di Marco La Rosa
"Umani per caso", scriveva Piergiorgio Odifreddi,
nell'articolo-intervista, che fece al Genetista Luca Cavalli -Sforza, ordinario
all'Universita di Stanford, il 21 Dicembre del
2007.
Il Prof. Cavalli Sforza, ha lavorato per oltre
cinquant'anni in un area di ricerca che si potrebbe definire:
"antropologia genetica", e che cerca di ricostruire la storia
dell'uomo e delle sue migrazioni, a partire da un'analisi della variabilità
genetica delle popolazioni.
PRIMA
INTERVISTA:
"Tutti discendiamo da una stessa madre africana"
"Lei
Prof. Sforza dice spesso che siamo tutti africani.
"L'inizio
della nostra specie è in Africa orientale. Per
molto tempo ci siamo riprodotti lentamente, per la scarsezza del cibo: eravamo
cacciatori e raccoglitori. Non sappiamo con esattezza quanti fossimo, forse fra
i 100 mila e un milione. Ma intorno a 10 mila anni fa eravamo circa 5 milioni.
A quel punto, in tutti i posti in cui c'erano forti concentrazioni di persone
sono cominciate l'agricoltura e l'allevamento: la produzione di cibo".
E
discendiamo da un'unica madre...
"Tutti
noi abbiamo nelle cellule dei mitocondri (organi addetti alla respirazione
cellulare, costituiti da sacchette contenenti enzimi respiratori, ndr), che si
trasmettono soltanto per via materna. Andando avanti, i mitocondri delle donne
senza figlie si estinguono. Risalendo invece all'indietro, si arriva sempre a
trovare quello che si chiama l'ultimo antenato comune: una donna da cui discendono
tutti i mitocondri odierni, che è l'Eva africana. All'epoca
c'erano molte altre donne, ma i loro mitocondri si sono estinti nel corso del
tempo".
C'è anche un Adamo?
"Sì. E' determinato in maniera analoga, guardando al cromosoma
Y, che è trasmesso dal padre ai figli
maschi".
Ed è contemporaneo a Eva?
"No.
Eva potrebbe avere tra i 200 mila e i 130 mila anni, Adamo sui 100 mila. Il
motivo è che gli uomini hanno più figli, perché sono più facilmente poligami delle donne. Si sposano più tardi e hanno meno generazioni. Ma muoiono in maggior
percentuale delle donne: alla nascita i maschi sono il 5 per cento in più, a vent'anni sono pari alle femmine, e fra i centenari
solo il 20 per cento è maschio".
La
genetica delle popolazioni coincide anche con la storia delle lingue?
"Non
ci si può aspettare una coincidenza
perfetta, perché le lingue possono essere
soppresse: sono bastati 150 guerrieri spagnoli a conquistare l'America e a
imporre la loro lingua a un continente. Ma quando abbiamo raccolto i dati per
la 'Storia e geografia dei geni umani', ci siamo accorti che l'albero genetico
assomigliava a quello linguistico: i gruppi geneticamente simili appartenevano
alle stesse famiglie linguistiche. E abbiamo pensato a una spiegazione
semplice, contenuta in una parola chiave: noi non sappiamo come si trasmettono
le lingue, ma parliamo di 'lingua madre'. Dunque, pensiamo che le lingue si
trasmettono anch'esse da genitori a figli, come le altre eredità genetiche".
Lei è medico. Perché è passato alla genetica?
"Mi
ha convinto il mio professore, Adriano Buzzati-Traverso, del quale ho sposato
la nipote. Buzzati era tornato dagli Stati Uniti con dei libri meravigliosi di
statistica: in Italia non ne esistevano di ben fatti, e mi ero reso conto di
averne bisogno".
Considerava
lo studio della matematica così importante?
