IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

mercoledì 9 maggio 2018

TUT...NEFERTITI E... L'ULTIMO MISTERO?



Non c'è alcuna camera segreta nella tomba di Tutankhamun

Sfatata la leggenda della regina Nefertiti. Lo dimostrano le ricerche del Politecnico di Torino.


Una ricerca guidata dal Politecnico di Torino ha accertato che non vi sono «camere nascoste» nella tomba di Tutankhamun nella Valle dei Re e quindi è infondata la tesi che il suo sepolcro potesse nascondere quello di un altra icona dell’egittologia: Nefertiti, la regina egizia la cui bellezza immortale è conservata nel busto esposto a Berlino. L’annuncio è stato dato dal ministero delle Antichità egiziano in un comunicato che sottolinea come «ricerche geofisiche di alto livello forniscono la prova conclusiva della non-esistenza di camere nascoste adiacenti o dentro la tomba di Tutankhamun», indicata con la sigla «KV62» e situata nel sud dell’Egitto nei pressi di Luxor. «Le ipotesi dell’esistenza di camere segrete o corridoi adiacenti la tomba di Tutankhamun non è supportata dai dati GPR», precisa la nota riferendosi alla tecnologia «Ground Penetrating Radar (GPR)». La ricerca, coordinata da Franco Porcelli del Politecnico torinese, era la terza di questo tipo ed era stata richiesta dal ministero egiziano per derimere indicazioni contrastanti venute dalle precedenti due indagini condotte da un team giapponese e uno americano, ricorda il dicastero.  L’obiettivo era quello di vagliare la tesi di un egittologo britannico, Nicholas Reeves, che aveva ipotizzato l’esistenza della tomba di Nefertiti dietro i dipinti murali della parete nord ed ovest della camera mortuaria di Tutankhamun, il faraone morto giovanissimo e noto soprattutto per il suo tesoro funerario con la maschera icona dell’egittomania. Il gruppo di Porcelli comprende anche ricercatori dell’Università di Torino e delle aziende Geostudi Astier di Livorno e 3DGeoimaging sempre del capoluogo piemontese.  In febbraio scorso erano state eseguite misurazioni mediante tre sistemi geo-radar di frequenze comprese tra 200 MHz e 3 GHz che hanno ricolto un mistero archeologico che incrocia due nomi leggendari dell’egittologia, Tutankhamun e Nefertiti.

…ma sarà davvero l’ultimo mistero apparentemente svelato?

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DI MARCO LA ROSA
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venerdì 4 maggio 2018

IL SEGRETO DELLA SALAMANDRA MESSICANA



Sequenziato il genoma della salamandra messicana: istruzioni per la rigenerazione dei tessuti

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

È stato sequenziato l’intero genoma della salamandra Ambystoma mexicanum. Questo genoma, che è il più lungo mai sequenziato, promette di essere un potente strumento per studiare le basi molecolari per la ricrescita degli arti e altre forme di rigenerazione. La neotenia è stata osservata in tutte le famiglie di anfibi urodeli come la salamandra e l'axolotl (larva di Ambystoma mexicanum) in cui sembra essere un meccanismo di sopravvivenza solo in ambienti acquatici di montagna e di collina con poco nutrimento e in particolare con poco iodio. In questo modo le salamandre possono riprodursi e sopravvivere nella forma piccola e meno dispendiosa dello stadio larvale, il quale essendo acquatico richiede cibo di minore qualità e quantità rispetto al più grosso adulto, che è terrestre e carnivoro. Se le larve di salamandra ingeriscono una sufficiente quantità di iodio, direttamente o indirettamente attraverso il cannibalismo, rapidamente iniziano la metamorfosi e si trasformano in forme adulte terrestri più grosse e con maggiori richieste alimentari.

