Perché in Italia la cannabis terapeutica di
stato rischia di non funzionare
da: http://newscdn.newsrep.net/h5/nrshare.html?id=038C2168D910100001_it&r=3&lan=it_IT&pid=14&app_lan=&mcc=222&declared_lan=it_IT&pubaccount=ocms_0&referrer=200620&showall=1&mcc=222
Lucia Spiri ha 36 anni e vive a
Racale, un piccolo paese in provincia di Lecce. A 18 anni, poco prima
dell'esame di maturità, le viene diagnosticata la sclerosi multipla. Per anni
si è sottoposta a cure lunghe e pesanti a base di antidepressivi, antiepilettici
e chemioterapici. Nel 2011, stanca di non avere alcun beneficio, ne ha
cominciata una a base di cannabis. Oggi ne assume tra i sette e i dieci grammi
al giorno tramite olio, capsule, estratti e vaporizzazione, e la sua vita è
decisamente migliorata: quando riesce a mantenere la continuità terapeutica ha
appetito, è di buon umore, non ha rigidità alle gambe, ha meno tremori e riesce
anche ad alzarsi dalla sedia a rotelle e a fare una serie di cose che prima non
riusciva a fare. “La cosa che più mi fa piacere è sentirmi dire 'Lucia, ti vedo
bene', invece del solito 'come stai' che il più delle volte viene detto con il
timore di avere di fronte una persona che sta vivendo una situazione di
difficoltà”, dice. Il caso di Lucia è analogo a quello di migliaia di persone
che in Italia oggi hanno visto la propria vita migliorare grazie alla cannabis
terapeutica. Malati di sclerosi multipla o che hanno subìto lesioni al midollo
spinale che la usano come analgesico; pazienti in chemioterapia o radioterapia
che la prendono contro nausea e vomito; malati di aids o anoressia nervosa che
la usano per stimolare l'appetito; persone con la sindrome di Tourette che la
utilizzano per ridurre i movimenti involontari del corpo. Anche se non esiste
un dato preciso su quante siano, si può dire che il loro numero è in costante
aumento. Basti pensare che tra il 2014 e il 2016 il consumo di cannabis medica
è passato da 20 chilogrammi a oltre cento all'anno. Due obiettivi In Italia la possibilità
di ricorrere legalmente a farmaci cannabinoidi esiste dall'aprile del 2007. In
questi dieci anni i pazienti hanno potuto usare solo i prodotti della Bedrocan,
e in alcuni casi c'è chi ha dovuto pagare fino a 70 euro al grammo per la
cannabis olandese, un prezzo proibitivo per la maggior parte dei malati. Per la
prima volta, dal gennaio 2017 è possibile comprare anche la Fm2, la cannabis
prodotta nello stabilimento militare di Firenze, l'unico autorizzato dal
governo a coltivarla. Un'iniziativa ambiziosa che ha suscitato attenzione anche
all'estero. L'Italia è infatti il primo paese in Europa a tentare un approccio
industriale in questo settore. L'intera filiera è sotto il controllo
dell'agenzia italiana del farmaco (Aifa), che registra e regolamenta le
attività in collaborazione con i ministeri della difesa e della salute.
