I viaggi nello spazio alterano la
struttura del cervello
A rivelarlo è lo studio “Effects of Spaceflight on Astronaut Brain
Structure as Indicated on MRI”, pubblicato sul New England Journal of Medicine
I viaggi spaziali di lunga durata
hanno un impatto sulla struttura del cervello. È quanto emerge dallo studio
“Effects of Spaceflight on Astronaut Brain Structure as Indicated on MRI”,
pubblicato sul New England Journal of Medicine, condotto da Donna Roberts,
neuroradiologa alla Medical University of South Carolina, con altri ricercatori
e che rappresenta l’analisi più completa dell’impatto che la lunga esposizione
alla microgravità ha sul cervello. Negli astronauti che trascorrono mesi e mesi
sulla Stazione spaziale internazionale i medici riscontrano, al loro ritorno
sulla Terra, diversi problemi legati al volo nello spazio. Si va dal classico
“mal di spazio”, o Sindrome da adattamento allo spazio (quindi nausea,
vertigini, mal di testa che si verificano già poche ore dopo essere entrati in
microgravità), a veri e propri danni a organi e apparati, dal cuore alle ossa,
passando per il cervello e gli occhi. Gli studi su questi argomenti sono
numerosi ma nello studio appena pubblicato, Roberts e colleghi, riprendendo e
ampliando ricerche effettuate in passato, sono arrivati a nuovi risultati. Al
ritorno dallo spazio, – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto
nazionale di astrofisica – tra i deficit più riscontrati dai medici che hanno
in cura gli astronauti ci sono quelli causati dalle variazioni di pressione nel
cervello e nel liquido spinale, causate dall’assenza di peso. Per descrivere
questo sintomo, la Nasa ha coniato l’espressione visual impairment intracranial
pressure syndrome (o Viip) e si verificherebbe quando i liquidi corporei
vengono ridistribuiti verso la testa durante una lunga permanenza in
microgravità; tuttavia, la causa esatta è sconosciuta. La priorità per la Nasa
(anche in vista di futuri viaggi su Marte e di eventuali permanenze oltre
l’orbita bassa della Terra) è quella di trovare una cura o in ogni caso di
prevenire questo fenomeno che arreca gravi danni alla vista degli astronauti.
Avendo lavorato per la Nasa negli anni ’90, la dottoressa Roberts era già
consapevole delle sfide che gli astronauti si trovavano ad affrontare durante i
voli spaziali di lunga durata e allo stesso tempo era preoccupata per la
mancanza di dati che descrivono l’adattamento del cervello umano alla
microgravità. Grazie a lei, la Nasa utilizza la risonanza magnetica per
immagini (Rmi) per indagare l’anatomia del cervello umano prima e dopo i voli
sulla Iss. Dalle risonanze magnetiche, effettuate prima e dopo un lungo riposo
a letto, la dottoressa ha potuto studiare la neuroplasticità del cervello e i
correlati esiti funzionali sui soggetti. Esaminando le scansioni cerebrali, la
Roberts ha notato qualcosa di insolito: un “affollamento” al vertex (cioè il
punto più elevato dell’eminenza parietale o la parte superiore del cervello)
con un restringimento dei giri e dei solchi del cervello (cioè le depressioni
cerebrali che gli conferiscono l’aspetto “a pieghe”). Questo dato è peggiore
per i partecipanti allo studio che sono stati più a lungo a riposo sul letto.
Dai test effettuati dal team di ricercatori sulla Terra ai volontari è emerso
anche un secondo fenomeno: lo spostamento verso l’alto del cervello nella
scatola cranica, cioè il restringimento dello spazio tra la parte superiore del
cervello e l’interno del cranio. Accade anche agli astronauti? La Roberts ha
acquisito scansioni cerebrali e dati correlati dal programma Lifetime
Surveillance of Astronaut Health della Nasa per due gruppi di astronauti: 18
astronauti che erano stati nello spazio per brevi periodi di tempo a bordo
dello Space Shuttle statunitense e 16 astronauti che erano stati nello spazio
per periodi di tempo più lunghi, in genere tre mesi, a bordo della Stazione
spaziale internazionale. Roberts e ricercatori di studio hanno osservato i
ventricoli cerebrali e gli spazi subaracnoidei in cui scorre il fluido
cerebrospinale e analizzato le risonanze magnetiche pre e post volo di 12
astronauti di lunga durata e di 6 astronauti di breve durata cercando qualsiasi
spostamento nella struttura cerebrale. I risultati dello studio hanno
confermato un restringimento del solco centrale del cervello, una scanalatura
nella corteccia vicino alla parte superiore del cervello che separa i lobi
parietale e frontale, nel 94 per cento degli astronauti che hanno partecipato a
missioni di lunga durata e nel 18,8 per cento degli astronauti di missioni
brevi. Le risonanze hanno mostrato anche la riduzione degli spazi in cui scorre
il liquido cerebrospinale nella parte superiore del cervello tra gli astronauti
di missioni lunghe, ma lo stesso non si è verificato nel cervello degli
astronauti che sono stati meno tempo nello spazio. Andare su Marte (dovrebbe
accadere dal 2033), dunque, avrà serie conseguenze sul cervello degli astronauti.
Probabilmente nei prossimi anni la ricerca farà passi avanti e verrà trovata
una soluzione a questo fenomeno. Per adesso gli studi confermano che questi
significativi cambiamenti nella struttura cerebrale si verificano dopo voli di
lunga durata. Per arrivare su Marte occorrono dai tre ai sei mesi e per ridurre
i tempi di viaggio Terra e Marte devono essere allineati perfettamente, il che
avviene approssimativamente ogni due anni. Durante questo periodo, i membri
dell’equipaggio rimarrebbero su Marte, dove la gravità è circa un terzo di
quella della Terra. Considerando i viaggi da e per Marte, e il tempo di
permanenza sul pianeta, gli astronauti marziani verrebbero esposti a una
gravità ridotta per almeno tre anni, secondo Roberts. Siamo sicuri che l’uomo
possa sopravvivere così a lungo in queste condizioni proibitive? “Sappiamo che
questi voli di lunga durata hanno un grosso impatto sugli astronauti; tuttavia
non sappiamo se gli effetti negativi sul corpo continuano a progredire o se si
stabilizzano dopo un po’ di tempo nello spazio. Queste sono le domande che ci
interessano, soprattutto: cosa accade al cervello umano e alla funzione
cerebrale?”, si chiede Roberts. Per capire meglio la durata e il significato
dei cambiamenti rilevati nella struttura del cervello, serviranno ulteriori
studi.
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