La replicazione alternativa dei
virus che sparpagliano il genoma
Segnalato dal Dott. Giuseppe
Cotellessa (ENEA)
Un principio classico della
virologia è che i virus infettano cellule singole e si replicano al loro
interno. Ma studi recenti hanno dimostrato che alcuni di essi spargono i loro
geni tra molte cellule, da cui creano poi nuovi virus completi condividendo i
prodotti dei geni.
Per un virus, che è un genoma
compatto ben confezionato in un rivestimento di proteine, sopravvivere
significa invadere una cellula, impadronirsi del suo macchinario per produrre
le proteine per riprodursi e poi diffondersi ad altre cellule. Potrebbe
sembrare ovvio che per riuscirci l'intero piccolo genoma di un virus debba
trovarsi all'interno di una cellula infettata. Uno studio pubblicato di recente
su “eLife”, tuttavia, ribalta l'idea. Alcuni virus non si limitano a dividersi
in segmenti multipli che infettano separatamente le cellule ospiti, ma, come
hanno scoperto i ricercatori francesi, possono prosperare spargendo i loro
genomi come tessere di un puzzle in molte cellule ospiti. Qualcosa -
probabilmente la diffusione di molecole tra le cellule infette - ne permette la
replicazione, l'autoassemblaggio in particelle virali complete e la
propagazione dell'infezione. "È possibile avere tutti i prodotti genetici
necessari per produrre nuovi virus all'interno di una cellula che in realtà non
contiene tutti i segmenti genici", ha spiegato Christopher Brooke,
virologo all'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. "La concezione
classica della virologia presuppone che il ciclo di replicazione virale avvenga
all'interno delle singole cellule", ha detto Anne Sicard, autrice del
nuovo studio e fitopatologa all'Institut National de la Recherche Agronomique
(INRA) di Montpellier. Ma nel caso del virus "multipartito" che lei e
i suoi colleghi hanno esaminato, "sembra che non sia così. I segmenti
infettano le cellule in modo indipendente e si accumulano in modo indipendente
nelle cellule ospiti della pianta". Ha aggiunto: "Di fatto dimostra
che il virus non funziona a livello di singola cellula, ma a livello
multicellulare". I virus multipartiti sono noti da oltre mezzo secolo,
cioè da quando i ricercatori si sono resi conto che un virus può essere
composto da due o più pezzi indipendenti, tutti vitali ai fini dell'infezione.
Un pezzo, per esempio, può servire a produrre enzimi virali essenziali, mentre
un altro è necessario per realizzare il capside in cui le particelle virali (o
virioni) sono imballate e trasportate verso altre cellule. Ma essere
multipartiti comporta notevoli rischi. Non è difficile che parti del genoma
vadano perse o dimenticate, interrompendo il resto del ciclo dell'infezione.
Poiché i segmenti si trovano spesso in proporzioni diverse - alcuni possono
essere comuni, e altri rari - quelli rari possono essere persi con particolare
facilità. Da quando li hanno scoperti, gli scienziati si sono quindi posti
molte domande sui virus multipartiti "Perché mai un virus dovrebbe fare
così? Perché spezzettare il genoma? Quali sono i vantaggi di avere segmenti
confezionati separatamente?", si chiede Mark P. Zwart, studioso dell'evoluzione
dei virus al Netherlands Institute of Ecology. Per cercare di rispondere a
queste domande, i teorici hanno sviluppato modelli per definire le circostanze
in cui questo stile di vita multipartita potrebbe essersi evoluto da un
antenato virale più tipico, presupponendo che a infettare una cellula debba
essere l'insieme completo dei segmenti virali. Ma i risultati sono stati
sconcertanti. Uno studio del 2012 ha concluso che, quali che possano essere i
benefici della multipartizione, gli svantaggi sono così grandi che non
dovrebbero poter esistere virus con più di quattro segmenti. Eppure si sapeva
che alcuni virus multipartiti - come il Faba bean necrotic stunt virus (FBNSV)
- avevano fino a otto segmenti, ciascuno trasportato in una particella diversa.
In linea teorica, non avrebbero potuto evolversi. Che cosa ne può spiegare
l'esistenza? "Abbiamo pensato che il modo in cui concettualizziamo questi
virus dovesse essere sbagliato", ha detto Stéphane Blanc, virologo
vegetale dell'INRA e autore senior del nuovo studio. Hanno così deciso di
verificare il presupposto chiave che tutti i segmenti debbano essere presenti
all'interno di una cellula perché l'infezione abbia successo. "Non lo si è
fatto prima perché sembrava così evidente che di fatto nessuno lo ha testato",
ha detto.
Quello che hanno trovato
esaminando le infezioni da FBNSV li ha lasciati stupefatti. Etichettando due
segmenti virali alla volta con sonde fluorescenti di diverso colore, il team ha
potuto constatare che la maggior parte delle singole cellule vegetali ospiti
esaminate non conteneva l'intera gamma di segmenti virali. Inoltre, i
ricercatori hanno dimostrato che una proteina necessaria per la replicazione
virale era presente anche in cellule che in cui mancava il segmento di genoma
che la codificava. Ne hanno dedotto che i prodotti genici delle particelle del
virus - molecole di RNA messaggero o proteine - devono essere condivise tra le
cellule, in modo che ogni particella possa replicarsi e confezionarsi in un
capside per poi diffondersi. In che modo esattamente questi componenti
indispensabili siano condivisi tra le cellule vegetali non è del tutto chiaro,
ma Blanc e il suo team lo stanno studiando. La risposta potrebbe coinvolgere i
plasmodesmi, reti di canali microscopici che si estendono attraverso le pareti
cellulari delle piante e permettono a cellule adiacenti di condividere altre
proteine. Questa nuova comprensione spiega come un virus multipartito può
sostenere infezioni all'interno di una pianta, ma apre nuovi misteri su come si
diffonde. FBNSV, per esempio, per trasmettersi dipende dagli afidi che mangiano
le piante di fagioli faba. Ma questi piccoli insetti devono acquisire tutti
insieme gli otto segmenti di FBNSV e introdurli nella stessa pianta per
trasmettere con successo l'infezione. Si può supporre che buona parte degli
eventi infettivi non riesca perché gli afidi raccolgono solo un sottoinsieme
delle otto particelle. La scoperta "diminuisce il problema a livello
dell'ospite perché le particelle non devono raggiungere tutte le cellule
insieme, ma abbiamo ancora un problema di trasmissione tra ospite e
ospite", ha detto Blanc. Anche il motivo per cui un virus dovrebbe
avvantaggiarsi di uno stile di vita multipartito è oggetto di dibattito.
