… ritorno sulla fusione fredda perche:
nonostante siano passati quasi 25 anni dagli esperimenti di
Fleischmann e Pons, il mare di polemiche “vomitate” a livello accademico furono
e sono (ancora oggi) per lo più atti di “censura” e non legittime
critiche scientifiche agli esperimenti ed ai loro risultati.
Il prodotto è stato inevitabilmente un marasma di “disinformazione”,
perpetrato da uomini di scienza ed interessati divulgatori scientifici o pseudo
tali.
Pochi pochissimi scienziati ritennero importante continuare le
ricerche in questo campo, e non mollarono: “veri scienziati-carbonari” che del
loro hanno messo TUTTO.
Oggi nonostante una mole impressionante di dati prodotti in
esperimenti perfettamente riproducibili, poco o nulla si è mosso dal punto di
vista pratico. I finanziamenti a questo tipo di esperimenti sono per lo più di
carattere privato, quindi è più che legittimo pensare che il potere economico –finanziario,
ha molto da perdere e poco da guadagnare :
“da una realistica ed economica
fonte energetica decentrata, perciò incontrollabile, poco
monopolizzabile... ...ecco perché il potere la avversa, e lo fa
con la disinformazione portata avanti dal servizio pubblico mediatico e dai
maggiori quotidiani”
Unica
eccezione, la trasmissione Report di
RAITRE che, in una interessante intervista al compianto Prof. Giuliano
Preparata del 24/9/97, conferma quanto sopra esposto.
A futura
memoria…e’ rimasta purtroppo aria fritta.
“Ma per sua natura, la
richiesta di fusione fredda avanza dal basso, e non si fermerà, a patto che la gente sappia la verità”.
Ovviamente,
nulla di tutto ciò è mai stato esposto chiaramente al grande pubblico dai
media. La gente comune, quando sente la parola: “fusione
fredda” fa spallucce, tutt’al più
si rammenta
della “bufala” degli ingiustamente
bistrattati Fleishmann e Pons.
Di tutto
quello che invece è stato prodotto dopo, grazie a
loro: NULLA di NULLA.
Sospiro,
scrollo la testa deluso, ma non mi dò per vinto.
Prima di
chiudere vi allego un’ intervista del 2004 al Dott. Vittorio
Violante, del Centro Ricerche ENEA di Frascati, a capo del laboratorio di
Scienza dei materiali. Potrete trovarla tutt’ora
sul sito ufficiale dell’ENEA, (vedi link in questo blog).
Da
questa, si evince senza ombra di dubbio la bontà
della ricerca, ma come al solito senza fondi e laboratori adatti…si va alle calende greche.
Intanto
sono passati quasi altri dieci anni !
Buona
Lettura
Marco La Rosa
da: ENEA
“CHE FINE HA FATTO LA FUSIONE
FREDDA ?
Sono
trascorsi molti anni, più di quindici, dall’annuncio della scoperta della fusione fredda da parte dei
due elettrochimici dell’Università dell’Utah, Martin Fleishmann e
Stanley Pons.
Il lavoro
di studio e di ricerca, fino ad ora condotto in questo settore, ha consentito
da un lato di identificare le line di attività
che hanno prodotto i risultati più consistenti e più interessanti dal punto di vista scientifico, dall’altro di scartare quelle linee di ricerca che hanno
prodotto risultati non affidabili dal punto di vista statistico. Gli studi, sia
teorici che sperimentali, condotti nel campo della scienza dei materiali hanno
consentito di accrescere il controllo sul fenomeno e di creare le premesse per
una sua completa comprensione. Su questo specifico tema cresce l’attenzione a livello di Istituzioni: finanziamenti
specifici sono stati stanziati in Italia dal Ministero per lo Sviluppo
Economico (ex Ministero per le Attività Produttive). Anche negli
Stati Uniti d’America è in corso un processo di revisione del fenomeno, con fondi
di Agenzie governative e con ampio spazio dedicato alla scienza dei materiali.
Gli incoraggianti risultati fino ad ora ottenuti in questo ambito creano una
premessa solida affinché il percorso intrapreso
secondo questo indirizzo di ricerca continui nel futuro, in un contesto
costituito dai più prestigiosi Istituti di
ricerca del mondo, con tutto il necessario supporto.