Un animale neotenico:

L'aspetto bizzarro dell'axolotl è ascrivibile alla sua biologia; si tratta infatti di una specie neotenica, ovvero, in grado di raggiungere la maturità sessuale – e quindi di riprodursi – mantenendo la morfologia larvale senza metamorfosare. È come se una rana decidesse di restare girino e riprodursi in questo stadio, anziché trasformarsi in un animale terrestre (seppur fortemente legato all'acqua). Perché l'axolotl si è evoluto in questo modo? La risposta va ricercata nel suo habitat naturale, dove il cibo di cui si nutre (pesci e crostacei) può risultare piuttosto scarso. La forma larvale richiede un minor contributo energetico per sostenersi, dunque questi animali hanno privilegiato una forma meno dispendiosa per sopravvivere. Nonostante ciò, nel caso in cui vi fossero particolari condizioni di stress, magari per mancanza di ossigeno o sovrappopolazione, anche l'axolotl può effettuare la metamorfosi in animale terrestre.

Riproduzione::

Si riproduce per pedogenesi: “La pedogenesi è una riproduzione per partenogenesi che si svolge in organismi di sesso femminile che sono ancora allo stadio giovanile e non completano il loro sviluppo ontogenetico. Questo comportamento si riscontra in alcuni insetti e, precisamente, in Ditteri Cecidomiidi e Coleotteri Micromaltidi”.

Le larve prodotte in un primo tempo non porteranno a individui maturi, solamente da larve venute fuori da una seconda riproduzione si avranno individui adulti.

Rigenerazione dei tessuti:

Se danneggiato, questo animale è capace di rigenerare senza cicatrici arti, polmoni, midollo spinale e persino parti del cervello. Sembra che questa caratteristica molto particolare derivi da delle cellule molto simili a quelle staminali adulte presenti nei mammiferi.

Il segreto della rigenerazione:

Gli anfibi sono noti per essere i vertebrati con le migliori capacità di rigenerazione, ma l'axolotl è un vero e proprio ‘campione'. Può infatti ricreare velocemente e senza cicatrici interi organi, arti, il midollo spinale, vari tessuti e persino parte del cervello, se asportati. Non è un caso che si tratti di un organismo modello utilizzato di frequente nella sperimentazione. Le sue capacità rigenerative sono così efficaci che non rigetta i trapianti di tessuti prelevati da altri esemplari, inoltre può persino sviluppare un numero superiore di zampe e teste, che ne aumentano l'appeal in ambito collezionistico. Tra i tetrapodi esistenti, le salamandre (Ordine Urodela) sono gli unici organismi che hanno la capacità di rigenerare completamente gli arti e la coda. Studi molecolari hanno rilevato che la capacità rigenerativa è evolutivamente e meccanicisticamente collegata con il modello di sviluppo degli arti che nelle salamandre differisce da quello di tutti gli altri tetrapodi attuali, ma che, come indicato dai dati fossili, era la condizione ancestrale degli anfibi vissuti oltre 300 milioni di anni fa (Pikaia ne ha già parlato qui). Tale caratteristica  poi si è persa almeno una volta nel lignaggio che porta agli amnioti. A causa di queste peculiarità, le salamandre sono utilizzate come preziosi modelli biologici per gli studi sullo sviluppo la riprogrammazione nucleare, la rigenerazione e l’evoluzione. Tra le salamandre, la specie modello per eccellenza, utilizzata in laboratorio da più di 150 anni, è Ambystoma mexicanum (comunemente chiamata axolotl) che può far ricrescere entro poche settimane un arto completo di ossa, muscoli e nervi nei punti giusti e, ancora più affascinante, può riparare il midollo spinale e il tessuto retinico.

Per studiare la biologia cellulare e molecolare della rigenerazione degli arti e del midollo spinale in A. mexicanum e come questi meccanismi si sono evoluti, un gruppo di ricerca internazionale che fa capo a Elly Tanaka dell’Istituto Max Planck di biologia e genetica cellulare molecolare (MPI-CBG) di Dresda, ha sviluppato un ampio kit di strumenti molecolari che ha permesso loro di identificare le cellule staminali responsabili del processo di rigenerazione e i segnali che guidano il processo.

