IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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VIDEO SINOSSI DELL' UOMO KOSMICO
Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

mercoledì 13 gennaio 2016

NIKOLA TESLA E L'ESPLOSIONE DI TUNGUSKA DEL 1908...solo fantasie ?






SE TI E' PIACIUTO QUESTO POST NON PUOI PERDERE:

LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?

"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs




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sabato 9 gennaio 2016

LA MENTE CHE GUARISCE


Sempre più frequentemente, constato che la scienza ufficiale tende ad accostarsi con minor presunzione ed arroganza a quei fenomeni (per ora) inspiegabili che fanno parte di quel mondo considerato ed esplorato solo dai “cani sciolti”. Tutto ciò che fino ad ora era relegato nel mondo della pseudo-scienza o del “ciarlatano”, viene riscoperto, rivalutato ed osservato sotto nuova luce. Da un lato, mi fa molto piacere, ma dall’altro mi avvilisce molto perché tanti studiosi che hanno prodotto ricerche valide ed importanti già da molto tempo, non saranno mai giustamente ricordati e ricompensati (almeno moralmente) e tutti i risultati positivi fino ad ora ignorati, verranno attribuiti a chi non se lo merita. Così funziona questo mondo rovesciato, dove si incensa l’imbonitore ciarlatano che insegue il profitto e si infanga il visionario altruista che fa progredire la vera scienza nel silenzio del suo scantinato, morendo di fame. Ecco perché, non mi stancherò mai di mantenere vivo il ricordo di coloro che sono arrivati “prima”, ma sono stati zittiti e dimenticati poiché altruisti completamente “liberi” da ogni forma di profitto.
Vi invito a leggere con attenzione l’intervista che segue, è un importante esempio di come la medicina occidentale stia (anche se molto lentamente) cambiando i suoi paradigmi, proprio rivolgendosi a quel “mondo di ricerca” che fino a ieri aveva deriso e boicottato. Per chi volesse poi approfondire le fondamentali interazioni del cervello sull’universo in cui viviamo, consiglio i capitoli 7 e 8 del mio libro: L’Uomo Kosmico (ed: OmPhi Labs 2014).

Buona lettura

MLR


“In tutti gli uomini è la MENTE che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso TUTTO il resto.”
Antifonte, filosofo e drammaturgo ( Atene, 480 a.C. circa – Atene, 410 a.C. circa).

Stefano Lorenzetto intervista il Dr. Soresi

Dr. Soresi: Vi racconto come il PENSIERO può farvi ammalare o guarire 

Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche. C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro». Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano, producono ormoni cerebrali. Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana – altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello – e studiare». Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia». Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce». Com’è possibile? «Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress». Diciamo una scienza inesatta. «L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci». Torniamo al cervello. «Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere». Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello. «Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione». E graziaddio avete smesso con le lobotomie. «A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro». Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria. «Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali – la serotonina, la dopamina, le endorfine – ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?». Sì e no. «Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?». La ascolto. «Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma». Effetto placebo degli spilloni. «Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo». Esemplifichi. «Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?». Prego. «Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico». Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori. «Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato». I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello? «Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».  Come si mantiene in buona salute il cervello?«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia». Sappiamo tutto del cervello? «Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia». Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla? «Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo». Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale? «Mi fermo… Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico». Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva. «Eh, lo so… La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti». Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute? «Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».

Chi è Enzo Soresi:
tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano. Nel libro “Il cervello anarchico” racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede.

Fonte: Il Giornale
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martedì 5 gennaio 2016

I MISTERI DI SERABIT EL KHADEM

Testo adattato ed integrato da Marco La Rosa

Nella Penisola del Sinai troviamo, a 850 metri di altitudine, ed a circa 30 Km dalla sponda orientale del Mar Rosso, un luogo davvero inconsueto che evoca strane emozioni che sanno di antico, di sacro, di arcano: Serabit el Khadem.




