IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

sabato 5 dicembre 2020

I MISTERI DEL MOTO PERPETUO: UTOPIA...OPPURE...

 


Alla ricerca del moto perpetuo: il Santo Graal per molti studiosi

Sin dai tempi antichi l’uomo subisce l’attrazione del moto perpetuo. Una macchina in grado di funzionare perfettamente, senza una fonte energetica, cambierebbe tutto. Ma è davvero possibile realizzare una macchina di questo genere? Secondo le leggi su cui si fonda la nostra realtà, no.

La realizzazione della macchina a moto perpetuo ha attirato la curiosità di molti studiosi, diventando un vero e proprio rompicapo. La tenacia e la creatività sono i motori principali che hanno spinto l’uomo a tentare di realizzare una macchina di questo tipo, nonostante i vari fallimenti ottenuti nel corso dei secoli. Infatti, le varie macchine costruite in grado di soddisfare le condizioni del moto perpetuo hanno determinato risultati fallimentari, seppur importanti, dimostrando che tale moto è soltanto un concetto puramente ideale e tale rimarrà. Uno degli esempi più lampanti è sicuramente Leonardo Da Vinci, che nel tentativo di progettare e costruire una macchina del genere, ne dimostrò l’impossibilità. Il genio del Da Vinci, infatti, concluse che è impossibile che il moto perpetuo possa esistere in natura, anticipando di quasi tre secoli la dimostrazione del principio data dagli studi sulla termodinamica di James Clerk Maxwell.

 

                                     Appunti e disegni di Leonardo da Vinci Credits: istock

 È chiaro il fatto che mantenere un oggetto in un movimento infinito è un concetto puramente astratto, in quanto esiste un fattore essenziale che determina la dissipazione di quell’energia che permette all’oggetto di muoversi, ovvero l’attrito. Dal punto di vista dell’affascinante mondo della termodinamica, a cui il moto perpetuo è strettamente legato, viene suddiviso in due tipologie: il moto perpetuo di prima e seconda specie che a loro volta sono legati al primo e al secondo principio della termodinamica.

Il moto perpetuo di prima specie:

Il moto perpetuo di prima specie implica la violazione del primo principio della termodinamica, che afferma che l’energia non può essere né creata né distrutta, e, in quanto tale, la somma della quantità di calore ceduta a un sistema e del lavoro eseguito deve corrispondere ad un aumento dell’energia interna del sistema stesso. In breve, si dovrebbe realizzare una macchina in grado di produrre una quantità di energia superiore a quella consumata, in modo tale da autoalimentarsi. Macchine che potrebbero funzionare mediante questa modalità, dovrebbero usare magneti come fonti di energia, ma, seppur siano in grado di mantenere un certo moto per tempi lunghi, sono comunque destinate a fermarsi perché non possono in alcun modo estrarre energia gratuita.


      Progettazione ad opera di Leonardo da Vinci della ruota a moto perpetuo Credits: Artslife

Il moto perpetuo di seconda specie

Il moto perpetuo di seconda specie, invece, implica la violazione del secondo principio della termodinamica la quale si fonda su due enunciati: è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire calore da un’unica sorgente e di trasformarla completamento in lavoro (Lord Kelvin); è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di far passare calore da un corpo freddo a uno caldo (R. Clausius). Entrambi gli enunciati negano la possibilità di realizzare una macchina a moto perpetuo, in quanto un sistema di questo genere implicherebbe il trasferimento di energia da un corpo freddo a un corpo caldo senza spendere lavoro. Una macchina avrebbe quindi un rendimento pari al 100%, considerato che dovrebbe convertire completamente l’energia termica, estratta da una determinata sorgente, in energia meccanica.

In conclusione

La ricerca di un moto perpetuo va sicuramente contro a uno dei due principi della termodinamica, e ciò dovrebbe già bastarci per affermare non possa esistere concretamente. Nulla nega però che le ricerche svolte dagli studiosi e dai costruttori siano stati fondamentali per giungere a tale conclusione. E se uno fra questi studiosi fosse riuscito in quest’ardua missione, avrebbe senza alcun dubbio cambiato molti aspetti della fisica classica e sicuramente la vita dell’uomo.


MA GLI STUDI SULLA ZPE (ENERGIA DEL PUNTO ZERO) A CHE PUNTO SONO?

