzionare dopo il decesso, nei pesci anche dopo ben quattro giorni. Molti dei geni attivi svolgono attività necessarie all'organismo in momenti di emergenza, ma sorprendentemente sono risultati 'accesi' anche geni legati allo sviluppo dell'embrione e che restano silenziosi dopo la nascita, oppure altri che facilitano lo sviluppo di tumori. Questi risultati potrebbero aiutare a capire importanti problematiche legate ai trapianti e rivelarsi anche un ottimo strumento per la medicina legale.
"Questo risultato non mi sorprende e non gli attribuirei una rilevanza superiore a quella che ha realmente" avverte Carlo Alberto Redi, genetista e biologo all'Università di Pavia. "Stiamo parlando del fatto che la molecola del Dna, in certe condizioni, può mantenere la sua attività biochimica anche se l'animale a cui appartiene è morto. Sappiamo dagli studi paleontologici che persino alcuni tratti del genoma dell'uomo di Nearderthal si sono conservati integri fino a noi" continua Redi, "quindi non mi stupisce che uno o più geni possano esprimersi a qualche giorno dal decesso".



COMMENTO:
Chi mi segue, almeno dal 2014, sa bene che ho ampiamente trattato questi studi nei miei libri. Il sensazionalismo giornalistico purtroppo, non rende adeguata giustizia ai numerosissimi ricercatori che da molti anni cercano di portare avanti queste ri-scoperte, nonostante il disonesto ostruzionismo degli accademici di regime.

L’ultimo studio che ho pubblicato insieme con il Dr. Giorgio Pattera potrà essere una fonte di approfondimento per coloro che vogliono saperne di piu’.

MLR


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venerdì 1 luglio 2016

UN MONDO APERTO INIZIA DA UNA MENTE APERTA: THE DNA JOURNEY




GRAZIE A MARCO VECCHI (OmPhi Labs):

Viaggiare apre le nostre menti…e ci apre al mondo.

"Quando viaggiamo, ci immergiamo in culture e costumi diversi. Abbracciare queste nuove esperienze, ci aiuta a superare i limiti che esistono oggi: i limiti che ci spingono a pensare che ci siano più cose a dividerci che a unirci.

Guardando al di sotto dei panorami, dei suoni e degli odori travolgenti di un altro paese, troverai che siamo molto simili. La maggior parte di noi ha infatti molto più in comune con le persone di altri paesi di quanto si possa pensare".


link sotto video con sottotitoli in italiano:


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