"Sì. Ma i matematici non sanno spiegare come la si usa, e per
le applicazioni bisogna rivolgersi agli ingegneri. Comunque la matematica mi è servita. Ho cominciato la mia ricerca con la genetica dei
batteri. E quando sir Ronald Fisher, uno dei padri della statistica moderna, mi
sentì parlare al congresso di
Stoccolma del 1948, mi offrì un posto a Cambridge: voleva
lavorare sulla ricombinazione dei batteri, e gli serviva un genetista
batterico. Nel 1950 Fisher aveva iniziato a usare le differenze di gruppi
sanguigni per studiare l'ereditarietà: è partito col Rh, e ne ha tratto una bellissima teoria del
gene. Però non è che su un gene si possa dire molto: si può trovare la storia di quel gene. Ma a Fisher interessava il
fatto che alcune forme di questo gene ci sono nei primati vicini a noi, e altre
no".
E' questo
che permette di andare a vedere i punti di separazione con le scimmie?
"Certo,
la storia genetica delle scimmie si conosce ormai molto bene. Ci sono due modi
di procedere.
Uno è studiare le proteine, che sono prodotti dei geni, e questo
l'abbiamo fatto fino al 1980: dapprima con i gruppi sanguigni, poi con altre
proteine, accumulando moltissimi dati. Dal 1982 abbiamo ricominciato da capo,
andando a guardare le differenze del Dna. E non solo abbiamo confermato tutto
ciò che avevamo fatto con le
proteine, ma siamo andati molto più avanti".
In altre
parole, c'è molta casualità e nessuna pianificazione delle specie, con buona pace dei
creazionisti.
"Infatti.
La selezione serve solo a spiegare gli adattamenti selettivi, che dipendono
dall'ambiente e non dalla storia. Ad esempio, il colore della pelle, che varia
con la latitudine: all'equatore sono neri, e poi si schiariscono
allontanandosene. Oppure le misure del corpo, che dipendono dal clima: al
freddo la gente è bassa e tonda, perché cosí il rapporto tra volume e
superficie è più vantaggioso, e si perde meno calore; al caldo, invece,
sono lunghi e sottili. Al freddo gli arti sono piccoli, per non perdere troppo
calore, mentre al caldo sono lunghi, e le braccia degli scimpanzè arrivano fino a terra".
E come si
studiano gli effetti della storia?
"La
natura fa le cose in maniera approssimativa, essendo costretta a usare ciò che ha a portata di mano: così genera molte mutazioni casuali, una piccola parte delle
quali produce vantaggi evolutivi. La maggior parte delle mutazioni invece non
serve a niente, rimane 'sterile', ma sono proprio le mutazioni selettivamente
neutre a permetterci di studiare la storia delle popolazioni, attraverso i
metodi statistici propri dei fenomeni casuali. Il che è appunto quello che ho cominciato a fare nel 1950 a
Parma".
In che
modo?
"Avevo
uno studente prete, Antonio Moroni, che conosceva tutti i parroci, e ha spiegato
loro perché volevo prendere il sangue ai
parrocchiani. Mi ha anche fatto avere il permesso di consultare i libri
parrocchiali, che risalivano indietro di 500 anni. Ho potuto ricostruire le
genealogie della popolazione e studiare l'effetto del caso, che in villaggi
piccoli è molto forte. Ho analizzato le
differenze tra i gruppi sanguigni in paesi di ogni dimensione e posizione:
piccoli, medi e grandi, in montagna, collina e pianura".
E cosa ha
trovato?
"Che
i dati reali concordavano con le aspettative teoriche, ottenute con una
simulazione che partiva da villaggi tutti uguali, e li lasciava diversificare
casualmente per 400 o 500 anni: col tempo i paesini molto piccoli raggiungevano
i corretti equilibri di variazione. Quel primo studio mi ha dato un motivo per
credere che potevo incominciare a risalire indietro nell'evoluzione di 5 mila o
50 mila anni, basandomi sul fatto che si possono applicare le leggi del caso.
Se invece tutto fosse dipeso dalla selezione, non si sarebbe saputo cosa
attendersi".
E quali
sono stati i risultati?
"Una
decina d'anni dopo che avevo lasciato Cambridge, l'Università di Pavia comprò il primo calcolatore. E con
un mio studente ricostruimmo un primo albero a partire da dati esistenti,
relativi a 15 popolazioni mondiali: tre per ciascun continente, e tutte lontane
una dall'altra. Nell'albero l'Africa stava da un lato, e l'Europa nel mezzo. Le
popolazioni dello stesso continente stavano insieme, e i continenti erano
separati in base alla migrazione, nello stesso modo in cui sono disposti sulla
carta geografica. Quello è stato il nostro primo lavoro,
pubblicato nel 1963".
