I transumanisti sono dappertutto.
Parola di Mark O’Connell
È appena uscito in Italia “Essere
una macchina”, uno dei trattati più completi sul transumanesimo. Abbiamo
chiacchierato con il suo autore di immortalità e capitalismo
“Che possibilità reali abbiamo di vivere mille
anni?” chiede Mark O’Connell, giornalista, ad Aubrey de Grey, biochimico e
biogerontologo con onorificenza a Cambridge: “Qualcosa più del 50%” risponde il
secondo; “molto dipenderà dai finanziamenti”. È uno scambio fra i più
sorprendenti (ma di poco, considerata la media altissima) di Essere una
macchina, il libro inchiesta di O’Connell che Adelphi ha appena pubblicato in
Italia. Wellcome Book Prize 2018, Essere una macchina è un diario di viaggio
fra i seguaci del transumanesimo, persone convinte che la tecnologia permetterà
di riscrivere il confine fra la vita e la morte, nel senso di allungare la
prima fino a cancellare la seconda. Con un corollario compreso nel prezzo: la
ridefinizione del concetto stesso di essere umano. 39 anni, irlandese di
Dublino e firma di Slate e New Yorker, O’Connell racconta che è stata la
nascita del suo primogenito a fargli percepire come mai prima i limiti di
un’esistenza legata a un corpo di carne e sangue. Quel giorno, lo scrittore ha
deciso di raccontare il mondo di chi “si ribella alla condizione umana“. Il
risultato è il miglior libro mai scritto sull’argomento. Un po’ perché, se si
esclude la fantascienza, il transumanesimo vanta una letteratura neppure in
grado di riempire uno scaffale; soprattutto, però, perché attraverso
l’esposizione di un frammento ancora nascosto della nostra era, Essere una
macchina scopre sotto la pelle della contemporaneità una struttura invisibile
ma portante come uno scheletro. Una “nuova religione”, la chiama O’Connell, il
cui culto è officiato non solo dai tecnoinvasati che sperano nell’uploading
della mente, o pagano 240mila dollari per criogenizzare il propio cadavere in
attesa qualcuno sappia resuscitarlo. Piuttosto una chiesa fra i cui sostenitori
ci sono i tycoon – e i soldi – di mezza Silicon Valley.
Ne abbiamo parlato con l’autore.
Può riassumere il concetto di
transumanesimo e dirci perché oggi è un argomento cruciale?
“Definirei il transumanesimo un
movimento sociale basato sull’idea che noi dovremmo, e soprattutto che sia
possibile, utilizzare la tecnologia per superare i confini della condizione
umana. È un approccio che dà per scontato si possano espandere le capacità
intellettive, ma anche che prima o poi si realizzeranno cose come l’emulazione
integrale della mente. “Premesso lo
ritenga interessante come fenomeno in sé, il transumanesimo evidenzia la
stranezza della relazione con la tecnologia della nostra era, in modo
particolare l’idea che la tecnologia possa sostituire la religione arrivando a
trascendere ogni limite terreno. È come se Dio, oggi, fosse stato sostituito
dalla tecnologia”.
Quindi, sebbene legato
all’avanguardia scientifica, il transumanesimo non è che la riproposizione di
una tensione che l’Uomo ha sempre vissuto?
“Credo sia il paradosso più
interessante: il transumanesimo si fa portatore di novità radicali e al tempo
stesso riflette un’idea antica quanto la nostra storia. In questo senso il
movimento è il frutto di un’ideologia conservatrice: i transumanisti sembrano
fermi alla metà del secolo scorso, quando si riteneva che la scienza potesse
permettere qualsiasi cosa, dall’allunaggio alla vita su Marte”.
Eppure non ha intervistato solo
qualche pazzo convinto di poter diventare immortale; fra i suoi interlocutori
ci sono fior fior di accademici, ci sono Ray Kurzweil, il profeta della
singolarità e advisor della divisione biotecnologica di Google, o Peter Thiel,
il confondatore di PayPal. Chi è il transumanista ideale?
“A volte è impossibile
distinguere i pazzi scatenati dagli scienziati: mi è capitato di ascoltare idee
serissime dai tecnofreak più eccentrici, o di rendermi conto di quanto fossero
folli certe teorie sostenute da autorevoli scienziati. Per questo non fatico a
descrivere il transumanista tipico: nella stragrande maggioranza dei casi è un
maschio, con un pensiero così logico da diventare iper-razionale. In più,
pressoché tutti i transumanisti sono o sono stati avidi lettori di
fantascienza, tanto da farmi pensare che ogni suggestione del movimento arrivi da
quel genere. Un loop, fra realtà e fantasia, che mi affascina enormemente”.
Si è fatto un’idea del perché
siano quasi tutti maschi? E circa il razionalismo, a un certo punto parla del
trasumanesimo come la reductio ad absurdum dell’Illuminismo. Che cosa intende?
