SEGNALATO
DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)
Gli
scienziati dell’Università di Nottingham hanno dato vita a numerosi dibattiti
nel 2008, affermando che il loro oggetto di studio, la Planaria o “verme
piatto”, potrebbe in realtà essere immortale, essendo in possesso di una
capacità illimitata di rigenerare le proprie cellule, e quindi praticamente
senza mai invecchiare. Come potete immaginare una scoperta così interessante
non è passata inosservata e non ci è voluto molto perchè fosse posta la domanda
essenziale: come potete affermare che essi siano davvero immortali? Una
semplice domanda, con una risposta estremamente complicata.
Per
rispondere dobbiamo, in primo luogo, definire che cosa rende un “soggetto” biologico
immortale. Semplicemente, se diciamo che un animale è immortale, aspettarsi che
muoia è lontano dall’essere pratico, in termini scientifici. I
ricercatori hanno isolato una serie di parametri genetici che devono
presentarsi per poter considerare un animale immortale. Prima di tutto si deve
ritenere che esso abbia la capacità di sostituire le sue vecchie cellule
indefinitamente, ed è il compito delle cellule staminali. Con l’età la maggior
parte degli esseri viventi tende a perdere gradualmente questa capacità,
andando incontro a invecchiamento o “senescenza replicativa” (per usare un
termine tecnico specifico – ndr – MLR), disordini ed in ultimo a morte. Il
verme piatto non solo è in grado di rigenerare le sue vecchie cellule, ma può
letteralmente costruire un nuovo cervello, l’intestino o la coda quando viene
diviso a metà, quindi dando vita letteralmente ad un nuovo “individuo”. Nel
corso degli anni, durante le loro ricerche, gli scienziati della Notthingam
University hanno clonato alcune migliaia di individui partendo da un solo verme
piatto, tagliandolo a metà. Il biologo Dottor Aziz Aboobaker della University’s
School of Biology, che ha guidato il progetto, spiega: “ Stavamo studiando due tipi di vermi planari; quelli che si riproducono
sessualmente, come noi, e quelli che si riproducono asessualmente,
semplicemente dividendosi in due” ; entrambi sembrano essere in grado di
rigenerarsi indefinitamente sviluppando nuovi muscoli, pelle, intestini ed
anche cervelli completi. Solitamente quando le cellule staminali si dividono –
per curare le ferite o durante la riproduzione o la crescita – esse cominciano
a mostrare segni d’invecchiamento. Ciò significa che le cellule staminali non
saranno più capaci di dividersi e meno capaci di sostituire cellule
specializzate morte nei tessuti dei nostri corpi. L’invecchiamento della nostra
pelle è forse l’esempio più chiaro di quest’effetto. I vermi planari e le loro
cellule staminali sono in qualche modo capaci di evitare il processo di
invecchiamento e mantenere la divisione cellulare.”
LA
CHIAVE SI CELA NEL DNA:
Ogni
volta che una cellula si divide, la terminazione del suo DNA, chiamata
telomero, diventa più corto (Il telomero è la regione terminale di un
cromosoma composta di DNA altamente ripetuto che protegge l'estremità del
cromosoma stesso dal deterioramento o dalla fusione con cromosomi confinanti), l’
enzima chiamato telomerasi rigenera i telomeri, e comunque nella maggior parte
degli organismi a riproduzione sessuale è attiva soltanto durante lo sviluppo
dell’organismo. (La telomerasi è una ribonucleoproteina, un enzima che aggiunge sequenze
ripetitive di DNA non codificante, TTAGGG" per tutti i vertebrati ed altri
organismi, al terminale 3' dei filamenti di DNA nelle regioni dei telomeri, che
si trovano alle estremità dei cromosomi eucariotici, riallungando così i
telomeri accorciati in modo da mantenere integri i cromosomi. Si tratta di una vera
e propria trascrittasi inversa o DNA polimerasi RNA-dipendente, dal momento che
utilizza frammenti di RNA, propri, come stampo per l'elongazione dei telomeri.
L'esistenza di un meccanismo compensativo del processo d'accorciamento dei
telomeri era già stato previsto dal biologo sovietico Alekseï Matveïevitch
Olovnikov nel 1973 che aveva anche suggerito l'ipotesi di invecchiamento dei
telomeri e le connessioni tra telomeri e tumori.
Grazie alla scoperta del processo della telomerasi, nel ciliato Tetrahymena, un
tipico organismo modello, e su questo specifico studio Elizabeth Blackburn,
Carol W. Greider e Jack W. Szostak hanno vinto il Premio Nobel per la Medicina
2009 – ndr – vedi: IL PRINCIPIO DELL’IMMORTALITA’, neo-eso-biologia di Marco La
Rosa e Giorgio Pattera CreateSpace Edition 2016).
Una volta raggiunta
la maturità, l’ enzima smette di funzionare e i telomeri diventano sempre più
corti finchè la replicazione cellulare diventa impossibile, pena gravi
danneggiamenti al DNA. Un animale immortale invece riesce a mantenere la
lunghezza del telomeri indefinitamente, senza problematiche di tipo
cangerogeno, in questo modo può continuare a riprodursi, e il Dott. Aboobaker
con i suoi colleghi sono riusciti a dimostrare che i vermi piatti conservano
attivamente le terminazioni dei loro cromosomi nelle cellule staminali adulte,
portandoli all’immortalità teorica. Il dottorando Thomas Tan ha condotto una
serie di esperimenti decisivi all’interno del progetto, per spiegare
scientificamente l’affascinante, quanto teorica, immortalità. È stata
identificata una versione piana del gene che codifica per l’enzima della
telomerasi con attività “spenta”. Armati di questa nuova scoperta e
comprensione, gli scienziati hanno monitorato e misurato il gene, osservando
che nei vermi a riproduzione asessuata la sua attività aumenta enormemente
quando si rigenerano, permettendo alle cellule staminali di conservare i loro
telomeri durante la divisione per formare tessuti mancanti. Questa attività di
ricerca è stata svolta nel laboratorio genetico sui lieviti del Prof. Edward
Louis, il centro di Ricerca sui Tumori al Cervello nei Bambini e nei centri di
ricerca della University of Notthingam competenti in biologia del telomero.
DA
VERMI IMMORTALI A UMANI IMMORTALI:
Lo
studio ha evidenziato però che la “versione piana” del gene sopra descritto, non
si presentava nei vermi piatti con riproduzione sessuale che, in ogni caso,
continuavano a mostrare la stessa, apparentemente indefinita, capacità di riprodursi.
L’evidenza
sorprendente è dunque espressa dal fatto che se questi vermi piatti
accorciassero eventualmente i loro telomeri, sebbene molto gradualmente, o
avessero trovato un modo diverso di conservare indefinitamente la replicazione
cellulare, questo esula dall’enzima della telomerasi. I ricercatori
sostengono che il prossimo passo è studiare come tutto ciò può essere applicato
ad organismi più complessi, come gli umani. “ I prossimi obiettivi per noi sono: comprendere questi meccanismi più
nel dettaglio e capire di più su come far evolvere animali immortali.” dice
Aboobaker. “I vermi sono un sistema modello sul quale possiamo basarci per
testare se è possibile per un animale pluricellulare essere o divenire (?)
immortale o quanto meno evitare il più a lungo possibile gli effetti
dell’invecchiamento…”
Le
scoperte sono state pubblicate su PNAS. University of Nottingham.
Fonte: Zmescience
PER APPROFONDIMENTI:
SE TI E' PIACIUTO QUESTO POST NON PUOI PERDERE:
LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?
"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
Nessun commento:
Posta un commento