"Centomila pianeti abitati
nella sola Via Lattea, se c'è vita fuori dalla Terra"
Uno studio statistico italiano ha
stimato quanti potrebbero essere gli esopianeti che ospitano la vita
all’interno della nostra galassia se nei prossimi anni ne trovassimo almeno uno
con chiari segni di attività biologica. L'astrofisico Amedeo Balbi: "Ma nessuno di questi è un mondo in cui
potremo andare come specie umana in tempi ragionevoli"
Per ora non ne conosciamo
nessuno, ma se trovassimo almeno un pianeta che ospita con certezza la vita,
fuori dal Sistema solare, allora potrebbero essere centomila. È l’enigma
pirandelliano che da secoli accompagna l’uomo: siamo soli, unici, nell’Universo?
Due ricercatori italiani, Amedeo Balbi dell’Università di Roma Tor Vergata e
Claudio Grimaldi, dell’Ecole Polytechnique di Losanna, hanno firmato uno studio
statistico pubblicato su Pnas che calcola l’impatto di una scoperta, nei
prossimi decenni, di biosignatures, le firme di gas prodotti da attività
biologica nell’atmosfera di altri mondi. Tutto fa pensare che la Via Lattea
pulluli di vita. Ma non di civiltà alla giusta distanza e nel giusto momento
per comunicare con noi.
Partiamo dai risultati, cosa
sappiamo in più ora?
"Il nostro studio è uno
strumento statistico. Per rispondere a questa domanda: se dovessimo scoprire,
nei prossimi 10 o 20 anni, con i nuovi strumenti, in modo conclusivo che c'è
evidenza di vita, quanta ce ne potremmo aspettare in tutta la galassia? La
nostra intuizione ci dice che saremmo abbastanza certi che sarebbe dappertutto.
Questo a livello intuitivo, diciamo un argomento qualitativo. Il nostro studio
invece va su un piano quantitativo, che potrà servire in futuro per valutare le
nuove osservazioni".
Con quali conclusioni?
"Se, nei prossimi 20 anni
nei pianeti osservati troveremo evidenza di vita da un’altra parte, potremmo
concludere, con una probabilità superiore al 95%, che ci sono più di 100.000 pianeti abitati nella galassia.
Questo in ragione del fatto che il campione che possiamo analizzare è molto
circoscritto a una regione piccola attorno al Sistema solare, e conoscendo il
potenziale numero di pianeti abitabili. Un altro esercizio è stato quello di
confrontare l’atteggiamento ottimista, quello di chi è propenso a credere che
ci sia vita al di fuori della Terra, con quello pessimista, che ritiene invece
che sia un fenomeno molto raro. Due presupposti che non hanno fondamento,
perché la Terra è l’unico pianeta che conosciamo a ospitare forme
viventi".
E cosa è emerso?
"È emerso che, se trovo
qualcosa là fuori, diventa difficile sostenere la tesi pessimista, anche un
osservatore totalmente imparziale sarebbe portato a credere che la vita è
abbastanza comune. Se invece non trovassimo nulla, chi sostiene le due
posizioni rimarrebbe della propria idea. Perché il campione di pianeti che
riusciremo ad analizzare è talmente piccolo, parliamo di una o qualche decina,
che non trovare nulla non altererebbe l’opinione, sarebbe come immergere un
bicchiere nell’oceano, non trovarci nemmeno un pesce e ipotizzare che non ce ne
siano in assoluto. Anche una sola prova invece cambierebbe tutto, ma
un’evidenza certa non l’avemo mai".
Di che osservazioni parliamo?
"Si parla di capire cosa c’è
nell’atmosfera di pianeti di taglia terrestre fuori dal Sistema solare. Per
farlo dobbiamo analizzare la luce della stella mentre le transitano davanti. La
luce attraversa l’atmosfera, interagisce e viene modificata, portando la firma
spettrale degli elementi di cui è composta. Osservando questa traccia possiamo
capire quali elementi compongono l’atmosfera di quel pianeta. È un metodo che
si usa già, ma con i grandi pianeti gassosi, simili a Giove, con pianeti
piccoli e rocciosi, con un’atmosfera sottile come la Terra, ci riusciremo forse
tra 20 anni".