Però per studiare la regolazione e l’evoluzione dei geni che controllano questo processo ,e scoprire perché esso è così limitato nella maggior parte delle specie, era necessario aver accesso alle informazioni contenute nel genoma. Finora era disponibile solo il genoma di un’altra salamandra, Pleurodeles waltl, che, al contrario  di axolotl, compie sempre la metamorfosi in animale adulto, e attiva un modello di rigenerazione tissutale diverso. Il genoma di A. mexicanum non era mai stato sequenziato completamente a causa delle difficoltà tecniche legate alle sue dimensioni: con 32 miliardi di paia di basi, è più di quasi un terzo più grande di quello di P. waltl (20 miliardi di basi) e più di dieci volte più grande del genoma umano e la grande quantità di sequenze ripetute al suo interno creava notevoli difficoltà nella fase di assemblaggio effettuato con le tradizionali metodiche bioinformatiche. Recentemente, Tanaka e colleghi sono riusciti ad ottenere la prima mappatura completa del genoma di A. mexicanum e i primi risultati dell’analisi sono stati pubblicati su Nature. Il sequenziamento genico si basa sulla possibilità frazionare l’intero genoma in frammenti casuali lunghi poche decine di basi che possono essere copiati migliaia di volte in maniera precisa ed efficiente. Come in un puzzle. La sequenza completa si ricostruisce poi “allineando” i frammenti che hanno la stessa sequenza alle estremità. Questo tipo di metodica è generalmente molto efficiente ed affidabile, ma può generare errori e “buchi” nell’allineamento delle regioni geniche che presentano la stessa sequenza ripetuta più volte, come nel caso di A. mexicanum.

Per ovviare a questo problema, il gruppo di ricerca di Tanaka ha sequenziato il genoma di A. mexicanum due volte: una volta partendo da frammenti corti, e un’altra volta partendo da frammenti più lunghi, per inglobare le sequenze ripetute e fornire una sorta di “impalcatura” su cui poi allineare i frammenti corti. Per assemblare i diversi tipi set di sequenze ottenuti i ricercatori hanno anche sviluppato un nuovo algoritmo (chiamato MARVEL).

Le prime analisi sul genoma di A. mexicanum così assemblato hanno evidenziato alcune caratteristiche che sembrano indicare in cosa consista la sua unicità.

Una prima sorpresa è stata la scoperta che un gene essenziale per lo sviluppo chiamato PAX3 è completamente assente dal genoma di A. mexicanum e le sue funzioni sono state rilevate da un altro gene chiamato PAX7. Entrambi i geni giocano un ruolo chiave nello sviluppo muscolare e neurale di tutti i vertebrati. I ricercatori hanno poi identificato alcuni geni che sembrano essere esclusivi di A. mexicanum e delle altre specie di anfibi capaci di qualche forma di rigenerazione ed hanno scoperto che tali geni sono espressi specificatamente nel tessuto rigenerante degli arti. Il sequenziamento poi ha permesso di stabilire che le grandi dimensioni del genoma di questa specie di salamandra sono dovute all’aumento delle sequenze di retrotrasposoni LTR, cioè di dei frammenti di DNA capaci di trascriversi autonomamente in un intermedio a RNA e conseguentemente replicarsi in diverse posizioni all’interno del genoma.
Un’altra particolarità che ha destato l’interesse dei ricercatori è stato notare che, in contrasto con l’espansione delle dimensioni degli introni (cioè le regioni non codificanti) della maggior parte dei geni, in A. mexicanum i geni (come per esempio HOXA) che sono coinvolti alla rigenerazione degli arti tendevano ad avere introni di dimensioni simili a quelle degli altri vertebrati. Questa caratteristica potrebbe essere il risultato di una selezione positiva che manterrebbe stabile la lunghezza dei geni responsabili della rigenerazione, forse per renderne più veloce ed efficiente la trascrizione. Queste sono solo le prime informazioni che il sequenziamento di A. mexicanum ha rivelato. Ora questa potente risorsa per comprendere i meccanismi di rigenerazione è a disposizione dei ricercatori tutto il mondo.

