GRAAL: IL PANE DI DIO
EVIDENZE TECNOLOGICHE “ALIENE” NEL NOSTRO PASSATO REMOTO.
(Sunto del trattato storico-scientifico dei F.lli FIEBAG: “Custode della Reliquia – Armenia 2007)
di: Marco La Rosa
“E’ facile, o per lo meno convenzionale, etichettare le tradizioni antiche come miti o leggende; questa opinione è un luogo comune dell’ambiente accademico e non consente di andare lontano e di afferrare il loro significato. Uno spirito avido di sapere si dedica alla decifrazione della struttura di un mito, cercando di risalire alle sue origini. Se il mito esiste, com’è potuto nascere? Così come esiste una logica nei giudizi umani, esiste anche una logica nell’immaginazione umana. La capacità di immaginare dello spirito umano non può concepire cose che non siano già presenti nella realtà. Ogni prodotto della nostra immaginazione deriva sempre da qualcosa di esistente o che abbiamo motivo di credere che esista “.
Berthold Laufer – 1928 –
E’ ancora fresco in tutte le nostre menti il clamore suscitato dal bestseller di Dan Brown: “Il Codice Da Vinci”. Il settimanale tedesco der Speigel ha definito il tema della ricerca del Santo Graal una “ droga da mistero “ per un pubblico avido di leggende. Il Vaticano si è schierato contro il libro di Brown, ed in particolare il Card. Tarcisio Bertone ha intimato ai fedeli: “ Non leggetelo e soprattutto non compratelo ! “. Per fortuna (dico io ) l’appello è rimasto inascoltato, oltre 25 milioni le copie vendute nel mondo in un solo anno. Le teorie del “complotto” sono più persuasive della censura ecclesiastica. I vertici della Chiesa non hanno comunque perso il vizio: “L’uomo che sa quale è il suo posto nell’Universo e che quindi conosce, è un pericolo”.
IL Graal di Dan Brown è il “Sang Real”, la discendenza reale di Gesù attraverso la Maddalena.
Tenendo ben presente che il Graal sembra poter racchiudere in sé innumerevoli concetti metafisici o, all’estremo opposto, necessità materiali, partiamo alla ricerca dei veri significati occulti di questo “oggetto” che si presenta circondato da un’aura magica.
IL GRAAL NEL MEDIOEVO
Quando si sfoglia un libro di leggende, conservato dai tempi dell’adolescenza nell’angolo più remoto e polveroso della libreria, le tradizioni al suo interno sono trasmesse per la maggior parte in prosa. In origine però le canzoni medioevali furono scritte quasi sempre in versi. Qui leggeremo le interpretazioni del testo in prosa, ripassando alcuni punti chiave. Il PARZIVAL di Wolfram von Eschenbach è costituito da sedici libri pubblicati tra il 1195 e il 1210. L’azione si svolge su due piani: da un lato si racconta la storia di Galvano un cavaliere di Artù, dall’altro la ricerca del Santo Graal da parte di Parzival. Ma von Eschembach non fu l’unico poeta medioevale a scrivere su Perceval e il Graal. Il più significativo tra i numerosi artisti fu indubbiamente Chrétien de Troyes, l’autore di Perceval o il racconto del Graal, un poema epico rimasto purtroppo incompiuto.
Sia Wolfram che Chrétien iniziarono la stesura delle loro opere quasi in contemporanea, i racconti sono molto simili anche se presentano tratti distintivi che non staremo qui a sviscerare per ovvi motivi di tempo. È comunque palese che ogni singolo autore, ha creato la propria versione attingendo da leggende che evidentemente erano già note.
ETIMOLOGIA DELLA PAROLA GRAAL
Che cosa è il Graal? Qual è il significato di questa parola? Etimologicamente la si può ricondurre solo a gradalis, ciotola larga e poco profonda, viene anche chiamata graalz nel linguaggio popolare perché è gradita, grata ai commensali. Per quanto riguarda il Sang Real, sangue reale, l’interpretazione rimanda al tardo medioevo, quando il Graal erà già visto come il calice dell’ultima cena. Altre fonti derivano Graal da grès, “pietra”. Ciò può sembrare strano ma in realtà non lo è affatto se pensiamo a come Wolfram von Eschembach nomina il Graal: lapsit exillis.
