Fritjof Capra (La danza di Shiva)
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… GLI ATTRIBUTI E LE GESTA DI UN
DIO DECISAMENTE “SUPERIORE”…
SANSCRITO:
« yadātamas tan na divā na rātrir na san na cāsac chiva eva kevalaḥ tad
akṣaraṃ tat savitur vareṇyaṃ prajñā ca tasmāt prasṛtā purāṇī »
TRADUZIONE ITALIANA:
« Là dove non vi è oscurità, - né notte, né giorno, - né Essere, né Non
essere, - là vi è il Propizio, solo, - assoluto ed eterno; - là vi è il
glorioso splendore - di quella Luce dalla quale in principio - sgorgò antica
saggezza. »
(Śvetāśvatara Upaniṣad, IV, 18.
Traduzione dal sanscrito in inglese di Raimon Panikkar in I Veda vol. I.
Milano, Rizzoli, 2008, p. 113)
A proposito del culto di Siva o Shiva, lo storico delle religioni Mircea
Eliade dice: “non è certo che già prima, nell'epoca vedica o anche in quella
precedente, Rudra-Śiva non avesse, in alcuni ambiti, una sua supremazia fra gli
dèi, essendo sia i Veda che i Brāhmaṇa testi composti da un'élite,
aristocratica e sacerdotale, che di proposito ignorava il comportamento degli
strati più umili della popolazione, nei quali continuavano a sopravvivere
elementi anari”. Questa avversità dell’elite sembrerebbe testimoniata, per
esempio, da uno degli inni più antichi del Ṛgveda (VII, 21, 5), dove gli
officianti invocano Indra affinché non consenta agli adoratori del fallo
(Śiśnadeva) di accostarsi ai loro riti. (Il liṅga, lett. "segno", ma
anche "fallo", è uno degli
attributi di Śiva, simbolo tramite il quale il principio creatore del dio è
rappresentato e venerato). Lo studioso Alain Daniélou dice anche che è l'antico culto
di questo dio che riemerge, superando l'ostracismo degli invasori ariani e
imponendo poi le proprie idee filosofiche e tecniche rituali anche alle caste
più elevate della popolazione indiana. È principalmente nei sistemi filosofici
dello Yoga, del Tantra e del Sāṃkhya, le tre vie della realizzazione, che si
riconosce l'impronta di questa precedente conoscenza: « A eccezione delle parti più antiche dei Veda, tutti i successivi
testi dell'Induismo recano l'impronta delle idee filosofiche e delle tecniche
rituali dell'antico shivaismo più o meno adattati per essere integrati in un
mondo teoricamente vedico. » (Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, 1980, Op.
cit., p. 125). Nella Kaivalya Upaniṣad, Śiva è il «signore che tutto governa»
(cap. 7); nella Taittirīya Upaniṣad è «colui dal quale tutti gli esseri nascono
e vi ritornano» (cap. 3, 1); nella Muṇḍaka Upaniṣad è «il Sé interiore di tutti
gli esseri viventi» (cap. 2, 1, 4), e le citazioni non si esauriscono con
queste. Anche nel grande poema epico Mahābhārata, la cui stesura finale è
comunque successiva alle Upaniṣad, Śiva è riconosciuto come "Grande Dio
"(Mahādeva), cui è dovuta venerazione da parte di tutti, umani e dèi. La
figura di Śiva come una delle principali divinità hindu, Dio poliedrico,
possessore di una elaborata mitologia e portatore di una metafisica sofisticata,
prende corpo e si afferma infine coi Purāṇa, quei testi religioso-filosofici
che espongono cosmologia e filosofia hindu attraverso le narrazioni delle
storie, testi trascritti all'incirca fra il III e il XII secolo.
IL DISTRUTTORE DI “TRIPURA”
OVVERO UN CATACLISMA CHE PUO’ AVVENIRE CON L’ALLINEAMENTO PLANETARIO (?)
La storia è narrata
nello Śiva Purāṇa: su
richiesta del popolo degli Asura che aveva invocato Brahmā, Māyā, l'architetto, edificò tre città volanti, una
d'oro, una d'argento, l'altra di ferro. Le tre città erano meravigliose e
inespugnabili, solo Śiva, dio che gli Asura veneravano, poteva distruggerle, e
ciò poteva avvenire soltanto nel momento in cui le tre città si trovassero
allineate nel cielo, evento che capitava ogni mille anni. Il giorno venne, e
nonostante le implorazioni degli Asura, Śiva, quando vide le tre città
allineate, scoccò una freccia «che splendeva come innumerevoli soli»:
le tre città furono ridotte in cenere.
IL SIGNORE DELLA DANZA E LA DANZA DELLE PARTICELLE AL CERN DI GINEVRA
(?)
« La materia, la vita, il
pensiero non sono che relazioni energetiche, ritmo, movimento e attrazione
reciproca. Il principio che dà origine ai mondi, alle varie forme dell'essere,
può dunque essere concepito come un principio armonico e ritmico, simboleggiato
dal ritmo dei tamburi, dai movimenti della danza. In quanto principio creatore,
Śiva non profferisce il mondo, lo danza. »
(Alain Daniélou, Śiva e Dioniso,
1980, Op. cit., p. 181)
Śiva o Shiva è anche chiamato Naṭarāja, il Re della Danza,
e molte sono le rappresentazioni che hanno come soggetto il Dio danzante. La
più nota è quella di Śiva con quattro braccia all'interno di un arco di fuoco.
La chioma del Dio è intrecciata e ingioiellata e le ciocche inferiori si
sollevano nel vento. Indossa pantaloni aderenti ed è adorno di bracciali,
orecchini, anelli, cavigliere e collane; una lunga sciarpa gli ondeggia
attorno. Altri tipici attributi possono essere altresì presenti, come il
teschio, il cobra, la luna crescente, eccetera. Una delle mani tocca l'arco di
fuoco che lo circonda, un'altra indica il nano malvagio schiacciato sotto il
suo piede destro; una terza mano regge il tamburo e l'ultima è aperta in un
gesto rassicurante; il piede sinistro è sollevato. È questa l'immagine più popolare,
e corrisponde alla danza detta nādānta, quella che secondo tradizione Śiva
effettuò a Chidambaram (o Tillai), nella foresta di Tāragam per difendersi dai ṝṣi
seguaci del Mīmāṃsā e dal nano che questi avevano creato per assalirlo. Chidambaram
era luogo considerato centro dell'Universo: il fatto che Śiva si trovi là
simbolegga, nella corrispondenza col microcosmo, che il luogo in cui Dio danza
è il centro dell'uomo, il suo cuore, e allora il messaggio simbolico diventa
quello di liberare l'uomo dall'illusione e dalla nescienza.
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