Situato a 29° 02' di Latitudine Nord, posto a 150 Km dal Cairo, sovrastato dall'omonimo Gebel Serabit el Khadem (1096 metri), Serabit el Khadem è stato oggetto di molti studi da parte degli Archeologi e degli Egittologi. Secondo Federico Arborio Mella la dizione di questo luogo era "Serbat el Khadem", tuttavia è con la dizione: Serabit, che è attualmente noto. Nonostante fosse già conosciuto dai Beduini locali fu soltanto nel 1904-1905 che l'eminente Egittologo britannico Flinders-Petrie lo visitò e ne descrisse in modo dettagliato l'Architettura e le varie componenti archeologiche presenti. In Tempi successivi continuarono, anche se un po' irregolarmente, le visite di Archeologi di tutte le nazioni. In arabo "Serabit el Khadem" significa "Colonne dello Schiavo"; queste "Colonne" sono connesse con le alte Steli votive che torreggiano a Serabit sulle rovine del Tempio ormai distrutto dal tempo. Ma dove origina il Termine "Schiavo"? Una ipotesi potrebbe essere che nell'iconografia egizia il Principe o Re di un paese straniero, sconfitto militarmente dal Faraone, veniva definito come "Schiavo" dello stesso Faraone. Il Principe "schiavo", inteso come "assoggettato" o "sottomesso", paragonabile al significato medioevale di "Vassallo", è infatti frequente nello stile ampolloso dei Faraoni egizi. Tanto Biridya, Principe di Megiddo, che Zurata, Principe di Acco, si rivolgono infatti rispettosamente al Faraone: "Io sono il tuo Schiavo". Gli Archeologi ci informano che il sito di Serabit ebbe un grande sviluppo come centro minerario di estrazione del Turchese ai tempi dell'Antico Egitto. Particolari ingrandimenti e restauri successivi del tempio di Serarabit furono compiuti da Faraoni della 12a, della 18a, della 20a Dinastia. Ma non mancano reperti risalenti alla 4a Dinastia, quali alcune iscrizioni del Faraone Snefru, ed addirittura a periodi pre-dinastici. Come ci informa Flinders-Petrie ("Researches in Sinai"), sono infatti presenti reperti archeologici di Snefru della 4a Dinastia, che veniva ritualmente ricordato dai Faraoni delle Dinastie successive come unico "Fondatore" del Tempio di Serabit. Snefru è considerato dall’archeologia ufficiale, fra l'altro, il Costruttore di ben tre Piramidi: quella di Meidum, per la quale era particolarmente famoso, e quelle Romboidale e Rossa, entrambe a Dahshur.
In una iscrizione rinvenuta a Serabit e tratta da J.H. Breasted ("Ancient Records of Egypt"), appartenente al vice-tesoriere Ameni, vissuto ai tempi di Amenem-Hat 3° leggiamo infatti che egli era: "Favorito di Hathor, Signora del Paese di Shesmet (malachite?), di Soped, Signore dell'Est, di Snefru, Signore degli altipiani, e degli Dei e delle Dee che si trovano in questa terra." Il Faraone Snefru era quindi quasi equiparato alla Dea Hathor ed al Dio Sopdu. Il Tempio di Serabit el Khadem fu costruito su di un altopiano su una distesa di circa 200 metri, che si estendeva digradando a partire da una grande grotta, dedicata alla Dea Hathor, per poi deviare il suo decorso, scendendo verso sud-ovest, con i locali di servizio rituale e liturgico, edificati in tempi successivi.



Questa grotta è scavata nella roccia, con mura interne lisce. Presenta al centro un grande Pilastro di Amenhotep 3° ed in fondo una Stele di Calcare di Ramses 1°, sulla quale K. Kitchen ("Ramesside Inscriptions") legge "Il sovrano di tutto ciò che è sotto il controllo di Aton". Parallela a questa grotta di Hathor, sul lato sudorientale, fu costruito nel Nuovo Regno un santuario, con annesse stanze di servizio rituale, dedicato al Dio "Sopd.u". La parte superiore del Tempio di Serabit, di cui resta ancora qualche vestigia, era costituita da una serie di sale, santuari, cortili, costruiti in arenaria e circondati da un muro di recinzione. Gli altari votivi avevano la parte anteriore incassata e piani di "lavoro" ad altezze diverse. Vi era un crogiolo per fonderia e furono trovate nelle adiacenze due pietre coniche di 15x22 centimetri. Queste pietre coniche secondo Petrie erano: "l'oggetto centrale di adorazione e personificazione dei Templi Siriani. È mostrato sulle monete di Paphos, al centro del locale Tempio. Ad Emesa erano presenti ed Eliogabalo, che era un sacerdote del locale Tempio, se ne portò alcuni a Roma, una volta eletto imperatore". Successivamente, scendendo lungo il decorso del Tempio verso l'altopiano troviamo tracce archeologiche di Montuhotep (Neb-Hapu-Ra) dell'11a Dinastia, di Amen-em-Hat 1°, di Sesostri 1°, di Amen-em-Hat 3°, di Sesostri 3°, di Amenem-Hat 4° della 12a Dinastia. In questa parte del Tempio e di fronte alla Grotta-Santuario di Hathor, Flinders-Petrie trovò una grande quantità di cenere bianca purissima, senza residui di carbone o di brace, risalente probabilmente alla 12a Dinastia, che "si estendeva lungo un'area di 100x50 piedi con uno spessore oscillante fra i 3 ed i 18 pollici, ammontando globalmente ad almeno 50 tonnellate di polvere". La natura di questa polvere lasciò interdetto lo stesso Petrie (possiamo ipotizzare si trattasse di cosiddetta polvere “alchemica?). Egli giustamente escluse che si trattasse di scorie della lavorazione del rame, che residuavano invece un materiale scuro, rinvenuto in abbondanza nelle vicine miniere di Bir Nasib, come escluse anche che si trattasse di scorie dell'estrazione del Manganese, lavorate nelle adiacenti miniere di Umm Bughma. Pensò che non si trattasse di residui della combustione di alcali, che erano stati trovati vicino a Gerusalemme, in prossimità di Templi disposte su colline od alture. Petrie ipotizzò che si potesse trattare di fuochi a sfondo religioso, come nel caso delle fumigazioni di incenso, di origine semitica, considerata la presenza di altari a pilastro, sconosciuti agli Antichi Egizi, ma ben noti agli Ebrei. L'ipotesi che venissero sacrificati anche animali, secondo il rito cananeo-ebraico è esclusa da lui per la sistematica e verificata assenza di residui biologici all'interno di queste ceneri bianche. Tali ceneri infatti erano sempre apparse di notevole purezza, anche se l'usanza di fare sacrifici con piccoli fuochi sulla cima di colline o montagne era da lui ritenuta tipicamente semitica. Le Steli presenti a Serabit peraltro, sono inscritte su entrambi i lati, addirittura in molti casi anche sulle strette fiancate, usanza più affine alle genti semitiche che agli antichi Egitto. Petrie riferisce inoltre che in una Stele del Faraone Amen-em-Hat 3° rinvenuta a Serabit viene citato il capo dei minatori semiti con il nome di Khebde, recante il titolo di "fratello del Principe di Retjenu" ("Sn Hq n-Retcen" in geroglifico).
        