Che cosa sa il poeta a proposito del Graal e di una pietra ? Leggiamo i versi 469,2-8 del Perceval:
Voglio parlarvi di che cosa essi vivono:
vivono di una pietra,
di purissima natura.
Se non la conoscete,
allora deve essere qui nominata.
Si chiama lapsit exillis.
La pietra viene anche chiamata il Graal.
Lapsit è sicuramente una storpiatura della parola lapis, “pietra”. Frequenti sono infatti tali storpiature nel poema. Altra possibile interpretazione è lapis elisir, la “pietra filosofale”, che trova una corrispondenza nel potere taumaturgico del Graal. Lapis exili, potrebbe voler dire “pietra dell’esilio”; lapis ex coelis o lapis de coelis, rispettivamente la “pietra dal cielo” e la “pietra del cielo” oppure, un’abbreviazione dell’espressione lapis lapsus ex illis stellis, che si può tradurre “pietra caduta da quelle stelle”. Leggiamo infatti dal Parzival di Wolfram (454,1-30):
Il pagano Flegetanis
Ne parlava con timore
Vide negli astri con i suoi occhi
Il più arcano dei misteri.
Parlò di un oggetto che si chiamava Graal,
il cui nome aveva letto tale quale nelle stelle:
“ Lo lasciò sulla terra una schiera,
che poi volò di nuovo in alto tra le stelle,
poiché la sua purezza la riportò indietro, a casa.
Da allora né hanno cura i cristiani casti e puri.
Chi è chiamato dal Graal è uomo di valore “.
L’ IPOTESI PALEO SETI
“ Sono giunto alla conclusione che la teoria degli antichi astronauti è sufficientemente conforme a una premessa scientifica. Anzi, questa teoria getta più luce rispetto ad altre sul materiale protostorico raccolto finora. Abbiamo tra le mani uno strumento insolito, che però ci consente di distinguere un filo rosso nell’intricato labirinto dell’evoluzione umana sul nostro pianeta.
Luis E. Navia, Professore di filosofia, Università di New York.
Non è necessario che mi dilunghi più di tanto sul concetto dei “culti del cargo”. Sapete tutti che una prova tangibile di tali culti è il desiderio di ricevere in regalo le mercanzie (per essere precisi il “carico”, in inglese “cargo”) trasportate dai rappresentanti di una civiltà tecnologicamente superiore. L’indigeno descrive gli strumenti moderni con concetti ripresi dal proprio linguaggio “primitivo” (cioè un gergo con lessico limitato, soprattutto per quanto riguarda i termini tecnici), identificandoli con oggetti che gli sono familiari. Un aereo diventa così un “ grande uccello” o un “ uccello tonante”. Questo per fare solo un esempio. I libri di Von Daniken e Kolosimo né sono pieni e li avrete sicuramente letti. Nulla è conclusivo ma sicuramente affatto trascurabile.
Anche la Bibbia contiene innumerevoli passi che lasciano per lo meno perplessi: L’astronave del Signore nel libro di Ezechiele per esempio (vedi fig), ma anche e soprattutto il miracolo della manna per il popolo di Israele. In Esodo cap. 16 leggiamo:
Tutta la comunità dei figli d’Israele insorse contro Mosè e contro Aronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro: “ Oh ! fossimo morti per mano del Signore in Egitto, quando sedevamo dinanzi alle pentole di carne e avevamo pane in abbondanza! Ma voi ci avete condotti in questo deserto per lasciar morire di fame tutto il nostro popolo”.
Allora il Signore parlo a Mosè: “ Ecco io vi farò piovere il pane dal cielo; il popolo andrà a raccoglierne secondo le sue necessità giorno dopo giorno, e così lo metterò alla prova, per vedere se osserva o meno la mia legge. Ma il sesto giorno si prepari, perchè sarà il doppio di quel che raccoglie ogni giorno “.
La manna è veramente esistita? Di cosa si trattava ?