FORSE E' PROPRIO IN QUESTA DIREZIONE CHE DOVREMMO CONCENTRARE GLI SFORZI PER UN VERO SALTO EVOLUTIVO. (NDR  M.L.R.)

DA:

https://sciencecue.it/ricerca-moto-perpetuo-da-vinci/23170/

https://www.needforscience.com/physics/vacuum-energy-special-case-of-zero-point-energy/


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giovedì 26 novembre 2020

LO SPAZIO PROFONDO E' PIU' DENSO DEL PREVISTO

 


Quanto è denso il vuoto dello Spazio?

Prosegue la manutenzione dell'unica antenna che può comunicare con la sonda Voyager 2, che intanto conferma che lo Spazio là fuori è più denso del previsto.  

Quando la sonda Voyager 2 è partita dalla Terra col suo messaggio per gli alieni era il 20 agosto del 1977: la TV era ancora in bianco e nero, il Presidente degli Stati Uniti era il magnate delle arachidi Jimmy Carter e buona parte della redazione di Focus andava ancora all'asilo. In tutti questi anni la sonda ha proseguito il suo viaggio e oggi si trova nello Spazio profondo, fuori dalla bolla del Sistema Solare, a 125 UA (unità astronomiche) dal nostro pianeta, cioè 125 volte la distanza tra la Terra e il Sole - che è di circa 150 milioni di chilometri.

LA LUNGA MARCIA

 Dopo aver superato Giove, Saturno e Urano, la Voyager 2 ha sorvolato Nettuno nell'agosto del 1989 (per la cronaca: il Presidente USA era il magnate del petrolio George W. Bush e noi della redazione andavamo al liceo). Una rapida puntata verso Tritone, una delle lune di Nettuno, e poi la sonda ha continuato il suo viaggio fino a uscire ufficialmente dal Sistema Solare. Oggi la sonda è così lontana dalla Terra che ogni segnale inviato o ricevuto ha un ritardo di oltre 17 ore. Che cosa usano i ricercatori per inviare segnali e istruzioni a un oggetto distante quasi 20 miliardi di km?

GRANDISSIME ANTENNE

Solo tre antenne sulla Terra sarebbero abbastanza grandi e potenti da poter consegnare e ricevere segnali dalla Voyager 2: sono dislocate in California, in Spagna e in Australia, e insieme formano il Deep Space Network (NASA). Ma per la posizione relativa della Terra e della sonda ormai solo una di queste antenne, quella di Canberra, in Australia, riesce a comunicare con la Voyager 2. Quella del Canberra Deep Space Communications Complex è un'antenna da oltre 70 metri di diametro: è però parte di un impianto vecchio di 50 anni attualmente in manutenzione. Il fermo, iniziato a marzo, dovrebbe terminare nel febbraio del 2021: in tutto questo tempo potremo ricevere segnali e dati scientifici, ma non inviare comandi o altre istruzioni (anche se un test dei nuovi trasmettitori è andato a buon fine).

DENSITÀ SPAZIALE

È di poche settimane fa l'ultima importante conferma che la sonda ha inviato a Terra: l'aumento della densità della materia interstellare al di fuori del Sistema Solare, già rilevato nel 2018 dalla sonda gemella Voyager 1. Questa della densità dello Spazio interstellare è stata una sorpresa: lo spazio, che contiene piccole quantità di protoni ed elettroni spinti dai venti stellari, dovrebbe essere sempre più "vuoto" a mano a mano che ci si allontana da una stella. Ma nel 2018 Voyager 1, dopo avere misurato 0,039 particelle per centimetro cubo quando si trovava ancora alla periferia del Sistema Solare, uscita definitivamente fuori dal dominio del Sole riportava una densità di circa 0,13 particelle per centimetro cubo. La variazione, confermata a fine ottobre dalle misure della Voyager 2, non ha al momento una spiegazione.

A MENO DI NON IPOTIZZARE QUALCOSA DI INVISIBILE…NON RILEVABILE, APPENA FUORI DAL SISTEMA SOLARE…(NDR MLR)…(?)