    
In due Steli questo personaggio è rappresentato in groppa ad un asino, mentre ha una guida davanti ed un uomo che reca una fiasca d'acqua dietro. Il suo compito era organizzativo e diplomatico come "ostaggio" regale, per mantenere buone relazioni diplomatiche fra il Retjenu e l'Egitto. Alan Gardiner ("Egypt of the Pharaos") ribadisce: "Alla fine della 12a Dinastia sotto Amen-em-Hat, il fratello del principe del Retenu assisteva gli Egizi nei lavori del turchese a Serabit el Khadem, nella Penisola del Sinai". Il termine "Retcenu" o Rezenu era usato dagli Egizi per designare la Palestina. La Galilea, per esempio, era da loro infatti chiamata "Retcenu (Rezenu) Superiore". In Ebraico poi il termine che designa "Terra" è , = "Erez", mentre il vocabolo "Patria" si designa "Arzenu". Tale parola è abbastanza simile, foneticamente, all'Egizio "Retcenu", soprattutto se si considera che la vocalizzazione dei geroglifici egizi, così come delle parole ebraiche, non è sicura. A Serabit troviamo poi reperti archeologici di Dinastie successive, appartenenti ad Ahmes 1°, il primo Faraone che regnò dopo la dominazione degli Hyksos, di Amenofi 1°, di Tuthmosi 1° della 18a Dinastia. Ma sono stati soprattutto la Regina Hat-Shep-Sut ed il figliastro Tuthmosi 3° a costruire elettivamente la parte inferiore del Tempio di Serabit ed a far incidere numerose Steli. Abbastanza stranamente, fa saggiamente notare Flinders-Petrie, in queste iscrizioni non vi è tracci alcuna della furia iconoclasta di Tuthmosi 3° nei confronti delle immagini della matrigna Hat-Shep-Sut, che siamo soliti vedere nell'Antico Egitto propriamente detto. Le iscrizioni e le Steli della Regina a Serabit el Khadem sono infatti sempre ben evidenti, e sostanzialmente intatte, o con "normali" deterioramenti indotti dal tempo. Hat-Shep-Sut e Tuthmosi 3° restaurarono inoltre la grotta originaria di Hathor, ma anche eressero, parallelamente a questa grotta di Hathor, come detto in precedenza, un santuario per il "Dio dell'Est Sopdu", adorato nel deserto ad est della parte centrale del Delta del Nilo. La Dea Hathor, secondo Lanzone, era peraltro venerata ad Elefantina ed ad Abydos proprio con il nome di "Sopdu". L'emblema di "Sopdu" tradiva una certa "natura" celeste. Era infatti definito nell'11a parte del Duat come la "luce dello zodiaco, il grande cono di luminosità che rivaleggiava nei Cieli degli Egizi con la Via Lattea, e che sorgeva est molto prima del Sole".
Il Dio "Sopdu" era inoltre associato sia ad Horus, sia a "Shesmet", un minerale che si estraeva, molto probabilmente, proprio nella zona Serabit e che dava il nome ad una sorta di cintura che il Dio "Sopdu" indossava abitualmente. D'altro canto l'etimologia del nome ci informa che "Sopdu" significa "Colui che penetra". Reperti cronologicamente successivi rinvenuti a Serabit appartenevano ad Amenohotep 2°, Tuthmosi 4°, Amenhotep 3° (con la presenza di un busto della moglie Tiye) sempre della 18a Dinastia e da Seti 1°. Da questo momento si conclusero i lavori di ampliamento ed iniziarono lavori di solo restauro del Tempio di Serabit sotto Seti 2° ed i sovrani ramessidi: Ramses 2° della 19a Dinastia, Ramses 3°, 4°, 5° e 6° appartenenti alla 20 Dinastia. L'attività estrattiva mineraria a Serabit effettuata ai tempi dei Faraoni era limitata al periodo Novembre-Aprile, considerate le condizioni di afa e di caldo impossibile per i minatori durante il periodo estivo. Flinders Petrie ci dice infatti che in una iscrizione sotto il regno di Amen-em-Hat 3° si legge: "Il Capo della spedizione Hor-ur-Ra riporta come egli giunse a Serabit durante la stagione calda, quando il lavoro sembrava quasi impossibile. Ma grazie all'aiuto di Hathor ottenne una grande quantità di Turchese… Egli arrivò durante il mese di Phamenoth (Maggio) e partì durante il mese di Pachons (Luglio)." Tuttavia il Tempio di Serabit era conosciuto nell'Antico Egitto come un luogo di culto dove talora avvenivano guarigioni, per l'epoca, miracolose. La fama di Santuario è dovuta alle numerose Steli votive di ringraziamento, a seguito di benefici riportati, che persone di estrazione sociale medio-elevata erigevano sul luogo e di cui resta ancora qualche frammento. Non a caso lo stesso Faraone Amenhotep 3°, vecchio e malato vi risiedette continuativamente, con la moglie Tiye e tutta la sua corte, per qualche tempo, sperando di poterne trarre giovamento per la sua salute.  Dalla conferenza a Parma di Michele Manher dell’ 11 Dicembre scorso, abbiamo anche appreso che la regina Tiye concepì un figlio proprio in questo luogo, nonostante la presunta (?) infertilità del consorte. Ma l'elemento caratteristico della zona di Serabit è il minerale che veniva estratto e che era sacralmente collegato alla Dea Hathor: il Turchese. Infatti il Sinai era chiamato "Terra del Turchese" e la stessa Hathor era chiamata "Signora della Montagna Orientale" o "Signora del Turchese". Tale termine nella lingua egizia presenta tre differenti grafie e forse due o tre differenti significati, che risultano solo parzialmente conosciuti agli Egittologi: F(e)kat, Mafkat, M(e)fkat, Shesmet.

