"Una coppia sta
facendo una passeggiata sulla spiaggia, in una giornata tiepida con un forte
sole e senza vento. Fino al giorno prima c'èra stata tempesta e ampie
mareggiate. La spiaggia oceanica è costellata di stelle marine che le onde
potenti hanno vomitato sulla battigia. La donna prende a un certo punto una
stella marina e la ributta in acqua. L'uomo le chiede: "che cosa
fai?". E lei risponde: "E' un animale vivo, anche se invertebrato è
pur sempre un animale, fuori dall'acqua sopravvive per almeno due giorni, è
ancora vivo. Se ne muoiono tante si spezza l'equilibrio armonico della
natura". L'uomo non dice nulla. Proseguono nella loro passeggiata e ogni
tanto lei ne sceglie una e va a rimetterla nell'acqua. A un certo punto, l'uomo
le dice: "Tu sei matta! Non penserai mica di produrre una qualche
differenza per il fatto che rimetti in acqua qualche stella marina! Che
differenza fa?".
Lei lo guarda e gli
dice: "Prova a chiederglielo a quelle stelle marine se fa o non fa
differenza!".
di: Sergio Di Cori Modigliani
Considerando la citazione di Murakami, nell'immagine qui
sopra in bacheca ("se voi leggete soltanto i libri che tutti stanno
leggendo, voi potete pensare soltanto ciò che tutti gli altri stanno
pensando") si potrebbe sostenere che l'attuale situazione politica
italiana corrisponda alla perfezione a quella del mondo mentale in cui vivono
Fabio Volo, Maurizio Gramellini, Luciana Litizzetto, Bruno Vespa e il resto
della compagnia cantante che vi guarda dagli scaffali delle librerie, che ben
giustifica il fatto che il nostro paese abbia raggiunto nel 2013 il penultimo
gradino in occidente come indice di lettura. L'ultimo paese è il Guatemala, la
nazione più violenta e degradata del continente americano.
Il Censis ha sintetizzato lo stato della nazione definendoci
un "paese sciapo e infelice". Considero questa definizione come la
caratteristica di ogni etnia che abbia dimenticato il piacere del racconto, il
gusto per la narrazione, la volontà di conoscere mondi mentali altri attraverso
la lettura di romanzi.
I dati ufficiali parlano chiaro: negli ultimi quindici mesi
sono stati pubblicati e distribuiti circa 800 nuovi titoli relativi alla crisi
economica, scritti da economisti, giornalisti esperti in materie economiche,
aspiranti economisti, economisti professionisti, economisti dilettanti.
Inevitabile sentirsi sciapi e infelici.
E' il risultato di una diabolica e ben ideata trappola del
potere oligarchico che si è avvalso della indispensabile collaborazione della
cupola mediatica per far credere agli italiani che la crisi nella quale il
paese è precipitato sia di natura economica. Non lo è.
Se così fosse, quella minima percentuale (8%) che possiede
il 72% della ricchezza collettiva, già da lunghissimo tempo avrebbe preso i
componenti dell'intera classe politica dirigente, li avrebbe legati con una
fune, li avrebbe buttati nel mare Mediterraneo con un bel calcione e li avrebbe
sostituiti con altri soggetti in grado di varare le necessarie riforme per la
ripresa della nazione.
Invece, questa classe politica è stata, ed è tuttora,
perfettamente funzionale ai loro interessi.
Tanto è vero che gli stessi dati del Censis ci informano che
il 6% della popolazione italiana (i più ricchi, tanto per intendersi) nel 2011
hanno aumentato la propria quota di ricchezza nell'ordine dell' 11% rispetto al
2010; nel 2012 del 17% e in questo 2013 viaggiano verso un pimpante 23%,
poichè, le loro tasse si sono abbassate del 9% e godono di nuovi incentivi,
sconti, privilegi.
L'Italia, come nazione, è la terza al mondo (dopo il
Giappone e la Gran Bretagna) come quantità di consumo interno nel genere lusso
(gioielli, mobili antichi, automobili da 80.000 euro in su, yacht da diporto,
compravendita di immobili di prestigio, alta moda firmata, collezionismo, arte
antica e moderna) e prima al mondo sia come volume d'affari che come quantità
di prodotti venduti nella sezione "alta qualità del consumo interno nel
genere lusso".
L'Italia è ancora la più ricca nazione d'Europa, con il più
alto numero in assoluto di miliardari e la più vasta quantità di depositi
bancari del continente, che superano un milione di euro in risparmio contante.
La composizione sociale di questa classe anonima è molto
diversa rispetto a 30/40 anni fa, quando la matrice aristocratica, insieme al patrimonio familiare, tramandato
attraverso i secoli, svolgeva ancora un ruolo importante in campo finanziario,
economico, produttivo e investiva nella
cultura.
Tra tutte le nazioni ricche d'occidente (le prime 20)
l'Italia è oggi quella con la più bassa e triste percentuale di investimento da
parte dei ricchi nel campo dell'editoria, del cinema, del teatro, della ricerca
scientifica, dell'arte, insomma della cultura e dell'innovazione. Quasi
nulla: viaggia intorno a un 1% (in Usa è
il 26%, in Francia è il 29%, in Gran Bretagna è il 22%).
