“Visibili solo da vicino”: come gli alieni potrebbero scoprire la nostra esistenza?
Gli astronomi ritengono che solo
un decimo dei milioni di pianeti della nostra Galassia possa essere abitabile.
Se anche su uno solo di questi vi fosse una civiltà molto avanzata, questa,
come la nostra, starebbe perlustrando lo spazio alla ricerca di fratelli con
un’intelligenza simile. Ma, quali sono
le probabilità che ci trovino? Nel libro "La vita intelligente
nell'universo" l'astronomo sovietico Yosif Shklovsky descriveva un
esperimento di fantasia in cui alieni intelligenti osservavano la Terra. Lo
studioso dimostrò che gli ipotetici alieni non avrebbero notato né le attività
agricole, né la deforestazione massiccia, né gli incendi delle grandi città e
nemmeno i test nucleari. La presenza dell'ossigeno libero nell'atmosfera
suggerirebbe loro solamente che sul nostro pianeta esiste una biosfera.
"La sola presenza dell'ossigeno non è una prova univoca dell'esistenza di
vita. Nell'atmosfera ci devono essere dei gas prodotti durante l'attività
vitale", commenta Evgeny Semenko, collaboratore senior dell'Osservatorio
speciale di astrofisica dell'Accademia nazionale russa delle scienze. Oltre
all'ossigeno segni di vita nell'atmosfera sono l'ozono, l'acqua, il metano e
l'anidride carbonica. Tutti questi elementi devono coesistere perché ci sia la
vita. Gli alieni potrebbero rilevarli inviando alcune sonde nell'orbita terrestre
ma l'esistenza di una lontana civiltà con una tecnologia avanzata come la
nostra è poco probabile. Ad ogni modo per ora i nostri strumenti non sono
sufficienti per determinare se vi sia un'atmosfera su Proxima Centauri b, il
pianeta extrasolare più vicino a noi, a 4,22 anni luce.
Yosif Shklovsky
Evgeny Semenko
Yosif Shklovsky
Evgeny Semenko
Il secolo della radio
Shklovsky affermava che il
miglior modo per trovare gli umani è ascoltare la diretta radio della Terra a
frequenze molto elevate. Negli anni ‘60/'70 mentre scriveva il suo libro la
televisione analogica stava vivendo il massimo momento di attività. Il segnale
radio si diffondeva liberamente nello spazio alla velocità della luce, non
veniva assorbito dalla polvere cosmica o dalle nubi e non si disperdeva. Al
tempo potevano guardare i nostri canali televisivi quegli alieni che si trovano
a una distanza inferiore ai 50 anni luce dalla Terra. (Concetto di “prossimità”: Marco La Rosa – Comunicazione interstellare,
Congresso sull’esplorazione dello spazio , San Marino 2018). Negli ultimi
decenni il numero di televisori analogici è diminuito e al suo posto sta
crescendo l'uso della televisione digitale e di internet. Le radiazioni
elettromagnetiche che codificano i segnali sono nascoste in cavi sotterranei
schermati da rivestimenti in plastica. "Con il tempo e lo sviluppo
tecnologico diventeremo sempre meno visibili agli osservatori spaziali. Captare
segnali della nostra attività sarà possibile solo vicino alla Terra",
spiega Semenko. Ad esempio grazie a un potente radiotelescopio i marziani
potrebbero intercettare il segnale di un telefono cellulare. Oltre il Sistema
solare questo però non potrebbe succedere. Se solo non parliamo di un segnale
preciso. Tra l'altro i primissimi messaggi inviati ai sistemi solari più vicini
e potenzialmente abitati nell'ambito del progetto SETI volto alla ricerca di
civiltà extraterrestri non furono in grado di distaccarsi dalla Terra per una
distanza superiore ai 30 anni luce. In teoria è possibile inviare segnali con
la luce installando un faro laser sulla Terra o in orbita. Oggi è possibile
generare un raggio in grado di percorrere decine di anni luce. Ma questo raggio
sarebbe troppo debole rispetto al Sole e con molta probabilità si perderebbe. "Mettere
in risalto un segnale estraneo sullo sfondo della luminosità dell'astro a noi
più vicino è un compito molto più complicato di quanto possa sembrare",
osserva lo studioso. Ogni secondo il Sole irraggia 100000 volte più energia di
quanto la nostra civiltà ne abbia prodotta in tutta la sua storia. Insomma non
vi sono speranze che i nostri fratelli d'intelligenza notino questi fari
ottici.