Fin dalla metà del 1400 abbiamo cronache che parlano di questa strana sostanza, ma è solo negli anno venti del secolo scorso che alcuni scienziati hanno scoperto che una particolare cocciniglia, pungendo gli arbusti di tamerice, fa secernere alla pianta stessa un liquido “mieloso” che condensandosi in perline può essere raccolto e conservato per molto tempo. E’ risultato essere infatti glucosio e zucchero d’uva con tracce di pectina, in pratica zucchero puro. Non può però essere considerato un alimento completo comunque, o sostitutivo di un pasto, semmai un arricchimento al menù. Non potè sicuramente da solo tenere in vita il popolo d’Israele per quarant’anni nel deserto, tanto più che la reperibilità di tale “secrezione” varia di anno in anno ed è legata alla piovosità !
Come risolvere dunque l’enigma della manna ? Di recente sono stati mossi alcuni passi verso una soluzione più concreta.
Si tratta di una tesi logica in sé, sia per quanto concerne i dettagli sia nel suo complesso, e pertanto la si può ritenere verosimile rispetto all’ipotesi del “secreto”, che in fin dei conti è priva di ogni fondamento. Secondo questa nuova impostazione, la manna veniva fabbricata meccanicamente, quindi non era un prodotto spontaneo della natura.
A primo acchito un’affermazione del genere può sembrare assurda, ma gli ingegneri inglesi Geroge Sassoon e Rodney Dale sono riusciti veramente a costruire una macchina della manna. Dall’analisi minuziosa dei testi antichi è risultato, anche in questo caso, un dispositivo che funziona ed è in grado di produrre cibo proprio come affermano le antiche scritture.
I due ingegneri hanno trovato la descrizione della macchina nello Zohar un antico libro della Cabala ebraica scritta nel 1290, dopo che per secoli era stata trasmessa oralmente per non divulgare il segreto della sua sapienza: un mix di testi mistici, magici e alchemici in codice. Come la Bibbia, lo Zohar è suddiviso in più libri. A noi né interessano solo tre: Il Libro del Mistero Nascosto, La Minore Santa Assemblea e la Maggiore Santa Assemblea. In questi libri si descrive una macchina chiamata “L’Antico dei Giorni” oppure “l’Antico degli Antichi”. Il nome deriva dall’aramaico OThiQ IVMIN (pronuncia: attik jomin), ma può anche significare, udite udite: “ ciò che può essere trasportato nella cassa” .Tale significato sembra avere un senso logico, anche se alle parti che costituiscono l’apparecchio sono attribuiti nomi di membra e organi umani.
La macchina è composta da tre unità: una parte superiore considerata “maschile”, una media come “femminile” e una inferiore ancora maschile. I popoli vissuti nei secoli prima di Cristo non conoscevano la tecnologia in senso odierno. Non avevano idea dei macchinari complicati che invece fanno parte della nostra vita quotidiana. Concetti come “fili del telefono”, “cavi”, “circuiti elettrici”, “spie di accensione”, “gruppi propulsori” erano al di fuori della loro portata. E allora come descriverli ? L’unico modo era adattarli alle nozioni tipiche del loro mondo. Eccoci tornare al concetto del “culto del cargo”.
Torniamo alla manna. Si ritiene che la materia prima fosse uno speciale tipo di alga Clorella, i cui componenti in proteine, carboidrati e lipidi potevano essere variati nel corso della maturazione della coltura. Per coltivare l’alga era necessaria soprattutto una fonte di luce intensa, presumibilmente un laser. Secondo quando deducono Sassoon e Dale dai testi dello Zohar, la macchian aveva il seguente aspetto: in cima al congegno era installato un apparato per la distillazione della rugiada, o, meglio, dell’umidità dell’aria, la cui superficie convessa era raffreddata. L’umidità presente nell’aria notturna, a contatto con la superficie fredda, si condensava in acqua. L’acqua era la materia prima per il serbatoio centrale, che conteneva sia la fonte di luce sia la coltura di alghe. La coltura circolava in una rete di dotti che consentivano lo scambio di ossigeno e anidride carbonica con l’atmosfera e irradiavano calore. La melma di Clorella formatasi nel serbatoio centrale veniva poi incanalata in un secondo serbatoio dove era sottoposta a idrolisi. Né risultava una sostanza simile all’orzo, che assumeva il caratteristico sapore di focaccia al miele dopo una leggera tostatura. (“E il popolo d’Israele la chiamò “manna”. Era simile a bianchi semi di coriandolo e aveva il sapore di focaccia al miele “). Al termine del processo, il materiale essiccato finiva in due distinti serbatoi di raccolta. L’uno copriva il fabbisogno giornaliero, l’altro si riempiva via via durante la settimana in modo di fungere da scorta per due giorni il sabato sera (“ Ma il sesto giorno si prepari, poiché sarà il doppio di quel che raccoglie ogni giorno “). I due serbatoi erano necessari affinché la macchina potesse essere arrestata, smontata, pulita e riavviata.