E alla
fine cosa si è ottenuto?
"Si è precisata in maniera genetica la storia che gli
antropologi avevano abbozzato, basandosi sui fossili. L'uomo moderno compare in
Africa, e arriva in Medioriente 100 mila anni fa. Poi scompare di lì 80 mila anni fa, quando arriva il Neanderthal, che stava
in Europa ed è emigrato a causa del freddo.
Quarantamila anni fa il Neanderthal scompare dovunque, e si estingue circa 25
mila anni fa: probabilmente per una questione di concorrenza con l'uomo
moderno, cioè noi".
Sono
state fatte analisi dirette sul Neanderthal?
"Sì, sul Dna mitocondriale, che è
l'unico pezzo di cromosoma che si riesce a vedere in resti così vecchi: si sono studiati tre esemplari di regioni diverse,
e sono risultati tutti e tre diversi dall'uomo moderno. Ma fino a 100 mila anni
fa il Neanderthal e il Sapiens usavano gli stessi strumenti. Invece 50 mila
anni fa, quando cominciarono a emigrare dall'Africa e invadere il resto del
mondo, i Sapiens avevano ormai strumenti migliori. E uno di questi strumenti
era il linguaggio".
La
scoperta di un'origine comune e africana dell'umanità non dovrebbe rendere ridicolo il razzismo?
"Assolutamente.
Io detesto tutti i fondamentalismi, quello cattolico in particolare, ma il mio
impegno sociale è proprio sulle questioni del
razzismo. Anche perché le differenze principali tra
le popolazioni sono sempre dentro di esse, con buona pace di chi parla di
'razze pure'".
Oggi nel 2013, oltre cinque anni dopo queste affermazioni del
Prof. Cavalli Sforza, la comunità scientifica
degli antropologi, si divide sempre in favorevoli e contrari. Non si trova un
accordo.
Restano infatti, ombre relative al fatto che l'uomo
moderno, non trova a tutt'oggi chiari, univoci ed inequivocabili riscontri di
graduali passaggi di "transizione" attraverso un progenitore meno
evoluto. D'altro canto, " il moderno Neodarwinismo anch'esso non parla di
anelli mancanti ma di forme transizionali non ancora scoperte o di passaggi
filogenetici ignoti, di punto di divergenza mancante di prova fossile, non
essendo più il rinvenimento
paleontologico delle forme transizionali, una prova necessaria del passaggio da
un taxon (dal greco taxis, ordinamento o unità
tassonomica) ad un altro, passaggio che può
comunque essere documentato grazie al contributo dell'Anatomia comparata e
della classificazione filogenetica".
Ma, c'è sempre un
"ma", che mi fa dubitare, come scriveva William Hopkins, nel suo
saggio critico verso la teoria darwiniana, appena pubblicata nel 1860 : " della continua variazione di tutte le forme
organiche, dalle più elementari alle più elevate, incluso l' Uomo come ultimo anello [last link]
nella catena dei viventi, ci deve essere una transizione dall'istinto del bruto
alla nobile mente dell'Uomo: e in questo caso dove sono gli anelli mancanti
[missing links] e a quale punto del suo progressivo miglioramento l'uomo
acquista la parte spirituale del suo essere e diventa dotato del tremendo
attributo dell'immortalità?".
Quindi, se il progresso tecnologico ha fatto si che la
"paleoantropologia" moderna, non necessitasse più
delle prove concrete dei siti archeologici, per ricostruire i passaggi ai vari
"taxon", collegati ai moderni diagrammi a cespuglio, resta il dubbio
di come e perché l'Homo Sapiens
di centomila anni fa, improvvisamente acquisisce il formidabile bagaglio della
"coscienza". (Ammesso e non concesso il fatto che già
non la possedesse ! Ndr)
SECONDA
INTERVISTA:
"Il salto che fece dell'Homo sapiens un essere
umano"
Intervista
di Maurizio Melis con Ian Tattersall:
"Il
"cespuglio" del genere Homo sapiens ricostruito da Ian Tattersall.
