Botticelli, un nuovo approccio
Jubilate Deo, omnis terra alleluia, ovvero il Battesimo del
Nuovo Mondo
26 MARZO
2020,
Per intendere compiutamente le opere
pittoriche prodotte nel Medio Evo, e non solo quelle, è di fondamentale
importanza distinguere per grandi linee almeno due dei numerosi ingredienti
cruciali presenti in esse. Uno è stabilire il sostrato, o contesto culturale
che dir si voglia, in cui le opere sono nate. L’altro è definire l’essenza dei
simboli figurativi che pervadono ed informano le predette opere. Non è cosa
molto semplice, senza almeno la parvenza di una guida. Per far ciò, quindi, si
è scelto di prendere come riferimento le metodiche operative formulate da Erwin
Panofsky, il ben noto critico e storico dell’arte, considerato fondatore della
disciplina dell’iconologia. Si è provato ad applicare in concreto le regole
panofskyane di decifrazione iconologica, per mera acribia intellettuale è
ovvio, nell’analisi di capolavori dell’arte analizzati dal Panofsky stesso e a
tutti ben noti. Il motivo che ha dato l’abbrivio all’impresa di analizzare
queste meravigliose opere, splendido frutto della genialità umana, è stata la
curiosa quanto vistosa incertezza interpretativa che le caratterizza.
Dire che l’“affaire” Botticelli è lacunoso
è un eufemismo. Abbiamo quindi cercato di porvi rimedio utilizzando un
affidabile schema di studio strutturato. Qui Panofsky docet. Si sono così
ottenuti mediante l’operazione panofskyana di “sfogliatura iconica” da noi
messa in atto, come si avrà modo d’apprezzare, dei risultati almeno
sorprendenti. Il tentativo teleologico era quello di rendere finalmente più
chiari e più definiti i significati reali, pregnanti, che in maniera certo
consapevole quanto intenzionale sia l’autore delle straordinarie opere
considerate, nella fattispecie il Botticelli, sia la committenza che le ha
volute, hanno indiscutibilmente assegnato a questo eccezionale flusso di
produzione creativa. Per certi versi i risultati ottenuti, come si avrà modo di
valutare, si confermano da soli ed al contempo sono sconcertanti. È stata però
una sfida. Intellettuale s’intende. Si era ben consapevoli che analizzare opere
pittoriche tanto note, e da secoli studiate fin nelle singole pennellate,
poteva sembrare una sfida già persa in partenza. È anche vero, nondimeno, che
quelli esaminati pur essendo capolavori pittorici d’indiscussa portata storica,
curiosamente hanno, forse da sempre, mantenuto un’aura d’esitante incertezza
interpretativa. Già a partire dalla loro titolazione.
Il motivo è forse perché questi
“monumenti pittorici” sono costellati da simboli estremamente “densi”. Si
tratta di simbolismi dai significati sottili e proteiformi, allegorie potenti e
profonde di cui si è persa la memoria e, soprattutto, la chiave di lettura.
Sono espressioni figurate dotate di significati antichi quanto intensi. Sono
immagini paradigmatiche studiate fin nei minimi dettagli, i cui significati
sono stati scientemente collocati dall’autore sui molti piani di lettura che
l’opera ammette, per poter parlare attraverso i secoli. Quasi fossero, si passi
l’“ardito”, forse poco aulico sebbene efficace accostamento, l’opera di un
pasticciere che realizza torte con tanti strati infarciti con diverse quanto
gustose creme.
Dunque le sorprese, come si è già
detto, in questo studio non mancheranno di certo. Diventano preziose poi le
istruzioni d’uso che offre l’approccio diagnostico suggerito dal predetto
Panofsky1, in special modo ora che ci si vuole interfacciare con opere
d’arte particolarmente ricche da un punto di vista iconografico. Più utili
ancora poi, se si volesse tentare l’impresa titanica di comprendere il
contenuto cristallizzato in vere e proprie memorie documentali come quelle
realizzate dal Botticelli, ovvero, secondo gli scriventi, il “Dante della
pittura”, al secolo Alessandro Filipepi, che tratteremo in questo studio2. Si deve
però, necessariamente, andare per ordine.
Da quando nel 2003, dopo varie
riflessioni e ricerche, si è da noi accostata per la prima volta la mappa mundi di Waldseemüller, pubblicata a stampa
la quarta domenica post Pasqua, ossia il 25 aprile dell’anno 1507, all’opera
pittorica ad affresco del Ghirlandaio conosciuta come la Madonna
misericordiosa dei Vespucci3, conservata
nella chiesa di Ognissanti a Firenze, si è avuta immediata una precisa
conferma. Per certo esisteva ad un livello di retroscena sì, ma perfettamente
distinguibile, una fitta rete di connessioni storiche e sociali, che a loro
volta indicavano con simile certezza un altro dato di fatto inequivocabile.
Queste due particolari
rappresentazioni erano state ordite intenzionalmente fra di loro in modo
indissolubile. Le maglie di questa rete a mano a mano che si avanzava negli
studi, si sono sempre più ampliate ricoprendo aree d’indagine inaspettate sia
in ambito artistico, sia in ambito storico.
Ora, per comprendere almeno in
parte, i notevoli risultati della lunga indagine che abbiamo condotto, siamo
obbligati a tornare su quel peculiare dettaglio, che ci ha consentito per la
prima volta in assoluto di stabilire l’esistenza inequivocabile di una vitale
identità sia di rappresentazione sia di consistenza informativa tra le due
iconografie, ossia tra la rappresentazione cosmografica di Martin Waldseemüller
e l’affresco di carattere religioso realizzato per la Cappella Vespucci
da Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio4. Si deve
aggiungere, con malcelato orgoglio, che l’esistenza di questa potente
reciprocità, questa equivalenza sia figurativa sia di contenuti informativi, è
un dato ormai ampiamente dimostrato ed acquisito in ambito accademico. Il
particolare rivelatore è riscontrabile nella forte e indiscutibile
similitudine, anzi, sovrapponibilità, peraltro dimostrata come si è detto, che
intercorre tra il profilo del pallio mariano tracciato dal Ghirlandaio intorno
agli anni 1476/77 per l’affresco fiorentino della Madonna
della Misericordia, presente nella cappella della nobile famiglia
dei Vespucci, ed il profilo della cornice che circoscrive la monumentale mappa
mundi realizzata nel
1507 dal Waldseemüller a San Deodato, nei Vosgi. Sono, queste, le due tessere
dello stesso mosaico cosmografico sacro, che ci hanno suggerito esistere un più
che solido legame tra Americo Vespucci (1454-1512) ed i savants di San Deodato
(Saint-Dié-des-Vosges). L’esistenza di questo legame è stato poi accertato,
documenti alla mano, dalla professoressa Patrizia Licini nei suoi approfonditi
ed autorevoli studi5.
Ora, il tutto induce a ragionare su
di un atto giuridico antico che, nel suo portato, diviene una potente metafora.
È proprio questa metafora, quest’allegoria intensa, a consentire
d’interfacciare due opere così in apparenza distanti per forma e significato.
L’espressione figurativa di quest’atto giuridico materiale, diviene l’archetipo
fondante, la ratio regolatrice, di ogni cosmogonia finora conosciuta. Si tratta
di una prassi fattiva ora ben nota6. È l’atto
del velamento cosmografico, con termine giuridico, dell’“agnizione” che si
realizza attraverso l’azione fisica del “gesto che copre” qualcosa o qualcuno
mediante un tessuto, una stoffa, riconoscendo ed acquisendo quanto coperto7: il tessuto
è il mantello geografico dell’orbe.
Tale rituale assolutamente giuridico quanto, al contempo, allegorico, ha le sue
profonde e salde radici nel mito creazionistico poco noto sebbene decisamente
rivelatore del presocratico Ferecide di Siro8. È proprio
quest’azione archetipica, ossia l’“immantatio”,
il fulcro sapienziale che ci ha permesso, a partire dal 2003, di rileggere,
accostandole con una ratio completamente diversa opere cosmografiche come la mappa
mundi di Martin
Waldseemüller e opere d’arte come quelle realizzate dal Ghirlandaio.
Ora, in questo studio si vuole
provare ad analizzare con lo stesso crivello l’operato di un altro artista
fiorentino di cui abbiamo già trattato nel 2005, e di cui si è già detto: si
tratta di Sandro Botticelli. Il motivo di questo approfondimento si risolve
nell’importanza dei risultati emersi dall’analisi delle opere a noi pervenuteci
del predetto artista. Del pittore, anche se l’aggettivo che lo qualifica è fin
troppo riduttivo, abbiamo analizzato forse le sue opere più celebri. Sono tre
in particolare che qui indichiamo con la dicitura canonica, ma non di certo
corretta e si vedrà il perché: Venere e Marte, la Nascita di Venere, la Primavera.
Partiamo dalla prima opera delle tre
scelte. Venere e Marte. Si è scelto di
aprire lo studio con quest’opera, per un motivo di rispetto della coerenza
strategica e simbolica, che secondo noi lo stesso Botticelli ha rispettato nel
realizzare questo suo ben definito programma/ciclo pittorico. Ci spieghiamo
meglio. Il pittore fiorentino lavora in un arco di tempo e spazio preciso. Il
Botticelli prende spunto e informazioni, per realizzare le sue opere, da
avvenimenti straordinari che attraversano come carri infuocati il suo tempo e
che, appunto, lo vedono a sua volta coinvolto quale cronista fedele nel
diffondere ad imperitura memoria avvenimenti epocali. Queste le premesse.
Partendo da questa chiave di lettura si è cercato di trovare il fil rouge che
con tutta evidenza attraversa e indiscutibilmente collega queste tre opere. Il
legame è emerso dopo anni di lunghe ricerche e riflessioni. È quello della
chiara volontà da parte del Botticelli e ovviamente della committenza
d’inserire all’interno dei tre dipinti una serie di precise e invariabili
informazioni di carattere geografico.
Di qui si parte per arrivare a
comprendere che, attraverso le opere pittoriche, il Botticelli narra e celebra
le gesta del navigatore fiorentino per antonomasia: Americo Vespucci. Ora, alla
luce di questa nostra riflessione non ci sembra del tutto campata in aria una
prima ipotesi. Iniziamo con la scelta dei due personaggi, ossia il soggetto
dell’opera, ovvero Venere e Marte. Con buona probabilità è stata dettata dalla
conoscenza da parte del pittore fiorentino di accurate istruzioni astrologiche.
I due personaggi mitologici scelti, infatti, servono per indicare una precisa
direzione geografica. È scandita secondo le conoscenze racchiuse e trasmesse
dalla Tetrabiblos tolemaica,
opera certamente nota al nostro9. Si tratta
del quadrante o dominio del Sud-Ovest10. Nel libro
III della Tetrabiblos Tolomeo, infatti, assegna proprio al
quadrante o dominio di Sud-Ovest le figure mitologiche di Venere e di Marte.
Ora, una domanda affiora alla mente:
qual è l’attinenza tra il quadrante geografico indicato da Tolomeo, le figure
mitologiche e la visione pratica di queste informazioni? Si tratta di un
semplice “soffio”. Si tratta dello “Pneuma”.
Tolomeo, infatti, attribuisce a Venere il soffio, “pneuma” appunto, del Sud. È
generoso, morbido, poiché ricco di umidità e quindi fertile. A Marte Tolomeo
assegna lo “pneuma” dell’Ovest. È un soffio tempestoso, un turbine impetuoso,
dunque aggressivo e guerresco. Ora, è ben chiaro di cosa si sta parlando qui:
si parla di pneuma, quindi di un soffio, per tanto, con pochissimi dubbi si
parla di “vento” 11. Si
ribadisce: non ci sono dubbi, neanche volendoli creare. Notevole è il passaggio
logico successivo.
L’unione indissolubile, a metà
strada12, tra pneuma o soffio del Sud e pneuma o soffio dell’Ovest,
genera inevitabilmente un soffio o vento propizio. Di quale vento si tratta?
Semplice. Stiamo parlando di “Lips”, “Libeccio”, potente vento soffiante proprio
da Sud-Ovest. Si tratta di un vento che nella famosa “Torre dei Venti” di Atene
è raffigurato mentre sospinge, curiosamente, ma non casualmente, la prua di una
nave13. Il dipinto in questione dunque ritrae una Venere desta ed un
Marte evidentemente addormentato. Qualche studioso dell’arte esperto suggerisce
Marte essere spossato per la battaglia d’amore appena sostenuta. Vero. È
proprio così. Marte e Venere hanno appena consumato un rapporto e quindi hanno
concepito. Botticelli fissa l’attimo appena successivo all’atto fisico. È
abbastanza evidente il momento. Del resto è ben evidente la presenza, oltre che
di quattro fauni, che si muovono visibilmente con andamento circolare,
dispettosi e scomposti nella loro selvaggia, silvestre spontaneità primigenia,
quasi i figlioletti irrequieti, progenie “silvana” ancora da educare della
coppia in ozio bucolico14, è ben evidente, si diceva, un favo
di vespe. Sono vicino alla testa di Marte. Sono sette15.