Da:

https://www.focus.it/scienza/spazio/voyager-spazio-profondo-materia-interstellare

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sabato 21 novembre 2020

IL MISTERO DI STEVE : Strong thermal emission velocity enhancemen

          La Nasa: Steve non è una aurora, il mistero continua

                                         Credit immagine: Krista Trinder e NASA.

Un nastro di luce color malva bordato di verde: così si presenta Steve (Strong thermal emission velocity enhancemen), un fenomeno ottico atmosferico scoperto dagli astronomi nel 2018, e prima ancora dai citizen scientist, con numerose osservazioni amatoriali e foto che hanno fatto il giro del mondo a partire dal 2015. Per colori, localizzazione e durata si distingue nettamente dalle aurore, tipiche delle latitudini più estreme. E ora uno studio della Nasa, intitolato “The Mysterious Green Streaks Below Steve” – “Le misteriose strisce verdi al di sotto di Steve”, esclude che possa trattarsi di un airglow, un fenomeno di luminescenza atmosferica. Ma allora di cosa si tratta?

Ci sono le aurore, le airglow e poi c’è Steve

Le aurore – ad esempio l’aurora boreale che si può ammirare nei cieli dei paesi nordici – è un fenomeno dovuto all’interazione fra particelle cariche provenienti dal sole e il campo magnetico terrestre che si manifesta in prossimità dei poli magnetici. Al contrario, le luminescenze atmosferiche o airglow sono causate da particolari fenomeni chimici (la chemiluminescenza) e sono presenti a tutte le latitudini. Le aurore, inoltre, sono caratterizzate da un numero ridotto di lampi di colore molto rapidi, mentre le airglow sono bagliori piuttosto costanti. “Steve non sembra uniformarsi a nessuna di queste due tipologie di fenomeni”, dice Joshua Semeter, docente alla Boston University e prima firma dello studio, che include anche quelle di Neil Zeller, fotografo professionista autore delle foto di Steve esaminate, Michael Hunnekuhl, un citizen scientist che si è occupato di mantenere il database di Steve e ha contribuito a notare alcuni elementi dello strano fenomeno.

L’identikit di Steve

Steve è visibile a latitudini molto più meridionali rispetto alle aurore, dalle quali si distingue anche per una colorazione prevalentemente rosa malva e per una minore durata, circa venti minuti. Un anno fa uno studio aveva scoperto che non si tratta di atomi eccitati da elettroni provenienti dalla magnetosfera, come nel caso delle aurore, ma di particelle estremamente calde legate a un qualche fenomeno ancora sconosciuto che interessa l’alta atmosfera terrestre.

                                                STEVE May 7th 2016 350 2258:31 hrs

        Un fenomeno STEVE fotografato il 7 maggio 2016. Foto di Rocky Raybel.

“Le emissioni – ammette Semeter – sono dovute a meccanismi che ancora non abbiamo compreso appieno”. Quelle di colore violaceo, spiega lo scienziato della Nasa, sono probabilmente il risultato di ioni che si muovono a velocità supersonica. Mentre le striature verdi sembrano collegate a movimenti che ricordano vortici o gorghi, come quelli dei fiumi o di altri corsi d’acqua. Inoltre gli elementi verdi si muovono più lentamente di quelli viola e potrebbero essere dovuti a turbolenze nello spazio – un miscuglio fra particelle e campo magnetico, chiamato plasma. Lo studio stabilisce anche l’altezza delle “misteriose strisce verdi” fissata fra i 100 e i 110 km dal suolo terrestre. Ma il mistero rimane.

Da:

https://www.galileonet.it/steve-aurora-luminescenza-fenomeno-nasa/

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sabato 7 novembre 2020

VOYAGER 2 AND DEEP SPACE...

 


La Nasa ristabilisce il contatto con Voyager 2, è a 20 miliardi di chilometri dalla Terra

Gli ingegneri dell'agenzia spaziale statunitense avevano perso il collegamento a marzo con la navicella a causa di riparazioni e aggiornamenti dell'antenna.

Dialogo ristabilito. La sonda Voyager 2 della Nasa risponde dallo spazio interstellare, oltre il nostro sistema solare: i responsabili della missione le hanno inviato un segnale e la sonda ha confermato di aver ricevuto la "chiamata" ed ha eseguito i comandi senza problemi.