A mio modesto parere, si trova in questa analisi scomposta
dei dati la chiave della infelicità.
E' stato calcolato che negli ultimi 30 anni c'è stato un
sommovimento di capitali familiari dell'ordine di circa 5.000 miliardi di euro
che hanno dato vita a nuove famiglie e dinastie la cui caratteristica
principale consiste nella scelta di non investire in attività culturali e
scientifiche. Il motivo è semplice e banale: sono territori che non
frequentano, sono dimensioni che non praticano, sono spazi mentali che non si
sono mai insediati nella loro mente.
La corruttela è il loro più grande alleato, poichè, grazie
alla diffusione di massa della corruzione sia istituzionale che privata, si
sono assicurati la garanzia di un crollo della domanda interna sia di cultura
che di arte e di scienza. Non essendoci offerta, poco a poco la domanda ha
cominciato a diventare sempre più timida, si è poi trasformata in una
caratteristica a dir poco eroica, e alla fine è svanita nel nulla.
Da qui, secondo me, il sapore sciapo dell'esistenza degli
italiani.
Questa nazione vive ormai dando per scontato che si può
esistere senza grandi romanzieri, grandi registi, grandi pittori, grandi
fotografi, grandi designer, grandi architetti, grandi intellettuali, grandi
ingegneri, grandi scienziati. Tutti questi esistono pure, ne sono sicuro, il
genio italiano creativo è un fatto e un dato reale della nostra splendida e
martoriata etnia, ma vivono suddivisi in due ampie fasce: quella degli
auto-esiliati all'estero, dove vengono sempre apprezzati e riconosciuti e
quella dei clandestini invisibili in patria.
La crisi economica, quindi, è il risultato di una crisi di
valori, forse pianificata, voluta, architettata in maniera strategica (o forse
no) che ha portato all'accumulo di ricchezza e alla sottrazione di capitali di
qualità da investire nel mercato interno.
L'Italia non scomparirà, finirà per diventare come l'Arabia
Saudita dove il 2% della popolazione possiede il 97% della ricchezza collettiva
e il 98% della popolazione se la deve cavare distribuendosi il 3%.
Questa è la tendenza in atto nel nostro Paese.
E ci vogliono far credere che sarà una teoria economica (e
perfino una teoria monetaria) che risolverà
i problemi.
L'Italia può uscire domattina dall'euro, uscire dalla Unione
Europea, staccarsi con una sega dalle Alpi diventando un' isola: non
cambierebbe nulla.
Perchè non è quello il problema.
Il vero problema è la scomparsa dei valori di riferimento
culturali trainanti, la genesi di un immaginario collettivo analfabeta, privo
di sostanza ma pieno di illusioni, la rinuncia, da parte dei soggetti politici,
dei partiti, dei sindacati, a chiedere e pretendere l'unica risposta sensata,
pragmatica, efficace: una redistribuzione immediata e più equa della ricchezza
nazionale, esigendo che coloro che detengono la ricchezza investano sul
territorio nazionale, a lungo termine, nei campi strategici della ideazione e
della manifattura italiana, dall'arte all'agricoltura, dalla scienza
all'innovazione.
Per far ciò non c'è bisogno di leggi, è necessario un cambio
di passo nella prospettiva, alimentando la mente che compone l'immaginario
collettivo del paese di nuove suggestioni.
La doppia aggettivazione del Censis (non a caso passata in
cavalleria senza neppure una intervistina di due minuti ai ricercatori che
l'hanno condotta, chiedendo loro ulteriori dati a suffragio della statistica)
quella del paese "sciapo e infelice" è stato un input forte e poteva
e doveva essere una buona occasione di riflessione collettiva, chiamando la
classe dirigente imprenditoriale ad assumersi le proprie responsabilità.
Senza investimento nella cultura e nella scienza, senza
redistribuzione della ricchezza operativa, che non peschi soltanto nelle
clientele partitiche, questo paese non ha neppure una probabilità su cento di
riprendersi mai. E non serve a nulla leggere avidamente interminabili serie di
grafici, numeri, teorie, statistiche proiettive, se non si comincia ad
modificare le sinapsi del proprio immaginario collettivo, sottraendosi alle
sirene ormai sfiatate della cupola mediatica, che impone ormai il veleno della
falsa idea di una crisi economica che sta producendo sfracelli.
C'è una salda oligarchia al comando che se la passa
benissimo, che è contentissima di come vanno le cose e che investe la propria
energia e quattro soldi quattro per abbassare il livello e far sì che non parta
mai la domanda.
Così in Italia, oggi.
Prosegui la lettura qui…
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2 commenti:
e anche tu hai ragione
Ci vorrebbe qualcuno cha facesse da forza trainante... e qualche voce isolata c'è, suvvia! Anche uno spirito troppo negativo finisce con il favorire lo sfascio generale.
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