Non stiamo parlando di fantascienza: macchine di questo tipo esistono e funzionano. Un metodo analogo, basato sulla coltura delle alghe viene utilizzato per depurare l’aria nei sottomarini nucleari è tuttora impiegato nei sistemi ecologici chiusi in ambito astronautico, nella stazione spaziale internazionale. Molti paesi utilizzato lo stesso sistema per le colture idroponiche. In Egitto ad esempio le alghe si possono coltivare per trecento giorni l’anno con un raccolto annuale stimato intorno alle 50-60 tonnellate per ettaro. Le alghe sono un vero portento : producono acidi grassi, vitamine e principi attivi, depurano le acque di scarico e forniscono energia.
Per concludere la descrizione, secondo le valutazioni degli ingegneri, la fonte di energia propulsiva al funzionamento, doveva produrre circa cinquecentomila watt nonostante le dimensioni ridotte. Nei sommergibili, nei satelliti e nelle sonde spaziali come la Cassini in orbita attorno a Saturno, si utilizzano ad esempio i mini reattori con combustibile al plutonio. Per la sicurezza del sistema (ed è interessante anche per la macchina della manna) si prevede l’istallazione di un serbatoio contenete litio liquido: l’isotopo litio-6 assorbe l’energia dei neutroni, che sono responsabili della reazione a catena nel reattore. Il litio si riscalda, si espande e il flusso di metallo si spinge nel nucleo del reattore attraverso il tubo. La scissione nucleare rallenta o addirittura si interrompe. A tal proposito però dobbiamo prestare anche attenzione al rapido sviluppo tecnico nelle celle a combustibile. La cella alcalina ad esempio, è una mini centrale elettrica portatile ad alto rendimento per la produzione di corrente e calore. Anche queste sono impiegate in astronautica e non solo, possono funzionare per quarantamila ore senza intoppi.
Sommando il tutto, dovremmo avere esattamente quel che è descritto nello Zohar: una macchina complessa che produceva la manna biblica ed era formata da più parti. (MinSA 59):
Tre teste sono inserite: questa si trova i quella e questa sopra l’altra.
Una testa è la saggezza ed è la più nascosta.
Questa saggezza nascosta è la Saggezza suprema che rimane nascosta.
La membrana forma una parete divisoria a cui non si può accedere, né può essere aperta.
La membrana avvolge il cervello della Saggezza Nascosta. La membrana ha un’apertura verso il Piccolo Volto attraverso la quale il cervello si espande e prosegue per trentadue vie.
Dal primo cranio fuoriesce un’emanazione bianca che scende in direzione del Piccolo Volto.
Da qui prosegue verso altri crani sottostanti che sono innumerevoli.
Tutte le santità provengono dalla Testa superiore del cranio.
Questa benedizione fluisce in tutte le membra del corpo finchè non raggiunge quelle chiamate eserciti. Il fiume si raduna e poi viene emesso da quel santo Fondamento. Poiché il fiume è completamente bianco, è chiamato Grazia. Questa Grazia entra nel santissimo, come stà scritto:
“ Come la rugiada che scende dal cielo sulla montagna di Sion, dove il Signore promette benedizione e vita eterna “.
La rugiada della Testa bianca gocciola nel cranio del Piccolo Volto e lì viene conservata.
La rugiada appare di due colori e di essa si nutre il campo dei meli santi. Dalla rugiada si macina la manna per i giusti nel mondo a venire. La manna richiamerà in vita anche i morti. Sembra che la manna sia stata ottenuta dalla rugiada solo per un certo periodo di tempo: il periodo in cui il popolo d’Israele andava vagando per il deserto ed in questo luogo era sfamato dall’Antico degli Antichi.