LE "STRANE" STELI EGIZIE DI SERABIT EL KHADEM, SCETTRI E CADUCEI ?

Esaminando le Steli Egizie provenienti da Serabit possiamo scoprire particolari interessanti ed insoliti. Nella Stele del Tesoriere Sobek-Hotep, tratta da Jaroslav Cerny ("Inscriptions of Sinai"), vediamo il funzionario che offre un "Pane conico" ad Hathor, mentre il Faraone Amen-em-hat 1° (Maat-n-Ra) tiene in mano uno strano "scettro" portogli da Hathor. Il Faraone se lo dirige verso gli occhi dal basso verso l'alto con una inclinazione di circa 15°, ad una distanza di 10-15 centimetri. Questo scettro o bastone appare veramente inconsueto per l'iconografia egizia.



Si tratta infatti di uno scettro "Uas" su cui è innestato obliquamente, proprio come una baionetta, l'Ankh, il Simbolo della vita eterna.



                                    esempi di “varianti” dello scettro UAS                                   
                                                   

Particolare del vaso di Gudea, dedicato a Ningishzida ( Sumer XXI secolo a.C. ). Il caduceo viene interpretato come rappresentazione del dio stesso, anticipa comunque il bastone di Asclepio e il caduceo di Ermes nonché il bastone-scettro di Mose (?)