La Terra in un oblò
Le dimensioni dei dispositivi da
noi inviati nello spazio non superano qualche metro. È possibile vederli solo
passandovi loro accanto. Non è escluso che questo accada con le sonde Pioneer e
Voyager che hanno lasciato il Sistema solare e portano a bordo dischi con
informazioni sulla nostra civiltà. Ma ciò non accadrà nell'immediato. Se si
dirigessero verso Proxima Centauri, potrebbero finire in una zona di potenziale
contatto tra 80000 anni. Ma forse è più semplice rilevare la nostra attività intorno
alla Terra, l’ISS, la moltitudine di satelliti e le decine di tonnellate di
metallo in orbita? "Anche dalla Terra non è facile scoprire questi detriti
cosmici. Di questo si occupano diverse organizzazioni. La ISS (stazione
spaziale internazionale) si trova ad un'altezza di oltre 300 km, talvolta è
possibile vederla in cielo ad occhio nudo. Ad una distanza di 600 km osserviamo
con il telescopio solamente grandi oggetti e solo se conosciamo la loro
posizione. Di identificare corpi a una distanza di 30000 km in orbita
geostazionaria sono in grado solamente grandi telescopi. Per vedere qualcosa in
orbita, bisogna essere vicini", precisa Evgeny Semenko. Ad una distanza di
5,9 miliardi di km, cioè 1000 volte meno di un anno luce, la Terra è un puntino
azzurro pallido appena identificabile nello spazio. Così ha visto la Terra la
sonda Voyager-1 che ce ne ha inviato un'immagine. Ci sono più possibilità di
scoprire grandi installazioni ingegneristiche nello spazio come la sfera di
Dyson. Si tratta di un'installazione che per dimensione è simile al raggio
dell'orbita terrestre ed è in grado di raccogliere l'energia di una stella e di
emettere una grande quantità di raggi infrarossi. Tuttavia il livello della
nostra civiltà ancora non ci permette di imbarcarci in progetti di tale
portata. I tentativi del SETI di provare l'esistenza di qualcosa simile alla
sfera di Dyson nelle zone dello spazio a noi vicine non hanno, per il momento,
avuto successo.
Il tempo è importante
Evgeny Semenko ha proposto un
esperimento di fantasia. Noi proviamo a stabilire un contatto extraterrestre e
a inviare segnali radio. Questi segnali devono essere semplici affinché gli
extraterrestri possano codificarli facilmente. Poniamo che i segnali vengano
intercettati da una qualche civiltà a 100 anni luce da noi, che vengano
codificati velocemente e che siano inviate delle risposte. Noi le riceveremo
tra 200 anni. "Cosa ne sarà della nostra società fra 200 anni? Vi è la
possibilità che non ci saremo più, dato che le armi presenti sul pianeta sono
sufficienti per distruggere tutti gli esseri viventi", afferma lo
studioso. Il contatto non vi sarà neppure se i nostri posteri saranno meno
avanzati di quanto lo siamo noi. "Allora dovranno imparare di nuovo tutto
il processo che va dalla registrazione del segnale alla sua decodifica, il che
può richiedere decine o centinaia di anni. Al momento è chiaro che il compito
principale di ogni civiltà è la maggiore trasmissione possibile delle
conoscenze alle generazioni successive", sostiene l'astronomo. Un altro
scenario possibile è il raggiungimento del limite di assuefazione, cioè quando
le persone vivranno talmente bene da non voler più instaurare un contatto. Poniamo
che proprio una civiltà autosufficiente intercetti il nostro segnale. Noi non
le interesseremo e non riceveremmo risposta.
La formula della probabilità
Qual è la probabilità che
un'altra civiltà cerchi il contatto?
Sembra che questa probabilità si
possa calcolare secondo una formula proposta dall'astronomo americano Frank
Drake nel 1961. In questa formula ci sono alcune variabili fra cui la media del
tempo durante il quale esseri intelligenti cercano il contatto con l'ausilio di
mezzi diversi. Questo parametro può anche essere basso o essere quei 100/200
anni dopo i quali la civiltà o si sviluppa sempre di più o comincia il suo
declino. Secondo Semenko la stima più pessimistica è che a cercare il contatto
con noi siano solo 0,000125 civiltà. Gli ottimisti forniscono un altro
risultato: 5000. Questo considerando che la vita di una civiltà tecnologicamente
avanzata secondo Drake si attesta intorno ai 100000 anni.
"Non ci resta che ascoltare
lo spazio e inviare dei segnali. Anche se le probabilità sono prossime allo
zero dobbiamo continuare a cercare nostri simili perché questo ci aiuterebbe a
capire chi siamo, quali sono i veri valori della civiltà, qual è il nostro
posto nell'universo. Insieme dobbiamo sviluppare nuove tecnologie che, sebbene
con ritardo, possano cambiare la vita di ciascuno di noi.”
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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
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