Questo è solo un piccolo condensato di pagine e pagine di minuziose descrizioni dell’Antico degli Antichi, o dell’Antico dei Giorni o ancora di ciò che può essere trasportato nella Cassa.
L’ARCA DELL’ALLEANZA E LA MACCHINA DELLA MANNA
Come sappiamo bene, leggendo le pagine dell’Esodo, il popolo d’Israele vagò per quarant’anni nel deserto, si sfamò grazie alla macchina della manna e ogni volta che si accampavano montavano il campo della tenda nella quale installavano il Santa Sanctorum con l’Arca dell’Alleanza, il tutto rigorosamente occultato agli occhi del popolo. Un ulteriore ipotesi che proviamo a fare è questa:
poteva l’Arca dell’Alleanza essere anche la famosa Cassa atta a trasportare la parte principale, quella propulsiva e forse anche radioattiva della nostra macchina della manna ?
Leggiamo infatti dall’Esodo:
“ Dietro il secondo velo c’era la parte della tenda detta il Santissimo; e conteneva l’incensiere d’oro e l’ Arca dell’Alleanza tutta ricoperta d’oro; in essa vi era l’urna dorata con il pane del cielo e la verga di Aronne, che un tempo era fiorita, e le tavole dell’Alleanza “.
Sappiamo anche dal altri passi della Bibbia che l’Arca dell’Alleanza doveva essere maneggiata con cura, pena una morte atroce:
“I figli di Aronne, Nadab e Abiù presero ognuno il proprio turibolo, vi accesero il fuoco e sopra vi misero l’incenso, offrendo così al signore del fuoco profano che non era stato loro prescritto. Allora dal cospetto del Signore scaturì un fuoco che li divorò e morirono davanti al Signore”.
Scariche elettriche, radioattività, ma che poteva essere tutto questo?
Leggiamo ancora:
Il Signore aggravò la sua mano sugli abitanti di Azoto e portò la rovina tra di loro: lì colpì con bubboni sia nella città sia nel territorio circostante.
Gli abitanti di Azoto, vedendo ciò che accadeva, dissero: “ L’Arca del Dio D’Israele non rimanga più tra noi ! La sua mano pesa troppo su noi e su Dagon, il nostro dio”. Allora mandarono a chiamare tutti i capi filistei e domandarono: “ Che cosa dobbiamo fare con l’Arca del Dio D’Israele?”. E quelli risposero: “ Portate l’Arca del Dio D’Israele a Gat “. E così l’Arca fu portata in quel luogo.
Ma dopo che ve l’ebbero portata, la mano del Signore si abbattè anche su quella città incutendo grande terrore, poiché colpì tutti i suoi abitanti, dal piccolo al grande, e anche a loro spuntarono i bubboni. Allora l’Arca di Dio fu mandata ad Accaron. Quando l’Arca giunse ad Accaron, la gente della città gridò: “ Ci avete mandato l’Arca dei Dio d’Israele per farci morire insieme a tutto il nostro popolo”.
Alla fine, i filistei si decisero a rimandare l’odiato apparecchio in Israele. Lo inviarono al di là del confine, presso Bet-Semes, su un carro tirato da buoi. Gli abitanti del villaggio, che lavoravano nei campi, danzarono per la gioia, si avvicinarono all’Arca e la toccarono. Ma i figli di Geconia, unici fra tutti i betsemiti, non fecero festa quando videro l’Arca del Signore. Allora il Signore colpì a morte settanta di loro. E il popolo di Bet- Semes si addolorò per essere stato colpito così duramente. Quando il carro trainato dai buoi giunse all’aia di Nacon, Oza tese la mano e sostenne l’Arca di Dio, poiché i buoi la stavano facendo scivolare. Allora l’ira del Signore “esplose” contro di lui: Dio lo colpì sul posto, ed egli morì presso l’Arca di Dio.
(PRIMO LIBRO DI SAMUELE, CAPITOLO 6).
