IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

sabato 15 giugno 2019

IL DNA E LE RADIAZIONI COSMICHE



SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)

Per la prima volta, Crispr ha modificato il genoma nello Spazio

Un esperimento condotto alla Iss ha utilizzato per la prima volta Crispr per modificare il genoma di un lievito e osservare in che modo il danno al dna dovuto alle radiazioni cosmiche possa essere riparato. Un'informazione preziosa per la salute degli astronauti che dovranno intraprendere lunghi viaggi spaziali.

Crispr è andato per la prima volta nello Spazio. O meglio è stato utilizzato a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss) per modificare un genoma. Gli astronauti, infatti, si sono serviti per la prima volta della tecnica di editing genetico, Crisp-Cas 9, per modificare il dna del lievito di birra e cercare così di comprendere meglio quali siano i meccanismi con cui il dna si ripara dai pericoli a cui viene esposto nello Spazio. Per farlo, gli astronauti hanno “tagliato” in diversi punti il codice genetico del lievito, simulando il danno provocato dalle radiazioni cosmiche, una delle maggiori preoccupazioni per la salute degli astronauti. Infatti, sebbene la Iss si trovi a circa 400 chilometri di altitudine e sia quindi ancora protetta dal campo magnetico terrestre, è stato calcolato che in soli sei mesi un astronauta venga sottoposto a circa 30 volte la quantità di radiazioni che noi riceviamo sulla Terra in un anno. Inoltre, alcuni recenti studi hanno dimostrato che le radiazioni cosmiche, soprattutto durante lunghi viaggi spaziali, aumentano significativamente il rischio a lungo termine di sviluppo di cancro, malattie degenerative e disturbi del sistema nervoso centrale. “Volevamo capire se i meccanismi di riparazione del dna sono diversi nello Spazio rispetto alla Terra”, ha commentato Emily Gleason della MiniPcr Bio, la società che ha progettato il laboratorio di Dna a bordo della Iss. Una domanda fondamentale a cui rispondere prima di poter intraprendere lunghi viaggi nello Spazio: per una missione su Marte, per esempio, che sarebbe molto più lunga di sei mesi e senza la protezione del campo magnetico della Terra, il rischio per gli astronauti di esposizione alle radiazioni aumenterebbe significativamente. E capire, quindi, in che modo il dna si ripara da danni delle radiazioni cosmiche potrebbe essere fondamentale per proteggere la salute dell’equipaggio. Per farlo, gli astronauti Christina Koch e Nick Hague si sono serviti di Crispr-Cas9 per modificare il genoma del lievito Saccharomyces cerevisiae, provocando piccoli tagli in entrambi i filamenti del dna e imitando perciò un potenziale danno radioattivo. Precisiamo che, di norma, le cellule riparano quasi immediatamente queste interruzioni, ma possono commettere errori, inserendo o eliminando le basi azotate del dna (timina, adenina, citosina e guanina) e generando così mutazioni genetiche. Una volta che le cellule del lievito hanno riparato il danno, gli astronauti si sono serviti del processo della Pcr, polymerase chain reaction, per copiare più e più volte la sezione appena riparata e di un altro dispositivo speciale, chiamato MinION, per sequenziare la sezione riparata di dna in queste copie. Il sequenziamento, infatti, mostra l’ordine esatto delle basi azotate, rivelando se il meccanismo di riparazione ha ripristinato il dna nell’ordine originale o se ha apportato modifiche e possibili errori. L’indagine, precisano i ricercatori del programma Genes in Space (di cui fa parte questo studio), rappresenta una serie di record, tra cui il primo utilizzo dell’editing genetico Crispr-Cas9 sulla Stazione spaziale internazionale e la prima volta che gli scienziati valutano l’intero processo di danno e riparazione del dna nello Spazio. E ora non ci rimane che aspettare i risultati finali. “Ci aspettiamo che il lievito usi il metodo di riparazione senza commettere errori, come avviene sulla Terra, ma non sappiamo con certezza se sarà effettivamente così”, conclude Gleason. “In futuro, comunque vada, potremo usare queste informazioni preziose per aiutare a proteggere gli astronauti dal danno causato dalle radiazioni cosmiche durante i lunghi viaggi spaziali”.

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DI MARCO LA ROSA
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