È uno scenario nuovo, ben
diverso da quello iniziale; ne abbiamo parlato con uno dei più noti ricercatori a livello internazionale impegnati nella
fusione fredda ed in particolare nel campo della scienza dei materiali,
Vittorio Violante, del Centro Ricerche ENEA di Frascati.
“Tutto inizia con gran clamore
nel 1989 quando, in seguito ad alcuni esperimenti dei chimici Stanley Pons e
Martin Fleischmann, la fusione fredda fu prospettata come una fonte di energia
semplice, economica, abbondante e ambientalmente compatibile. Bastarono pochi
anni e dalle stelle si passò alle stalle: era stato preso
un grossolano abbaglio, singolare esempio di una scienza spettacolo senza
fondamento; non solo, perché quanti continuarono ad
occuparsi di ricerca sulla fusione fredda, lo fecero consapevoli di mettere a
rischio la propria reputazione scientifica. Ancora oggi alcuni media continuano
a prospettare la fusione fredda come grande speranza energetica, ventilando l’ipotesi del complotto da parte dell’establishment energetico internazionale, per boicottare una
fonte cosiddetta ‘free energy’.
Che la
partita sia aperta, lo dimostra il fatto che grandi industrie e gruppi privati
- Mitsubishi (Giappone), EDF (Francia), Energetics (USA), Pirelli Labs (Italia)
- stanno investendo discrete risorse in ricerca nel settore e numerosi
laboratori di ricerca in diversi Paesi (in Italia l’ENEA, l’INFN ed altri) continuano
silenziosamente a lavorare.
- Qual è il motivo di un tale ribaltamento?
“Le fortissime contestazioni
sono nate, perché all’inizio chi provò a ripetere l’esperimento di Fleischmann e Pons, otteneva risultati molto
contrastanti. Il Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti mise sotto
osservazione la materia e alcuni laboratori di vari Paesi che provarono a
ripetere l’esperimento non riuscirono a
replicare quello che i due chimici dichiaravano di aver ottenuto. Poiché la riproducibilità è un fattore essenziale per la definizione di un fenomeno
scientifico, la fusione fredda fu in qualche modo considerata ‘cattiva scienza’, venendo di fatto abbandonata
dalla maggior parte di ricercatori e laboratori. Pochissimi continuarono ad
effettuare ricerche”.
- Oggi,
dopo 15 anni, il fenomeno può considerarsi ancora non
riproducibile e, quindi, in qualche modo casuale?
“Gli sperimenti hanno messo in
evidenza che l’eccesso di potenza si
manifesta, a volte anche con una notevole vivacità.
La riproducibilità del fenomeno è comunque superiore a quella che si riusciva ad ottenere
solo alcuni anni or sono. L’Istituto Californiano SRI
International e la IMRA Japan osservarono che si trattava di un fenomeno ‘a soglia’, vale a dire che l’eccesso di potenza si innesca solo se si raggiunge un
livello di concentrazione di deuterio (ovvero di quantità di atomi di deuterio) all’interno
del reticolo di palladio non inferiore ad un certo valore. Partendo da questa
osservazione, personalmente ho dedicato buona parte della mia attività scientifica a cercare di comprendere come mai, a parità di condizioni di lavoro, un materiale come il palladio,
apparentemente sempre uguale, talvolta assorbe più
idrogeno e a volte ne assorbe di meno. Questo studio è durato diversi anni e alla fine, identificati alcuni
aspetti termodinamici e di cinetica diffusionale, qui all’ENEA siamo riusciti a creare e brevettare una tipologia di
questo metallo e un processo per realizzarlo, che consente di riprodurre in
modo affidabile la soglia di concentrazione necessaria all’innescarsi del fenomeno”.
- Quindi
siete riusciti a consentire la famosa riproducibilità?