È curioso, ma quando si parla di
navi e compaiono vespe incomincia a diventar più chiaro o quantomeno più logico
parlare di una famiglia di navigatori. Quale? Le sette vespe del dipinto
ronzanti intorno alla testa di Marte lo indicano chiaramente: “…non api in
nessun modo, che si ritengono verosimilmente estratte all’arme parlante dei
Vespucci”16.
Proviamo a sommare tutti questi
fattori. Il risultato dell’addizione sembra essere abbastanza chiaro. Del resto
la matematica non è un’opinione. Si è già anticipato, si parla proprio di
navigazioni. Si tratta ora di capire nello specifico a quali navigazioni si
riferisca qui il Botticelli. Vediamo. Dunque: la direzione geografica
precisamente segnalata è il Sud-Ovest, il vento è il poderoso Libeccio che
spinge la prua di una nave, il casato è quello dei Vespucci, gente di mare per
antica tradizione. È sorprendente: anche volendo, non si può non pensare che
alla scoperta del Nuovo Mondo. Questo articolato contesto riflette il primo dei
tre atti al contempo celebrativi e giuridici, che il Botticelli ha fissato
nella sequenza dei tre momenti pittorici indagati. Con quale linguaggio però il
Botticelli cristallizza nella storia lo sconvolgente evento epocale, che sembra
vivere in diretta? Vediamo. Continuiamo ad analizzare le figure ed i simboli
presenti nelle altre due opere di Sandro Botticelli che sono, con un certo
grado di sicurezza, parte integrante di questo immenso, se vogliamo,
sconvolgente atto celebrativo programmato e voluto dalla Firenze medicea e fino
ad oggi mai più rispolverato.
Ora, anche in un’opera come quella
denominata, secondo gli scriventi erroneamente, la Nascita
di Venere, il “sofistico” pittore fiorentino manifesta un
linguaggio pittorico a dir poco, inusuale. Il contenuto simbolico sembra essere
di comune, diffusa e ordinaria utilizzazione nella sua evidente, quasi banale
iconicità strutturale. A ben vedere in filigrana, tuttavia, questo adottato dal
Botticelli è un repertorio illustrativo che si esprime mediante un vocabolario,
per dir così, altro e profondamentesui
generis. Si è detto che Botticelli è il Dante della pittura. La sua
è un’espressione iconografica sensibilmente matura e diversa dal consueto. È un
gergo, un codice pittorico particolarmente colto, quasi espressione
grammaticale di filosofo. È una modalità espressiva ricca d’immagini e simbologie
estese, pervasive, tratte da mitografie arcaiche e arcaicizzanti, ma calate in
contesti coevi al colto pittore fiorentino17. È un
idioma precisamente orientato.
La committenza, tutta fiorentina,
sembrerebbe imporre le tassative condizioni da seguire: che si “debba”
veicolare, che si “debba” comunicare un potente, immortale messaggio attraverso
il tempo e lo spazio utilizzando questo ciclo pittorico suddiviso in tre unità
distinte, ma complementari. LaNascita
di Venere ne è
ovviamente parte integrante. Il dipinto in oggetto pertanto, se è vero quanto
si sostiene, deve avere caratteristiche riconoscibili. “Deve” necessariamente,
è ovvio che sia così, racchiudere un messaggio senza dubbio geografico. “Deve”
essere pertanto coerente e complementare al precedente dipinto. “Deve” essere
trasmesso con un idioma compiutamente coerente con la precedente modalità
espressiva adottata dal Botticelli per il Venere e Marte18. “Deve”
essere necessariamente inerente all’esplorazione geografica portata avanti da
qualcuno del casato dei Vespucci, banale dirlo ma è ovvio che sia Americo.
“Deve”, infine, parlare di Firenze. Non è certo cosa di poco conto rispettare
tutti questi rigorosi parametri e soprattutto, rispettarli tutti in
contemporanea. È del tutto evidente, nondimeno, che se si trovassero riportate
complessivamente queste condizioni stringenti, si sarebbe già raggiunto un buon
grado di certezza in merito al fatto che il dipinto sia stato effettivamente
realizzato con il fine da noi proposto.
Questa idea, del resto, è già stata
da noi avanzata e pubblicata per la prima volta in assoluto nell’anno 2005.
Rileggiamo dunque rapidamente il nostro studio al riguardo. L’acuta ed
autorevole storica dell’arte Cristina Acidini evidenziava osservando l’opera
botticelliana, una “sottesa vena di credibilità geografica”. Di conseguenza
perché non approfondire tali suggestioni? Osservando l’opera che il Botticelli
distilla, è risultata subito evidente l’esistenza di una forte similitudine
metonimica con i tratti peculiari presenti nella cosmogonia greca presocratica.
Si tratta della mitografia trasmessa da Ferecide di Siro, il primo a scrivere
di prosa cosmologica e gnomica. Il repertorio ferecideo è antico quanto
inconsueto e, sebbene estremamente frammentario, è molto suggestivo e caratterizzante
nel contesto legato alla mitografia geografica. Si è già anticipato, ma si
ribadisce, che questa mitografia cosmologica si è da noi riscoperta e
utilizzata per contestualizzare con certezza le nostre ipotesi di studio e con
ogni probabilità proprio questa è la mitografia utilizzata anche dal
neoplatonico Botticelli nella circostanza. In cosa consiste? Si tratta
sostanzialmente del mito del mantello cosmico ordinatore. Il mantello diventa
il dispositivo cosmico, l’imprescindibile strumento giuridico che, solo,
sancisce materialmente e legittimamente un atto di agnizione/riconoscimento e
la conseguente acquisizione materiale, fisica, e giuridica di quanto
riconosciuto19.
Nel dipinto botticelliano in
oggetto, pertanto, il manto diviene strumento sufficiente e necessario per
velare, quindi per acquisire, riconoscendola, una figura primigenia femminile
nuda. Anzi. È molto più corretto dire “scoperta”. L’immagine della Venere (che
si vedrà non avere nulla a che fare, se non per la bellezza e se non per un…
soffio, con la dea del mito greco) è tra le immagini più belle e più iconiche
prodotte dall’arte umana. Venere, chiamiamola ancora così solo per comodità, è
raffigurata stante su di una conchiglia pecten di gigantesche proporzioni, quasi il
nicchio fosse un’imbarcazione20. L’enorme
valva sembra qui essere indotta al movimento da una figura indubbiamente virile
cui è strettamente avvinghiata una figura certamente femminile, entrambi
soffianti. Questi due personaggi, entrambi, stanno soffiando. È indiscutibile.
Sono avvinghiati l’un l’altro e soffiano. Già, il “soffio”.
La conchiglia con il suo
preziosissimo carico naviga alla volta del vicino approdo costiero. Ora la
domanda di prassi: cosa voleva dunque rappresentare il pittore fiorentino
attraverso questo gioco di forti, precisi richiami mitografici e rimandi
simbolici? La scontata rilettura dettata ai più dalle indicazioni letterarie di
Demetrio Calcondila o del Poliziano, oppure il rimando al pensiero di Omero e
di Ovidio sentiti come rivelatori da tutti gli studiosi e fino ad oggi alla
base delle teorie avanzate per capire cosa il Botticelli avesse voluto fissare
su quella tela di 172.5 x 278.5 centimetri , a questo punto sembrano
collassare, sembrano non reggere né bastare. Si percepisce esistere sicuramente
qualcosa in più. Anzi. C’è sicuramente qualcosa di diverso in quella tela. Già,
ma cosa? Si tratta di un messaggio profondo. Potente. Sorprendente perché mai e
poi mai ci si aspetterebbe di trovarlo proprio qui. Secondo i nostri studi,
tuttavia, è questo messaggio inciso nella composizione della cosiddetta Nascita
di Venere ad essere
la seconda “informazione” trasmessa con il programma/ciclo pittorico
botticelliano diviso nei tre momenti precisi che abbiamo individuato e
riesumato. Si vedrà ancora più oltre.
Torniamo pertanto ad osservare
un’altra volta l’opera in causa. Teniamo sempre come riferimento il mito
cosmologico di Ferecide di Siro del manto geografico o manto cosmico che dir si
voglia. È evidente, a questo punto, che nel quadro il Botticelli abbia
miscelato sapientemente gli ingredienti del mito ferecideo esaltandone tutti i
sapori. È sorprendente, ma sono proprio tutti precisamente specificabili e
distinguibili. Nel dipinto si hanno, infatti, un mantello (atlas) ed una figura femminea
cui è destinato il manto, esattamente come nel mito vi è Ctonia che si
trasmuterà in Gea dopo l’imposizione da parte di Zas (Giove) dell’atlas, dell’atlante ordinatore
o mappa mundi, per il suo riconoscimento, il suo
ordinamento e la sua acquisizione. È, questo, l’atto finale d’agnizione a
completamento e conclusione dell’atto giuridico d’acquisizione in discorso il
cui archetipo è il fondamentale e fondante mito di Ferecide. Fedelmente
Botticelli, quale “cronista filosofico” d’eccezione, lo racconta fissandolo su
questa tela. Non basta. C’è di più.
Seguitiamo ad analizzare l’opera con
lo stesso criterio utilizzato per ridefinire il significato cristallizzato nel
precedente dipinto di Venere e Marte. Nella Nascita
di Venere torniamo ad
analizzare le due figure alate collocate a sinistra del dipinto. Queste figure
avvinghiate, sorvolano una distesa d’acqua soffiando. Soffiano
indiscutibilmente. Senza grandi voli pindarici si può vedere che per certo
soffiano. Soffiano con evidente potenza. Il fatto viene indicato direttamente
dal Botticelli che, per renderlo più appariscente, utilizza un espediente quasi
fumettistico. Immagina uscire dalle bocche delle due figure alate,
evidentemente con le guance gonfie la figura maschile, dei tratti rettilinei
ben definiti per rendere visibile l’idea del soffio altrimenti non
distinguibile sulla tela. Questa modalità rappresentativa impiegata dal
Botticelli è senza dubbio convenzione tipica nelle cartografie tolemaiche per
identificare i venti. Nelle carte geografiche tolemaiche, infatti, i venti sono
rappresentati con gli stessi tratti somatici riportati dal pittore fiorentino
(capelli lunghi, guance più o meno gonfie, volti più o meno adirati e sotto
sforzo). Non solo. Gli stessi volti, e sono lì da vedere, sono effettivamente presenti
nella carta del Waldseemüller proprio a rappresentazione dei venti.
Quest’argomento verrà in ogni caso trattato poco più oltre.
Tornando al dipinto botticelliano,
il primo personaggio si è detto essere identificabile in un “soffio” maschile,
mentre l’altro personaggio in un “soffio” femminile. Ora, accogliendo
integralmente le influenti indicazioni astrologiche fornite da Tolomeo, come
non recepire la precedente interpretazione del quadrante di Sud-Ovest quale
vera e sola chiave di lettura per definire con precisione l’identità e la
funzione dei due enigmatici personaggi strettamente avvinghiati, effigiati in
questo secondo dipinto? Non esistono motivi per non farlo. Anzi. In effetti,
gli storici dell’arte concordano su di un fatto. La figura maschile ritratta
dal Botticelli nella Nascita di Venere è un vento che spira da Occidente,
mentre la figura femminile al suo fianco potrebbe rappresentare forse Aura,
anzi no, probabilmente Nebula o qualcosa del genere. Incertezza totale. È ovvio
che secondo noi, fino ad ora, mancando clamorosamente l’identificazione di
entrambi i soggetti, si sia mancata pure una spiegazione soddisfacente per
comprendere la meravigliosa quanto criptica rappresentazione pittorica.
Proviamo a colmare finalmente questa lacuna. Ora, seguendo il nostro rigoroso
criterio di lettura le figure alate, evidentemente avvinghiate in un robusto
abbraccio, non possono essere altro che i due soffi, i due pneumi,
indissolubilmente uniti di Marte e Venere che secondo Tolomeo soffiano
congiunti dal quadrante di Sud-Ovest. Il vento che viene generato dai due
pneumi congiunti è Lips, Libeccio e assolutamente non Zefiro. Ecco la prima
grande sorpresa. L’unione dei due soffi, l’unione dei due pneumi dà origine a
Lips, il potente vento Libeccio. In sostanza i due personaggi raffigurati non
sono altro che questo: i soffi, gli pneumi congiunti, all’origine dell’energico
vento Libeccio.