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martedì 1 maggio 2018

GENI E COSCIENZA


Ricerca: ecco i geni che fanno invecchiare il cervello, scoperta Italia-Gb

Un gruppo di geni coinvolti nell'invecchiamento del cervello legato all'età è stato identificato dal team di ricerca del dipartimento di Biologia e biotecnologie 'C. Darwin' dell'Università Sapienza di Roma, in collaborazione con il Babraham Institute di Cambridge (Gb). I risultati dello studio, pubblicato sulla rivista 'Aging Cell', mostrano che uno di questi geni, denominato Dbx2, può determinare un invecchiamento precoce delle cellule staminali neurali, riducendone la capacità di crescita. Le cellule staminali neurali sono responsabili della produzione di nuovi neuroni nel cervello adulto. Con l'età, danno vita a sempre meno cellule nervose e ciò può causare un deterioramento delle capacità cognitive del cervello. Il team di ricerca internazionale ha confrontato l'attività genica delle staminali neurali di topi vecchi e giovani, identificando 254 geni la cui attività si altera nelle cellule vecchie. Ed è stato osservato che, mentre per molti di questi geni l'attività si riduce, per il gene Dbx2 aumenta. "Siamo riusciti ad aumentare l'attività di Dbx2 nelle cellule staminali neurali giovani - spiega Giuseppe Lupo della Sapienza, primo autore dello studio - quindi ad accelerare alcuni aspetti del processo di invecchiamento. Ciò ha permesso di osservare in queste cellule l'acquisizione di caratteristiche simili a quelle delle cellule vecchie, in particolare un rallentamento della proliferazione". La ricerca, diretta per la Sapienza da Emanuele Cacci e per il Babraham Institute da Peter Rugg-Gunn, potrebbe avere una forte ricaduta nell'avanzamento delle conoscenze sui meccanismi del declino cognitivo durante l'invecchiamento. "Proveremo ora - conclude Lupo - a utilizzare la genetica e le cellule staminali neurali per far 'tornare indietro' le cellule più vecchie affinché recuperino la capacità di crescita. I risultati ottenuti con le cellule staminali neurali di topo potrebbero in futuro essere applicati alle cellule staminali umane".

http://www.lasicilia.it/news/salute/147957/ricerca-ecco-i-geni-che-fanno-invecchiare-cervello-scoperta-italia-gb.html

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venerdì 27 aprile 2018

I MISTERI DELLA FORESTA AMAZZONICA





Nella Foresta Amazzonica sono stati scoperti 1000 villaggi prima sconosciuti

Rivoluzione nella storia della Foresta Amazzonica: scoperti oltre 1300 villaggi fortificati che, un tempo, hanno ospitato un milione di persone nel cuore del Brasile.

È una scoperta che ha del sensazionale, quella da poco avvenuta nella Foresta Amazzonica. In quella che è la foresta pluviale più estesa dell’intero pianeta, e che riveste gran parte del Brasile oltre che porzioni di Colombia, Perù e di altri Paesi del Sud America, sono state rinvenute centinaia e centinaia di antichi villaggi. Milletrecento, per la precisione, in parti di foresta che – fino a ieri – si credeva fossero sempre state disabitate. Un gruppo di archeologi, in parte finanziato dalla National Geographic Society, ha scoperto che – in un angolo remoto della Foresta Amazzonica – in passato hanno vissuto fino a un milione di persone. Una scoperta, questa, che stravolge completamente la percezione che da secoli si ha delle civiltà pre-colombiane. Mai prima di oggi, una spedizione si era addentrata in questa regione dalla vegetazione tanto fitta; ma, grazie alle immagini rimandate dai satelliti, si è oggi scoperto che – molti anni fa – in una parte prima inesplorata del Mato Grosso, vivevano centinaia di migliaia di persone. E non solo accanto ai corsi d’acqua, ma anche in terreni molto lontani dai fiumi. Così, armati di coordinate, gli archeologi si sono addentrati nella zona, trovando reperti risalenti anche al 1400 a.C. Attraverso speciali programmi, gli studiosi hanno ricreato l’aspetto che, un tempo, questa porzione di Foresta Amazzonica doveva avere: circa un milione di persone, per 1300 villaggi fortificati dislocati in un’area di 154.000 miglia quadrate, nella parte meridionale della Foresta. E se prima si credeva che l’intera Amazzonia fosse stata popolata da 2 milioni di persone, con le nuove stime è stato rilevato che, tra le 500.000 e il milione di persone hanno vissuto solamente nel 7% della Foresta. Con la scoperta di questi villaggi, tutti datati tra il 1200 e il 1500 a.C., si dovrà quindi rivalutare tutta la storia della Foresta Amazzonica. Ma che fine hanno fatto, tutti questi popoli? Secondo gli scienziati, sarebbero scomparsi a seguito della conquista da parte degli europei. Genocidi ed epidemie avrebbero distrutto interi villaggi, mentre altri sarebbero stati abbandonati per questione legate all’agricoltura.