Per quanto se né sa, questo fu l’ultimo incidente mortale occorso a causa della macchina della manna o dell’Arca dell’Alleanza. Sembra che Davide ed i suoi sacerdoti fossero rimasti molto turbati di fronte alla reazione dell’Arca del loro Dio. Per precauzione il pericolosissimo oggetto fu lasciato in custodia alla famiglia di Obed-Edom di Gat. La quarantena santa durò tre mesi, dopodiché la reliquia raggiunse sana e salva Gerusalemme, la capitale del regno di Davide.
Sempre durante il regno di Davide, ebbero inizio i lavori per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, nel quale l’Arca avrebbe trovato fissa dimora. Oggi si ritiene che il luogo scelto per costruire il Tempio fosse l’area di un ex santuario gebusita, dove il re ordinò di iniziare le operazioni preliminari (facendo spianare la superficie per la base del tempio). In seguito fu Salomone a proseguire e portare a termine la costruzione dell’edificio. Per concludere degnamente il lavoro Salomone, si rivolse grazie ai buoni rapporti istaurati nel tempo, al re Chiram di Tiro.
Il re Chiram, inviò a Gerusalemme materiali da costruzione e personale specializzato. Inviò perfino il suo ingegnere edile personale, nonché suo consigliere, Hiram-Abi.
Dopo sette anni di lavori sotto la direzione di Hiram-Abi l’edificio fu terminato e l’Arca (contenete la macchina della manna) fu trasferita dalla Tenda del Convegno, in cui aveva trovato posto provvisorio ai tempi di Davide, al santuario di Gerusalemme. (Primo Libro dei Re, Cap. 8).
La reliquia che in origine era stata un’arma formidabile contro i nemici d’Israele, viene accompagnata nell’ultimo viaggio ed è quasi “seppellita”. L’Arca dell’Alleanza aveva perso i suoi effetti distruttivi e spaventosi ed anche la macchina della manna aveva perso le sue funzioni. Entrambe le reliquie sopravvivevano solo come simbolo di Jahvè, come oggetto di venerazione religiosa. L’Arca era per il popolo e il congegno, tenuto nascosto, per il clero. Infatti anche L’Antico dei Giorni trovò la sua ultima dimora nel Santo dei Santi insieme all’Arca dell’Alleanza, ma ben pochi né erano al corrente. Né il popolo, né gli operai fenici potevano immaginare neanche lontanamente cosa si nascondeva entro le mura della casa di Dio. Soltanto Salomone, i sommi sacerdoti e il costruttore del tempio stesso Hiram-Abi “il pieno di Saggezza”. Pare che Hiram scrisse molti rotoli di tutto questo ed inviò un messo dal suo re, perché i suoi scritti fossero nascosti. La leggenda ebraica narra che, una volta terminati i lavori, il fenicio fu assassinato per mano di uno sconosciuto. Ciò conferma l’ipotesi che Hiram-Abi sapeva troppo, più di quanto potessero tollerare Salomone ed i sommi sacerdoti.
Ora per ovvie ragioni di brevità, sorvoleremo brevemente sugli accadimenti che videro protagonisti l’Arca dell’Alleanza, il suo contenuto e quindi la macchina della manna, successivamente alla sepoltura nel Tempio di Salomone. Molto probabilmente per ragioni di sicurezza, l’Arca fu svuotata dal suo contenuto: le tavole della legge, e “Cervello della Saggezza nascosta”, tali segreti furono sicuramente murati in un qualche cunicolo segreto sotto il tempio di Gerusalemme. L’enormità dei labirinti scavati sotto tale struttura è ancora oggi in gran parte inesplorato. Le guerre, le invasioni e le distruzioni succedutesi nei secoli, non scalfirono minimamente i segreti celati nelle viscere del tempio.
“ Questo luogo non deve essere trovato da nessuno finché il Signore non avrà radunato di nuovo tutto il suo popolo e non gli vorrà concedere la grazia. Allora il Signore rivelerà dove sono tutti questi oggetti e si vedrà la sua magnificenza in una nube, così come accadde ai tempi di Mosè “.
(Secondo libro dei Maccabei, cap. 2).