Molti i
rami estinti. E' evidente la tendenza di specie con dimensioni del cervello
inferiori a lasciare il passo ad altre più cerebralmente dotate.
Gli
interrogativi alla base della scienza evoluzionistica si sono sollevati sempre
più in alto sino ad abbracciare
temi come l'emersione della coscienza. La lente scruta ora tra le nebbie di
un'epoca che vide i primi uomini abbandonare la mera produzione di beni
materiali, armi o rifugi più o meno raffinati, e produrre
i primi beni immateriali: idee, lingue, simboli, concezioni, miti e tutto
l'armamentario per poter trasmettere conoscenze ai propri discendenti e
innescare il processo culturale; il tempo in cui il brodo cognitivo coagula
trovando forme di organizzazione nuove, dando vita a culture e civiltà.
Ma ancora
la nebbia non si è del tutto diradata nel punto
in cui l'Homo sapiens fece il passo che lo rese definitivamente umano. Forse
schegge di memoria di quell'antico evento sopravvivono nei miti palingenetici
di culture sparse per tutto il mondo. Ma finalmente, anche l'indagine
scientifica ha aggiunto abbastanza dettagli al quadro per rendere chiaramente
identificabili alcuni elementi di base.
Antichi
strumenti litici. E' ai manufatti che bisogna guardare per capire di quale
livello cognitivo fossero dotati i loro aterfici. Quì, per esempio, non c'è traccia di significati
simbolici.
Ian
Tattersall, Direttore del Dipartimento di Antropologia dell'American Museum of
Natural History - New York, autore di fortunati libri quali "Il cammino
dell'uomo" - Ed. Garzanti Libri 2003, è
uno dei più rappresentativi studiosi
dell'alba dell'umanità. Egli sostiene sia tempo,
ormai, di abbandonare l'idea che il processo di "umanizzazione" sia
stato lento e progressivo. Mentre si è invece imposto come una
discontinuità, e ha rappresentato una
rottura rispetto al passato.
E' un
punto, questo, irrisolto dai tempi di Darwin e Wallace. Una domanda in cui
taluni individuano implicazioni anche aldilà
dei confini della scienza, e che adesso, a distanza di oltre un secolo, assume
invece un nuovo significato scientifico: quali sono gli elementi che hanno
catalizzato le facoltà biologiche umane - acquisite
nel corso di una storia evolutiva ormai chiara nei suoi tratti fondamentali - e
innescato quel prodigioso fenomeno, quella misteriosa proprietà emergente che è la mente umana?
Nell'intervista (Novembre 2007) Ian Tattersall traccia le linee fondamentali
delle sue convinzioni in proposito.
"Prof.
Tattersal, lei afferma che ci sono prove evidenti, tra i fossili di ominidi fin
qui ritrovati, che le dimensioni del cervello sono aumentate regolarmente nel
corso degli ultimi 6 milioni di anni, ma che non c'è alcuna prova che, parallelamente, con l'aumentare della
massa cerebrale, siano emerse gradualmente anche le capacità cognitive simboliche. Perciò,
se non gradualmente, queste capacità devono essersi sviluppate
repentinamente, o comunque in un lasso di tempo molto più breve di quello che si immaginava. Ma iniziamo da ciò che sappiamo sul cervello.
Ciò che ricaviamo dalle prove fossili di crani è che mediamente, durante gli ultimi due milioni di anni, la
dimensione del cervello degli ominidi è cresciuta piuttosto
velocemente. Ciò che questo significa, però, non è chiaro, perché non c'è una sola specie le cui
dimensioni del cervello si sono incrementate costantemente, ma abbiamo
moltissime specie diverse coinvolte in questo andamento generale. E anzi,
sembra probabile che per tutto quel lasso di tempo le specie dotate di un
cervello grande siano state in competizione con quelle con un cervello più piccolo. È proprio questo il meccanismo
che ha portato a cervelli sempre più grandi nel corso del tempo.