“Lo scettro UAS era un bastone con una forcella all'estremità inferiore e nella parte superiore, leggermente ricurva, la testa stilizzata di un animale. Poteva essere lungo o corto ed era il bastone in genere più raffigurato perché usato da quasi tutte le divinità, dal sovrano e successivamente, anche dai nobili. Compare nelle pitture e nei rilievi anche come supporto perché era considerato il pilastro che sosteneva il cielo. Aveva anche un significato feticistico di origine sciamanica africana e serviva come connessione per veicolare alla madre terra le energie provenienti dal cielo ed in senso più generico apportava potenza e fortuna. Questo scettro era usato quasi esclusivamente dalle divinità maschili quando era unito all'ankh, simbolo di vita, e al pilastro djed indicante stabilità, come mostra sovente l'iconografia di Osiride e Ptah e successivamente anche dal sovrano,  in quanto incarnazione del dio o come trasmissione di un potere appunto di origine divina”.

L'evento iconografico  sopra esposto quindi risulta strano:

* L'Ankh innestato sulla punta dello scettro Uas è molto raro in steli ed iscrizioni egizie.

* L'Ankh, attributo quasi esclusivo degli Dei, può talora essere impugnato dal Faraone soltanto sotto lo stretto controllo della Divinità, titolare del simbolo della Vita Eterna, che tiene per mano il Sovrano.

* Lo scettro Uas invece è di esclusivo appannaggio della Divinità, di cui rappresenta un segno distintivo e di riconoscimento. Eppure la Dea Hathor lo porge al Faraone che lo impugna e lo rivolge verso la propria testa, in corrispondenza degli occhi!

* Lo scettro Uas si potrebbe assimilare al  “Caduceo” in quanto simbolo di potenza “guaritrice”? Questa potenza/conoscenza o abilità poteva essere trasmessa/insegnata?

Ma questo non è un evento unico a Serabit. Sempre nello stesso "Inscriptions of Sinai" di Cerny troviamo rappresentata una Stele, appartenente allo scriba Nakht. In essa vediamo raffigurati Hat-Shep-Sut che offre il "pane conico" a Shu, mentre il giovane Tuhmosi 3° (a sinistra) fa un'offerta a Hathor.




In questa stele, risalente all'anno 20 del regno di Hatshep-Sut, vediamo che Hathor viene descritta come: "Signora del Mafkat, amata" ("Neb.t m-afkat meri" in geroglifico); a Shu viene invece detto: "Porta nel cielo, Shu, figlio di Ra, amato" ("pet Shu sa Ra meri"). Vediamo che Shu porge alla regina nuovamente lo scettro Uas con l'Ankh innestato a baionetta sul suo apice, indirizzato a circa 15-20 centimetri dagli occhi di Hat-Shep-Sut, sempre dal basso verso l'alto. Ma il particolare più interessante è che la Regina impugna l'Ankh senza essere toccata dal Dio Shu. Era forse divenuta uguale agli Dei? In una Stele di Amen-Hotep 3°, risalente al 36° anno di regno, durante la sua permanenza a Serabit per motivi di salute, viene rappresentato Sopdu, definito dalla legenda come "Grande Dio del Paese dell'Est", che riceve l'offerta di "Pane conico" (manna ?) e che è posto sullo stesso piedistallo di Hathor, a sua volta appellata nuovamente "Signora del Mafkat". Come si può correlare l'"Ankh+lo scettro Uas" con il possibile effetto sul Faraone? La risposta ci giunge da una Stele del Faraone Amenem-Hat 3° (Maat-n-Ra) sempre rinvenuta a Serabit. Sul lato destro vediamo Hathor, accompagnata dalla nota legenda "Signora del Mafkat, amata", che porge l'ormai conosciuto scettro Uas+Ankh al Faraone, che, a sua volta, se lo posiziona all'altezza degli occhi. Dietro al Faraone Maat-n-Ra troviamo una scritta esplicativa, peraltro molto frequente nella iconografia faraonica, che dice: "Il fluido della Vita (eterna) dietro di lui" (Sa Ankh Ha-f). Tale dicitura è altresì presente sempre a Serabit in una Stele datata all'Anno 25 di Tuthmosi 3°, dove è raffigurato il Re mentre fa la consueta offerta ad Hathor, mentre alle sue spalle è presente un Principe Ereditario-Nomarca che impugna una davvero insolita bacchetta. Subito dietro il Faraone troviamo una legenda che afferma: "Il Fluido della Vita (eterna) dietro di lui; Signore come Ra" ("Sa Ankh Ha-f Neb mi Ra"). Il termine egizio "Sa" corrisponde alla "corda unica con nodi" e richiama il simbolo ornamentale della "corda con i nodi" usualmente presente nella tradizione della Massoneria, erede di conoscenze antichissime, presumibilmente proprio egizie. Ma la dicitura "fluido della Vita (eterna) dietro di lui", insieme al tema della "corda" e dei "nodi", propone il tema dell'energia che scorre nella parte posteriore del nostro corpo, connessa alla Midollo Spinale contenuto nella Colonna Vertebrale. Tale energia era conosciuta nei paesi dell'Oriente come "Energia Kundalini" od energia del serpente arrotolato che, dalla regione del plesso sacrale, sale fino alla testa. Ma il tema dei "nodi" e della "corda" è altresì presente sia nella filosofia dei Chakra, o "Ruote di Luce" che nello Shiatsu. In queste discipline troviamo infatti delle linee o meridiani (corda) e dei centri di smistamento dell'energia vitale (nodi) che influenzano centri superiori ed inferiori del nostro corpo. Gli Antichi Egizi erano quindi a conoscenza dell'attività motoria e sensitiva del Midollo Spinale contenuto nella Colonna Vertebrale che regola le attività del nostro corpo? Queste nozioni erano state apprese dagli stessi "Dei" che le avevano date ai popoli dell'Oriente? Per la nostra medicina occidentale (tecnologica) potremmo addirittura ipotizzare una approfondita conoscenza del DNA e della genetica? Le arcane conoscenze “mediche” criptate nel tempio di Serabit el Khadem meritano sicuramente un ulteriore approfondimento.