Si può affermare, pertanto, con un
grado quasi prossimo alla certezza sia di possibilità sia di probabilità, che
nel dipinto noto erroneamente come Nascita di Venere, il vento
Zefiro non compare. Neanche volendo. Neanche per un… soffio21. Libeccio
piuttosto. È il deciso Libeccio a sospingere la nave-conchiglia mariana simbolo
indiscutibilmente sacro e indiscutibilmente cristiano ben noto al Botticelli,
perché certamente devoto alla Vergine come dimostrato nei suoi meravigliosi
dipinti dedicati a Maria, tutti arricchiti da sottili e sofisticate allegorie
mariane. Non è un caso. Ruskin arriva a dire, infatti, che il Botticelli è: “…
il più grande teologo, che Firenze abbia mai prodotto…”. Ora, giacché è
impensabile che all’epoca fosse consentito ritrarre un simbolo mariano così
noto calpestato da qualsivoglia figura pagana, vien da chiedersi cosa
rappresenti in realtà o chi sia a questo punto la figura di giovane nuda,
letteralmente “scoperta”, qui ritratta. Proviamo a rispondere riassumendo il
tutto.
L’idea ben chiaramente fissata nel
dipinto denominato erroneamente Nascita di Venere è quella dell’immantatio, del velare con un
mantello. È un vero e proprio atto giuridico di acquisizione e riconoscimento
di qualcosa che fino a quel momento si percepisce essere rimasto incognito,
sconosciuto alla civiltà greco-romana. L’atto è consumato da una seconda figura
femminile che sembra comparire da un lussureggiante aranceto tenendo in mano un
mantello. È, questa, Flora/Florentia, vestale di Hestia/Conchiglia/Maria
Vergine delle Grazie (si veda poco più oltre). Indossa un elegante e vaporoso
abito con fiori: si badi che sono fiori disegnati non ricamati.
Il Botticelli rappresenta la realtà
che vede essere a lui contemporanea. Estremamente moderno all’epoca, infatti, è
il vestito che il pittore crea per Flora: si ribadisce che i decori del vestito
non sono ricamati come in passato, ma dipinti. Botticelli accogliendo così le
istanze di modernità che circolano nella coeva Firenze medicea, si rende
cronista fedele della sua epoca. Nel quadro pertanto, attraverso la mitografia,
Botticelli comunica, parla di qualche evento a lui contemporaneo. O meglio, il
Botticelli utilizzando miti cosmologici complessi quanto ricchi di sfumature
della Grecia classica, conosciuti ovviamente mediante l’Accademia ficiniana cui
appartiene, restituisce registrandolo quanto accade nel suo tempo. Proviamo
ancora una volta ad effettuare la somma dei fattori fin qui acquisiti. Dunque:
di nuovo si ha la direzione Sud-Ovest, poi una distesa d’acqua, quindi gli
pneumi di Marte e Venere uniti a generare Libeccio, di seguito una conchiglia
pecten ossia Maria Vergine/Hestia, indi una giovane donna nuda, spoglia, anzi
proprio letteralmente “scoperta” con valore di Gea, ossia di terra ordinata ma
ancora inesplorata e, si ribadisce, “scoperta”, ancora un mantello ordinatore
di colore rosso in mano ad un’ancella, la vestale di Hestia/Maria Vergine22, vestita di
fiori ovvero Flora, pertanto Florenzia, infine un aranceto, un potente simbolo
mariano e mediceo al contempo.
I termini dell’equazione ci sono
tutti. Non ci resta che tirare le somme. Non ci sono interpretazioni da
formulare. L’intenzione reale che sta alla base del progetto/programma
pittorico che vincola l’artista fiorentino è ben chiara. Si parla ancora una
volta di una navigazione da e per il quadrante sud-occidentale dell’orbe… e di
una scoperta/esplorazione. I parametri cogenti richiesti in precedenza per
verificare la bontà della nostra ipotesi compaiono proprio tutti e proprio
tutti insieme. Non può essere un evento casuale. Statisticamente sarebbe troppo
anche soltanto considerarli una fortunatissima combinazione di eventi fortuiti.
Sandro
Botticelli, Jubilate Deo, omnis terra alleluia, ovvero, Il Battesimo del Nuovo
Mondo (1482) (La Primavera), Firenze, Uffizi
Per capirne di più a questo punto
passiamo ad analizzare l’altra opera che, da sempre, si è subodorato essere
complementare alla precedente Nascita di Venere. L’opera in
questione è la cosiddetta Primavera.
I due dipinti, commissionati con molta probabilità da Lorenzo di Pietro de’
Medici (1463-1503), sono indubbiamente sinergici tanto che, se avvicinati, ne
notiamo subito la contiguità e continuità spaziale. In questo senso è esemplare
la ripresa dello scenario arboreo, riprodotto evidentemente con l’intento di
segnalare la continuità spaziale dello scenario di fondo per l’ambientazione
d’entrambi i dipinti23. Si tratta di uno spazio vegetale che ricorda gli altri horti
conclusi realizzati
dallo stesso Botticelli. Si tratta di horti conclusi che ritroviamo in dipinti come quelli
realizzati dal Ghirlandaio nel refettorio della chiesa d’Ognissanti o nel
refettorio della chiesa di San Marco a Firenze. In queste pitture come in
quella del Botticelli compaiono gruppi di piante d’arancio con i rispettivi
frutti e fiori24. Si tratta dunque di simboli prettamente cristiani utilizzati
in ambientazione pagana? No. Assolutamente no. Anzi. Del resto non è una novità
questa ratio operativa. I raffinati e colti pensatori fiorentini dell’Accademia
Neoplatonica, infatti, utilizzano simili contaminazioni per cercare di
armonizzare la ricca filosofia classica con l’altrettanto ingente patrimonio
culturale ebraico-cristiano. Sincretismo dunque, di questo si tratta, ma c’è di
più. Or dunque, il Botticelli è un colto intellettuale, è un teologo come
evidenzia Ruskin, è molto colto, è un sottile “sofistico”, s’intuisce essere
ricettivo, disponibile e sensibile alle formulazioni filosofiche legate
all’ambiente neoplatonico ficiniano. Dunque, il pittore è ben consapevole dei
valori e dei potenti contenuti trasmessi dalla filosofia neoplatonica e proprio
per questo è ricercato dalla ricca committenza sua mecenate. In effetti, nella
cosiddetta Primavera gli elementi figurativi scelti e
disposti non a caso dal pittore fiorentino sembrano comunicarci ben altro che
non soltanto una semplice scena di celebrazioni mitologiche.
Come si è più volte ribadito il
Botticelli è molto colto, è un “sofistico”, sa, come forse nessun altro,
disporre, avvalersi della sua vasta, profonda conoscenza per riversarla sulla
tavola da dipingere. Un esempio? Vi accontentiamo subito. Partiamo proprio
dall’analisi dello scenario e delle figure che compaiono nella cosiddetta Primavera e, per inciso, mai titolazione fu più
sbagliata. Cominciamo dal bordo. La scena del dipinto si svolge a detta dei
critici dell’arte in un aranceto (come già rilevato più sopra l’arancia con i
suoi fiori è prima un distintivo simbolo mariano e poi mediceo), che dovrebbe
richiamare un luogo paradisiaco. È il mitico “Giardino delle Esperidi” posto ad
Occidente. Il margine del giardino con cui il Botticelli inizia la tavola,
sembra potersi congiungere “fisicamente” con il margine e quindi con le piante
di arancio presenti nel dipinto della cosiddetta Nascita
di Venere. Al centro prospettico del giardino campeggia emergendo
ieraticamente, incorniciata da un’aureola, una sorta di cerchio luminoso
formato dalle fronde arboree25, una figura
di certo primaria, intesa fino ad ora erroneamente come una Venere pagana. È in
evidente stato interessante. Indossa delle vesti che le ricoprono anche il capo
e la fanno apparire come un’antica matrona romana26. È cinta da
un mantodouble face:
da un lato questo pallio è blu. Vi è disegnato un reticolo giallo a moduli
quadrati ed è disseminato, nei punti nodali della rete, da quelle che sembrano
essere stelle, ma che altro non sono, se non anche quattro mandorle mistiche,
il numero non è casuale come si avrà modo di vedere, congiunte ortogonalmente.
Dall’altro lato il pallio è di colore rosso. È disegnato anche sul lato in
discorso un reticolo, cremisi in questo caso, a modulo quadrato a sua volta
campito con quelli che sembrano essere dei rettangoli incrociati. Formano una
sorta di croce greca a quattro braccia.
L’iconografia descritta può lasciare
dubbiosi soltanto chi non sa intendere questi segni, non certo chi ha letto fin
qui questo studio. Le quattro mandorle mistiche unite ortogonalmente, ad
esempio, compaiono spesso in icone sacre bizantine, che ritraggono Maria con
Gesù in braccio in gesto affettuoso, note come “Madonne eleuse”27. Del resto
anche l’articolazione del polso della mano destra della figura in esame,
ricorda la postura adottata per raffigurare alcune Madonne benedicenti. Si
tratta d’immagini, queste, sicuramente sacre28. È a suo
modo un’immagine mariana vera è propria, dunque, questa del dipinto
botticelliano e non una Madonna laica al centro di una scena mitologica. Il
motivo di questa considerazione va ricercato nella complessa semplicità
dell’immagine riportata dal Botticelli. Ad esempio, la collocazione spaziale
nel dipinto di questa Madonna non è casuale. Il Botticelli vuol dare senza
dubbio un’indicazione geografica precisa con questa figura. Conoscendo la Divina Commedia, il pittore
fiorentino certamente ne assimila le indicazioni: Maria è “Meridiana face”,
ossia è “fiaccola di Mezzogiorno”, quindi l’immagine indica precisamente il Sud
geografico29. Pertanto a destra nel dipinto correttamente sarà il Sud-Ovest,
zona da cui soffia Libeccio, le tre fanciulle giubilanti sono al Nord, ad Est è
collocato Hermes/Mercurio che tecnicamente quindi si ricollega alla Nascita
di Venere proprio dal
lato Est rispetto al quadro in discorso, mantenendone precisamente quindi
l’indicazione di coordinate geografiche. Ricapitolando, quindi, nel dipinto Primavera si ha: in alto il Sud, in basso il
Nord a destra l’Ovest ed a sinistra l’Est. È ben chiaro a questo punto, che
nessuna figura laica avrebbe qualche legittimità giuridica o altra
giustificazione per assumere in questo dipinto una simile collocazione ed una
simile postura ieratica finalizzata ad un qualche atto benedicente.
A chi si rivolge dunque questa
Hestia/Maria benedicente e misericordiosa, a chi somministra la preziosa
benedizione Hestia/Maria Vergine? Vedremo. Pertanto proseguiamo la disamina
ancora verso destra. Si riconoscono nella bionda fanciulla dai capelli mossi
dal vento le stesse fattezze fisiognomiche caratterizzanti l’immagine, che il
pittore fiorentino fissa nella Nascita di Venere: se nel
dipinto precedente questa fanciulla era “scoperta”, qui però la ritroviamo
rivestita di leggeri, raffinati velami. Sono panneggi quasi evanescenti,
ricercati, raffinati: sono indicativi di una ormai raggiunta maturità e
civilizzazione. Dalla bocca della bionda fanciulla silvestre, quale potente rigurgito
di una natura rigogliosa e prorompente, fuoriescono le stesse rose e fiori che
invece nella Nascita della Venere svolazzavano nell’aria senza avere una
precisa provenienza apparente30. Qui la
figura muliebre è ritratta con un’espressione di evidente sorpresa, mentre
viene trasportata di peso dalla personificazione del poderoso vento prima
analizzato ossia Libeccio. Si deve ricordare che questo vento nasce, come
indicato nella Tetrabiblos tolemaica e ben fissato dal Botticelli
nella Nascita di Venere, dall’unione dello pneuma
dell’Ovest di Marte con lo pneuma del Sud di Venere. La provenienza geografica
di questo vento robusto è dunque il Sud-Ovest, Libeccio soffia dalla direzione
Sud-Ovest come esattamente indicato dalla “Torre dei Venti” ateniese. Si
sottolinea inoltre, cheTetrabiblos è considerato il testo più autorevole
di astrologia cattolica, che si sia consultato fino all’epoca rinascimentale.
Proseguendo ancora in senso
antiorario, troviamo un’altra importante figura femminile. È riconoscibile
essere la stessa ancella/vestale Flora (assolutamente con Clori non c’entra
nulla) che compare nella Nascita di Venere, ancorché più
matura e con un piglio decisamente più consapevole del ruolo che riveste. Anche
qui la ritroviamo inghirlandata e ricoperta da una veste disegnata con gli
stessi motivi floreali incontrati nel dipinto precedente. Con la mano destra,
ora la vestale Flora/Florentia assistente e sacerdotessa al contempo di
Hestia/Maria Vergine, compie il gesto di spandere e cospargere il prato erboso
di petali di rose, quasi preannunciando l’arrivo di qualcosa o di qualcuno
considerevolmente importante. La vestale Flora/Florenzia stende un vero e
proprio tappeto di fiori ad indicare alla fanciulla trasportata dal vigoroso
vento Libeccio, che la via maestra da seguire per arrivare a destinazione è
ormai tracciata ed “infiorata” per lei31. Quale sarà
la sua meta finale si vedrà fra breve.