L'operazione ha due obiettivi. Da
un lato, allinearsi agli studi scientifici sui benefici terapeutici della
sostanza. Dall'altro, costruire un apparato produttivo capace di evitare i
costi dell'importazione (la cannabis medica italiana costa circa 15 euro al
grammo, quella olandese tra i 18 e i 22) e garantire che la materia prima sia
sempre disponibile. Tuttavia, nonostante l'entusiasmo iniziale, il progetto si
è scontrato con una realtà particolarmente complessa e, a conti fatti, stenta a
decollare. Le zavorre che non gli hanno permesso di farlo sono essenzialmente
tre. Le reazioni dei pazienti Per prima cosa, l'accoglienza riservata all'Fm2
da parte di chi l'ha usata è stata quantomeno discordante. Lucia, ad esempio,
pur riconoscendo che si tratta un prodotto con un buon potenziale, lamenta il
fatto che per ottenere gli stessi effetti dell'olandese Bediol ha dovuto
aumentare le dosi e che l'Fm2 le è stato imposto senza lasciarle libertà di
scelta. Critico è anche Carlo Monaco, fondatore di Canapa caffè, locale a Roma
dove si può consumare la cannabis terapeutica in una therapy room e comprare
prodotti a base di canapa. “La genetica è buona”, spiega Monaco, “ma la
cannabis ci arriva troppo macinata e questo comporta dei problemi a chi come me
la assume tramite vaporizzazione. Inoltre, dopo qualche utilizzo mi fa venire
la nausea”. Possono sembrare banali problemi di praticità di utilizzo del
prodotto e di gusto, ma in molti casi questi non sono aspetti secondari. Monaco
soffre di anoressia nervosa e spiega: “Per una patologia come la mia, il sapore
è fondamentale, perché serve a stimolare l'appetito”. Paragonando la cannabis
prodotta in Italia a quella olandese, aggiunge che “quella coltivata
dall'esercito è sotto la media, da rivedere. Per ora in molti qui a Roma
preferiscono pagare per continuare a comprare quella olandese”. Lo scorso
aprile, il mensile Il Salvagente ha pubblicato un articolo sui risultati del
confronto dell'Fm2 con i farmaci olandesi Bediol, Bediolite e Bedrocan. I
redattori hanno fatto analizzare in laboratorio i campioni dei quattro
medicinali per capire se i princìpi attivi dichiarati nell'etichetta fossero
quelli effettivamente presenti nel prodotto. Secondo le analisi, l'Fm2 rispetta
i valori dichiarati; mentre nel caso delle varietà olandesi i risultati parlano
di prodotti con una quantità di delta-9-tetraidrocannabinolo (thc) leggermente
superiore a quella indicata. Del resto, se è vero che il primo impatto con
l'Fm2 per alcuni non è stato positivo, va detto che per altri, soprattutto
quelli che l'hanno assunta sotto forma di olio, è stato più che soddisfacente. Franca
Brescia, 45 anni di Mantova, ha visto la propria vita cambiare da quando ne fa
uso. “Fino a qualche mese fa, cioè prima che cominciassi una terapia a base di
Fm2, provavo una stanchezza continua, come se fossi senza energia”, spiega.
“Tra il 2004 e il 2008 ho subìto quattro interventi tra la spina dorsale e il
cervelletto dovuti a una malattia rara, la sindrome di Arnold-Chiari, e non mi
sono mai ripresa del tutto. Oggi grazie alla cannabis riesco a lavorare tutto
il giorno, cosa che prima non riuscivo a fare assolutamente, e per la prima
volta ho iniziato a pensare che col tempo riprenderò la mia vita di prima”. È
positivo anche il riscontro di Paolo Poli, direttore del reparto di terapia del
dolore dell'ospedale Santa Chiara di Pisa e presidente della Società italiana
ricerca cannabis. “Per il momento, l'esperienza con l'Fm2 è buona”, afferma
Poli, che dal 2012 ha curato più di 2.500 pazienti con la cannabis medica.
“Dall'inizio dell'anno ho dirottato molti pazienti dal Bediol verso l'Fm2, e
nessuno ha avuto da ridire”. Come si conciliano dunque le reazioni differenti
dei pazienti, e le loro critiche, con i risultati delle analisi in laboratorio
fatte fare da Il Salvagente?
