IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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LA NUOVA CONOSCENZA

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lunedì 26 settembre 2016

OOPART: L’ENIGMA DEL MANUFATTO IN ALLUMINIO PROVENIENTE DAL PLEISTOCENE


Nel 1974, ad un paio di chilometri dalla città di Aiud, Romania, nel corso di uno scavo sulle rive del fiume Mures, un gruppo di operai edili incappò in alcuni fossili di mastodonti. Accanto ai fossili, i lavoratori trovarono anche uno strano oggetto, un misterioso manufatto in metallo. Ecco la controversa storia del cosiddetto manufatto di Aiud.
 A circa 10 m di profondità, i lavoratori trovarono alcuni fossili di mastodonti, vissuti durante il pleistocene, più un misterioso oggetto metallico ricoperto da uno strato di ossido di alluminio. In un primo momento, il reperto sembrava essere un semplice roccia, ma dopo aver rimosso la spessa crosta di sabbia dalla superficie, gli operai intuirono che non poteva trattarsi di un oggetto naturale, piuttosto quanto qualcosa si prodotto artificialmente, dato che aveva delle caratteristiche molto precise.


L’oggetto, dal peso di circa 5 kg, presentava una lunghezza di 20,2 cm, una larghezza di 12,7 cm e uno spessore di 7 cm, con una depressione circolare al centro dal diametro di circa 4 cm. Un altro piccolo foro del diametro di circa 1,7 cm, si presentava su uno dei lati dell’oggetto perpendicolarmente alla depressione centrale. Infine, due lembi sporgenti sembravano aver ospitato una specie di cardine. Gli operai portarono il manufatto al Museo di Storia della Transilvania, dove fu posto in un deposito rimanendo dimenticato per quasi 20 anni, senza che nessuno avesse mai pensato di compiere delle analisi. Finché, nel 1995, non fu “riscoperto” e sottoposto ad approfondite analisi. I primi esami chimici per determinarne la composizione furono eseguiti in due laboratori distinti: quello dell’Istituto Archeologico di Cluj-Napoca, e uno a Losanna, in Svizzera. Entrambe le strutture giunsero a conclusioni analoghe: l’oggetto risultava composto principalmente di alluminio (89%), più altri 11 metalli minori. I ricercatori rimasero un po’ sconcertati dai risultati delle analisi, dato che l’alluminio allo stato puro non si trova in natura (viene estratto dalla bauxite), e la tecnologia necessaria per creare qualcosa di così puro è diventata disponibile solo a partire dalla metà del 19° secolo. Per la produzione dell’alluminio è necessario un complicato processo industriale di elettrolisi e temperature superioei ai 900° C. La datazione del sottile strato esterno di ossidazione che copriva il blocco di alluminio restituiva una data di 400 anni. Tuttavia, lo strato geologico in cui fu trovato l’oggetto corrispondeva all’era del Pleistocene, circa 20 mila anni fa. Un nuova analisi metallurgica fu compiuta successivamente dal dottor Florin Gheorghita, presso l’Istituto per lo Studio del Metalli e di Minerali Non Metalliferi, con sede a Magurele, Romania. L’esame rivelò che l’oggetto è composto da una lega di metallo estremamente complessa. Si riscontrarono 12 elementi diversi, di cui Gheorghita è riuscito a stabilire anche le percentuali:

alluminio (88,1%), rame (6,2%), silicio (2,84 %), zinco (1,81%), piombo (0,41%), stagno (0,33%), zirconio (0,2%), cadmio (0,11%), nichel (0,0024%), cobalto (0,0023%), di bismuto (0,0003%), argento (0,0002%) e gallio (in tracce).

Dunque, di cosa si tratta?

Come riporta la versione inglese di Epoch Time, nonostante si sia ottenuta la precisa composizione chimica dell’oggetto, la comunità scientifica non si è espressa sulla natura, quindi il reperto di Aiud rimane un enigma. Tuttavia, alcuni ricercatori sono convinti che si tratti di un oggetto artificiale, parte di uno strumento più grande prodotto da una civiltà antica perduta che era riuscita a produrre alluminio di notevole purezza centinaia, o addirittura migliaia, di anni prima rispetto all’epoca moderna, mentre i Teorici degli Antichi Astronauti si arrischiano a suggerire che si tratti addirittura di un componente di un antico velivolo spaziale.


La forma, infatti, ricorderebbe quella di un supporto di un modulo di esplorazione spaziale, simile alla parte finale della sonda Viking o del modulo lunare delle missioni Apollo. Secondo questa ipotesi, l’oggetto sarebbe parte di una sonda aliena staccatosi a seguito di un atterraggio piuttosto violento. In entrambi i casi, sia l’analisi dello strato esterno di ossidazione che lo strato geologico in cui è stato trovato non riescono a spiegare adeguatamente come un oggetto tecnologicamente così avanzato sia potuto esistere in un’epoca così remota.

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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs





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