Proseguendo sempre in senso
antiorario incontriamo tre entusiaste fanciulle danzanti. Si tratta di tre
giovani figure femminili vestite, quasi in uniforme, allo stesso modo della
fanciulla trasportata dal vento vista in precedenza: stessi velami, stessi
tessuti, stessa ricercata eleganza. L’indicazione è semplice. Le tre figure
danzanti attendono gioiose la giovane in arrivo. Sono le quattro parti di uno
stesso orizzonte fisico che celebra un rito, iniziatico se vogliamo, di
ricongiungimento. È un rituale antico che si attualizza nel gesto dalla vestale
Flora/Florentia/Firenze, sotto lo sguardo misericordioso e con il compiaciuto
atteggiamento benedicente d’approvazione elargito da Maria Vergine/Hestia. Il
cerimoniale d’accoglienza è tutto riservato, quindi, alla quarta figura in
arrivo da Sud-Ovest trasportata dall’energico Libeccio32. Retorica
la domanda: chi può essere questa figura? Con pochi dubbi è la Nuova Eva , che incarna
con pochi dubbi il Nuovo Eden/Nuovo Mondo appena ufficialmente scoperto. È il
Nuovo Mondo, “Benedictus qui
venis!”, “Benedetto tu che arrivi”, è il Paradiso Terrestre perduto
a causa del peccato originale di Adamo ed Eva ed ora, nuovamente ritrovato,
sollecitato al ricongiungimento con il resto del Vecchio Mondo e accolto
festosamente con grande solennità e giubilo. È l’Eden in Terra33, ossia la
“quarta parte” dell’orbe che si avvia al ricongiungimento con le altre tre
parti della Terra. Ora sono tutti in giubilo, sono tutti in festa per la sua
ri-acquisizione, riscoperta ed il suo ricongiungimento. Il Nuovo Mondo/Nuovo
Eden, dopo la sua scoperta rientra di diritto a far parte nuovamente dell’ecumene
civilizzata, a questo punto finalmente di nuovo completa in tutte le sue
quattro componenti ancestrali ricongiunte. Il quattro.
Questa è la chiave di lettura da
utilizzare per aprire lo scrigno sapienziale cristallizzato in questo
capolavoro che il Botticelli ci ha servito34. Perché
proprio il numero quattro? L’arcano è presto spiegato. Accanto alle tre figure
danzanti del sorprendente dipinto, infatti, troviamo la figura di
Hermes/Mercurio, che con il caduceo, disperdendo le nubi dell’ignoranza: “… allumina noi ne la tenebra de la
ignoranza mondana…”35. Fino ad
oggi la figura di Hermes/Mercurio si è ritenuta marginale sia per collocazione
nel dipinto, sia per funzione, sia per valore. Non è del tutto così. È curioso
che fino ad oggi non si sia mai inteso Hermes/Mercurio per quello che
effettivamente è, dal momento che leggendo qualsiasi banale testo che parli di
mitologia, la figura di Hermes/Mercurio viene ampiamente e dettagliatamente
descritta in tutte le sue caratteristiche e funzioni36. Vediamo quali
sono e perché sono così importanti nel contesto che stiamo analizzando.
Hermes/Mercurio è il parigrado di Hestia e, si è detto, per antica tradizione
cosmografica dove c’è Hermes/Mercurio lì c’è Hestia: nella Primavera,
come si è visto e dimostrato, è proprio Hestia/Maria Vergine a comparire come
figura centrale nella scena. Hermes/Mercurio è sempre stato considerato quale
portatore di conoscenza (infatti, spazza via le “nubi dell’ignoranza” nel
dipinto), è latore di civiltà, è il civilizzatore per eccellenza. È protettore
dei viandanti, di chi viaggia per terra e per mare: pleonastico ricordare che
la famiglia Vespucci era una famiglia di navigatori. È protettore dei
commercianti: banale e forse nuovamente pleonastico evidenziare che sia i
Medici, sia i Vespucci erano famiglie di commercianti. In questo gioco di
rimandi, di richiami e incastri voluti dal Botticelli, nondimeno, si segnala la
cosa più considerevole: ad Hermes/Mercurio è sacro il numero quattro, essendo
nato il quarto giorno del mese e il quarto mese del calendario argivo
(dell’Argolide, per estensione greco) portava il suo nome. È il dio della
vegetazione. È il protettore della quadripartizione viaria e per estensione
della quadripartizione dell’orbe. Hermes/Mercurio è il protettore delle quattro
parti del Mondo. Nella Tetrabiblos (per incisotetrabiblos significa
i “quattro libri”: non è assolutamente casuale che il Botticelli utilizzi
proprio questo testo tolemaico per il dipinto in oggetto e per gli altri del
ciclo), infatti, tra tutte le divinità planetarie associate ai quattro domini o
quadranti in cui viene suddivisa la terra, Hermes/Mercurio non provocando
nessun vento pur essendone figlio, Tolomeo lo colloca al centro della sua
suddivisione astrologico-topografica quadripartita. Sempre il quattro. Dunque
anche Hermes/Mercurio possiede una precisa connotazione cardinale apicale,
meglio, zenitale, cui tutti gli altri punti sono soggetti e rivolti37.
L’arcaicità mitologica di questa divinità alata viene considerata di primaria
importanza per il Botticelli a ulteriore testimonianza della sua spasmodica
ricerca che punta all’origine delle fonti mitologiche, che non lo porta a
fermarsi di fronte alla scontata superficialità di racconti mitologici
consueti.
Non è un caso che Botticelli sia
considerato un sofista. Quasi ricercasse quell’austero principio d’autenticità
tanto caro ai monaci Cisterciensi, giacché principio ben noto al nostro: non
fosse altro perché avendo illustrato la Divina Commedia
dantesca, Botticelli conosce a fondo San Bernardo e quindi i principi
cisterciensi da questo predicati38. Si
direbbe, dunque, essere di fronte alla stessa ricetta, di fronte agli stessi
raffinati e colti ingredienti simbolici ed iconici, già individuati nelle
precedenti pitture botticelliane. Sono ingredienti che in modo sapiente il
pittore utilizza inserendoli nelle trame pittoriche del suo grande
ciclo/programma pittorico commissionatogli. Pochi sono i dubbi in merito. Ora,
con la figura di Cupido il cerchio dei ragionamenti si chiude. L’angioletto rappresentato
era considerato il fratello delle Esperidi. In origine era una divinità della
natura quasi fosse un Pan primigenio, ossia colui che dà l’inizio alla nascita
del mondo. Si deve ricordare, inoltre, che le Esperidi nella mitologia greca
erano le lontane onde “dell’Oceano occidentale” che s’infrangevano sulle coste
del Vecchio Mondo. Plinio il Vecchio, da amante della conoscenza qual era,
nella sua Historia Naturalis indica le Esperidi essere anche
conosciute come un gruppo d’isole collocate da qualche parte nell’Oceano ad
occidente a qualche giornata di navigazione dalle isole Gorgadi (le attuali
isole di Capo Verde). Non basta. È sorprendente l’inserimento di Cupido/Eros in
questo dipinto da parte del colto pittore fiorentino, giacché parrebbe non c’entrare
nulla nel contesto celebrativo di cui si è detto. Ovviamente non è così. Non è
così poiché questo Eros/Cupido è un potente richiamo, certamente meditato dal
Botticelli, riferibile alla mitologia più arcaica e colta dell’Antica Grecia.
Il mito tirato ancora una volta in ballo è raccontato un’altra volta
dall’inesauribile Ferecide di Siro. Già, di nuovo Ferecide, evidentemente
apprezzato dal colto Botticelli, si ribadisce, secondo gli scriventi il “Dante
della pittura”. Si tratta del racconto riportato da Proclo39 inerente alla “costruzione del Mondo” da parte
di Zeus: “Ferecide disse che Zeus, accingendosi a costruire il mondo, si
trasformò in Eros e che, costituendo il mondo dai contrari, lo condusse
all’accordo e all’amore e che in tutte le cose infuse l’identità (il nome delle
cose, N. d. A.) e l’unità che penetra ovunque” 40.
Torre dei Venti, Atene, cornicione lato Sud-Ovest,
rappresentazione del vento Lips, ossia Libeccio
Di nuovo, proviamo a tirare le
somme. Partiamo dal vento, forse la novità più grande per questo dipinto
botticelliano: si ha un vento di Sud-Ovest, è il muscoloso Libeccio. Abbiamo
poi un’ancella/vestale/sacerdotessa Flora/Firenze/Beatrice con funzione di
officiante e guida. Annoveriamo quindi una giovane donna Nuova Eva/Nuovo
Mondo/Nuovo Eden per la quale si celebra il rito d’accoglienza e di
ricongiungimento. Le tre Fanciulle danzanti/Tre continenti ancestrali sono in
giubilo per l’arrivo della quarta sodale. Hermes/Mercurio/Vespucci è il fautore
di un preciso piano prestabilito. Americo è colui che dirada le nebbie
dell’ignoranza mondana portando al Vecchio Mondo la conoscenza dell’esistenza
di un Nuovo Mondo/Nuovo Eden. È la quarta parte di terre emerse dopo il
diluvio, che Dio/Amore, Creatore del Mondo41, nella sua
infinita misericordia dona all’umanità mediante Maria Vergine/Hestia. Si ha
infine la ieratica figura centrale, quintessenza del ruolo centrale che la Chiesa Romana ha
assunto e giocato in quest’avvenimento, di Maria Vergine/Hestia benedicente ed
ordinatrice nella sua infinita misericordia. Sì, perché dove c’è ordine, lì si
rispecchia la mente di Dio che: “…crea tutto secondo misura, ordine, peso…”42. Tutte
queste figure si muovono in uno scenario a noi molto familiare. Si tratta con
tutta evidenza dello stesso aranceto presente già nellaNascita di Venere. Ha una
duplice funzione: indica inequivocabilmente sia la committenza, ossia i Medici,
sia la sacralità dell’atto giuridico riprodotto nel dipinto sotto la protezione
di Maria Vergine/Hestia. Per concludere lo studio qui proposto, non ci resta
che trarre, per un’ultima volta, la somma totale.
Conclusioni
Ora a ben vedere, è possibile
avanzare un’ipotesi. Molto probabilmente esisteva all’epoca una produzione e
divulgazione a diversi livelli di questa conoscenza, ossia del disvelamento di
una nuova quarta parte del Mondo. Il motivo di una simile idea è dovuto al fatto
che all’epoca del Botticelli si direbbero circolare nella Firenze medicea,
notevoli quantità d’informazioni in merito all’evento “scoperta del Nuovo
Mondo”. È inevitabile pensare, infatti, che un certo grado di maturità
sapienziale, una massa critica di conoscenze, saturasse i circoli culturali
deputati a supportare tale straordinaria operazione cosmografica. Si parla dei
centri culturali presenti nello Stato della Firenze medicea, nello Stato
Pontificio, nello Stato Imperiale Germanico, nello Stato delle due Corone
ispaniche e nello Stato del Portogallo.
Si tratta di una considerevole
circolarità di pensieri ed azioni che portano, inevitabilmente, a ritenere che
lo stesso Botticelli fosse in stretto rapporto sia con Americo Vespucci, sia
con Matthias Ringmann e Martin Waldseemüller del Collegio di
Saint-Dié-des-Vosges. L’inequivocabile connessione, infatti, esistente tra Cosmographiae
Introductio e i
dipinti del pittore fiorentino, sembrerebbe piuttosto confermare a questo
punto, anziché smentire o smontare tale idea. Tutte queste opere, in effetti,
parlano della stessa cosa: la scoperta del Nuovo Mondo. Il linguaggio
probabilmente è diverso, allocato quantomeno su diversi piani e per fruitori
diversi, ma la sostanza non cambia. La Cosmographiae
introductio del 1507,
se si manifesta essere un prodotto “scientifico” per pochi, con le tre opere
del Botticelli esaminate si ha invece una struttura formulare che rientra
certamente in un canone, in un linguaggio visivo didascalico, ancorché
estremamente colto e raffinato, tuttavia decisamente più “popolare”, meno
elitario, le cui finalità sono ben note da sempre: istruire, insegnare,
comunicare attraverso l’immagine la conoscenza di qualcosa.