                           

Lanciata nel 1977, la sonda due anni fa ha lasciato il Sistema Solare e ora è a più 18,8 miliardi di chilometri dalla Terra. E' stata contattata per testare i nuovi componenti recentemente installati sulla Deep Space Station 43, l'unica antenna al mondo in grado di inviarle comandi. L'antenna si trova a Canberra, in Australia, e fa parte del Deep Space Network (Dsn) della Nasa, una rete di antenne radio utilizzate per comunicare con veicoli spaziali che operano oltre la Luna.

Da marzo scorso l'antenna non era operativa per un aggiornamento tecnico che ha riguardato una serie di apparecchiature, compresi due nuovi trasmettitori radio. Uno di questi, che viene utilizzato per comunicare con Voyager 2, non era stato sostituito da oltre 47 anni. Il Deep Space Network è costituito da tre antenne radio che si trovano a Canberra; Goldstone in California, e Madrid in Spagna. La posizione delle tre antenne garantisce che quasi tutti i veicoli spaziali con una linea di vista verso la Terra possano comunicare con almeno una delle strutture in qualsiasi momento. Voyager 2 è la rara eccezione. Per fare un sorvolo ravvicinato della luna di Nettuno Tritone nel 1989, la sonda ha sorvolato il polo nord del pianeta. Quella traiettoria l'ha deviata verso sud rispetto al piano dei pianeti, e da allora si è diretta in quella direzione. Ora è così a sud che non ha una linea di vista con le antenne radio nell'emisfero settentrionale. L'antenna di Canberra è l'unica parabola nell'emisfero australe che ha un trasmettitore abbastanza potente e che trasmette la giusta frequenza per inviare comandi alla sonda lontana. L'aggiornamento tecnico, secondo la Nasa, andrà a beneficio anche di altre missioni, incluso il rover Mars Perseverance, che dovrebbe atterrare sul pianeta rosso il 18 febbraio 2021 e la missione Artemis della Nasa che intende riportare l'uomo sulla Luna.


"L'aspetto unico di questo progetto - commenta Brad Arnold, responsabile del progetto Deep Space Network (DSN) presso il Jet Propulsion Lab della Nasa - è che stiamo lavorando a tutti i livelli dell'antenna, dal piedistallo fino ai sistemi che si estendono sopra il bordo. La comunicazione di prova con la sonda suggerisce che le trasmissioni sono in linea con il nostro lavoro". I trasmettitori non sono stati sostituiti negli ultimi 47 anni, e dovrebbero tornare online a febbraio 2021. Gli ingegneri hanno aggiornato il riscaldamento e il raffreddamento della sonda, le apparecchiature di alimentazione e i componenti elettronici necessari al funzionamento dei trasmettitori.

"L'antenna DSS43 è un sistema altamente specializzato - aggiunge Philip Baldwin, responsabile delle operazioni per il programma SCaN (Space Communications and Navigation) della NASA - ci sono solo altre due antenne simili nel mondo. Abbiamo deciso di effettuare questi aggiornamenti per garantire che l'antenna possa continuare a essere utilizzata per le missioni attuali e future". Anche quella verso Marte.

Da:

https://www.repubblica.it/scienze/2020/11/05/news/la_nasa_ristabilisce_il_contatto_con_voyager_e_a_20_miliardi_di_chilometri_dalla_terra-273219390/

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domenica 1 novembre 2020

IL GIORNALE DEI MISTERI N. 552 BIMESTRALE NOVEMBRE DICEMBRE 2020

                                           IN EDICOLA IN LIBRERIA E ON LINE


I CELTI E GLI EXTRA-TERRESTRI - DI GIORGIO PATTERA DA PAG. 53

LEGGI QUA SOTTO IL SOMMARIO:



sabato 24 ottobre 2020

LA "VISIONE" DELLE PAROLE...