Un'ipotesi, dice Blanc, è che la suddivisione del genoma permette a ciascun
segmento di variare la frequenza di regolazione dell'espressione genica in un
rapido ed efficace, perché il livello di attività di un certo gene può
dipendere dal numero delle sue copie in una cellula. Ogni volta che il virus
infetta un nuovo ospite, la frequenza dei segmenti cambia, e questo potrebbe
consentire al virus di testare quale livello di espressione genica funziona
meglio in un nuovo ambiente cellulare. Eric Freundt, virologo all'Università di
Tampa, ipotizza che se le difese innate di una pianta ospite distruggono solo
le cellule che esprimono particolari proteine virali, allora la distribuzione
dei geni per le proteine in particelle diverse potrebbe garantire che in alcune
cellule il virus non venga individuato. Un'altra possibilità, suggerisce
Freundt, è che la distribuzione in punta di piedi permetta di evitare una
"risposta proteica dispiegata" che può uccidere le cellule, travolte
da un virus che cerca di produrre tutte le sue proteine nello stesso momento.
Distribuendo il suo genoma fra molte cellule vegetali, il virus può evitare di
sopraffare il meccanismo di ogni singola cellula.
La trasmissione dei virus
multipartiti da una pianta all'altra avviene grazie agli afidi. /
The transmission of multipartite viruses from
one plant to another occurs thanks to aphids. (Science Photo Library /
AGF)
Tuttavia, Franc e Bleundt sono
pronti a riconoscere che queste sono solo ipotesi. "La ragione della loro
evoluzione è ancora un mistero", dice Blanc. Zwart sottolinea che la
maggior parte delle idee sui vantaggi della multipartizione riguardano in
realtà la segmentazione del genoma, non la suddivisione del virus in diverse
unità infettive. La separazione in segmenti del genoma permette a virus diversi
di ricombinare facilmente varie forme vantaggiose dei loro geni. Arvind
Varsani, un virologo all'Arizona State University, è d'accordo. "Da una
prospettiva di modularità, si possono vedere i vantaggi dei virus
multicomponente in cui ogni modulo può essere indipendente", dice. In una
pianta infettata da più virus, "è possibile ottenere elementi utili molto
più rapidamente e adattarsi all'ambiente mescolandoli e abbinandoli". La
prova della forza di questa strategia si trova nel virus dell'influenza, un
maestro del riassortimento. Anche il genoma dell'influenza ha otto segmenti,
anche se sono tutti confezionati insieme in un capside virale. Ciò consente di
raccogliere i benefici della segmentazione senza pagare tutti i costi della
multipartizione.
Ma l'influenza potrebbe essere
simile a FBNSV più di quanto sembri a prima vista. Brooke ha scoperto che, a
seconda del ceppo, solo una piccola frazione (dall'uno al 10 per cento) delle
particelle del virus influenzale contiene copie funzionali di tutti e otto i segmenti
del genoma. "La stragrande maggioranza delle particelle influenzali sono
incomplete, o quelle che noi chiamiamo semi-infettive, particelle che da sole
non sono in grado di avviare la replicazione produttiva", ha spiegato.
"Questa è stata una sorpresa perché suggerisce che questo virus, che è di
enorme successo e molto trasmissibile, deve la sua esistenza in buona parte a
queste particelle che non possono replicarsi da sole". E prevede:
"Chiedersi in che modo i virus operano come popolazioni invece che come
singole particelle di virioni alla fine si rivelerà importante per molti
sistemi virali differenti". Parte di questa importanza è concettuale:
pensare che il DNA all'interno di un singolo capside virale definisca il suo
genoma potrebbe essere riduttivo. Sarebbe forse meglio immaginare un genoma
virale come una suite di geni rappresentati in un'intera popolazione virale. I
teorici ne stanno già approfondendo le implicazioni. Zwart si aspetta che
presto salteranno fuori nuovi modelli teorici per esplorare queste intuizioni,
relativi per esempio ai possibili modi di inquadrare l'evoluzione di questi
virus in termini di molteplici livelli di selezione naturale. All'interno di
una singola pianta ospite, le forze di selezione naturale locali permettono al
virus di bilanciare con successo i tassi di produzione dei suoi segmenti. Ma
quando il virus passa a una nuova pianta, deve essere in grado di adattarsi
anche a al nuovo ambiente che lo ospita, e dunque deve mantenere una certa
versatilità. Un livello di selezione più elevato può quindi a volte temperare
il livello locale e riequilibrare il rapporto tra i segmenti in modo più
uniforme.
"C'è un'enorme ricchezza in
tutte queste dinamiche", dice Zwart. "E' davvero affascinante".
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