Si tratta di prodotti comunque
destinati a dialogare tra loro al fine di raccontare una Storia che finalmente
dopo cinquecento anni ritrova la sua reale connotazione e torna ad assumere la
sua valenza storico-sociale originaria. Americo
Vespucci è il primo scopritore di questa nuova quarta parte del globo con i
suoi quattro viaggi esplorativi. Non ce ne voglia qualcuno, ma non è stato di
certo Colombo l’artefice di questa straordinaria impresa nautica. Americo
Vespucci, checché se ne dica (spinti da protervia e disonestà intellettuale,
invidia, da interessi di parte, dalla paura di perdere finanziamenti, scranni,
baronie o da tutte queste cose insieme e chissà quant’altro…) è, documenti alla
mano e non per sentito dire, il vero “inventore” del Nuovo Mondo.
Lorenzo Pietro de’ Medici, ossia il
probabile committente della Nascita di Venere e della Primavera,
per inciso la famiglia Vespucci è la possibile committenza del Venere
e Marte secondo gli
scriventi, muore il 20 maggio dell’anno 1503. Americo Vespucci invia allo
stesso Lorenzo una lettera prima di intraprendere il suo quarto ed ultimo
viaggio nel Nuovo Mondo, attraversata condotta per conto del Re del Portogallo
e dell’Algarve, che inizierà il 10 maggio dell’anno 1503. Lorenzo Pietro de’
Medici, dunque, è a stretto contatto epistolare e non solo col navigatore
fiorentino. Accumula decisive informazioni sul Nuovo Mondo che probabilmente
gli permettono di concepire ed organizzare, una vera e propria “propaganda
divulgativa” inerente all’importante scoperta geografica. Non è una propaganda
letteraria, pochi sanno leggere nel periodo. Per la prima volta in assoluto
diventerà figurata la comunicazione dell’impresa, per immagini, a cui
parteciperà Sandro Botticelli.
Perché proprio lui e non altri? Si è
già detto: Botticelli è il “Dante della pittura”, e questo era riconosciuto già
nel periodo della sua attività. Il pittore fiorentino era un “sofistico”, la
sua acribia intellettuale lo portava a cercare e meditare profondamente su
quanto doveva trasmettere attraverso la sua pittura. Si direbbe che sentisse
fino in fondo la responsabilità della sua missione, perché di questo si
trattava. Botticelli, inoltre, aveva senza dubbio stretti legami con la stessa
famiglia dei Vespucci (non è casuale che il pittore sia sepolto nella stessa
chiesa della famiglia Vespucci). Possedeva una profonda cultura umanistica e
teologica, molto apprezzata all’epoca, soprattutto dai Medici. Botticelli era
un “cronista”, anzi, meglio, un “documentarista” meticoloso. È apprezzabile,
questa sua qualità, osservando proprio i documenti che produce. Si nota nelle
continue modifiche, nei continui aggiornamenti e dunque ripensamenti “in corso
d’opera”, che condizionano il pittore fiorentino. Un esempio cogente? Eccolo.
Si può osservare nel dipinto denominato erroneamente la Nascita
di Venere. L’ancella/vestale Flora/Florentia in un primo momento
viene raffigurata con dei sottili calzari, che in seguito il Botticelli
cancellerà. Inoltre il mantello, l’atlas,
il piviale, che sta per velare, che sta per avvolgere le spalle della figura
“scoperta” femminile, ossia la nuova quarta parte di mondo ancora incognita, da
esplorare, ossia Gea, e non Ctonia, è un’aggiunta successiva. Sono dettagli
questi probabilmente determinati e suggeriti dalle continue informazioni e
aggiornamenti che fornisce direttamente Americo Vespucci che dal 1497 è in
comunicazione, come già si è evidenziato, con Lorenzo Pietro de’ Medici. Le
informazioni s’interromperanno il 20 maggio 1503: è, questa, la data della
morte del nobile toscano. È questo il possibile termine temporale da cui
partire per collocare l’inizio dell’esecuzione dell’opera Primavera È il momento nel quale Botticelli
riesce a collocare nella profondità della trama pittorica quei dati mitografici
e quelle informazioni geografiche in grado di “spiegare” l’evento legato
all’ultima esplorazione di Americo Vespucci. È il quarto viaggio conclusosi nel
giugno del 1504. È lo stesso periodo in cui troviamo il giovane cardinale
Giovanni de’ Medici ricoprire la carica di Gran Priore nel monastero di San
Deodato nei Vosgi in Lotaringia, dove si è stampata appunto la famosa mappa
mundi del
Waldseemüller. Giovanni de’ Medici vi soggiorna per quasi dieci anni a partire
dal 1495, come scoperto qualche anno fa dalla professoressa Patrizia Licini43. È del
tutto probabile che proprio al giovane cardinale venga assegnato il compito, da
parte dello stesso papa Giulio II dal quale il monastero dipendeva, di
rimpiazzare il compianto Lorenzo Pietro de’ Medici e dunque sostituirsi a lui
nel portar avanti la committenza dell’opera botticelliana in oggetto.
L’opera pittorica Primavera presumibilmente sarà ultimata in
concomitanza con la pubblicazione della Cosmographiae introductio del Waldseemüller: era la quarta
domenica calendariale, era il 25 aprile dell’anno 1507. La quarta domenica
pasquale all’epoca si apriva col seguente introito celebrativo: “Jubilate deo, omnis terra alleluia”.
A questo punto ci sentiamo pronti per riformulare le titolazioni erronee
attribuite in passato a queste tre opere. Iniziamo secondo cronologia con Venere
e Marte, il cui vero titolo è: Il concepimento del Nuovo Mondo.
Poi si ha cronologicamente la Nascita di Venere il cui vero titolo è la Nascita
del Nuovo Mondo. Ed infine si ha la Primavera,
la cui titolazione è Battesimo del Nuovo Mondo,
ovvero “Jubilate deo, omnis terra
alleluia”. Questa è la
Storia …
Ed ora la parola la passiamo a
“color che più di noi sanno”…
Note bibliografiche
1 Dal sito: Pietropolidoro.it. Erwin Panofsky non era un semiologo e la sua terminologia è dunque molto differente da quella utilizzata in campo semiotico.
Quella che Hjelmslev chiama espressione è infatti per Panofsky forma e l’analisi formale è qualcosa che può essere, almeno parzialmente, sovrapposta allo studio del linguaggio plastico. Così l’iconologia viene definita come “quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori formali” (Panofsky 1955: tr. it. 31). Un’analisi di questo tipo avviene su tre principali livelli. Innanzitutto, è necessario affrontare il livello preiconografico, quello in cui si riconosce il soggetto primario o naturale. Esso si apprende “identificando pure forme cioè: certe configurazioni di linee e colori o certi blocchi di bronzo o pietra modellati in un modo particolare, come rappresentazioni di oggetti naturali, esseri umani, animali, piante, case, utensili, ecc.” (Panofsky 1955: tr. it. 33). Il mondo delle pure forme che così riconosciamo è il mondo dei motivi artistici.
Questa attività di riconoscimento si basa essenzialmente sulla nostra esperienza pratica, ma può alle volte richiedere il ricorso ad una conoscenza di tipo diverso. Può accadere, infatti, che un certo tipo di rappresentazione (per esempio, un oggetto staccato dal suolo) sia stato utilizzato in una certa epoca per indicare non quello che chiameremmo il suo “significato letterale” (in questo caso un oggetto che si libra in aria), ma, piuttosto, un fenomeno differente, come un’apparizione (e allora, nel nostro caso, un bambino raffigurato nel mezzo di un cielo blu non è un bambino che vola, ma l’apparizione di un bambino). È allora necessario, per non cadere nell’inganno dell’interpretazione “letterale” che la nostra esperienza ci propone, ricorrere ad una storia degli stili, che funga da fattore di controllo della descrizione preiconografica. Il passo successivo è quello dell’analisi iconografica, che ci permette, per esempio, di riconoscere un uomo con un coltello come San Bartolomeo o una figura femminile con una pesca in mano come una personificazione della Verità. “I motivi riconosciuti per questa via come portatori di un significato secondario o convenzionale possono essere chiamati immagini e le combinazioni di immagini sono ciò che gli antichi chiamavano invenzioni; noi siamo portati a chiamarle ‘storie’ e ‘allegorie’” (Panofsky 1955: tr. it. 34). Ma qual è la base dell’analisi iconografica? Essa si fonda sulla conoscenza delle fonti sulle quali si basano le raffigurazioni pittoriche e, quindi, sui testi letterari (in primo luogo la Bibbia) e la tradizione orale. Senza conoscere (direttamente o indirettamente) i Vangeli è difficile interpretare un quadro che rappresenta tredici persone intorno ad una tavola come l’Ultima Cena. Ma anche in questo caso la conoscenza delle fonti non è sufficiente. Ci sono dei casi, infatti, in cui la rappresentazione non è stata fedele al testo e, ad esempio, elementi di un tipo sono stati inseriti nella raffigurazione di un altro tipo. È necessaria dunque una storia dei tipi, una storia cioè dei differenti modi in cui, col tempo, “temi specifici o concetti sono stati espressi in oggetti ed eventi” (Panofsky 1955: tr. it. 41). Si arriva così all’ultimo livello, quello iconologico, in cui viene indagato il significato intrinseco o contenuto. “Lo si apprende individuando quei principi di fondo che rivelano l’atteggiamento fondamentale di una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica, qualificato da una personalità e condensato in un’opera” (Panofsky 1955: tr. it. 35).
L’analisi iconologica si fonda sull’intuizione sintetica, che Panofsky dice poter essere sviluppata più in un “profano di talento che in un erudito specialista” (Panofsky 1955: tr. it. 42). Eppure, vista la sua natura “irrazionale” e “soggettiva”, questa intuizione sintetica deve essere corretta “da uno studio del modo in cui, mutando le condizioni storiche, muta anche la maniera in cui le tendenze generali ed essenziali dello spirito umano sono espresse attraverso temi e concetti specifici” (Panofsky 1955: tr. it. 43). Studio che, con i termini di Cassirer, si potrebbe definire storia dei simboli.
A questo punto è chiara la differenza esistente fra iconografia ed iconologia. La prima è una pura descrizione e catalogazione di immagini, mentre la seconda rappresenta, per lo più, un’interpretazione dell’arte che possa interagire con le altre scienze umane. Panofsky paragona questo rapporto a quello esistente fra etnografia ed etnologia.
1 Dal sito: Pietropolidoro.it. Erwin Panofsky non era un semiologo e la sua terminologia è dunque molto differente da quella utilizzata in campo semiotico.
Quella che Hjelmslev chiama espressione è infatti per Panofsky forma e l’analisi formale è qualcosa che può essere, almeno parzialmente, sovrapposta allo studio del linguaggio plastico. Così l’iconologia viene definita come “quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori formali” (Panofsky 1955: tr. it. 31). Un’analisi di questo tipo avviene su tre principali livelli. Innanzitutto, è necessario affrontare il livello preiconografico, quello in cui si riconosce il soggetto primario o naturale. Esso si apprende “identificando pure forme cioè: certe configurazioni di linee e colori o certi blocchi di bronzo o pietra modellati in un modo particolare, come rappresentazioni di oggetti naturali, esseri umani, animali, piante, case, utensili, ecc.” (Panofsky 1955: tr. it. 33). Il mondo delle pure forme che così riconosciamo è il mondo dei motivi artistici.
Questa attività di riconoscimento si basa essenzialmente sulla nostra esperienza pratica, ma può alle volte richiedere il ricorso ad una conoscenza di tipo diverso. Può accadere, infatti, che un certo tipo di rappresentazione (per esempio, un oggetto staccato dal suolo) sia stato utilizzato in una certa epoca per indicare non quello che chiameremmo il suo “significato letterale” (in questo caso un oggetto che si libra in aria), ma, piuttosto, un fenomeno differente, come un’apparizione (e allora, nel nostro caso, un bambino raffigurato nel mezzo di un cielo blu non è un bambino che vola, ma l’apparizione di un bambino). È allora necessario, per non cadere nell’inganno dell’interpretazione “letterale” che la nostra esperienza ci propone, ricorrere ad una storia degli stili, che funga da fattore di controllo della descrizione preiconografica. Il passo successivo è quello dell’analisi iconografica, che ci permette, per esempio, di riconoscere un uomo con un coltello come San Bartolomeo o una figura femminile con una pesca in mano come una personificazione della Verità. “I motivi riconosciuti per questa via come portatori di un significato secondario o convenzionale possono essere chiamati immagini e le combinazioni di immagini sono ciò che gli antichi chiamavano invenzioni; noi siamo portati a chiamarle ‘storie’ e ‘allegorie’” (Panofsky 1955: tr. it. 34). Ma qual è la base dell’analisi iconografica? Essa si fonda sulla conoscenza delle fonti sulle quali si basano le raffigurazioni pittoriche e, quindi, sui testi letterari (in primo luogo la Bibbia) e la tradizione orale. Senza conoscere (direttamente o indirettamente) i Vangeli è difficile interpretare un quadro che rappresenta tredici persone intorno ad una tavola come l’Ultima Cena. Ma anche in questo caso la conoscenza delle fonti non è sufficiente. Ci sono dei casi, infatti, in cui la rappresentazione non è stata fedele al testo e, ad esempio, elementi di un tipo sono stati inseriti nella raffigurazione di un altro tipo. È necessaria dunque una storia dei tipi, una storia cioè dei differenti modi in cui, col tempo, “temi specifici o concetti sono stati espressi in oggetti ed eventi” (Panofsky 1955: tr. it. 41). Si arriva così all’ultimo livello, quello iconologico, in cui viene indagato il significato intrinseco o contenuto. “Lo si apprende individuando quei principi di fondo che rivelano l’atteggiamento fondamentale di una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica, qualificato da una personalità e condensato in un’opera” (Panofsky 1955: tr. it. 35).