Quali elementi presenti in
un’altra atmosfera farebbero gridare "Eureka, lì c’è vita"?
"Per esempio la presenza
simultanea di metano e ossigeno, che reagiscono in tempi rapidi. Se li
osservassimo a lungo dovremmo ipotizzare qualcosa che li continua a produrre.
Per esempio la vita. Ma onestamente, non c’è qualcosa che ti possa convincere
al cento per cento. La vita è un processo, dovresti osservare su tempi
sufficientemente lunghi per convincerti che quello è un elemento di
disequilibrio dovuto a processi biologici. Parlando per esempio del metano su
Marte, è complicato da capire se sia di origine biologica".
La Terra come apparirebbe a un
alieno che la osserva da così lontano?
"Questa domanda se la pose Carl
Sagan negli anni ‘90, e quando fu inviata la sonda Galileo per esplorare Giove,
durante uno dei sorvoli della Terra, usò gli strumenti per osservare il nostro
Pianeta. Il titolo sui giornali fu: 'C'è vita sulla Terra? Sì. Una cosa simile
è stato fatto di recente con il telescopio spaziale Hubble".
Queste sono prove o indizi
indiretti.
"La prova diretta sarebbe
andare sul posto di persona. Questo per dire che sarà un processo lungo e non
ci arriveremo in una notte. Un pessimista avrebbe bisogno di prove
schiaccianti".
Tipo messaggi o comunicazioni
radio?
"Lo stesso Sagan, che era
molto interessato al Seti (Search for extra terrestrial intelligence ndr), fece
anche osservazione delle comunicazioni radio che emettiamo dalla Terra, per
capire se dallo spazio sarebbe possibile rilevarle. Da un lato sembra più
semplice: invece di cercare e interpretare la presenza e l‘origine di ossigeno
e metano nelle atmosfere degli esopianeti, se becco un segnale radio con una
comunicazione che intuisco essere artificiale, ho la prova dell’esistenza di
vita, per giunta intelligente. Mettiamo che da un altro pianeta abbiano
osservato la terra e visto che c'è questo pianeta abitabile con segni
biologici. E decidano di sparare un segnale radio nella nostra direzione per
dire 'siamo qui'. Se avessero la potenza che abbiamo disponibile noi oggi,
sarebbero visibili da mille anni luce. La questione è che è tutto molto più
improbabile che accada".
C’è il piccolo problema di
‘incrociarci’ al momento giusto, nella storia dell’Universo lunga 13 miliardi
di anni.
"Sia io che Claudio Grimaldi
ci siamo occupati di questo con due paper indipendenti. Ne è emerso che se
dovessimo captare un segnale di questo tipo emesso da una civiltà intelligente,
facendo le solite ipotesi statistiche, dovrebbe essere emesso per un tempo
lungo oltre un milione di anni".
Calcolando che la storia dell’uomo va avanti da appena qualche migliaio di anni e la nostra tecnologia è minimamente adeguata da nemmeno un centinaio…
"Dovrebbe essere tutto
sincronizzato, dovremmo osservare al momento giusto nella direzione giusta. Se
un segnale fosse passato di qui 1.000 anni fa non l’avrebbe ascoltato nessuno,
è una finestra molto piccola. La ricerca della vita intelligente è un campo di
grande attività, si parla di technosignatures, segnali tecnologici. È il
vecchio Seti allargato a vari tipi di comunicazione, anche laser. E grazie alle
nuove capacità osservative ci si spingerà oltre, a osservare effetti del
riscaldamento climatico o la presenza di strutture giganti. Cose che nella
scala della plausibilità sono le più improbabili ma bisognerebbe cominciare a
prenderle sul serio, come stanno cominciando a fare la Nasa e molti
privati".