“Più precisamente siamo riusciti a creare, in sistemi
elettrolitici del tipo deuterio-palladio, un’affidabile
riproducibilità della soglia critica di
caricamento. Abbiamo fornito i nostri materiali anche ad altri gruppi ricerca,
in modo da mettere anche altri laboratori in condizioni di osservare il
fenomeno di eccesso di potenza, migliorando la probabilità di successo. Certo, non è
ancora una vera e propria riproducibilità controllata: ad esempio
stiamo ancora lavorando sul controllo dello start-up del fenomeno, che a tutt’oggi non siamo in grado di far partire a comando. Abbiamo
però creato i presupposti affinché, entro un determinato tempo, il fenomeno si manifesti con
una certa probabilità. Si tratta insomma di un’importante situazione di miglioramento e 'trasferimento’ della riproducibilità, totalmente assente all’inizio della ricerca nel 1989”.
- A che
punto siete quindi?
“A cambiare le carte in tavola è stato l’evento scientifico dell’agosto 2003, la Conferenza internazionale sulla fusione
fredda tenutasi a Boston. Io e altri ricercatori di istituti stranieri, tra
questi alcuni che avevano utilizzato i materiali messi a punto dall’ENEA, presentammo i risultati positivi, che convinsero
alcuni accademici americani a sottoporre nuovamente la questione al DOE,
affinché svolgesse nuove verifiche. Di
fatto fu effettuata un’ampia analisi dei dati
disponibili in letteratura, in seguito alla quale fu proposto un confronto dal
vivo con alcuni esperti. Confronto che si è tenuto nell’agosto 2004 a Washington, dove 5 scienziati americani e uno
proveniente da un Istituto europeo - io - hanno discusso davanti ad una commissione
di qualificati referee le ricerche effettuate e i risultati ottenuti. Dopo
alcuni mesi di valutazione, il DOE ha emesso il verdetto:un significativo
numero di referee riteneva che il fenomeno era da considerarsi un effetto
reale, non frutto di fantasia o di cattive misure, e che la materia meritava di
essere studiata né più né meno come altre materie
scientifiche”. Inoltre nel documento
conclusivo del DOE si sostiene che uno dei campi nei quali occorre concentrare
gli studi è proprio la scienza dei
materiali.
- Insomma
un ripensamento, nel quale il DOE ha ammesso lo sbaglio del passato?
“Non proprio, piuttosto l’approvazione di un processo di revisione. Ossia la presa d’atto che la situazione è
oggi diversa da quella iniziale del 1989, e che il lavoro fatto nei quindici
anni successivi dai vari laboratori di ricerca, come quello dell’ENEA, ha cambiato i termini della questione”.
L’ENEA, grazie al lavoro svolto nel campo della scienza dei
materiali, ha avuto un ruolo fondamentale in quanto non solo ha ottenuto
risultati ragionevolmente riproducibili e con segnali inoppugnabili, ma ha
contribuito utilmente affinché anche altri Istituti
ottenessero risultati simili.
- Quali
sono i Paesi più attivi nella ricerca sulla
fusione fredda?
“Oltre all’Italia, con l’ENEA, l’INFN e alcuni istituti universitari tra cui il Dipartimento
“Energetica” dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma con cui collaboriamo intensamente, c’è una discreta attività in USA, Francia, Giappone,
Russia e Cina. Il nostro Paese è peraltro ben collocato e le
nostre ricerche sono molto apprezzate all’estero”.
-
Tornando al fenomeno, ora c’è concordanza sulla sua
origine? Si può certamente parlare di fusione
nucleare o ci sono ancora dubbi, ad esempio per possibili processi di tipo
chimico?