 

                                             (Foto di John Hain da Pixabay)

...Il nostro cervello è in grado di vedere le parole dalla nascita

Secondo un recente studio statunitense, l’uomo viene alla luce con una parte del cervello già predisposta per vedere le parole e le lettere. Sembrerebbe dunque che abbiamo già dalla nascita le basi per imparare a leggere. I ricercatori sono giunti a questa conclusione analizzando le scansioni cerebrali dei neonati, e scoprendo che la zona del cervello chiamata area visiva della forma delle parole (VWFA) è collegata alla rete linguistica del cervello (area di “Broca” ndr MLR *). E secondo Zeynep Saygin, autore senior dello studio e assistente di psicologia della Ohio State University “questo lo rende un terreno fertile per sviluppare una sensibilità alle parole visive, anche prima di qualsiasi esposizione al linguaggio”. Il VWFA è una zona del cervello specializzata per la lettura, ma questo è vero solo negli individui alfabetizzati. In precedenza si pensava che questa zona del cervello, prima di imparare a leggere, fosse simile alle altre parti della corteccia visiva, sensibili a volti, scene o altri oggetti, e che, solo dopo aver imparato a leggere, diventi selettivo per le parole e le lettere.

Ma il nuovo studio mostra che non è così, “anche alla nascita, il VWFA è più connesso funzionalmente alla rete linguistica del cervello di quanto non lo sia ad altre aree”, come ha affermato Saygin. Per realizzare la loro ricerca, il team di scienziati ha analizzato le scansioni fMRI del cervello di 40 neonati, tutti di età inferiore ad una settimana, che facevano parte del progetto Developing Human Connectome. Queste scansioni sono poi state confrontate con quelle di 40 adulti. Fino ad ora i ricercatori erano convinti che il VWFA pre-lettura dei neonati, non fosse troppo diverso dalla limitrofa regione della corteccia visiva che elabora i volti. Ma le analisi delle scansioni hanno mostrato che il VWFA era diverso dalla parte della corteccia visiva che riconosce i volti anche nei neonati, così come sono diverse tra di loro nell’adulto. La causa di questa diversità risiede principalmente alla sua connessione funzionale con la parte del cervello che elabora il linguaggio. Saygin afferma dunque che “il VWFA è specializzato nel vedere le parole prima ancora di essere esposti a loro. Il nostro studio ha davvero enfatizzato il ruolo di avere già connessioni cerebrali alla nascita per aiutare a sviluppare la specializzazione funzionale, anche per una categoria dipendente dall’esperienza come la lettura”. Nello studio sono comunque state evidenziate alcune differenze in questa regione tra neonati ed adulti. Saygin ritiene che “probabilmente è necessario un ulteriore perfezionamento del VWFA man mano che i bambini crescono. L’esperienza con la lingua parlata e scritta rafforzerà probabilmente le connessioni con aspetti specifici del circuito linguistico e differenzierà ulteriormente la funzione di questa regione dalle sue vicine man mano che si acquisisce l’alfabetizzazione“.

Saygin sta attualmente analizzando il cervello di bambini di 3 e 4 anni per saperne di più sulle caratteristiche e le funzioni del VWFA prima che i bambini imparino a leggere e a quali proprietà visive risponde questa regione. L’obiettivo è imparare come il cervello diventa un cervello che legge. Apprendere di più sulla variabilità individuale può infatti aiutare i ricercatori a capire le differenze nel comportamento di lettura e potrebbe essere utile nello studio della dislessia e di altri disturbi dello sviluppo.


Nota *: L'area di Broca (o area del linguaggio articolato) è una parte dell'emisfero cerebrale dominante, localizzata nel piede della terza circonvoluzione frontale, la cui funzione è coinvolta nell'elaborazione del linguaggio. Tale area può anche essere descritta come l'unione dell'area 44 e 45 di Brodmann ed è connessa all'area di Wernicke da un percorso neurale detto fascicolo arcuato. Prende il nome dal medico e anatomista francese Paul Broca, il primo a descriverla nel 1861 dopo aver condotto l'autopsia di un paziente afasico, monsieur Leborgne, anche detto paziente Tan, perché tan tan erano le uniche parole che egli riusciva a pronunciare. Il primo che si accorse che questa regione fosse implicata nella facoltà del linguaggio fu il medico italiano Bartolomeo Panizza (1785-1867).

 

da:https://va.news-republic.com/a/6887142432928956933?app_id=1239&c=sys&gid=6887142432928956933&impr_id=6887148116463044870&language=it&region=it&user_id=6699498745832932357

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domenica 11 ottobre 2020

IL MISTERO DEL "TOPO TALPA"

 


I topi talpa nudi usano l'interruttore glucosio-fruttosio per sopravvivere in condizioni estreme.