Però, se vogliamo capire qualcosa delle loro capacità cognitive, dobbiamo guardare ad altri reperti…
Le
dimensioni dei crani e dei cervelli, non ci dicono nulla su che tipo di capacità cognitive avessero. L'unica possibilità che abbiamo per comprendere quale realmente fosse la
natura dell'intelligenza dei primi ominidi, è
guardare a ciò che hanno realizzato con le
loro mani. In questo caso troviamo che, per esempio, mentre la fabbricazione di
strumenti anche piuttosto raffinati si spinge molto indietro nel tempo, le prime
indicazioni che abbiamo di un pensiero simbolico - che è l'unica capacità che ci distingue nettamente
dal resto del mondo vivente - non vanno oltre i 100.000 anni di storia.
Cioè quando sono comparse, quasi dal nulla, le prime pitture
rupestri e i primi oggetti che riportavano simboli, come pietre coperte di
incisioni e così via… Ecco: cosa ci dice tutto questo sul processo evolutivo che
ha portato all'emersione dell'intelligenza simbolica? Possiamo dire che è nata improvvisamente, con un balzo?
Sì, la mia opinione è che la transizione tra
cultura non simbolica e simbolica fu molto rapida. Una transizione che si basò sull'acquisizione di una qualche nuova capacità neurologica: una mutazione genetica, forse a livello della
chimica del cervello, che si combinava con una lunga storia evolutiva
favorevole. Ma il potenziale di questa nuova capacità neurologica aveva bisogno di essere attivato da uno
stimolo culturale. E la mia idea è che questo stimolo fu
l'invenzione del linguaggio. Quindi avevamo dei cervelli pronti per il
linguaggio, probabilmente, ma non da molto tempo prima che il linguaggio fosse
inventato.
Le
pitture rupestri indicano senz'altro capacità
di rappresentazione simbolica
Vorrei
essere sicuro di aver capito: c'era una capacità
potenziale dovuta a una qualche mutazione che l'aveva resa possibile, poi il
l'invenzione del linguaggio ha catalizzato questa potenzialità. E' così?
Abbiamo
acquisito il potenziale per il linguaggio e il pensiero simbolico
indipendentemente dal fatto di usarli. Il potenziale era lì, come risultato di una fortunata coincidenza:
l'intersezione tra un lungo passato evoluzionistico e un elemento nuovo,
emergente. A quel punto l'espletazione di questo nuovo potenziale fu un fatto
molto rapido, probabilmente innescato dall'invenzione del linguaggio in qualche
gruppo non linguistico.
Cosa
possiamo dire sul futuro dell'evoluzione umana a partire da questa lettura del
passato?
La
possibilità di una futura evoluzione
della nostra specie, o meglio, di una futura evoluzione "biologica"
della nostra specie, è molto limitata, e rimarrà tale fin quando la nostra popolazione rimarrà così numerosa. Se per qualche
ragione la nostra popolazione fosse ridotta a un piccolo numero, il potenziale
per l'acquisizione di nuovi caratteri biologici sarà recuperata. Ma nella situazione attuale non mi aspetto
alcun cambiamento biologico significativo nella popolazione umana. Ma non
dimentichiamo che noi siamo anche caratterizzati da una velocissima evoluzione
culturale. E non c'è ragione di attendersi che
questo tasso di evoluzione culturale, che ha accelerato enormemente dai tempi
dell'emersione dell'Homo sapiens, rallenti improvvisamente nel futuro
prossimo."
Chi può dirlo? Siamo
forse arrivati proprio nel "misterioso" 2012 ad un punto cruciale che presuppone un cosiddetto "balzo
evolutivo" ?
É forse questo il segreto delle
fantomatiche "Profezie" che tanto ci preoccupavano ? (!)
Aspettiamo comunque, magari gli effetti si faranno sentire
fra un po' !
Bibliografia
e citazioni:
Wikipedia
"Umani
per caso di P. Odifreddi - 2007"
1 commento:
Molto bello. Ma in tutte queste chiacchiere dove sta il problema fondamentale che a te piace chiamare "anello mancante"? E dove stanno tutte le pubblicazioni che secondo te sarebbero state insabbiate al riguardo?
Posta un commento