Bibliografia:
http://unmondoaccanto.blogfree.net/?t=3113285
http://www.egyptianhealing.com/hathortemple.htm
Marco La Rosa – Il risveglio del Caduceo dormiente… - OmPhi Labs 2015
Wikipedia



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sabato 2 gennaio 2016

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giovedì 31 dicembre 2015

NIKOLA TESLA E L’EVIDENZA DELL’ETERE


COME SAREBBE OGGI IL NOSTRO MONDO SE TESLA AVESSE VINTO SU TUTTI I FRONTI ?

"La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità".
                                      (Nikola Tesla - Smiljan 1856 - New York 1943)

di Marco La Rosa

L’ETERE è Il mezzo per cui il grande Architetto ha potuto manifestare l’Universo visibile. Il Cosmo dunque è multidimensionale poiché l’etere vibra simultaneamente ma diversamente per ognuna delle infinite dimensioni che coesistono senza conflitto. E’ plausibile quindi ipotizzare che le multiformi vibrazioni eteriche all’interno di ciascuna dimensione, generino la materia sia animata che non ed infondano energia infinita ed intelligente , l’energia vitale, quella che crea ordine. Ecco perché l’Universo, contrariamente alle previsioni della fisica classica, non sta andando verso l’entropia, il disordine e la morte ma, piuttosto, verso la neghentropia, l’ordine e la vita. l’Etere fin dall’antichità è  stato percepito e compreso come emanazione divina o spirituale, intelligente e onnipresente che genera ed orienta i campi energetici universali. E’ molto importante quindi comprendere che i nostri antenati conoscevano meglio di noi l’energia vitale che si ottiene per attivazione dell’Etere:  prana, Ki, pneuma,  Od, Orgone, Mana… solo per citarne alcuni. Ora sappiamo che la cosiddetta scienza “eterica” o “campo del punto zero” è l’unico modello veramente adattabile all’Universo perché è ormai evidente che combaci con le prove “scientifiche scomode”che sono ora disponibili. Le attuali teorie che operano con questi concetti: la “Fisica Sequenziale”, la “Cinetica Sub-quantica”, la Termodinamica del Non-equilibrio”, la “Teoria del Sistema Generale”, la “Teoria del Sistema Reciproco”, la “Teoria dell’Universo Armonico”, la “fisica dell’onda scalare di Maxwell/Whittaker”, la “Fisica Iperdimensionale” e tutte le varie “Teorie del Campo Unificato” concordano sull’evidenza che la nostra realtà fisica emerge da questa “sostanza energetica nascosta”, che crea tutto ciò che vediamo e percepiamo.

L’ETERE, L’ENERGIA LIBERA E L’OSTRUZIONISMO DELLE LOBBY DI POTERE

Il concetto di “etere” nelle teorie e negli esperimenti di Nikola Tesla.

Nikola Tesla iniziò la sua carriera con studi e ricerche assolutamente innovative per il tempo, ma tutto sommato comprensibili ed accettabili dal sistema scientifico ed economico-finanziario, poiché erano ampiamente remunerative e monetizzabili, ma soprattutto perché permettevano una capillare diffusione che preludeva ad un commercio di monopolio per gli allora emergenti gruppi di controllo economico-sociale. Successivamente però, l’anima geniale ed altruista di Tesla ebbe la meglio ed iniziò a sviluppare ricerche di natura notevolmente più avanzata ma che avrebbero sconvolto completamente gli equilibri economico – sociali del mondo capitalista - speculativo in piena ascesa. Proprio in questo periodo Tesla ebbe intuizioni uniche e  si trovò ad aprire porte ignote a chiunque. Egli, nel corso di esperimenti sull’elettricità scoprì proprietà che emergendo improvvisamente causavano effetti strani e peculiari, ma che opportunamente manipolati e veicolati potevano essere trasmessi dappertutto ed a grande distanza, con notevole vantaggio del progresso e benessere globale. 