“Sulla base della scienza nota,
in base alle misurazioni calorimetriche, è difficile spiegare i fenomeni
che registriamo come effetti chimici. Mi spiego. Una misura calorimetrica
consiste nel bilancio tra la potenza che viene immessa dall’esterno nel sistema e quella che il sistema emette. Quando
nei nostri esperimenti si manifesta l’eccesso di potenza (in uscita
maggiore di quella in ingresso), il guadagno di energia che ne deriva è tale che se fosse ridistribuito su tutte le particelle
presenti nel sistema dell’elettrodo (atomi di metallo più atomi di deuterio) darebbe luogo ad una quantità di energia per atomo da 10 a 100 volte maggiore della
massima energia associabile ad un legame chimico. Se accettassimo l’idea che la natura del fenomeno è chimica dovremmo sostenere che nei nostri ‘elettrodi’ hanno luogo reazioni ottenute
con elementi che hanno legami chimici da decine o centinaia di elettronvolt al
momento non noti; si tratta quindi di fenomeni di altra natura che, sulla base
delle nostre conoscenze, possono solo essere di natura nucleare. Inoltre
occorre sottolineare che, con riferimento al palladio, gli eccessi di potenza
si ottengono solo con il deuterio e non con l’idrogeno;
altro indizio, questo, che identifica il fenomeno di natura nucleare associabile
ad un processo di fusione, che procede con modalità diverse rispetto a quanto avviene nei plasmi. In
definitiva in questo tipo di esperimento dobbiamo attenderci, come firma dell’avvenuto processo nucleare, un aumento della concentrazione
(quantità) di elio molto al disopra di
quelli che sono i valori naturali rivelabili nell’aria
che ci circonda. Alcune misure, anche se preliminari, effettuate in Istituti
tra i quali la Divisione Energia dell’Sri e dal mio Laboratorio in
ENEA, hanno fatto osservare che, in concomitanza con il fenomeno della
produzione di potenza, si registra un aumento della concentrazione di elio (in
celle sperimentali perfettamente sigillate e realizzate con tecnologia da alto
vuoto) rispetto ai valori ambientali e in quantità
consistenti con l’eccesso di energia prodotta.
Anche queste misure di elio e la correlazione con l’energia prodotta furono presentate da noi e dall’Sri ai referee del DOE nel 2004. Questi ed altri risultati
presentati da colleghi statunitensi furono tenuti in conto nella stesura del
documento finale del DOE ove viene esplicitamente detto che un altro settore in
cui è opportuno concentrare l’attività di ricerca è proprio quello della ricerca delle ceneri nucleari. Si
pensa così che il processo sia
riconducibile ad una fusione tra nuclei di deuterio con produzione di calore ed
elio, senza emissione di radiazioni”.
- E ora?
Dove si sta indirizzando la ricerca?
“Dopo l’accertamento del DOE, è iniziato un processo di
revisione che si articola in due fasi: la prima, di ‘definizione’, in via di completamento, si
basa sull’utilizzo degli elettrodi che
produciamo qui all’ENEA di Frascati, perché sono quelli che hanno fornito un livello di riproducibilità accettabile e livelli di segnale inequivocabili. Il
Laboratorio americano che è stato incaricato di
effettuare la prima fase di revisione, l’Sri, ad esempio, utilizza i
nostri elettrodi e il sistema calorimetrico della Energetics. Una seconda fase
del processo di revisione appunto, è prevista nel caso in cui
vengano raggiunti gli obiettivi fissati per la prima”.
- Dopo la
prima fase si potrebbe cominciare a pensare ad applicazioni di qualche tipo, ad
esempio per la produzione di energia?
“No, guardi, non è proprio il caso di parlare di applicazioni energetiche o d’altro tipo. Siamo ancora in una fase di ricerca
fondamentale e non c’è davvero la possibilità di esprimersi non dico su ipotetiche applicazioni, ma
nemmeno sulla possibilità di studi di natura
tecnologica senza aver prima definito la fisica del sistema. Un ingegnere che
fa un progetto tecnologico, anche molto sperimentale, ma che lasci sperare in
possibili sviluppi, ha bisogno di equazioni matematiche che possono essere
elaborate solo quando tutto il processo fisico è
completamente compreso e definito. Stiamo muovendo i primi passi proprio per
ricostruire, definire e comprendere lo scenario di fronte al quale ci troviamo.
Poi non sappiamo se potranno esserci applicazioni di qualche genere, ma è già una cosa molto importante
avere la certezza dell’esistenza di un fenomeno come
quello della fusione fredda e poter dire che stiamo cominciando a definirlo”.
biblio:
wikipedia
http://www.meetup.com/MOVIMENTO-5-STELLE-RIVIERA-del-BRENTA/pages/La__Fusione_Fredda_da_Fastidio/
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