L’analisi iconologica si fonda sull’intuizione sintetica, che Panofsky dice poter essere sviluppata più in un “profano di talento che in un erudito specialista” (Panofsky 1955: tr. it. 42). Eppure, vista la sua natura “irrazionale” e “soggettiva”, questa intuizione sintetica deve essere corretta “da uno studio del modo in cui, mutando le condizioni storiche, muta anche la maniera in cui le tendenze generali ed essenziali dello spirito umano sono espresse attraverso temi e concetti specifici” (Panofsky 1955: tr. it. 43). Studio che, con i termini di Cassirer, si potrebbe definire storia dei simboli.
A questo punto è chiara la differenza esistente fra iconografia ed iconologia. La prima è una pura descrizione e catalogazione di immagini, mentre la seconda rappresenta, per lo più, un’interpretazione dell’arte che possa interagire con le altre scienze umane. Panofsky paragona questo rapporto a quello esistente fra etnografia ed etnologia.
2 Sandro Botticelli è lo pseudonimo di Sandro
Filipepi, nato a Firenze nel 1445, morto nel 1510. È sepolto nella chiesa di
Ognissanti in Firenze, che si ricorda essere la stessa chiesa della famiglia
Vespucci. È tra i pittori italiani uno dei massimi esponenti del Rinascimento
fiorentino. Dopo l’apprendistato artistico, prima come orafo e poi presso la
bottega di Fra’ Filippo Lippi, Botticelli lavorò con il Pollaiolo e alla
bottega del Verrocchio. Qui ebbe modo di conoscere Leonardo da Vinci. È di
questi anni la Madonna del roseto, 1468, e del
1470 è La Fortezza. Botticelli aprì una
propria bottega in Firenze verso il 1470, e fu per quasi tutta la sua vita al
servizio oltreché dei Medici, anche dell’aristocrazia cittadina. Alla corte di
Lorenzo il Magnifico, Botticelli ebbe modo di conoscere filosofi dell’Accademia
Neoplatonica come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. L’intento
sincretistico di conciliare la cultura e il mondo classico con il pensiero
cristiano erano il fondamento del pensiero neoplatonico. Al Botticelli si
devono importanti opere a soggetto religioso raffiguranti la Madonna , come la Madonna
del Magnificat del
1485 circa, la Madonna della melagrana del 1487, l’Incoronazione della Vergine del 1490, la Madonna
e santi del 1485.
Altre opere religiose sono il San Sebastiano del 1474 circa, l’Adorazione dei Magi una realizzata intorno al 1473 ed una
realizzata in un dipinto del 1482 circa, un affresco con Sant’Agostino del 1480 per la chiesa di Ognissanti
in Firenze. Nel 1481 fu a Roma con diversi altri pittori impegnato nella
decorazione delle pareti della Cappella Sistina in Vaticano. Suoi sono il Mosè
e le figlie di Jetro, La punizione di Core e Le prove di Cristo. Botticelli
visse una profonda crisi spirituale negli anni Novanta del 1400. I Medici
furono espulsi da Firenze nel 1494 ed il ferrarese Savonarola cominciò la sua
predicazione pubblica contro i costumi corrotti. Di questo periodo sono le
ultime opere del Botticelli come il Compianto su Cristo morto degli anni 1490/95, la Pietà intorno al 1495, la Crocifissione,
intorno al 1496, la Natività mistica, del 1501. Di
questo stesso periodo inquieto per il Botticelli sono i dipinti a soggetto
profano come La
Calunnia
di Apelle del 1495, Le
Storie di donne illustri del
1500.
3 A questo proposito si vedano le nostre numerose pubblicazioni disponibili nel sito di Diego Baratonooppure di Claudio Piani.
4 Domenico Ghirlandaio, al secolo Domenico Bigordi nasce a Firenze nel 1449 e muore nel 1494. È sepolto nella chiesa di Ognissanti in Firenze, che si ricorda è la chiesa sia del Botticelli sia della famiglia Vespucci. Domenico era il figlio di Tommaso Bigordi, orafo fiorentino rinomato per la pregiata fattura dei suoi monili d’argento, le “ghirlande” appunto da cui il soprannome, oggetti destinati alle acconciature femminili. Il Ghirlandaio fu allievo del pittore Alessio Baldovinetti, ma nella sua formazione artistica incise soprattutto lo stile di Giotto e dei grandi maestri del secolo XV: da Masaccio, ad Andrea del Castagno al Verrocchio. Lavorò anch’egli come il Botticelli per papa Sisto IV nella Cappella Sistina. Fu uno dei più importanti esponenti della scuola fiorentina. Noto per il realismo e per la perfezione del tratto caratterizzanti le sue opere, divenne artista molto richiesto perla Firenze ricca dell’epoca.
Il Ghirlandaio era particolarmente apprezzato per i suoi affreschi, ma anche
per i dipinti a soggetto religioso, che ritraevano spesso scene di vita
fiorentina e ritratti di personaggi suoi contemporanei. Tra gli affreschi da
annoverare la Madonna della Misericordia della Cappella Vespucci in Ognissanti
a Firenze, risalente agli anni 1476/77, La vocazione di san Pietro e di sant’Andrea affrescati intorno agli anni 1481/82,
per la Cappella
Sistina , le Storie di san Francescodel
1485, questo affresco è considerato il suo capolavoro, ed ancora le Storie
della Vergine e del Battista collocabile
intorno agli anni 1485/1490. Dipinse pale d’altare come l’Adorazione dei pastoridel 1485,
la Madonna in gloria e santi intorno al 1490. Si deve ricordare che
tra gli allievi del Ghirlandaio spicca l’artista più celebre del Rinascimento
italiano, ossia Michelangelo.
5 Pancallo, 2011.
6 Veronica della Dora, 2015.
7 Quando si parla di tessuto, in genere non si pensa ad un dettaglio di fondamentale importanza. La struttura di qualsiasi tessuto è un intreccio ortogonale tra la trama e l’ordito. In buona sostanza si tratta di un reticolo, di una rete vera e propria che può diventare preciso strumento sia di misurazione sia di ordinamento. A questo proposito si consiglia di consultare i nostri studi come già ricordato in precedenza.
8 Con Presocratici si designano le scuole filosofiche sorte in Grecia prima di Socrate (469/399 a.C.). Presocratico non si riferisce solo ad un termine cronologico, bensì anche ad un punto di vista di problematiche. In genere si considera come riferimento la linea temporale fissata dallo Zeller (1814-1908), storico della filosofia. Lo storico distingue il prima e il dopo Socrate secondo il fatto che le prime scuole di pensiero si basavano su problematiche della natura e del cosmo, mentre con Socrate l’interesse filosofico si focalizza sull’uomo e quanto a questo connesso (pensiero, problemi etici, etc.). I presocratici si distinguono solitamente in pensatori ionici di Mileto quali Talete, Anassimandro, Anassimene, i seguaci di Ferecide e Pitagora, Eraclito, la scuola di Elea con Parmenide e Zenone, e con i fisici posteriori quali Empedocle, Anassagora e Democrito. Il pensiero presocratico affrontò in realtà diverse problematiche non riconducibili solo ai principi di natura o dell’origine, l’arché, delle cose. Benché già Aristotele definisse “fisiologi”, ossia “coloro che studiano la natura” i presocratici questi, tuttavia, rimandano a riflessioni profonde anche su questioni prettamente antropologiche. È pertanto complesso definire con precisione una possibile linea di demarcazione fra presocratici e filosofia nata con Socrate. È esemplare che Democrito, fosse contemporaneo non solo di Socrate, ma anche del suo discepolo Platone. Il pensiero democriteo atomistico oltre a proseguire sul sentiero tracciato dai fisiologi dimostra interesse anche per questioni legate alla morale, alla società e al linguaggio. Per diversi studiosi sarebbe più corretto, dal momento che già i “sofisti” di Atene prima di Socrate si interessarono ai problemi posti dall’esistenza umana, definire queste filosofie “pre-sofistiche” piuttosto che “presocratiche”.
9 Tolomeo (100-178 ca. d.C.), fu un astronomo, geografo e matematico greco. Visse ad Alessandria d’Egitto, dove compì le osservazioni a fondamento della sua teoria astronomica. Tolomeo s’interessò oltre che di astronomia anche di altre branche del sapere, quali la geografia, la musica e l’ottica. Di notevole importanza è la sua opera intitolata Geografia, dove sono introdotti i concetti di latitudine e longitudine. Questo testo, pur non essendo modello di attendibilità, influenzò generazioni di cartografi. Tolomeo, in quest’opera lasciò poi indicazioni su come realizzare una mappa del mondo, trattando il problema matematico della proiezione del globo sferico su una superficie piana. Tolomeo s’interessò di musica esponendo le sue concezioni in un trattato intitolato Armonici. Nella sua operaOttica analizzò le proprietà della luce. Tolomeo si occupò anche di astrologia, scrisse la Tetrabiblos, testo riconosciuto come fondamentale fino al Rinascimento in cui Tolomeo tentò di fornire scientificità all’astrologia.
10 Per linee di massima si tratta della suddivisione a quadranti della Terra effettuata appunto secondo le linee guida di Claudio Tolomeo.
11 Anche se per i Greci il termine vento è traducibile con “anemos”, da cui il nostro “anima”.
12 “In medio stat virtus”, dicevano i filosofi scolastici medievali, la “medietas” aristotelica direbbe qualcun altro. Qui, probabilmente, per il pensiero sincretistico tanto caro all’Accademia Neoplatonica ficiniana, circolo culturale cui il Botticelli apparteneva, si tratta di entrambe le cose.
13Ad Atene, a Nord-Est dell’Acropoli e ad Est dell’Agorà storica, si trova l’Agorà romana. Si tratta di una piazza chiusa circondata da portici, con funzioni commerciali: è qui che si trova la “Torre dei venti”. È un edificio a pianta ottagonale, eccezionalmente conservato. La torre in stile romano è in marmo pentelico, è anche denominata “horologion” dal momento che racchiudeva un complesso orologio ad acqua alimentato dalla fonte Klepsidra situata sull’Acropoli. La struttura si ritiene risalente con ogni probabilità al II o I secolo a.C. anche se alcune fonti parlano di Andronico di Cirro quale costruttore intorno al50 a .C.
Alta dodici metri e larga otto e, come già detto, è a pianta ottagonale. Per
scrupolo si ricorda che il numero otto è un numero sacro alla Madonna. Il tetto
era sormontato da una banderuola a forma di Tritone, che indicava la direzione
dei venti. Questi sono rappresentati nel noto fregio dell’edificio come otto
divinità alate. Sono collocati sul lato rivolto ai punti cardinali della loro
provenienza: Borea da Nord, Kaikias da Nord-Est, Euro da Est, Apeliote da
Sud-Est, Austro da Sud, Lips, ossia Libeccio, da Sud-Ovest, Zefiro da Ovest,
Skiron da Nord-Ovest. I venti sono tutti raffigurati ad ali spiegate mentre
portano i doni, dai frutti ai fiori ai bacili d’acqua, tutti simboli della
stagione in cui spirano. Curiosamente l’unico a sospingere una prua di nave
stilizzata è proprio Lips, Libeccio.
14 Non si può e non si deve sottostimare l’importanza riservata al simbolismo del numero in simili opere d’arte che definire “sapienziali” è molto riduttivo. Si deve osservare pertanto che il numero totale dei personaggi in questa raffigurazione sono sei: Venere, Marte e i quattro fauni. Il numero sei è il numero della creazione dell’uomo: è nel sesto giorno, infatti, che Dio creò l’uomo. Il sei quindi rappresenta l’incompletezza, l’imperfezione, poiché ovviamente incompleto e imperfetto è l’essere creato rispetto al suo creatore. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù muore nel sesto giorno e con la sua morte si chiude la creazione dell’uomo vecchio e si apre la via al contempo all’uomo Nuovo ricreato. La nuova creazione continua così attraverso la vita di Gesù, l’uomo nuovo adesso ha la strada tracciata per raggiungere la sua pienezza di vita, accogliendo l’amore di Dio, la sua misericordia e i suoi doni con il compito di trasmetterli ai suoi simili. Il numero sei ripetuto tre volte, indicala Bestia , simbolo della massima imperfezione al suo
stadio di completezza. Due è invece la divisione dell’unità, è il numero del
dualismo, della contrapposizione, della coppia degli opposti. Il secondo giorno
Dio separò le acque della terra dalle acque del firmamento; il numero due è il
simbolo degli opposti come il peccato e la grazia, il sacro e il profano, il
puro e l’impuro. L’importante valore simbolico del numero quattro sarà
analizzato più oltre.