  Egli denominò questa forza creativa “etere”:  “L’etere è portatore di luce e riempie ogni spazio, l’etere agisce come forza creativa che dà la vita. Viaggia in “turbini infinitesimi” (“micro eliche”) prossime alla velocità della luce, divenendo materia misurabile. La sua forza diminuisce e arriva a terminare del tutto, regredendo in materia, secondo una specie di processo di decadimento atomico […] Ogni atomo ponderabile è differenziato da un fluido tenue, che riempie tutto lo spazio meramente con un moto rotatorio, proprio come fa in vortice di acqua in un lago calmo. Una volta che questo fluido – ovvero l’etere – viene messo in movimento, esso diventa grossolana materia. Non appena il suo movimento viene arrestato la sostanza primaria ritorna al suo stato normale […] Può allora accadere che, se riesce in qualche modo a imbrigliare questo fluido, l’uomo possa innescare o fermare questi vortici di etere in movimento in modo da creare alternativamente la formazione e sparizione della materia. Dunque al suo comando, quasi senza sforzo da parte sua, vecchi mondi svanirebbero e nuovi mondi entrerebbero nell’esistenza. L’uomo potrebbe così alterare le dimensioni di questo pianeta, controllare le sue stagioni, aggiustare la sua distanza dal sole, guidarlo nel suo viaggio eterno lungo l’orbita di sua scelta, attraverso le profondità dell’universo. Egli potrebbe far collidere i pianeti e creare i suoi soli e le sue stelle, il suo calore e la sua luce, egli potrebbe dare origine alla vita in tutte le sue infinite forme. Dare origine alla nascita e alla morte della materia sarebbe il più grande degli atti umani, cosa che darebbe all’uomo una conoscenza profonda della creazione fisica; tutto questo gli permetterebbe di compiere il suo destino ultimo”.  Di conseguenza secondo Tesla il campo gravitazionale terrestre è dovuto allo spostamento del pianeta attraverso l’Etere: “quando la materia solida viaggia attraverso lo spazio, subisce il vento dell’etere e le differenze in potenziali elettrici provocano dei cambiamenti nel dislocamento elettromagnetico all’interno della massa e del vento dell’etere. Il campo elettrico della terra crea il dislocamento magnetico all’interno dell’etere e lo accumula all’interno del campo elettrico della terra. La differenza tra il dislocamento magnetico all’interno di una massa ed il dislocamento magnetico fuori della massa dell’etere è la gravità”. 


Purtroppo queste sue scoperte avvennero proprio in concomitanza al famoso esperimento, dei fisici Michelson e Morley ed alla nuovissima teoria della relatività di Albert Einstein, che avevano messo fuori causa (erroneamente ed anche volutamente in malafede,  ma questo lo sappiamo bene solamente oggi) sul piano accademico e quindi scientifico,  l’esistenza dell’ etere. Da questo momento in poi Nikola Tesla si trovò completamente solo a combattere una battaglia impari per contrastare i suoi avversari più speculatori economici che scienziati. Molto autorevole e qualificato, a questo proposito, il parere del noto fisico contemporaneo, Massimo Teodorani, che ha scritto un’illuminante biografia di Tesla: “… Tesla imputava ai suoi avversari l’assunto di un “paradigma sbagliato” in quanto generato da problemi mal posti, da esperimenti manipolati al puro fine di confermare le vecchie teorie, e da una teoria come quella della relatività, che secondo Tesla era minata alla base da un vizio di impostazione nonostante la sofisticata formalizzazione matematica con cui essa era presentata. Ma perché esistevano differenze di impostazione tra lui e i suoi colleghi del tempo? La ragione è semplice. I suoi contemporanei basavano il loro lavoro agganciandosi a quanto era già scritto nei libri di testo e negli articoli tecnici del tempo e sottoponendosi al giudizio collegiale dei colleghi per ottenere un consenso. E quel consenso mirava esclusivamente a perpetuare il sapere del tempo: la teoria della relatività di Einstein, per quanto in sé nuovissima, doveva in qualche modo agganciarsi alla precedente meccanica classica per stabilirne un logico continuum evolutivo. Era sui calcoli dei predecessori che bisognava far evolvere il libro della fisica e non tanto su un’osservazione più diretta e imparziale dei fenomeni naturali. Nikola Tesla agiva in maniera completamente differente. Lui prima di costruire castelli in aria, magari raffinatissimi dal punto di vista della formalizzazione matematica, desiderava esplorare la realtà spingendo ai massimi livelli le sue sperimentazioni, compiendo un test dopo l’altro per vedere come effettivamente la natura rispondeva alle sue stimolazioni. Dopodiché prendeva nota dei risultati, di tutti i risultati e non solo di quelli che gli facevano comodo per comprovare le sue teorie. Questo metodo, completamente sperimentale, lo portava a sondare la natura in profondità registrando minuziosamente le fenomenologie riscontrate, incluse le anomalie che le accompagnavano. Mentre i suoi colleghi ignoravano deliberatamente le anomalie e cercavano di farle sparire dai loro calcoli, Tesla ne prendeva nota e cercava di elaborare su di esse delle nuove congetture.