Che il gradimento dell'Fm2 sia
soggetto a interpretazioni opposte lo sa bene anche il colonnello Antonio
Medica, direttore dello stabilimento di Firenze. La struttura occupa un'area di
circa 55mila metri quadrati nel quartiere di Rifredi ed è protetta da alte mura
bianche. In un ampio ufficio, il colonnello mi spiega che “la cannabis è una
sostanza dalle potenzialità terapeutiche straordinarie, ma bisogna tenere in
considerazione che stiamo parlando di un fitocomplesso in cui, a differenza di
farmaci classici dotati di un singolo principio attivo, agiscono circa 500 tra
cannabinoidi, terpeni, clorofille e alcaloidi, alcuni dei quali presentano
attività che non sono ancora del tutto chiare”. “Da un punto di vista clinico”,
prosegue Medica, “è l'interazione di tutti gli elementi, e non solo l'azione di
thc e cannabidiolo (cbd), a conferire alla cannabis la sua efficacia terapeutica
complessiva. Ed è proprio questa complessità quella che porta ad una differente
ricezione da parte di ogni singolo paziente. Inoltre, l'effetto finale non è
dato solo dalla coltivazione, ma anche dal tipo di preparazione galenica fatta
nei laboratori delle farmacie”. Quello che si chiedono i più critici è se l'Fm2
non sarebbe potuto essere un prodotto compiuto sin da subito. “Nessuno di noi
ha mai detto che saremmo usciti sul mercato con un prodotto impeccabile”,
afferma il colonnello, “per questo le critiche che riceviamo ci aiutano”.
Medica è consapevole che il margine di miglioramento è ancora ampio. “La scelta
di macinare le infiorescenze, per esempio, è stata dettata dalla volontà di
omogeneizzare i princìpi attivi”, dice, “ma siamo consci che dobbiamo trovarne
una che funzioni di più e siamo già al lavoro per farlo”. “Stiamo inoltre anche
lavorando per trovare forme di estrazione più pratiche”, aggiunge, “e per
diversificare la nostra offerta. Per esempio, presto comincerà una coltivazione
sperimentale il cui obiettivo è quello di ottenere un prodotto privo di cbd e
con un contenuto maggiore di thc”. Medica si riferisce all'Fm19, una varietà
simile al Bedocran: per produrla sarà recuperata un'area di 600 metri quadrati
sulle colline di Rifredi, in un capannone dove trent'anni fa si fabbricava
sapone. L'investimento iniziale sul progetto italiano è stato di un milione di
euro, sufficienti per coprire i costi per la produzione dei primi mille
chilogrammi di cannabis. “L'obiettivo”, spiega Medica, “è quello di raggiungere
un regime produttivo in grado di assicurare cento chilogrammi entro la fine del
2017, e arrivare un giorno a coprire l'intero fabbisogno nazionale, attualmente
stimato in circa trecento chilogrammi all'anno”. Disinformazione e farmacie
Oltre alle critiche dei consumatori, l'Fm2 soffre anche di alcuni problemi
legati sia alla mancanza di comunicazione per farla conoscere ai medici sia
alla distribuzione nelle farmacie. “I medici che la conoscono e la prescrivono
sono pochissimi e questo complica le cose”, afferma Marco Ternelli,
proprietario di una farmacia a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, e
responsabile di farmagalenica.it. “Rispetto ai farmaci tradizionali, la
cannabis ha tempi di scadenza molto più brevi e non può essere lasciata nei
magazzini troppo a lungo”, spiega. E aggiunge: “Il guaio è che le prescrizioni
sono così poche che non creano mercato, e nel caveau dello stabilimento
rimangono quantità così ingenti che poi arrivano ai pazienti con scadenze
troppo ravvicinate, a volte di un solo mese, come sta accadendo con questo
primo stock”. Secondo Ternelli, l'Fm2 è stata penalizzata anche da problemi di
distribuzione: “La prima volta che l'ho ordinata ci ha impiegato un mese ad
arrivare, la seconda 22 giorni. Sono tempi decisamente troppo lunghi,
soprattutto se si considera che nelle terapie a base di farmaci cannabinoidi la
continuità terapeutica è imprescindibile”.