15 Le informazioni riportate in questa e nella precedente nota, sono tratte dai siti mimmademaio.come Cathopedia.it. Il numero sette, e i suoi multipli, è un numero divino perché riferito al riposo di Dio dopo la creazione. Il Sabato è il settimo giorno nel calendario ebraico, giorno chela Legge
rende sacro e inviolabile, dove non è consentita nessuna attività, pena
l’inosservanza di tutta la
Legge. Il numero sette si trova con grande frequenza nelle
Sacre Scritture e ogni volta indica un’azione che si compie per volontà divina
(Gerico cade dopo che si sono suonate sette trombe per sette giorni, e si è
girato sette volte attorno alle sue mura. Con il tre e con uno il sette
completa la triade dei numeri divini. Assolutezza, perfezione, completezza,
sono tre affermazioni per la natura divina. Il sette è, sia biblicamente sia
per la Chiesa ,
il numero della pienezza e della compiutezza di qualcosa strutturalmente
unitario. Il sette è all’origine del numero della settimana. Il sette compare
come cifra della perfezione. La
Chiesa ha ripreso lo schema settenario per sue varie realtà:
dai sette Sacramenti alle sette opere di misericordia corporali e sette opere
di misericordia spirituali fino ai sette doni dello Spirito Santo.
16 Cristina Acidini, Firenzelibri, 2010.
17 La “mitografia” ossia la “scrittura dei miti”, è la sistematizzazione erudita e filologico-razionalizzante, quindi non poetica, dei miti. È una forma letteraria enciclopedica sorta nel periodo ellenistico come strumento esegetico dell’antica poesia che trattava argomenti tratti a sua volta dal ricco patrimonio mitologico greco.
18 Si ricorda che non è certo “solo” questa la titolazione voluta per il dipinto in discorso, si vedrà più oltre il titolo che in realtà, secondo gli scriventi, dovrebbe avere il dipinto.
19 Agnizione è termine giuridico che significa riconoscere, identificare, testimoniare. È uno degli elementi fondanti del teatro classico greco. Si vedano i nostri studi in merito sul sito di Diego Baratonooppure di Claudio Piani.
20 La conchiglia pecten è da sempre considerata un simbolo mariano. Si vedano, per gli approfondimenti necessari, come sempre, i nostri studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
21 È quantomeno doveroso precisare qui, che per le imprese marinaresche descritte in prima persona da Americo Vespucci e leggibili nella Cosmographiae Introductio, il vento di Sud-Ovest, il Libeccio appunto, in effetti riveste una grande importanza. La riuscita delle sue “Quattro navigazioni” (il numero quattro non è casuale nel contesto di questo studio, come si avrà modo di vedere più oltre), il cui resoconto è stato pubblicato appunto nella Cosmographiae Introductiola Domenica 25 Aprile 1507 a San Deodato (oggi
Saint-Diè-des-Vosges) con l’autorizzazione del Presule dei Vosgi, infatti, come
testimoniato da lui stesso, è stata resa possibile poiché: “…vento inter meridiem e Lebeccium ventum
spirante cursu primo pertigimus”.
22 Hestia è divinità parigrado di Hermes. Dove si rappresenta Hermes per tradizione, infatti, si rappresenta anche Hestia. Hestia, divinità vergine del focolare ha come simbolo il cerchio ed ha funzione di riunire, ricongiungere quanto è stato disperso. Nel VI secolo d.C., Hestia veniva raffigurata ed intesa qual “Maria Vergine delle Grazie”. Si veda al riguardo l’Enciclopedia Treccanialle voci: Vesta, Estia, Hestia, Hermes, Mercurio.
23 Sono alberi d’arancio, si veda Aby Warburg, 1893.
24 Le zagare sono espliciti simboli mariani ben noti nelle funzioni matrimoniali: sono i famosi fiori d’arancio indiscutibile simbolo di purezza.
25 Si deve assolutamente ricordare che il cerchio, come si è detto in altra nota, è senza dubbio il simbolo identificativo di Hestia. Il Botticelli indica in modo preciso l’identità del personaggio mediante la figura geometrica del cerchio, tramite una corona, una circonferenza di luce in questo caso, quasi richiamando la scenografia specificata nel paradiso dantesco (si veda Divina Commedia, da Paradiso I, 58-63 in poi). Nei margini
decorati degli antichi codici i santi erano raffigurati entro un’aureola, un
nimbo di luce che emanava da tutto il corpo e non solo dalla testa, poiché tutta
la persona era ritenuta santa, come in questo caso. È curioso che questo nimbo,
questo cerchio di luce sebbene così evidente nel dipinto, e così denso di
significati nel contesto, non si sia mai preso in considerazione o spiegato,
fino ad oggi. Il Botticelli inserendo nella “selva oscura” l’evidente cerchio
di luce retrostante all’immagine ieratica, inquadra scenograficamente il
personaggio mettendone in risalto l’importanza. Questa, dunque, è con
pochissimi dubbi Hestia/Maria Vergine. Più chiaro di così.
26 È l’iconografia classica attribuita ad Hestia, che poi sarà Vesta per i romani, come già specificato in precedenza.
27 Si tratta di una delle immagini più caratterizzanti della dimostrazione d’affetto tra una madre ed il proprio figlio, qui intesa quale Madre dell’Umanità. Èla Madonna Misericordiosa ,
la tipologia più diffusa d’icona mariana. Si raccomandano i nostri studi
chiarificatori in merito sul sito di Diego
Baratono oppure di Claudio
Piani.
28 Si veda, ad esempio, l’immagine mariana della scuola del fiorentino Benozzo Gozzoli, Firenze, 1484-1485, Fondazione Federico Zeri, Numero scheda 11777.
29 Dall’Enciclopedia Treccani, alla voce “face”: “face [plur. face]. - Significa “fiaccola”, “lume”. È presente due volte, con valore metaforico; in Pd XXVII 10 Dinanzi a li occhi miei le quattro face / stavano accese, si riferisce ai beati - Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo - e ne significa lo splendore della beatitudine; il plurale in -e non è provocato dalla rima, ma è forma antica, dalla -es latina, che ricorre anche fuori rima e in prosa. In Pd XXXIII 10 Qui se’ a noi meridïana face/di caritate, il traslato è duplice: la meridiana face è il sole a mezzogiorno, ela
Vergine è come un sole di carità per i beati (“E perché il
calor del Sole è quello che germina i fiori, l’erbe e le frondi, soggiugne
ch’ella è in cielo meridiana face, un vivo e ardente Sole di carità”,
Daniello).
30 Parrebbe quasi, e probabilmente lo è, una citazione dalla Divina Commedia dantesca, dove nelPurgatorio Beatrice appare a Dante. Curiosamente la scena si svolge proprio nel “Paradiso terrestre” nella tarda mattinata di mercoledì 13 Aprile (o 30 Marzo, secondo altri, della Domenica 25 Aprile secondo noi) del 1300: “… così dentro una nuvola di fiori…”. (Pg XXX 28 e seg.).
31 Si deve precisare che in questo dipinto, esattamente come nella Nascita di Venere, il presupposto vento Zefiro, come qui dimostrato, non sembra proprio esistere. È dunque consequenziale ritenere che nemmeno Clori, come erroneamente è stato da sempre sostenuto, sia inclusa in questa rappresentazione pittorica. Si ribadisce che né Zefiro e nemmeno Clori quindi sono parte di questo documento eccezionale pervenutoci.
32 La rappresentazione pittorica elaborata dal Botticelli sembrerebbe proprio rispecchiare o comunque trarre profonda ispirazione, ancora una volta, dalla “Divina Commedia” di Dante: “Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’, e fior gittando e di sopra e d’intorno, ‘Manibus, oh, date lilia plenis”. L’invocazione è da riferire secondo l’esegesi più accreditata al saluto d’accoglienza nel “Paradiso Terrestre” dell’arrivo di Beatrice. Gigli fiorentini, simbolo di purezza mariana sicuramente, compresi. Qui essendo l’invocazione al maschile, si può comunque considerare essere rivolta al Nuovo Mondo. Non crediamo serva traduzione o interpretazione ai versi della cantica del Purgatorio, XXX, 19-21. Si veda in ogni caso l’Enciclopedia Treccani.
33 Si deve necessariamente ricordare a questo punto l’importanza del significato che assume il nome A.M.E.R.I.C.A. nel contesto dell’avvenimento celebrato nei dipinti botticelliani. A.M.E.R.I.C.A. è un acronimo. È stato da noi ricostruito. Il suo significato, che ora assume significati ben più profondi, è quanto mai chiaro: Ave Maria Eden Regina Ianua Caeli Ave. Si vedano, al riguardo, i nostri numerosi studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
34 Informazioni tratte da mimmademaio.com. La simbologia del numero quattro, e suoi multipli indica la totalità dell’Universo e del Mondo, poiché quattro sono gli angoli della terra, quattro sono i venti principali, quattro sono i punti cardinali, quattro sono i fiumi che scorrono dall’Eden. NelVangelo (Gio 19, 28) dopo che Gesù è messo in croce (che ha quattro braccia), i soldati dividono le vesti ed il suo mantello (cosmico) in quattro parti. Quattro sono i Vangeli. Quattro le Virtù cardinali, quattro le età dell’uomo. Senza poi dimenticare, le “quattro navigazioni” condotte dal Vespucci verso il Nuovo Mondo, ovviamente.
35 Dante, Convivio, II VII 14.
36 Si veda, ad esempio, come già accennato l’Enciclopedia Treccani alla voce Mercurio, Ermes, Hermes.
37 Si veda l’Enciclopedia Treccani alla voce Ermete.
38 San Bernardo sarà la guida di Dante nella cantica del Paradiso.
39 Proclus, in Timaeum, ed. Dhiel, II 54, 28, 32 c.
40 Gabriele Giannantoni, a cura di, I Presocratici, Laterza & Figli spa, Roma-Bari, 1995, tomo 1, pag. 57.
41 Le varie interconnessioni esistenti tra Dio/Zeus/Amore/Cupido/Eros/Spirito Santo Attuatore, che potrebbero sembrare blasfeme a prima vista, sono invece frutto di meditato e calibrato studio da parte del Botticelli. È il prodotto evidente dell’applicazione della formidabile filosofia sincretistica ricercata all’epoca in ambito Neoplatonico, corrente cui il Botticelli, colto umanista, apparteneva.
42 Sapienza, 11.
43 Patrizia Licini, Pancallo, 2011.
3 A questo proposito si vedano le nostre numerose pubblicazioni disponibili nel sito di Diego Baratonooppure di Claudio Piani.
4 Domenico Ghirlandaio, al secolo Domenico Bigordi nasce a Firenze nel 1449 e muore nel 1494. È sepolto nella chiesa di Ognissanti in Firenze, che si ricorda è la chiesa sia del Botticelli sia della famiglia Vespucci. Domenico era il figlio di Tommaso Bigordi, orafo fiorentino rinomato per la pregiata fattura dei suoi monili d’argento, le “ghirlande” appunto da cui il soprannome, oggetti destinati alle acconciature femminili. Il Ghirlandaio fu allievo del pittore Alessio Baldovinetti, ma nella sua formazione artistica incise soprattutto lo stile di Giotto e dei grandi maestri del secolo XV: da Masaccio, ad Andrea del Castagno al Verrocchio. Lavorò anch’egli come il Botticelli per papa Sisto IV nella Cappella Sistina. Fu uno dei più importanti esponenti della scuola fiorentina. Noto per il realismo e per la perfezione del tratto caratterizzanti le sue opere, divenne artista molto richiesto per
5 Pancallo, 2011.
6 Veronica della Dora, 2015.
7 Quando si parla di tessuto, in genere non si pensa ad un dettaglio di fondamentale importanza. La struttura di qualsiasi tessuto è un intreccio ortogonale tra la trama e l’ordito. In buona sostanza si tratta di un reticolo, di una rete vera e propria che può diventare preciso strumento sia di misurazione sia di ordinamento. A questo proposito si consiglia di consultare i nostri studi come già ricordato in precedenza.
