Molte volte su questo Blog ho parlato di
evoluzione umana, anche detta « ANTROPOGENESI » oppure « OMINAZIONE ».
Dopo la metà del 1700 d.C., pian piano viene abbandonata
la teoria Aristotelica della « FISSITA’ DELLE SPECIE », secondo la quale gli organismi viventi attuali e quindi l’uomo, sarebbero uguali a quelli creati all’inizio della vita sulla Terra. Questa teoria era anche supportata dalle convinzioni religiose che trovavano
nel primo libro della Bibbia (Genesi), la conferma che tutte le specie fossero state
create a opera di Dio.
Già prima del
1859, anno della pubblicazione dell’ “Origine delle specie” di Charles Darwin, le posizioni
degli studiosi di scienze naturali erano divise in due grandi correnti di
pensiero che vedevano, riguardo ai viventi, da un lato una natura dinamica ed
in continuo cambiamento, dall'altro una natura sostanzialmente immutabile.
Da allora
di “acqua
sotto i ponti ne è passata”: Il Darwinismo si è “evoluto” nel Neo-Darwinismo
e i "diagrammi evolutivi" pare che da alberi, siano divenuti cespugli e poi ramoscelli, con
buona pace di tutti coloro che credevano di aver già scoperto e
spiegato tutto.
Buona Lettura
MLR
IL CRANIO
FOSSILE CHE STA RIVOLUZIONANDO LA STORIA DELL'UOMO
di : Marco Cattaneo
da : NATIONAL
GEOGRAPHIC ITALIA
Un fossile ritrovato in Georgia accende il
dibattito tra gli studiosi: gli ominidi di 1, 8 milioni di anni fa
appartenevano tutti alla stessa specie?
Prima un albero, poi un cespuglio e adesso un
ramoscello striminzito. Potrebbe essere questa l'ultima versione dell'abusata
metafora che descrive il cammino dell'evoluzione umana. Come riferisce un
articolo pubblicato oggi sulla rivista Science, infatti, David Lordkipanidze e
i suoi colleghi che studiano i preziosi fossili umani di Dmanisi, in Georgia,
risalenti a un milione e 800.000 anni fa, hanno avanzato una proposta che
stravolgerebbe tutto lo schema della nostra evoluzione, almeno negli ultimi tre
milioni di anni.
Secondo
l'idea del cespuglio avanzata da Stephen Jay Gould, il modello più accreditato dell'evoluzione umana vuole che
molte specie siano convissute, lungo i 5-7 milioni di anni in cui ci siamo
separati dalla linea evolutiva degli scimpanzé. In particolare, a partire da circa tre milioni di anni fa sarebbero
stati presenti, più o meno
contemporaneamente, tre nostri parenti, Homo habilis, H. rudolfensis e H.
ergaster, vissuti tutti in Africa. A cui poco dopo, per i tempi dell'evoluzione,
si sarebbe aggiunto Homo erectus.
Erano state le notevoli differenze morfologiche
dei fossili più antichi, scoperti in
luoghi distanti e riferiti a epoche diverse, a spingere gli antropologi ad
attribuirle a specie differenti.
Lì in mezzo, tra i tre antenati
più vecchi e H. erectus, si
era collocato Homo georgicus, l'uomo di Dmanisi, dove Lordkipanidze e colleghi
raccolgono reperti da più di vent'anni, cercando
di ricostruire la storia di quella sorprendente popolazione umana, la più antica fuori dall'Africa, che abitava tra le
montagne del Caucaso. La fortunata caccia al tesoro dei georgiani ha permesso
di mettere insieme una collezione di cimeli senza uguali. Ci sono i crani di
almeno cinque individui, diversi per sesso e per età ma decisamente contemporanei: un maschio anziano e privo di dentatura,
due maschi maturi, una giovane donna e un adolescente di sesso ignoto.
Ed è l'ultimo cranio
studiato, Skull 5, ad aver messo la pulce nell'orecchio agli studiosi georgiani
e ai loro colleghi di Harvard, dell'Università di Tel Aviv e dell'Istituto di antropologia di Zurigo che firmano
l'articolo pubblicato su Science. A differenza degli altri quattro, Skull 5 -
il più completo cranio così antico del genere Homo mai scoperto -
presenta caratteristiche primitive. Ha una scatola cranica piccola, il volto
allungato, la mascella superiore quasi scimmiesca, grandi denti. Tutti elementi
che rimandano alle antiche specie africane. Gli altri crani, invece, mostravano
caratteristiche che richiamavano quelle del più moderno Homo erectus, asiatico.