Il basso tasso di prescrizione
rientra in un contesto nazionale in cui la cannabis è un'opzione terapeutica a
cui si ricorre ancora poco rispetto ad altri paesi, complice anche una legge
che ne prevede l'uso solo nel caso in cui il trattamento con antinfiammatori
non steroidei, farmaci cortisonici o oppioidi si riveli inefficace. Tenere
conto fedelmente delle indicazioni terapeutiche e posologiche del farmaco è
fondamentale ed è responsabilità dei medici. “È un lavoro complesso, che
richiede parecchio tempo. Capisco che molti non vogliano fare”, afferma Poli,
che per assistere i suoi molti pazienti all'ospedale di Pisa si avvale della
collaborazione di tre assistenti. “Prima di tutto è fondamentale trovare il
dosaggio adatto per ogni singolo paziente, che viene poi seguito nel tempo per
vedere se e come risponde alla terapia”. Ma secondo Poli esiste anche un motivo
scientifico dietro la ritrosia dei medici a prescrivere cannabis per scopi
terapeutici. “È vero che su PubMed oggi ci sono più studi sulla cannabis che
sul paracetamolo, ma sono perlopiù studi generici che non contribuiscono ad
ampliare la conoscenza dei singoli princìpi attivi”. “Quando si parla di
cannabis medica si parla di una sostanza conforme a tutti i più alti standard
farmaceutici europei, e non della classica cannabis di strada che può contenere
di tutto”, afferma Poli. La mancanza di chiarezza crea un clima di diffidenza,
a cui contribuisce in larga parte un discorso pubblico avvelenato da posizioni
ideologiche e poco informate. “Molti medici italiani non conoscono le
potenzialità terapeutiche della cannabis e quindi non la prescrivono, perché in
generale, la mentalità è ancora molto arretrata”, afferma Daniele Conti,
responsabile area progetti dell'Associazione malati reumatici Emilia-Romagna.
“Qui una delibera regionale stabilisce che tutti i medici possono prescrivere
cannabis terapeutica con ricetta elettronica. Ma quelli che lo sanno fare sono
veramente pochi, colpa anche del fatto che in Italia le istituzioni non fanno
informazione scientifica”. A ciò si aggiunge un atteggiamento ambiguo da parte
dello stato nei confronti delle farmacie. Il caso più paradossale, e al tempo
stesso più emblematico, è senza dubbio quello della multa di oltre ottomila
euro inflitta lo scorso maggio a sei farmacie che preparavano, tra gli altri,
farmaci a base di cannabis. La colpa di queste farmacie sarebbe, secondo il
ministero della salute, il fatto di essere presenti su motori di ricerca come
Let's Weed o Cercagalenico – dove si trovano le farmacie che effettuano
preparazioni a base di cannabis – e per questo di aver violato il divieto di
propaganda diretta e indiretta di sostanze stupefacenti. “Per un farmacista,
secondo il ministero, anche solo pronunciare la parola cannabis equivale a fare
pubblicità. Io non potrei in assoluto parlarne”, dice Paolo Mantovani, titolare
della farmacia San Carlo a Ferrara, uno degli esercizi sanzionati, controllato
all'inizio del 2017 anche dai nuclei antisofisticazioni e sanità dei
carabinieri. “Ora dovremo comparire davanti a un giudice, spendere soldi e
perdere tempo semplicemente perché un paziente non può sapere quali sono le
farmacie che hanno laboratori attrezzati per questo tipo di preparazioni. Io
capisco che la cannabis, in quanto stupefacente, sia un argomento da trattare
con le pinze. Ma il mondo è andato avanti, e internet e i social network
cadenzano il ritmo della nostra vita, che ci piaccia o meno, non possiamo non
stare anche lì”, aggiunge Mantovani. In effetti, basta fare un giro sul web o
parlare con qualche malato per capire quanta confusione ci sia sulla cannabis
terapeutica. Per questo i malati diventano spesso attivisti. Come Elisabetta
Biavati, 49 anni di Bologna affetta da fibromialgia, che lo scorso anno ha
aperto su Facebook il gruppo Dolore e cannabis terapeutica (3.500 iscritti).