martedì 24 aprile 2018

TRE PIANETI PER ...LA CONTINUAZIONE DELLA SPECIE



…Avremo bisogno di tre pianeti per mantenere viva la specie Umana?. Il precipitare dei cambiamenti climatici, l’aumento dei livelli di inquinamento e la sovrappopolazione sono alcune delle ragioni principali per cui gli scienziati credono che i limiti del nostro pianeta saranno superati in un breve periodo di tempo, rendendolo una sfida per la specie umana di beneficiare di un singolo pianeta mentre si muove al ritmo attuale. La vita sul nostro pianeta sta degradando rapidamente a causa delle attività umane ed è per questo che uno scienziato della Nasa crede che sia possibile il cosiddetto terraforming ed avere così a disposizione più di un pianeta per preservare la nostra specie. “L’intero ecosistema sta fallendo”, ha dichiarato Dennis Bushnell, chief scientist al Langley Research Center. “Fondamentalmente ci sono troppe persone. Gli umani hanno avuto troppo “successo” come animali. Viene a mancare un’area equivalente al 45% del pianeta. Ora che miliardi di persone in Asia adottano il nostro sistema di vita, avremo bisogno di altri tre pianeti “. Avete sentito bene: è possibile che altri due pianeti simili alla Terra possano essere necessari per superare la crisi in cui ci troviamo in questo momento. E sebbene Marte sembri il progetto vincente, dobbiamo mettere più lavoro nella ricerca di un altro corpo celeste per far crescere la vita. Ulteriori informazioni sulle sfide globali e su come superarle sono state proposte da Bushnell nello “Stato del futuro “, un rapporto annuale che include le idee di oltre 5.000 partecipanti provenienti da tutto il mondo del Millennium Project. Secondo uno studio condotto dal World Wildlife Fund nel 2012; gli esseri umani utilizzano approssimativamente il 50 percento di risorse in più di quanto la Terra possa sostenere, il che significa che entro il 2050 avremo bisogno di altri pianeti se vogliamo sopravvivere e mantenere lo stile di vita attuale.  Lo studio si riferiva anche alla necessità di colonizzare due pianeti diversi dalla Terra, per via del fatto che ci sono in gioco altre minacce come gli eventi catastrofici, (es: impatto di un asteroide e/o guerra nucleare). “Il punto non è essere allarmistici o cinici –  dice Jerome Glenn, direttore generale del Millennium Project – ma scoprire qual è la cosa intelligente da fare per far sopravvivere questa specie. Se la classe dirigente d’élite consentirà uno stato planetario di benessere, dobbiamo ancora scoprirlo; ma se non si crede nei miracoli, forse è il momento di fare le valigie e trasferirsi su Marte. Dopo tutto, non si sa mai cosa riserverà il futuro”.




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venerdì 20 aprile 2018

UNA SPERANZA DI SALVEZZA...


di: Adolfo Di Bella

Un filmato di eccezionale interesse

Una persona amica, conosciuta in occasione del male che aveva colpito il più grande dei suoi affetti (attualmente in remissione totale dopo Mdb), ci ha segnalato questo interessantissimo filmato, la cui visione raccomandiamo caldamente a tutti. Precisiamo che non si tratta di un filmato che intende demonizzare o al contrario esaltare qualcuno o qualcosa, non è un filmato di "propaganda" pro o contro insomma, ma una disamina cruda e documentata dell'attuale situazione delle terapie oncologiche, con particolare focalizzazione su uno dei killer più inesorabili: il tumore cerebrale (quello che aveva colpito la persona cara che ci ha segnalato l'opera). Anticipiamo che dovendo sintetizzare l'impressione finale la parola appropriata è "speranza". Speranza di salvezza, speranza che questo mondo di tetra falsità esploda sotto la pressione di troppe omertà e mistificazioni attuate, e che si torni a rispettare la verità almeno quando tocca vita e salute dell'umanità. A parlare sono medici e medici-pazienti che di fronte all'inesorabilità del male - negli Usa molto più sinceramente ammessa dall'oncologia - hanno compreso che solo un approccio multidisciplinare poteva dare loro speranze.
Chi seguirà il filmato troverà conferme di quanto da anni andiamo osservando. E di tante altre cose ancora.
Il link è il seguente:


