Alluminio nei vaccini: nuovo studio
scientifico proverebbe che non è dannoso.
Prima era il mercurio, oggi è
l’alluminio. Più di tutte le altre sostanze, infatti, l’idrossido di alluminio – un
adiuvante utilizzato per amplificare la risposta immunitaria stimolata da un
vaccino – è diventato oggetto principale delle critiche NoVax in merito
alla sicurezza sanitaria delle pratiche vaccinali. Che dal punto di vista
scientifico non ci siano evidenze sulla pericolosità dell’alluminio presente
nelle soluzioni iniettate non è certo una novità. Un recente studio clinico confermerebbe
l’inconsistenza delle tesi allarmistiche sull’alluminio ed è stato
appositamente concepito proprio con l’intento di analizzare le obiezioni
specifiche che la comunità antivaccinista solleva più spesso. Il paper, uscito
a inizio primavera, è stato pubblicato sulla rivista Academic Pediatrics, un
giornale di impact factor intermedio e i cui articoli sono sottoposti a
procedura di peer review. Va detto: non si tratta di uno studio particolarmente
esteso (ha coinvolto poco meno di 100 bambini di un unico centro di ricerca) né
di straordinaria autorevolezza, ma è interessante poiché ha indagato
specificamente le tesi più presenti nella discussione sui social e sui
giornali.
Un po’ di numeri sull’alluminio:
La prima domanda a cui si è tentato
di dare risposta è: quanto alluminio viene iniettato con le vaccinazioni e,
soprattutto, che fine fa? Ciascuna dose di vaccino contiene da 0,125 a 1,5
milligrammi di alluminio (a seconda della formulazione specifica), dunque in un
anno un bambino ne riceve al più una decina di milligrammi. Il numero di per sé
è poco significativo, ma ha senso confrontarlo con le altre possibili fonti di
assunzione di alluminio, il cosiddetto alluminio ambientale. Prendendo un arco
temporale di riferimento di un anno, come ricorda Skeptical Raptor, un bambino
allattato al seno ingerisce 14 milligrammi di alluminio, che diventano 76 con
il latte artificiale e 234 con quello di soia. Poi c’è la respirazione: dato
che ogni metro cubo d’aria contiene circa mezzo microgrammo di alluminio,
grossomodo un bambino ne inspira ogni anno da 1 a 10 milligrammi, a seconda
della qualità dell’aria. Da adulti, poi, sia tramite l’alimentazione sia per
via della maggiore capacità polmonare, le quantità di alluminio assunte sono
significativamente maggiori. Anche nella migliore delle ipotesi, dunque, la
quantità di alluminio che comunque entra nel corpo del bambino è leggermente
maggiore di quella iniettata tramite i vaccini. Più spesso, la differenza
arriva anche a uno o due ordini di grandezza. A questo va aggiunto che
normalmente l’alluminio non si accumula nel nostro organismo, ma viene
prontamente espulso grazie all’attività renale. Ciò che rimane può essere
comunque misurato grazie a raffinate tecniche di spettroscopia di massa, capaci
di determinarne la concentrazione ad esempio nel sangue e nei capelli. Il
gruppo di ricerca dell’ospedale pediatrico di Boston, in particolare, ha
confrontato le concentrazioni di alluminio presenti a livello ematico e nei
capelli tra bambini vaccinati e non. Che cosa si è trovato? Non c’è alcuna
correlazione tra il numero di vaccinazioni a cui si è stati sottoposti e la
concentrazione di alluminio residuo presente nel nostro corpo. La quantità di
alluminio presenta una forte variabilità da soggetto a soggetto in base a una
moltitudine di fattori, fra cui anche l’età, ma non c’è alcun legame
statisticamente rilevante con la storia vaccinale. Vaccinarsi, dunque, non fa
aumentare la quantità di alluminio presente nel nostro corpo, al netto
dell’attività renale.
Alluminio e disturbi cognitivi:
La tipica tesi sulla pericolosità
dell’alluminio presente nei vaccini si compone di due parti: più vaccini
significano più alluminio nel corpo (ipotesi già smentita) e poi l’alluminio in
eccesso determina lo sviluppo di disturbi cognitivi. Anche per quest’ultimo
punto i ricercatori hanno misurato le quantità di alluminio presenti nel sangue
e nei capelli dei bambini sani, confrontandole con quelle di bambini affetti da
patologie di vario genere che riguardano l’apprendimento e il linguaggio.
Analizzando i dati, si è visto che non solo in generale manca un legame tra
livelli di alluminio e lo sviluppo dei disturbi, ma che anzi per alcune
patologie specifiche è possibile esista una correlazione inversa, ossia che più
alluminio determini una minor probabilità di sviluppare il disturbo.Si tratta
di un’ipotesi ancora da approfondire, ma potremmo arrivare alla situazione
paradossale in cui assumere alluminio diventa un buon modo per limitare
l’incidenza proprio di quei disturbi cognitivi che oggi qualcuno (senza
fondamento scientifico) ancora imputa all’alluminio. Con più probabilità, come
ricordano gli stessi autori dello studio, ricerche più approfondite
dimostreranno che la concentrazione di alluminio è scollegata allo sviluppo di
disfunzioni motorie, dello sviluppo o cerebrali.
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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
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