Così, il gruppo di
Lordkipanidze ha usato la TAC e sofisticati modelli tridimensionali al computer
per confrontare i suoi fossili. E ne ha concluso che, per quanto quelle ossa
appaiano molto diverse, le loro differenze non sono superiori a quante se ne
troverebbero confrontando cinque esseri umani moderni, o cinque scimpanzé. Tanto basta a confermare che i cinque
individui di Dmanisi appartengano alla stessa specie, come faceva pensare anche
il fatto che siano stati scoperti nello stesso luogo e nello stesso strato, e
dunque che fossero contemporanei.
Questo risultato riapriva la domanda fondamentale:
dato che presentano caratteristiche antiche e moderne al tempo stesso, a quale
specie vanno attribuiti gli umani di Dmanisi? Per risolvere l'enigma, gli
studiosi hanno eseguito a stessa analisi statistica sui dati relativi a reperti
di Homo erectus, H. rudolfensis e H. ergaster, per arrivare a una conclusione
inquietante, almeno per le convinzioni radicate della comunità scientifica: le variazioni di quei fossili -
non molto differenti da quelle dei "cinque di Dmanisi " - non
indicano che appartenessero a specie diverse. Anzi, la loro variabilità è perfettamente
compatibile con l'appartenenza a una stessa specie. Se questa ipotesi fosse
accolta con favore, quest'unica specie prenderebbe il nome di Homo erectus, il
primo a essere scoperto, nell'isola di Giava, nel lontano 1891. Mentre quello
che oggi è chiamato H. ergaster ne
sarebbe al massimo una sottospecie, H. erectus ergaster. E ancora più complicato sarebbe il destino dei fossili
georgiani, la cui popolazione diventerebbe H. erectus ergaster georgicus.
Per il momento l'articolo di Science ha fatto
scoppiare una bomba nel piccolo universo degli antropologi, come riconosce
Philip Rightmire, uno degli autori dello studio. Secondo Ian Tattersall,
dell'American Museum of Natural History di New York, sono i crani di Dmanisi
che invece potrebbero corrispondere a più di una specie. E mentre Ron Clarke, altro paleoantropologo di fama
dell'Università del Witwatersrand a
Johannesburg, suggerisce che Skull 5 somigli a Homo habilis, Fred Spoor del
Max-Planck Institut di Lipsia, sostiene che sia sensato chiamarlo Homo erectus.
Non fa azzardi invece Tim White, che già una decina d'anni fa dall'Università della California aveva proposto dare dare una sforbiciata alle
innumerevoli specie che andavano affollandosi sul cespuglio dell'evoluzione
umana, limitandosi a sottolineare l'eccezionalità di una così ricca collezione di
fossili antichi da un unico sito.
"I fossili di Dmanisi - spiega Giorgio Manzi,
dell'Università di Roma "La
Sapienza", il cui nuovo libro Il grande racconto dell'evoluzione umana sarà in libreria a giorni - portano con sé eredità del passato e caratteri di forme che si sarebbero evolute nel futuro.
Quel sito è una specie di
"ombelico del mondo" del Pleistocene. E la loro eccezionale
variabilità rappresenta una specie
di instabilità morfologica".
Siamo passati, insomma, da una fase in cui i cambiamenti più evidenti riguardavano la postura bipede a una
in cui riguardano il cervello, e le notevoli differenze dei crani di Dmanisi
testimoniano soltanto una transizione.
Ma il dibattito è solo all'inizio, e purtroppo non potrà beneficiare dell'unico strumento che risolverebbe la questione una volta
per tutte, l'analisi del DNA. "Con la sola morfologia - dice Gianfranco
Biondi, dell'Università dell'Aquila - non è facile rispondere a questi interrogativi. E
per il momento non siamo in grado di estrarre il DNA dalle ossa come è stato fatto per le forme antiche di Homo
sapiens e i Neandertal. Per ora non abbiamo la tecnologia per andare oltre
150.000 anni fa". In altre parole, dobbiamo aspettare. A meno che altre
scoperte non tornino a infiammare il dibattito tra gli antropologi.
di : di Marco Cattaneo