Resta tuttavia ancora misteriosa e da verificare la leggenda, narrata nel Kebra Nagast etiope, secondo la quale Menelik I figlio di Salomone e della Regina di Saba, fuggì da Gerusalemme rubando l’Arca dell’Allenanza e portandola in terra Etiope. Essa si troverebbe ancora là oggi, custodita nella cattedrale di S. Maria di Sion ad Axum. Ma se anche così fosse stato, molto probabilmente l’ Arca a quel tempo era semplicemente un contenitore vuoto.
ALLORA LA MACCHINA DELLA MANNA E’ ANCORA SEPOLTA IN QUALCHE NASCONDIGLIO SEGRETO?
I CAVALIERI TEMPLARI ULTIMI CUSTODI DEL GRAAL
“ Da allora né hanno cura i cristiani casti e puri.
Chi è chiamato dal Graal è uomo di valore “.
(dal Parzival di Wolfram von Eschembach)
Nel 1080 nacque Ugo di Payns, il futuro fondatore dell’Ordine dei Templari. Sappiamo poco della sua infanzia: a diciannove anni probabilmente prese parte alla prima crociata sotto la guida di Goffredo di Buglione e il 14 Luglio 1099 fu presente alla caduta di Gerusalemme. Dopodiché tornò in Francia e si mise al servizio del Conte Ugo di Champagne, di cui divenne ufficiale.
Passarono cinque anni. Non si sa esattamente che cosa successe in quel periodo, non sono stati trovati documenti al riguardo. Con molta probabilità, l’ufficiale viaggiò per incarico del suo amico e signore. In seguito i due Ugo di Payns e Ugo di Champagne si recarono di nuovo in Terrasanta. Ma non ci rimasero a lungo e furono presto di ritorno. Appena giunto in Francia, Ugo di Champagne si mise in contatto con Etienne Harding, l’abate che sette anni prima aveva fondato l’ordine dei cistercensi. Dopo questo incontro, il nuovo ordine diede vita ad un processo straordinario per quel tempo: fu intrapreso uno studio scrupoloso di svariati testi ebraici (in seguito anche del Corano) e fu chiesto ai rabbini dell’Alta Borgogna di assistere ai lavori di traduzione. La famosa scuola rabbinica del rabbino Rashi (Solomon Ben Isaac) si trovava a Troyes. Il rabbino morì nel 1105 e il lavoro fu portato avanti dai suoi generi. Secondo diverse fonti, il rabbino Rashi ricevette spesso la visita di Ugo di Champagne e pare che dai loro incontri fosse scaturito qualcosa di cruciale. Molto probabilmente, furono trovate antiche trascrizioni dei rotoli di Hiram-Abi il fenicio, “il pieno di saggezza” il costruttore del Tempio di Salomone. Nel 1114 Ugo di Champagne tornò in Terrasanta per poi rimettersi in contatto, subito dopo il suo rientro, con Etienne Harding dei Cistercensi. Ma non solo: tra lo stupore generale l’ufficiale donò all’ordine il bosco di Bar-sur-Aube e predispose la costruzione dell’abbazia di Chiaravalle. Il giovane Bernardo di Chiaravalle (futuro San Bernardo) si incaricò di seguire questo progetto. Inoltre Ugo espresse il singolare desiderio di entrare a far parte dell’Ordine degli Ospitalieri di Gerusalemme. L’intera faccenda è piuttosto strana. Cosa aveva in mente Ugo di Champagne ? Nel 1119 la questione misteriosa giunse ad una svolta. Ugo di Pays, insieme a Goffredo di Sait- Omer e a una manciata di altri fedeli, si recò a Gerusalemme. Fecero voto di castità, obbedienza e povertà davanti al patriarca del luogo e da quel giorno vissero nella condizione di frati laici. Di nuovo accadde una cosa strana: Baldovino II re di Gerusalemme, mise a disposizione di questa piccola comunità una parte del palazzo. Non c’è da meravigliarsi se da allora in poi il manipolo di monaci cavalieri prese il nome di “Templari”, questo palazzo, infatti, si trovava proprio sul Tempio di Salomone di un tempo.
