“La Verità è
sotto gli occhi di tutti,
ma solo chi
ha l’animo libero
è in grado
di riconoscerla”.
del Dr. Giorgio Pattera (Biologo e Giornalista)
Nella letteratura occidentale, Omero (seconda
metà del secolo IX a.C.) è il primo autore che ci parla del sogno. Più tardi, Eràclito (535-475 a.C.) sullo stesso argomento scrive:
"Chi è desto, possiede un mondo unico e comune; ma nel
sonno ciascuno si volge a un suo mondo particolare".
Ma chi è nato cieco cosa sogna? Appurato
che anche i non vedenti congeniti sognano esattamente come i vedenti, è normale
porsi un'altra domanda: come fanno i ciechi a vedere (seppur in sogno) cose che
non hanno mai visto nella realtà? Chi è cieco dalla nascita, come può raccontare
le immagini dei propri sogni e descriverle dettagliatamente? E le immagini
stesse, sono elementi linguistici trasformati in sensazioni visive o nel
patrimonio genetico della specie umana è racchiuso una sorta di archivio
iconico? Dare una risposta a questi interrogativi non è facile, anche
perché significherebbe riuscire a scrutare in profondità i meccanismi
percettivi e indagare su ciò che di immateriale potrebbe essere trasmissibile
dai genitori ai figli, la cosiddetta “ereditarietà della memoria parentale”
(cfr. “Parental
origin”, in “American
Journal of Medical Genetics”). (1)
Per il non vedente congenito, quindi, anche di
giorno c’è solo il buio: non c’è il mare, non ci sono le montagne, gli alberi,
il cielo o i volti di madre e padre. Eppure di notte, con gli occhi chiusi,
affiorano forme, colori, figure umane e paesaggi naturali, immagini del mondo
reale fino ad allora nascoste in qualche luogo misterioso: tutto quello, cioè,
che i normodotati hanno visto, vedono e sognano…
Dell'interrogativo riguardante le modalità in cui
sognano le persone non vedenti si sono occupati i ricercatori del “Laboratorio
del Sonno” della Facoltà di Medicina dell’Università di Lisbona. Gli studiosi
sono giunti ad un’incredibile ed inaspettata conclusione, scoprendo che, durante la fase
REM del sonno, i sogni
delle persone non vedenti dalla nascita… sono uguali a quelli dei vedenti!
Lo studio dell’Università portoghese, pubblicato
sulla rivista scientifica inglese "Cognitive
Brain Research" e premiato al congresso della Società Europea di ricerca sul Sonno,
ha integrato e superato con nuovi metodi di analisi i precedenti studi in
materia, che trattavano l’argomento solo dal punto di vista psicologico. I
ricercatori, infatti, hanno utilizzato strumenti di misurazione dell’attività
onirica sia qualitativi che quantitativi, arrivando a stabilire che i non
vedenti, nei loro sogni, visualizzano le immagini proprio come noi, seppur non
ne abbiano mai avuto esperienza tangibile. L’inconscio onirico
– questo il nome ufficiale dell’universo iconografico che popola i nostri sogni
– è uguale per tutti, vedenti e non. Se fino a qualche tempo
fa si riteneva che coloro che sono ciechi dalla nascita non disponessero dello
stesso “repertorio” delle persone vedenti, la ricerca portoghese ha provato il
contrario. Helder Bértolo, biofisico responsabile dello studio, afferma che,
come per i vedenti, anche nella fase REM del sonno dei non vedenti si
attiva la corteccia visuale occipitale, ovvero quella parte del cervello
deputata all’elaborazione delle immagini. Ciò significherebbe che, anche nei
ciechi, l'attività onirica è visuale.
Altra "prova" del carattere visuale dei
sogni dei soggetti non vedenti dalla nascita è scaturita, sempre nello stesso
studio, dalla cosiddetta analisi grafica dei disegni sui sogni,
realizzati dai volontari (sia ciechi che non) subito dopo il risveglio. I
ricercatori hanno verificato che, presa come esempio la “silhouette” della
figura umana, disegnata da vedenti e non, l'analisi grafica mostra come, su ben
51 linee comuni d’identificazione, l'unico elemento discordante si ritrova nel dettaglio
delle orecchie, che i non vedenti disegnano nettamente più grandi
(probabilmente perché toccate nel processo di riconoscimento di una persona).
Si tratta di un risultato sorprendente, ma solo
in apparenza, se si ricorda che già nel 1978 il ricercatore americano Michael
Jacobson spiegava che, dal punto di vista neurofisiologico,
nei ciechi congeniti il processo di “validazione funzionale” non procede
alla specializzazione dei neuroni, che quindi rimangono potenzialmente audio/tattilo/visivi.
Ed è proprio questa facoltà neotenica (= capacità biologica di conservare i
caratteri non specializzati e immaturi di una specie) che consente la sinestesia, cioè la possibilità di
percepire simultaneamente uno stesso oggetto per mezzo di sensi diversi.
Si pensa, infatti, che le immagini possano generarsi
dalla "cooperazione" tra l'attività della corteccia visuale
con l'attività degli altri organi sensoriali, quali tatto, udito, olfatto e
gusto. Tuttavia non si esclude che l'essere umano possieda una sorta di
banca dati di immagini "innate", utilizzate per preservare la
specie.
La comunità scientifica, per ora, si limita a formulare
ipotesi. Ma
le ricerche proseguono…
Giorgio Pattera
nota: (1)
– Questo argomento richiama i concetti dell’Epigenetica (dal greco
επί, epì = "sopra" e γεννετικός, gennetikòs =
"relativo all'eredità familiare"), termine coniato nel 1942 da Conrad Waddington (1905-1975), ma già ipotizzato
da Aristotele
(384-322 a.C.). Si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo,
senza alterare il genotipo. L’Epigenetica, infatti, è la branca della Genetica
che studia tutte le modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica, pur non alterando la
sequenza del DNA.
Si tratta, quindi, di fenomeni ereditari, in cui il fenotipo è determinato non
tanto dal genotipo ereditato in sé, quanto dalla sovrapposizione al genotipo
stesso di "un'impronta", che ne influenza il comportamento funzionale.
FONTI:
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