“Oggi un paziente che volesse essere trattato con la cannabis terapeutica deve
fare i conti con l'assenza quasi totale di indicazioni chiare sui medici a cui
rivolgersi e, una volta ottenuta la prescrizione, sul come, da chi e dove farsi
preparare il prodotto galenico”, dice. “Io stessa sono stata costretta a
infiniti pellegrinaggi prima di riuscire a raggiungere il regime di cura
attuale”. Disparità di trattamento Un'ulteriore criticità è legata al
differente trattamento che i malati possono ricevere anche vivendo a distanza
di pochi chilometri l'uno dall'altro. Dipende tutto dalla regione in cui
abitano, visto che parecchie non prevedono rimborsi a carico del servizio
sanitario regionale. Cosa significa concretamente me lo spiega Andrea
Mastrangelo, 36 anni, abruzzese, che soffre di esostosi multipla ereditaria,
una rara patologia congenita che colpisce l'apparato osteoarticolare: “Data la
sua natura, il mio disturbo non ha indicazioni terapeutiche e quindi non è presente
nella lista di patologie per le quali si ha accesso ai farmaci cannabinoidi
gratuiti. La cannabis però mi aiuta a dormire e a superare i momenti in cui il
dolore è davvero forte, e se voglio continuare a seguire l'attuale regime
dovrei assumerne circa 30 grammi al mese, e spendere così sui 400 euro”. Oggi
la cannabis terapeutica è a carico del servizio sanitario solo in undici
regioni. Quindi, dal momento che in questo tipo di terapie assumerla
quotidianamente è fondamentale, per farlo molti pazienti sono costretti a
pagare cifre consistenti. Me lo conferma anche William Verardi, uno dei
fondatori dell'associazione LapianTiamo: “Qui in Puglia ci sono persone che
arrivano a spendere più di mille euro al mese per curarsi”. Per superare il
problema, Verardi si batte da tempo per l'autoproduzione, che però il tar del
Lazio ha vietato. “È l'unica soluzione, soprattutto dove il servizio sanitario
non copre le spese”, dice Verardi. Qualche anno fa, LapianTiamoera riuscita a
comprare un capannone di seimila metri quadrati a Racale per produrre un
prodotto simile al Bedrocan. “Con la regione Puglia, quando c'era Nichi
Vendola, siamo andati vicini ad avere l'autorizzazione per un progetto pilota
che prevedeva il coinvolgimento di esperti di tutto il mondo. Poi però il
governo ha deciso di centralizzare la produzione senza nemmeno fare una gara di
appalto”, spiega Verardi. “Quello che chiediamo è semplicemente un maggiore
coinvolgimento dei pazienti, perché è solo tramite le loro esperienze che si
può migliorare”. A guardare il quadro nel suo complesso, quello che si coglie è
che per la prima volta in Italia lo stato produce un prodotto a base di
cannabis che ha il potenziale per aiutare molte persone, facendolo pagare meno
rispetto a quello comprato all'estero. Ma le istituzioni finora non hanno
valutato tutte le criticità, e altre ne hanno sottovalutato, tanto da impedire
alla cannabis medica di diffondersi come opzione terapeutica. Affrontare il
dibattito in maniera più obiettiva, e senza contrapposizioni ideologiche,
facendo leva sulle conoscenze che associazioni e malati già hanno in questo
campo, gioverebbe a tutti. Specialmente
ai malati.
fonte:
http://newscdn.newsrep.net/h5/nrshare.html?id=038C2168D910100001_it&r=3&lan=it_IT&pid=14&app_lan=&mcc=222&declared_lan=it_IT&pubaccount=ocms_0&referrer=200620&showall=1&mcc=222
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