Da questo momento in poi, un nuovo e più determinato Tesla inizia il periodo di sperimentazione piu’ significativa ma anche più oscura e segreta a Colorado Springs ed  a Long Island, dove indubbiamente scoprì quelle fenomenologie che lo portarono a formulare la sua ipotesi sull’etere e da essa la possibilità di estrarre energia libera in grandi quantità. Egli effettuò i primi esperimenti di trasmissione di elettricità senza fili, usando il suo famoso “trasmettitore di amplificazione”, ricavato migliorando e potenziando la sua ben nota bobina che gli aveva permesso di produrre la corrente alternata. Il principio fondamentale della sua nuova invenzione era l’invio di cospicue emissioni di energia elettrica alla Terra sintonizzandosi con la sua frequenza di risonanza, un pò come si fa con le grancasse dei violini l’onda elettrica, in questo specifico caso,  avrebbe raggiunto il centro della Terra e poi sarebbe rimbalzata verso la strumentazione di Tesla la quale pompava in continuazione energia amplificando l’onda di ritorno.


Lo scopo di Tesla era quello ritrasmettere conseguentemente l’energia attraverso la ionosfera a vari ricevitori che l’avrebbero raccolta. Non risultano prove documentate che lui fosse effettivamente riuscito in questo intento, ma è invece confermato che con questo sistema di trasmissione elettrica senza fili egli riuscì comunque ad accendere una gran quantità di lampadine situate a 40 chilometri di distanza; il sistema funzionava, ma andava calibrato e migliorato. Purtroppo gli ambienti accademici, economici e politici, quando si accorsero degli intenti “populistico-sociali” del grande inventore, fecero in modo che nessuno potesse aiutarlo o finanziarlo, di fatto isolandolo in un sostanziale immobilismo. Le idee di Tesla non incontravano i favori dei magnati del tempo i quali non approvavano in alcun modo questo metodo di elettrificare il mondo, perchè ovviamente si scontrava con il business da loro stessi costruito su sistemi più convenzionali basati sulla trasmissione di energia elettrica con uso di fili che ovviamente, significava avere un perfetto controllo delle masse, costrette da quel momento in poi, a comprare energia divenendo di fatto schiavi del nuovo sistema economico-capitalista. Un filo dunque che avrebbe legato indissolubilmente il compratore al venditore-controllore. Possiamo dire che invariabilmente, quasi tutti gli arditi progetti di Tesla avevano come minimo comune denominatore la convinzione dell’ evidenza dell’ etere e la possibilità di estrarre energia da esso. Purtroppo Tesla non ci ha lasciato articoli tecnici di stampo accademico, cosa che peraltro gli sarebbe stata comunque impedita, come ben circostanziato prima. Il genio serbo scrisse invece un gran numero di appunti sui suoi diari personali ( per la maggior parte trafugati o distrutti) dai quali qualche scienziato dei giorni nostri ha cercato di estrarre informazioni utili per proseguire gli esperimenti sull’energia libera e per derivare modelli teorici basati sui risultati ottenuti. Nikola Tesla ha ottenuto circa 300 brevetti in tutto il mondo, è stato l’inventore della corrente alternata, che ha contribuito alla nascita della Seconda Rivoluzione Industriale, e la Suprema Corte degli Stati Uniti gli ha attribuito la precedenza nella scoperta della radio rispetto a Guglielmo Marconi. Alla sua morte il governo americano classificò i suoi scritti come Top Secret, privandoci così oltre ad un patrimonio scientifico di incalcolabile valore, anche della possibilità di raggiungere prima il salto evolutivo per una nuova umanità in armonia con la nostra Terra ed il Cosmo.


BIBLIOGRAFIA:

The Science of Oneness di David Wilcock
https://antoniovaccarello.wordpress.com/letere/
Tesla, lampo di genio di Massimo Teodorani, Macro Edizioni, 2005.
Esperimenti scientifici non autorizzati  - di Marco Pizzuti – Ed. Il punto D’Incontro 2013


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