I Templari rimasero a Gerusalemme per otto anni. Durante questo lasso di tempo, i Cavalieri del Tempio non presero parte ad alcuna battaglia. Li si vedeva invece nei dintorni del Tempio, mentre dissotterravano, cosa abbastanza curiosa, vecchie stalle di cavalli, facevano scavi o esploravano antiche rovine; oppure non li si vedeva affatto. Poi un giorno partirono a cavallo senza dire a nessuno dove andavano.
Sappiamo tutti quello che divenne l’ Ordine dei Cavalieri del Tempio nei duecento anni successivi.
Divenne l’ordine militar-religioso più ricco di tutti i tempi, talmente ricco da concedere prestiti al Papa e al Re di Francia. Le immense ricchezze facevano gola a molti, tanto che nel 1307 il Re di Francia Filippo il Bello, fece in modo che il Papa Clemente sciogliesse l’Ordine per dargli quindi la possibilità di confiscare i loro beni. Nell’atto di accusa contro l’ Ordine dei Templari, all’articolo 46, troviamo il seguente passaggio: “ Che essi (i Templari) possedevano idoli, cioè teste, in tutte le province. Le teste avevano in parte tre, in parte un unico volto “. All’articolo 47: “ Che essi in assemblea, soprattutto nelle grandi adunanze, veneravano un’immagine come un dio, come il redentore, e affermavano che questa testa poteva salvarli, concedere all’ordine ogni ricchezza, far fiorire gli alberi e germogliare le piante sulla terra “ (Ricordate anche che la verga di Aronne era germogliata in sua presenza). Durante le perquisizioni nelle commende non fu trovato uno solo di questi idoli.
Questa cosiddetta “testa” veniva chiamata dai templari “Baphomet”.
Ecco come veniva descritto:
“… e lo stesso aveva occhi di carbonchio nelle orbite che risplendevano come il chiarore del cielo e, come si è visto, essi riponevano in lui la loro fede. Egli era il loro dio supremo e ciascuno confidava in lui di buon cuore. Questa testa aveva una mezza barba sul viso e l’altra metà sul retro, e questa era una cosa assurda; è cosa risaputa che il nuovo Templare doveva rendergli omaggio come a Dio “.
Non è necessario occuparsi degli occhi luminosi come il chiarore del cielo, cioè delle lampade della macchina della manna; vale invece la pena soffermarsi ancora una volta sui cosiddetti “peli della barba”, che si trovavano tanto sul viso quanto sul retro, cosa comprensibilmente assurda per allora. Per contro i nostri ingegneri Sasson e Dale nella traduzione dello Zohar , riconducono alle tubature il capitolo delle “Venerabili barbe” che entrano dal davanti e fuoriescono da dietro.
Infine occupiamoci del termine “Baphomet”: alcuni autori islamici (come Idries Shah) richiamano l’attenzione sul concetto arabo di “Bufimat”, usato nella spagna moresca, il cui significato è “testa della conoscenza”. Hugh Schonfield dimostra che Bhaphomet è probabilmente una codifica dell’Atbash ebraico, cioè deriva da una delle scritture in codice giudaico-cabbalistiche più comuni.
Ecco l’esempio:
B P V M Th (Baphomet)
Diventa:
Sh V P I A (Sophia)
Sophia in Greco non è altro che la “saggezza”.
Abbiamo visto che nello Zohar la “Saggezza Nascosta” stava nel cranio ed era protetta dalla membrana che non si poteva togliere !
I TEMPLARI ALLORA NEI LORO SCAVI SEGRETI SOTTO IL TEMPIO DI GERUSALEMME, TROVARONO VERAMENTE LA MACCHINA DELLA MANNA, DATA A MOSE’ PER SFAMARE IL POPOLO D’ ISRAELE NEL DESERTO ?
OThIQ IVMIN = ANTICO DEGLI ANTICHI = GRAAL= BAPHOMET = MACCHINA DELLA MANNA, in qualsiasi modo vogliamo chiamarla, non fu mai trovata nel rastrellamento del tesoro dei Templari da parte di Filippo il Bello, ancora una volta i custodi erano riusciti a nasconderla ma dove ?
Bibliografia:
“CUSTODE DELLA RELIQUIA” – Fiebag – Armenia 2007
“PARZIVAL” – Wolfram von Eschembach – Wien 1965
„LA BIBBIA DI GERUSALEMME“ – EDB 1974