Nel vostro paper introducete
anche un’altra variabile: la panspermia. Cioè che la vita possa essere stata
portata e diffusa tra pianeti più o meno vicini, grazie agli asteroidi.
"Tutto ciò che abbiamo detto
finora è basato su ipotesi che la vita su ciascun pianeta sia apparsa
indipendentemente. Ma se fosse apparsa su Marte e un meteorite l'avesse
trasportata sulla Terra, avrei un solo luogo in cui è nata. La nostra analisi
statistica ne sarebbe influenzata e la conclusione si indebolirebbe. In una
zona della galassia ci potrebbe essere un cluster di pianeti parenti che si
scambiano la vita. E il resto potrebbe essere disabitato".
Perché ci diamo tanta pena? Cosa
ci spinge a cercare altra vita?
"Io lo faccio per curiosità,
è una domanda che mi intriga da quando sono bambino. Che però va a toccare
corde più profonde. Ha a che fare col nostro posto nell'Universo: siamo soli
oppure no? Con una serie di implicazioni sui meccanismi della vita, se quello
che è avvenuto sulla Terra è universale, se la vita segue stessi processi
ovunque o c’è un’alta componente di casualità".
Nel suo canale Youtube ha raccontato
della tecnologia dei viaggi interplanetari. Pare che l’ipotesi di trovare un
''pianeta b'' da colonizzare fuori dal Sistema solare sia esclusa.
"Quella del 'piano b' è la
domanda meno rilevante in assoluto, per quanto mi riguarda. Nessuno di questi è
un mondo in cui potremo andare come specie umana in tempi ragionevoli, e
stabilircisi. Non solo perché il viaggio è interminabile e complicato. Stiamo
capendo che ogni pianeta è diverso. La vita è un prodotto del pianeta stesso,
non puoi prenderla e trapiantarla da un'altra parte come una piantina. Non ci
sarà mai, forse, un pianeta gemello della Terra".
Quindi anche se scoprissimo la
vita su altri pianeti o addirittura altre civiltà, saremmo condannati a sapere
che ci siamo ma a non conoscerci?
"Secondo me sì. Forse non
siamo soli ma siamo isolati. Se per ipotesi qualcuno ti dicesse: 'C’è
sicuramente un’altra civiltà intelligente nella galassia. Ora trovala'. Il
numero di posti dove devi guardare è sterminato e non c’è abbastanza tempo per
farlo".
Lei ha scritto un libro:
"Dove sono tutti quanti?". È ottimista o pessimista?
"Per quanto riguarda la vita
di per sé sono moderatamente ottimista, la mia sensazione è che possa essere
comune ma in una forma non necessariamente corrispondente a ciò che osserviamo
sulla Terra. Parlo di vita microscopica, cellulare. Sono più pessimista sulla
presenza di specie più complesse o intelligenti".
In assoluto oppure nell’ipotesi di trovarle proprio qui vicino e proprio ora?
"Per arrivare alle cose
complesse devi partire da quelle semplici. Sulla Terra quella unicellulare è
stata l’unica forma di vita per tre miliardi di anni. Serve un pianeta che ha
condizioni adatte e stabili per così tanto tempo. Già questo ti taglia fuori un
sacco di posti. Anche sulla Terra, pensiamo alle grandi estinzioni, ci sono
stati periodi in cui la vita è stata vicina a estinguersi. Se la vedi con
ottimismo, dici che la vita, una volta che ha attecchito, è difficile da
estirpare. Il pessimista ti dirà che ci ha detto bene e noi siamo nel bias del sopravvissuto.
Quello che ti fa pensare che scamparla sia sia stato più facile del normale,
invece è stata fortuna. Credo che sia improbabile non solo che troveremo
evidenze di altre civiltà intelligenti, ma che possano essercene in assoluto,
almeno nella nostra galassia".
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