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

La talpa nuda è ancora più notevole di quanto immaginassimo.

Rinomato per la sua longevità, resistenza al cancro e capacità di adottare la temperatura ambiente come temperatura corporea, questo roditore poco attraente, questo mammifero a sangue freddo, ha anche un asso nella manica precedentemente sconosciuto, o nascosto nella sua pelle rugosa. La talpa nuda, o cucciolo di sabbia, può generare energia dal fruttosio, bypassando la normale via del glucosio, che richiede ossigeno. Questa stranezza metabolica spiega come la talpa nuda possa sopravvivere - persino prosperare - in tane affollate e passaggi sotterranei soffocanti, confini dove l'ossigeno è spesso scarso. I topi talpa nudi hanno rivelato come sopportano condizioni di scarsa ossigeno in uno studio condotto da scienziati dell'Università dell'Illinois a Chicago. Questi scienziati hanno osservato che i topi talpa nudi non solo possono tollerare ore di estrema ipossia, ma possono anche sopravvivere a 18 minuti di totale privazione di ossigeno (anossia) senza lesioni apparenti. Per capire come la talpa nuda sia capace di tali imprese, gli scienziati hanno scavato in profondità nel metabolismo del roditore. Hanno scoperto che durante l'anossia, la talpa nuda passa al metabolismo anaerobico alimentato dal fruttosio, che viene attivamente accumulato e metabolizzato in lattato nel cervello. I dettagli di questo lavoro sono apparsi il 21 aprile sulla rivista Science, in un articolo intitolato "La glicolisi guidata dal fruttosio supporta la resistenza all'anossia nella talpa nuda". In sostanza, l'articolo spiega come il passaggio metabolico dal glucosio al fruttosio mantiene l'approvvigionamento energetico dell'animale e previene i danni ai tessuti quando manca l'ossigeno. "L'espressione globale del trasportatore del fruttosio GLUT5 e alti livelli di chetoesochinasi sono stati identificati come firme molecolari del metabolismo del fruttosio", hanno scritto gli autori dell'articolo di Science. "La respirazione glicolitica basata sul fruttosio nei tessuti nudi di ratti talpa evita l'inibizione a feedback della glicolisi tramite fosfofruttochinasi, supportando la vitalità". Molti mammiferi possono attingere al fruttosio come fonte di energia, ma solo in tessuti molto specifici. Può essere utilizzato solo se sono presenti due componenti. Il primo è GLUT5, una molecola trasportatrice che trasporta il fruttosio dal sangue alle cellule. Nella maggior parte dei mammiferi, GLUT5 è presente solo nel fegato e nei reni. Ma Jane Reznick, coautrice dell'articolo di Science e ricercatrice presso il Max Delbrück Center for Molecular Medicine, l'ha trovata in tutto il corpo del ratto talpa. Il secondo componente è un enzima chiamato KHK, o chetohexokinase, che altera il fruttosio in modo che possa essere immesso in un percorso di fornitura di energia chiamato glicolisi mentre allo stesso tempo schiva una fase di glicolisi altamente regolata che viene bloccata quando i livelli di ossigeno sono bassi. I topi talpa avevano anche un sacco di KHK in tutto il corpo. La mancanza di questi due componenti nel cervello e nel cuore degli esseri umani e di altri mammiferi aumenta la glicolisi quando vengono privati ​​dell'ossigeno. Nessuna energia può quindi essere fornita per alimentare questi tessuti e gli organi si deteriorano rapidamente. Stranamente, quando i ratti talpa nudi sono privati ​​dell'ossigeno, possono sopravvivere metabolizzando il fruttosio proprio come fanno le piante. Inoltre, i topi talpa nudi sono protetti da un altro aspetto mortale del basso contenuto di ossigeno: un accumulo di liquido nei polmoni chiamato edema polmonare che affligge gli alpinisti ad alta quota. Gli autori del documento di Science ipotizzano che la comprensione del modo in cui gli animali metabolizzano il fruttosio potrebbe portare a trattamenti per i pazienti che soffrono di crisi di privazione di ossigeno, come infarti e ictus.

Da:

https://www.genengnews.com/topics/omics/naked-mole-rats-use-glucose-fructose-switch-to-survive-suffocating-conditions/

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