“Penso che le risposte siano
legate: la convinzione di poter estrarre la mente dal corpo, per esempio,
implica ritenere l’Essere umano riducibile a un insieme di dati, in quanto tali
trasportabili su supporti diversi. È una visione profondamente razionalistica
della vita e mi è sembrato seduca molto più gli uomini. Dev’essere la
traduzione in filosofia cartesiana di una qualche forma di delusione maschile
nei confronti dell’esistenza, non saprei descriverla meglio. Ma tant’è, ho
faticato a trovare transumaniste donne. E non credo sia un caso mi sia
capitato, durante le interviste, di ricevere spiegazioni estremamente tecniche,
salvo accorgermi poco a poco di quanto fossero deliranti. È uno scivolamento
che mi intriga: ho dedicato la mia tesi di dottorato a Jorge Luis Borges e
Flann O’Brein, due autori particolarmente attratti dalla prossimità fra ragione
e pazzia”.
Rob Spence, detto Eyeborg, il videomaker con una telecamera innestata nell’occhio
Lei però non ha una preparazione
scientifica; perché dovremmo considerarlo un pregio della sua indagine?
“Lo confermo e la mancanza
corrisponde a una lunga lotta interiore: da tempo ero interessato
all’argomento, ma ritenevo di non poterne scrivere senza gli strumenti
intellettuali adatti. Lavorando, però, mi sono convinto che la mia posizione da
esterno avrebbe facilitato il viaggio del lettore in questo universo. Perché in
fondo la cosa interessante del transumanesimo, almeno per me, non è stabilire
quanto siano plausibili i suoi orizzonti da un punto di vista scientifico, ma
esplorarne la dimensione più profonda, direi filosofica“.
Fra i progetti dei transumanisti
ce n’è qualcuno che le è sembrato verosimile?
“Nel capitolo dedicato alla
robotica, affronto l’arrivo dell’automazione, una prospettiva pressoché certa
e, almeno per me, la più angosciante fra quelle affrontate nel libro. Per
paradosso è una visione del futuro che non interessa i transumanisti, le cui
previsioni sembrano riflettere più un approccio fideistico, fra l’attesa quasi
mistica della singolarità e la speranza che l’esistenza per come la conosciamo
finisca.
“Questi, dal mio punto di vista,
sono invece orizzonti irrealizzabili. Non mi preoccupa che un domani il genere
umano confluisca in una qualche forma di intelligenza artificiale suprema, in
grado di sostituirlo per sempre. Quello che mi spaventa è che un’intelligenza
artificiale anche meno complessa spazzi via l’occupazione“.
Descrivendo la Silicon Valley
parla di “ottimismo radicale”; pensa che da quelle parti si pecchi di arroganza
intellettuale?
“Senza dubbio. In un certo senso
Essere una macchina parla esattamente di questo: non affronta solo il movimento
tecnoumanista in quanto tale, ma anche il modo in un cui i valori della Silicon
Valley si sono riversati nella nostra società. Il transumanesimo è una delle
manifestazioni più significative di questi valori, la convinzione che ogni
problema possa trovare una soluzione tecnologica a patto di avere competenze e fondi
adeguati”.
Sta suggerendo una relazione fra
il transumanesimo, la Silicon Valley e il capitalismo?
“Sono convinto che la Silicon
Valley sia un laboratorio per il futuro del capitalismo. Lo dimostrano gli
investimenti nello sviluppo dell’intelligenza sintetica, la prova più lampante
di come da quelle parti vedano la prossima declinazione dell’ideologia
capitalista. A me, socialista della vecchia scuola, l’eliminazione del lavoro
sembra l’obbiettivo costante del capitalismo, la sua più intima tensione dai
tempi della prima rivoluzione industriale. Non riesco a non vedere
nell’intelligenza artificiale la conseguenza estrema di questa logica. In
fondo, Essere una macchina è un libro sul capitalismo”.
Che tipo di rapporto esiste,
invece, fra la Defence Advanced Research Project Agency (la Darpa), o
l’esercito in generale, e il transumanesimo?
“Una relazione fertile e
proficua, che vede nell’agenzia uno degli sponsor più generosi del movimento.
Gran parte dei fondi di Peter Thiel, giusto per fare un esempio, arriva da
commesse e contratti militari. Credo che qualsiasi cosa stia accadendo in
quest’ambito coinvolga la Darpa. Lo dico basandomi solo sui precedenti: dalla
guida satellitare a internet, la quantità di innovazioni uscite dai corridoi di
Arlington è impressionante e credo che aumentare le capacità umane interessi
non poco il settore bellico”.
In un’intervista il fondatore di
Atari, Nolan Bushnell, disse una cosa difficile da smentire: “la fantascienza
prima o poi si realizza”. Come pensa sarà il nostro futuro?
“Nel rapporto tra futuro e
fantascienza è interessante notare come una grande quantità delle idee più
radicali arrivi dagli scrittori. È come se fosse la fiction a creare la realtà,
una convinzione comune anche a James Ballard, uno dei miei autori preferiti.
Oggi la diffusione del transumanesimo non è che un esempio calzante di questa
teoria. Spero di avere risposto”.
Quanto è diffuso il
transumanesimo?
“Non so dare cifre precise, ma
servirebbe una premessa: chi si professa pubblicamente transumanista appartiene
a una nicchia ristretta. Sono però tanti quelli che pur non dichiarandosi
attivisti, condividono le idee del movimento. Non senza una certa sorpresa, so
che qualcuno si è convertito dopo aver letto il mio libro. È un po’
paradossale, ma è vero: i transumanisti sono già dappertutto“.
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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
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