Azionato il link, appare un primo riquadro con alcune bandiere (rappresentative di alcune lingue).
Cliccate ovviamente sulla (povera) bandiera italiana, e appariranno ulteriori e semplicissime istruzioni.
Durante il filmato scorrono chiarissime didascalie che consentono una ottima fruizione del tutto.
Un consiglio e una richiesta: diffondete questo documentario più che potete. In un'epoca nella quale - presentendo forse l'impossibilità di continuare nella direzione sbagliata in più campi - si cerca ogni scusa per censurare qualsiasi cosa non gradita (le famose "fake news...), l'unico strumento di libertà e di liberazione è diffondere la verità con i mezzi che - ancora - abbiamo. Farete del bene.
L'unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta.

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martedì 17 aprile 2018

SUPER TERRA


A 137 anni luce dal nostro Sistema Solare, in direzione della costellazione del Leone, c’è un pianeta ricco d’acqua e dotato di un’ atmosfera simile a quella presente sulla Terra. La scoperta, ottenuta incrociando i dati della missione K2 della Nasa, con quelli ottenuti da alcuni telescopi terrestri, porta la firma di un team di astronomi giapponesi che hanno confermato anche l’esistenza di altri 14 nuovi esopianeti. Il corpo celeste che ha attirato l’attenzione dei ricercatori ha dimensioni pari a 1,6 volte quelle del nostro pianeta, e non a caso è stato ribattezzato Super Terra, e orbita nella cosiddetta fascia abitabile, cioè a quella distanza dalla stella che potrebbe permettere l'esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie, e dunque potenzialmente in grado di ospitare vita aliena. K2-155d, questo il nome dell'esopianeta roccioso, individuato assieme ad altri 14 mondi le cui “tracce” erano state notate precedentemente da un team di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra e Planetarie del Tokyo Institute of Technology. Gli studiosi, coordinati dal professor Teruyuki Hirano, si sono concentrati sull'analisi delle nane rosse, le stelle più comuni dell'Universo (sono tra il 70 e l'80 percento di quelle presenti nella Via Lattea). Queste piccole stelle, fra le quali c'è anche la celebre Trappist-1 dell'omonimo sistema, sono caratterizzate da una temperatura relativamente bassa e hanno una massa significativamente inferiore a quella del Sole, in molti casi appena sufficiente ad avviare le reazioni nucleari. La più interessante fra le 12 analizzate da Hirano e colleghi è K2-155, sita a poco più di 130 anni luce dal Sistema Solare. Attorno ad essa orbitano tre Super Terre, fra le quali c'è anche l'esopianeta potenzialmente abitabile. "Secondo i nostri calcoli - afferma l'astronomo Hirano - questo pianeta deve avere un'atmosfera terrestre ed una struttura simile del sottosuolo, ma finora, non abbiamo la certezza che queste ipotesi corrispondano effettivamente alla realtà. Non sappiamo quasi nulla dei pianeti che orbitano attorno alle nane rosse, dato che il loro numero è notevolmente inferiore rispetto a quello dei pianeti ruotanti alle stelle simili al Sole".

Quasi 4mila gli esopianeti scoperti

Le nane rosse hanno solitamente meno pianeti rispetto alle stelle di altro tipo, come quelle solari, e il numero di quelli individuati dagli scienziati giapponesi (16 esopianeti per 12 stelle) lo conferma. Un altro dato interessante è legato al fatto che i pianeti di dimensioni maggiori sono sempre legati a stelle che contengono parecchi metalli; i pianeti appena scoperti confermano anche questo dato. Quelli con diametro di circa tre volte quello terrestre sono stati tutti individuati attorno alle stelle più “metalliche”. Ad oggi è confermata l'esistenza di circa 3.700 esopianeti, la maggior parte dei quali individuata col metodo del transito osservato col Telescopio Spaziale Kepler. Grazie alla missione K2, avviata nel 2013, continuano a esser individuati nuovi corpi celesti e diverse decine sono potenzialmente gemelli della Terra, posizionati nella cosiddetta "zona abitabile". I dettagli della ricerca giapponese sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The Astronomical Journal.


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