di: DOTT. GIUSEPPE
COTELLESSA (ENEA)
L’applicazione del procedimento può risultare molto utile in questa
tecnologia promettente:
“Il fotovoltaico senza sole”
Dal MIT un'innovazione nel campo del settore
termofotovoltaico. Un sistema che usa le celle fotovoltaiche per convertire il
calore in elettricità, anziché la luce. Un miglioramento dell'efficienza che
apre a nuove applicazioni. La chiave è in un materiale che, scaldato, irradia
solo le lunghezze d'onda che le celle convertono. Un passo in avanti grazie
alle nanotecnologie.
Un sistema fotovoltaico che non ha bisogno del sole per
produrre elettricità, ma funziona convertendo il calore. Come spesso accade, il
concetto, alla base del termofotovoltaico, non è nuovo ma, grazie a innovazioni
nei materiali con conseguente aumento dell'efficienza, diventa improvvisamente
più interessante e si apre a nuove applicazioni.
Nei laboratori del Massachussets Institute of Technology
(MIT), infatti, grazie alle nanotecnologie, hanno trovato il modo di modellare
la superficie di un materiale facendo sì che converta il calore in precise
lunghezze d'onda, quelle stesse che le celle fotovoltaiche riescono meglio a
convertire in elettricità. Ne esce un sistema termofotovoltaico molto più
efficiente di quelli che esistevano finora.
La chiave per ottenere questa emissione a lunghezze d'onda
calibrate sta in un materiale sulla cui superficie vengono ricavate miliardi di
cavità di dimensioni nanometriche (vedi foto al microscopio accanto al titolo).
Quando questo materiale assorbe calore – sia dal sole che da combustibili
fossili o da qualsiasi altra fonte – la superficie così lavorata irradia
energia a lunghezze d'onda ben definite.
Basandosi su questa tecnologia i ricercatori del MIT hanno
creato un generatore delle dimensioni di un bottone, che, alimentato a butano,
può produrre elettricità tre volte più a lungo rispetto ad una batteria al
litio delle stesse dimensioni e si può ricaricare istantaneamente inserendo una
nuova micro-cartuccia di carburante (vedi foto). Un'altra applicazione che
sfrutta questo sistema termofotovoltaico è un generatore alimentato da un
radioisotopo che produce calore stabilmente per decadimento radioattivo: il
dispositivo può produrre elettricità per 30 anni senza essere rifornito di
carburante, l'ideale ad esempio per missioni aereospaziali.
Nella foto: i microreattori basati su chip al silicio
sviluppati all'MIT. Ognuno ha dei cristalli fotonici su entrambe le facciate
piatte, i tubicini servono per iniettare carburante ed aria e far fuoriuscire
gli scarichi. Dentro al chip combustibile ed aria reagiscono producendo calore,
che scalda i cristalli fotonici. Le celle fotovoltaiche, se i reattori fossero
in uso, andrebbero montate a ridosso di entrambe le facciate, lasciando un
piccolo spazio.
Ma le applicazioni potrebbero essere molte altre. Su queste
pagine abbiamo parlato spesso delle potenzialità dei nuovi sistemi che riescono
a convertire in elettricità - con buone efficienze e senza passare per
l'energia meccanica - il calore, in larga parte sprecato.
Secondo i dati della U.S. Energy Information Administration,
il 92% dell'energia che usiamo deriva dalla conversione di calore in energia
meccanica e da lì spesso in elettricità, ad esempio facendo bollire liquidi per
far girare una turbina collegata ad un generatore elettrico. Il problema è che
i sistemi meccanici hanno efficienze relativamente basse e non possono essere
ridotti più di tanto in quanto a dimensioni. Chiare le potenzialità di un
processo che invece riesce a trasformare il calore direttamente in elettricità,
senza usare parti in movimento e che è applicabile anche su scale piccolissime,
oltre ad essere relativamente economico.
Che il fotovoltaico potesse lavorare direttamente con il
calore d'altra parte non è una novità: il termofotovoltaico nasce circa mezzo
secolo fa, abbinando celle FV a varie fonti di calore che scaldano materiali
emittenti irradiando calore e luce ai diodi della cella. Il problema era che
questi materiali irradiavano energia su lunghezze d'onda molto più verso
l'infrarosso di quello che accade nello spettro solare; una lacuna che era
stata in parte compensata nell'ultimo decennio con l'introduzione di celle
fotovoltaiche, dette a “low band-gap”, che riescono a convertire molta più
radiazione all'infrarosso rispetto alle celle convenzionali. Nonostante questo,
gran parte del calore continuava ad andare perso e dunque le efficienze
restavano basse.
Da qui l'innovazione introdotta da Ivan Celanovic e i suoi
colleghi all'MIT: un materiale che assorbe il calore ed emette solo le
lunghezze d'onda che i diodi della cella FV possono assorbire e convertire in
elettricità. Un cristallo fotonico ottenuto modellando a livello nanometrico la
superficie di una piastrina di tungsteno in un pattern regolare di cavità e
rilievi, che cambiano il modo in cui la luce si propaga. Quando il supporto si
scalda, in questo modo, genera una luce intensa con uno spettro alterato, dato
che ogni buca (che sarebe un difetto importante nella struttura atomica del
materiale) agisce creando una risonanza, che lascia fuggire solo
radiazioni di una certa lunghezza
d'onda.