8 Con Presocratici si designano le scuole filosofiche sorte in Grecia prima di Socrate (469/399 a.C.). Presocratico non si riferisce solo ad un termine cronologico, bensì anche ad un punto di vista di problematiche. In genere si considera come riferimento la linea temporale fissata dallo Zeller (1814-1908), storico della filosofia. Lo storico distingue il prima e il dopo Socrate secondo il fatto che le prime scuole di pensiero si basavano su problematiche della natura e del cosmo, mentre con Socrate l’interesse filosofico si focalizza sull’uomo e quanto a questo connesso (pensiero, problemi etici, etc.). I presocratici si distinguono solitamente in pensatori ionici di Mileto quali Talete, Anassimandro, Anassimene, i seguaci di Ferecide e Pitagora, Eraclito, la scuola di Elea con Parmenide e Zenone, e con i fisici posteriori quali Empedocle, Anassagora e Democrito. Il pensiero presocratico affrontò in realtà diverse problematiche non riconducibili solo ai principi di natura o dell’origine, l’arché, delle cose. Benché già Aristotele definisse “fisiologi”, ossia “coloro che studiano la natura” i presocratici questi, tuttavia, rimandano a riflessioni profonde anche su questioni prettamente antropologiche. È pertanto complesso definire con precisione una possibile linea di demarcazione fra presocratici e filosofia nata con Socrate. È esemplare che Democrito, fosse contemporaneo non solo di Socrate, ma anche del suo discepolo Platone. Il pensiero democriteo atomistico oltre a proseguire sul sentiero tracciato dai fisiologi dimostra interesse anche per questioni legate alla morale, alla società e al linguaggio. Per diversi studiosi sarebbe più corretto, dal momento che già i “sofisti” di Atene prima di Socrate si interessarono ai problemi posti dall’esistenza umana, definire queste filosofie “pre-sofistiche” piuttosto che “presocratiche”.
9 Tolomeo (100-178 ca. d.C.), fu un astronomo, geografo e matematico greco. Visse ad Alessandria d’Egitto, dove compì le osservazioni a fondamento della sua teoria astronomica. Tolomeo s’interessò oltre che di astronomia anche di altre branche del sapere, quali la geografia, la musica e l’ottica. Di notevole importanza è la sua opera intitolata Geografia, dove sono introdotti i concetti di latitudine e longitudine. Questo testo, pur non essendo modello di attendibilità, influenzò generazioni di cartografi. Tolomeo, in quest’opera lasciò poi indicazioni su come realizzare una mappa del mondo, trattando il problema matematico della proiezione del globo sferico su una superficie piana. Tolomeo s’interessò di musica esponendo le sue concezioni in un trattato intitolato Armonici. Nella sua operaOttica analizzò le proprietà della luce. Tolomeo si occupò anche di astrologia, scrisse la Tetrabiblos, testo riconosciuto come fondamentale fino al Rinascimento in cui Tolomeo tentò di fornire scientificità all’astrologia.
10 Per linee di massima si tratta della suddivisione a quadranti della Terra effettuata appunto secondo le linee guida di Claudio Tolomeo.
11 Anche se per i Greci il termine vento è traducibile con “anemos”, da cui il nostro “anima”.
12 “In medio stat virtus”, dicevano i filosofi scolastici medievali, la “medietas” aristotelica direbbe qualcun altro. Qui, probabilmente, per il pensiero sincretistico tanto caro all’Accademia Neoplatonica ficiniana, circolo culturale cui il Botticelli apparteneva, si tratta di entrambe le cose.
13Ad Atene, a Nord-Est dell’Acropoli e ad Est dell’Agorà storica, si trova l’Agorà romana. Si tratta di una piazza chiusa circondata da portici, con funzioni commerciali: è qui che si trova la “Torre dei venti”. È un edificio a pianta ottagonale, eccezionalmente conservato. La torre in stile romano è in marmo pentelico, è anche denominata “horologion” dal momento che racchiudeva un complesso orologio ad acqua alimentato dalla fonte Klepsidra situata sull’Acropoli. La struttura si ritiene risalente con ogni probabilità al II o I secolo a.C. anche se alcune fonti parlano di Andronico di Cirro quale costruttore intorno al
14 Non si può e non si deve sottostimare l’importanza riservata al simbolismo del numero in simili opere d’arte che definire “sapienziali” è molto riduttivo. Si deve osservare pertanto che il numero totale dei personaggi in questa raffigurazione sono sei: Venere, Marte e i quattro fauni. Il numero sei è il numero della creazione dell’uomo: è nel sesto giorno, infatti, che Dio creò l’uomo. Il sei quindi rappresenta l’incompletezza, l’imperfezione, poiché ovviamente incompleto e imperfetto è l’essere creato rispetto al suo creatore. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù muore nel sesto giorno e con la sua morte si chiude la creazione dell’uomo vecchio e si apre la via al contempo all’uomo Nuovo ricreato. La nuova creazione continua così attraverso la vita di Gesù, l’uomo nuovo adesso ha la strada tracciata per raggiungere la sua pienezza di vita, accogliendo l’amore di Dio, la sua misericordia e i suoi doni con il compito di trasmetterli ai suoi simili. Il numero sei ripetuto tre volte, indica
15 Le informazioni riportate in questa e nella precedente nota, sono tratte dai siti mimmademaio.come Cathopedia.it. Il numero sette, e i suoi multipli, è un numero divino perché riferito al riposo di Dio dopo la creazione. Il Sabato è il settimo giorno nel calendario ebraico, giorno che
16 Cristina Acidini, Firenzelibri, 2010.
17 La “mitografia” ossia la “scrittura dei miti”, è la sistematizzazione erudita e filologico-razionalizzante, quindi non poetica, dei miti. È una forma letteraria enciclopedica sorta nel periodo ellenistico come strumento esegetico dell’antica poesia che trattava argomenti tratti a sua volta dal ricco patrimonio mitologico greco.
18 Si ricorda che non è certo “solo” questa la titolazione voluta per il dipinto in discorso, si vedrà più oltre il titolo che in realtà, secondo gli scriventi, dovrebbe avere il dipinto.
19 Agnizione è termine giuridico che significa riconoscere, identificare, testimoniare. È uno degli elementi fondanti del teatro classico greco. Si vedano i nostri studi in merito sul sito di Diego Baratonooppure di Claudio Piani.
20 La conchiglia pecten è da sempre considerata un simbolo mariano. Si vedano, per gli approfondimenti necessari, come sempre, i nostri studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
21 È quantomeno doveroso precisare qui, che per le imprese marinaresche descritte in prima persona da Americo Vespucci e leggibili nella Cosmographiae Introductio, il vento di Sud-Ovest, il Libeccio appunto, in effetti riveste una grande importanza. La riuscita delle sue “Quattro navigazioni” (il numero quattro non è casuale nel contesto di questo studio, come si avrà modo di vedere più oltre), il cui resoconto è stato pubblicato appunto nella Cosmographiae Introductio
22 Hestia è divinità parigrado di Hermes. Dove si rappresenta Hermes per tradizione, infatti, si rappresenta anche Hestia. Hestia, divinità vergine del focolare ha come simbolo il cerchio ed ha funzione di riunire, ricongiungere quanto è stato disperso. Nel VI secolo d.C., Hestia veniva raffigurata ed intesa qual “Maria Vergine delle Grazie”. Si veda al riguardo l’Enciclopedia Treccanialle voci: Vesta, Estia, Hestia, Hermes, Mercurio.
23 Sono alberi d’arancio, si veda Aby Warburg, 1893.
24 Le zagare sono espliciti simboli mariani ben noti nelle funzioni matrimoniali: sono i famosi fiori d’arancio indiscutibile simbolo di purezza.
25 Si deve assolutamente ricordare che il cerchio, come si è detto in altra nota, è senza dubbio il simbolo identificativo di Hestia. Il Botticelli indica in modo preciso l’identità del personaggio mediante la figura geometrica del cerchio, tramite una corona, una circonferenza di luce in questo caso, quasi richiamando la scenografia specificata nel paradiso dantesco (si veda Divina Commedia, da Paradiso I, 58-
26 È l’iconografia classica attribuita ad Hestia, che poi sarà Vesta per i romani, come già specificato in precedenza.
27 Si tratta di una delle immagini più caratterizzanti della dimostrazione d’affetto tra una madre ed il proprio figlio, qui intesa quale Madre dell’Umanità. È
28 Si veda, ad esempio, l’immagine mariana della scuola del fiorentino Benozzo Gozzoli, Firenze, 1484-1485, Fondazione Federico Zeri, Numero scheda 11777.
29 Dall’Enciclopedia Treccani, alla voce “face”: “face [plur. face]. - Significa “fiaccola”, “lume”. È presente due volte, con valore metaforico; in Pd XXVII 10 Dinanzi a li occhi miei le quattro face / stavano accese, si riferisce ai beati - Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo - e ne significa lo splendore della beatitudine; il plurale in -e non è provocato dalla rima, ma è forma antica, dalla -es latina, che ricorre anche fuori rima e in prosa. In Pd XXXIII 10 Qui se’ a noi meridïana face/di caritate, il traslato è duplice: la meridiana face è il sole a mezzogiorno, e
30 Parrebbe quasi, e probabilmente lo è, una citazione dalla Divina Commedia dantesca, dove nelPurgatorio Beatrice appare a Dante. Curiosamente la scena si svolge proprio nel “Paradiso terrestre” nella tarda mattinata di mercoledì 13 Aprile (o 30 Marzo, secondo altri, della Domenica 25 Aprile secondo noi) del 1300: “… così dentro una nuvola di fiori…”. (Pg XXX 28 e seg.).
31 Si deve precisare che in questo dipinto, esattamente come nella Nascita di Venere, il presupposto vento Zefiro, come qui dimostrato, non sembra proprio esistere. È dunque consequenziale ritenere che nemmeno Clori, come erroneamente è stato da sempre sostenuto, sia inclusa in questa rappresentazione pittorica. Si ribadisce che né Zefiro e nemmeno Clori quindi sono parte di questo documento eccezionale pervenutoci.
32 La rappresentazione pittorica elaborata dal Botticelli sembrerebbe proprio rispecchiare o comunque trarre profonda ispirazione, ancora una volta, dalla “Divina Commedia” di Dante: “Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’, e fior gittando e di sopra e d’intorno, ‘Manibus, oh, date lilia plenis”. L’invocazione è da riferire secondo l’esegesi più accreditata al saluto d’accoglienza nel “Paradiso Terrestre” dell’arrivo di Beatrice. Gigli fiorentini, simbolo di purezza mariana sicuramente, compresi. Qui essendo l’invocazione al maschile, si può comunque considerare essere rivolta al Nuovo Mondo. Non crediamo serva traduzione o interpretazione ai versi della cantica del Purgatorio, XXX, 19-21. Si veda in ogni caso l’Enciclopedia Treccani.
33 Si deve necessariamente ricordare a questo punto l’importanza del significato che assume il nome A.M.E.R.I.C.A. nel contesto dell’avvenimento celebrato nei dipinti botticelliani. A.M.E.R.I.C.A. è un acronimo. È stato da noi ricostruito. Il suo significato, che ora assume significati ben più profondi, è quanto mai chiaro: Ave Maria Eden Regina Ianua Caeli Ave. Si vedano, al riguardo, i nostri numerosi studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
34 Informazioni tratte da mimmademaio.com. La simbologia del numero quattro, e suoi multipli indica la totalità dell’Universo e del Mondo, poiché quattro sono gli angoli della terra, quattro sono i venti principali, quattro sono i punti cardinali, quattro sono i fiumi che scorrono dall’Eden. NelVangelo (Gio 19, 28) dopo che Gesù è messo in croce (che ha quattro braccia), i soldati dividono le vesti ed il suo mantello (cosmico) in quattro parti. Quattro sono i Vangeli. Quattro le Virtù cardinali, quattro le età dell’uomo. Senza poi dimenticare, le “quattro navigazioni” condotte dal Vespucci verso il Nuovo Mondo, ovviamente.
35 Dante, Convivio, II VII 14.
36 Si veda, ad esempio, come già accennato l’Enciclopedia Treccani alla voce Mercurio, Ermes, Hermes.
37 Si veda l’Enciclopedia Treccani alla voce Ermete.
38 San Bernardo sarà la guida di Dante nella cantica del Paradiso.
39 Proclus, in Timaeum, ed. Dhiel, II 54, 28, 32 c.
40 Gabriele Giannantoni, a cura di, I Presocratici, Laterza & Figli spa, Roma-Bari, 1995, tomo 1, pag. 57.
41 Le varie interconnessioni esistenti tra Dio/Zeus/Amore/Cupido/Eros/Spirito Santo Attuatore, che potrebbero sembrare blasfeme a prima vista, sono invece frutto di meditato e calibrato studio da parte del Botticelli. È il prodotto evidente dell’applicazione della formidabile filosofia sincretistica ricercata all’epoca in ambito Neoplatonico, corrente cui il Botticelli, colto umanista, apparteneva.
42 Sapienza, 11.
43 Patrizia Licini, Pancallo, 2011.
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