TENERE LA TESTA SOTTO
LA SABBIA E’ COMODO E FACILE.
PRENDERE COSCIENZA
ATTIVA DI QUELLO CHE SUCCEDE NEL MONDO, FUORI DAL NOSTRO ORTICELLO, E’
DIFFICILE, FATICOSO E SPESSO PERICOLOSO.
MA SE VOGLIAMO CHE I
NOSTRI FIGLI E NIPOTI ABBIANO ANCORA UN FUTURO, DOBBIAMO SVEGLIARCI, INDIGNARCI
ED IMBRACCIARE LE “ARMI” CHE PIU’ CI COMPETONO PER RICONQUISTARE LA LIBERTA’ E
RISTABILIRE I CONFINI DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE.
L’attacco alla Repubblica dell’Ecuador. Ecco il perché di Londra.
19 agosto 2012 Autore
Nicoletta Forcheri
Fonte: sergiodicorimodiglianji.blogspot.it * Articolo di Sergio Di Cori Modigliani
DA: STAMPA LIBERA
Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in
rete.
Tutto ciò che sta
accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di “politicamente”) è iniziato il 12
dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe iniziato nel settembre di
quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni prima che l’onda d’urto
arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio
cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio
cominciare dalla fine.
Con qualche specifica
domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla
questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador. Perché il
caso esplode, oggi?
Perché, Jules
Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che
conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero
britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero
da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli
euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta
alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per
cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e
disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti
al mondo intero?
Perché l’Ecuador?
Perché, adesso?
Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano,
in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a
Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa.
Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100%
eurocentrica, vive sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale,
non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più
conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo
intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel
mondo” e ragiona ancora in termini coloniali.
Ma il mondo non funziona più così.
In Italia, ad esempio, nessuno è informato sulla zuffa (che
sta già diventando rissa) tra il Brasile e l’Onu, malamente gestita da
Christine Lagarde, la persona che presiede il Fondo Monetario Internazionale, e
che ruota intorno all’applicazione base di un concetto formale, banale, quasi
sciocco, ma che potrebbe avere ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia
è stata ufficialmente retrocessa. Non è più l’ottava potenza al mondo, bensì la
nona. E’ stata superata dal Brasile. Quindi al prossimo G8 l’Italia non verrà
invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il G8
trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.
La prima notizia Vera
(per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa:
“L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa, non possono (non vogliono)
accettare il trionfo keynesiano del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro
della Storia come soggetti politici autonomi. Per loro vale il principio per
cui “che se ne stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li
facciamo anche sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da
quelle parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi
è questo.
Dal Sudamerica negli
ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta:
niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante)
in data 3 agosto, se non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla
sede di New York del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in
Europa, ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una
compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se
ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie su wikipedia,
allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto il palcoscenico
mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore della finanza
oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai
fatti.
Jules Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che per lui è
finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo,
lo porteranno a Stoccolma, dove all’aeroporto non verrà prelevato dalle forze
di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia,
e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di specifici accordi formali
sanciti tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in
caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Jules Assange è
“intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra
era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove
verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per
lui l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del Patriot
Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni
di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta. “vai all’ambasciata
dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9 del mattino del 19
giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno.
Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli
svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono
un accordo: “evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il
13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che
non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano
(giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due
favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di
16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si
presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale accompagnata
dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri ecuadoregno, Patino,
in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana
America”) l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. In tale
occasione, la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un
gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al
Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo
argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la Repubblica
Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione
responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri
soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci
rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo semplicemente la
dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per
restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni,
abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato,
contestato e combattuto contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale
che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse
l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del
keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli
investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di
tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Siamo
oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in materia economica sono
idee errate, sbagliate.
Lo erano allora lo sono ancor di più oggi: Chi vuole
operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo
una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto
e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo
dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto
internazionale……” ecc.
Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner ha presentato
una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO (World Trade
Organization) la più importante associazione planetaria di scambi commerciali
coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale grazie ai files messi a
disposizione da Wikileaks, cioè Assange.
L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni.
Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso
che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine
duellano da un anno impietosamente. Grazie (o per colpa) di Assange, dato che
il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse
cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia,
l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone: Osama Bin
Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes, lui è
diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe
conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane,
come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e
crescere, come fare per impedire ai loro governi di far passare i piani
economici keynesiani applicando invece i dettami del Fondo Monetario
Internazionale il cui unico scopo consiste nel praticare una politica
neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con
capitali inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran parte
dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna
dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York- ricorda chi
rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima nazione del
continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver
applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e
tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello
Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la
violazione dello Stato di Diritto, la violazione di norme costituzionali”. Il
12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo dell’Ecuador
Rafael Correa (pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno
dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in tutto il
continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e
difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di
cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno
alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno
fatto credere che ciò che è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da
oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che
è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario
Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal novero delle nazioni civili: non
avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara
Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario.. Il paese è in
ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia ufficialmente che darà il
proprio contributo dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni.
Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà
gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la
popolazione, finche la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina
annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima
scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la
popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver
legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo.
Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5
miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due
giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte &
Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza
l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondi di
banane) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica
ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig
Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano
disponibili a firmare subito dei contratti decennali di acquisto della
produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che
possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. Il 20
dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company,
il presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17 gennaio
2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la
richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione
militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il
potente studio legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria
difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si
arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la
legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene
provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione
politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro.
Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran
parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’
accaduto in Iraq, che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento
americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora
riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di
euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre
di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei fedele al vaticano) che gli
Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e quindi aprendo la
strada a un precedente storico recente. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador
offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se
si annulla la decisione dell’Ecuador allora si annulla anche quella dell’Iraq e
quindi il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi
gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato ma già
eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati
newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il
Sudamerica moderno.
E cresce e si
diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un
contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli
altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta
borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e
pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si
auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla
parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel
congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e
tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più
disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che
viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di
dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà
nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una
lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata
Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto
“religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i
bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge
degli uomini”.
Tutto ciò lo si può
raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel
pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa,
dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al
colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio
io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare
“perché l’Ecuador”.
E’ un chiaro segnale
che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è
un Falso. Non è vero che non esiste alternativa. Per 400 anni, da quando gli
europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto
nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni
un gruppo di efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così.
E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Mario
Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio
dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica
del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules
Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al
sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4
agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il
magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli
effetti e in ogni nazione del globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico
numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico
numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce
nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il
nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle
spalle, responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più
importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media &
finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì
alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’interpol una denuncia
contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa
a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che
la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava
a 100 $ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla
telecinco che li rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza
vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1
che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i
diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte,
così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò al nocciolo
definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi
Garzòn venne fermato dall’Unione Europea. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la
telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla
finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre
lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta ma il governo italiano di allora (Prodi
& co.) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro
papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in
relazione al finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte
militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando
in pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato
esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il
magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo
mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di
Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di
Jules Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo
studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei
diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini
contro la dignità della persona”.
La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva
soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno
mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi
guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben
donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di
contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi.
Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono
in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove
cercare e chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura
si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla
tutti.
In Sudamerica, oggi,
la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che
non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange
sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo
difende.
Per questo, questa
storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero
Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha
accesso a materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di
dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che
siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a
fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata
bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si
risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
Wikileaks non va
letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per
immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o
Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi
meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che
non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere,
oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo
Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire:
finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le
chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.
Altrimenti, non ci si
può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima
dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro
furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e
Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi,
quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure
nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in
Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde
dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
GRAZIE A: STAMPA LIBERA