Solare termoelettrico, la terza via per l'elettricità dal
sole
Un collettore solare che produce sia calore che elettricità,
convertendo la differenza di temperatura direttamente, senza turbine o parti
meccaniche. Al MIT, grazie alle nanotecnologie, migliorata di 8 volte
l'efficienza dei generatori termoelettrici che sfruttano l'effetto Seebeck.
Integrati al solare termico promettono molto.
Semplice come un pannello solare termico, ma capace di
produrre anche elettricità oltre ad acqua calda. Un generatore di elettricità
che sfrutta il calore del sole senza usare turbine o parti mobili, come invece
avviene nel solare termodinamico, ma convertendo la differenza termica
direttamente in elettricità. Il solare termoelettrico, finora messo in ombra
dai più convenienti sistemi fotovoltaici e termodinamici, potrebbe essere la
promettente terza via per l'elettricità e il calore dal sole. Una innovazione
del Massachussets Institute of Technology promettere infatti di rimettere in
corsa questa tecnologia. Nei laboratori del MIT, grazie alle nanotecnologie, è
nato un generatore solare termoelettrico con un efficienza circa 8 volte
superiore rispetto ai dispositivi dello stesso tipo esistenti (nella foto,
cortesia MIT, nelle mani del professor Gang Chen, affiancato dal ricercatore
Daniel Kraemer).
Il sistema termoelettrico del MIT, descritto in uno studio
pubblicato da Nature Materials, a differenza di altre tecnologie che sfruttano
il calore del sole, come i vari tipi di impianti di solare termodinamico, non
ha parti in movimento, né turbine, né tanto meno sistemi a specchi o
inseguitori. Si tratta di un collettore simile a quelli solari termici. Come
questi può produrre acqua calda, ma converte anche la differenza di temperatura
in elettricità.
Cuore della tecnologia è infatti un generatore
termoelettrico che funziona secondo l'effetto Seebeck, per il quale una
differenza di temperatura tra due diversi conduttori crea una corrente
elettrica quando due giunzioni sono tenute a temperature diverse. Il generatore
termoelettrico nel collettore dell'MIT è realizzato con l'ausilio delle
nanotecnologie e posto in una camera di vetro sottovuoto. Una parte è ricoperta
da una piastra di rame nera che assorbe calore, ma non lo disperde per
irradiazione; l'altra parte del generatore è invece a contatto con l'aria a
temperatura ambiente. Riesce così a sviluppare differenze di temperature tra i
due conduttori di circa 200 °C e a produrre elettricità.
L'efficienza che raggiunge nella produzione elettrica - del
4,6% - è piuttosto bassa se paragonata a quelle del fotovoltaico, in media
15-20% (le celle FV da record vanno oltre il 40%). Ma la tecnologia in
questione ha caratteristiche che la potrebbero rendere molto interessante:
richiede molti meno materiali per essere costruita e potrebbe dunque diventare
molto più economica una volta diffusa. E poi funziona bene anche senza
irradiazione diretta e, come detto, può produrre assieme acqua calda, calore ed
elettricità, dimezzando così i costi.
Quella dei nanomateriali applicati ai generatori
termoelettrici come questo, spiegano dal MIT, è uno dei filoni di ricerca
promossi dal Department of Energy Usa (Doe). Una delle applicazioni principali
per cui si stanno sviluppando questi generatori è recuperare il calore sprecato
dai motori a combustione di automobili e camion, ma anche nel solare questa
tecnologia “ha un ruolo importante da giocare”.
Un approccio, spiega il professor Li Shi, della University
of Texas di Austin, “molto nuovo, semplice e che si presta a uno sviluppo
low-cost”. L'efficienza del 4,6% raggiunta, spiega Shi, è “già impressionante”,
ma “con l'uso di nuovi materiali termoelettrici che possono operare a
temperature più alte, può essere ulteriormente migliorata fino ad arrivare ad
essere competitivi con le celle fotovoltaiche al silicio amorfo di ultima
generazione. Questo potrebbe delineare una via diversa per arrivare ad avere
elettricità dal sole ad un dollaro per watt”.
La nuova tecnologia, commenta il professor Gand Cheng, uno
degli sviluppatori, non sarebbe un sostituto del fotovoltaico, ma offre
“un'altra via” per sfruttare la immensa quantità di energia che il sole offre.
Visto che il generatore termoelettrico può essere integrato in collettori
solari termici potrebbe essere messo in campo molto facilmente,“senza bisogno
di incentivi”: un'innovazione che “potrebbe cambiare la partita”.
1 commento:
Ho letto che la nanotecnologia ha molteplici applicazioni. Questa sarebbe provvidenziale. Speriamo sia disponibile presto.
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