IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

mercoledì 28 febbraio 2018

ASTROBIOLOGIA: MARTE SULLA TERRA


Astrobiologia: "Marte sulla Terra" è in Spagna !

Se la vita può sopravvivere e prosperare nel Rio Tinto, potrebbe esserci vita anche su Marte o sulle lune di Giove e Saturno? Cerchiamo di scoprirlo seguendo le ricerche degli scienziati del Centro di Astrobiologia di Madrid.

"Benvenuti a Space, qui dal Centro di Astrobiologia di Madrid. Gli scienziati passano il loro tempo a cercare segni di vita su altre lune e pianeti nel nostro sistema solare. E lo fanno prendendo esemplari dai luoghi più straordinari". Benvenuti su Marte...Anche se, beh, veramente, siamo nella regione del Rio Tinto, il Fiume Rosso, nel sud della Spagna.

"Qui è come essere su Marte, proprio grazie al tipo di minerali che sono stati riportati da Marte", spiega Ricardo Amils, astrobiologo. "Dal punto di vista geochimico e mineralogico, questa è "Mars on Earth", Marte sulla Terra." Gli scienziati vengono qui, su questa "Mars on Earth", ormai da 30 anni per studiarne le caratteristiche. "L'acqua è molto acida, intorno al Ph 2.3", continua Amils. "E il contenuto di ossigeno scende anche quando andiamo in profondità, perché il fondo del sedimento è completamente anossico". La grande scoperta del Rio Tinto è che l'ossido di ferro e l'acido solforico nell'acqua sono effettivamente prodotti da forme di vita che vivono sottoterra nei pori della roccia. "Se ne stanno nella più completa oscurità, la vita la' sotto non dipende dalla luce", dice Cristina Escudero Parada, dell'Università Autonoma di Madrid. "Inoltre, potremmo descriverlo come un ambiente oligotrofico: che significa che non c'è molto da mangiare perché i microrganismi sopravvivano. Abbiamo iniziato solo pochi anni fa a studiare il sottosuolo e abbiamo trovato che c'è molta vita laggiù ". I campioni presi dal Rio Tinto sono analizzati qui, al Centro di Astrobiologia di Madrid. Vengono usati come punto di riferimento per studiare come potrebbe essere la vita su altri pianeti e sviluppare dispositivi per rilevarla. "Vogliamo conoscere la microbiologia nel sottosuolo, vogliamo capire quali microrganismi ci sono e cosa rimane loro", spiega Victor Parro, scienziato del Centro di Astrobiologia, "soprattutto vogliamo testare la strumentazione che abbiamo sviluppato per cercare la vita su Marte. Se i nostri strumenti funzionano in queste condizioni, dove la concentrazione della vita è molto bassa, pensiamo che possa funzionare anche sul Pianeta Rosso".


Non solo Marte

Marte non è il solo pianeta ad attirare l'attenzione: Europa, satellite naturale del Pianeta Giove, è uno dei preferii dagli astrobiologi. Tra dieci anni l'Europa sarà esplorata dall'astronave JUICE dell'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea. È una missione molto attesa qui alla base astronomica dell'Agenzia, vicino a Madrid. "L'obiettivo generale di JUICE è di fare un'esplorazione, luna dopo luna, di Giove", dice Mark Kidger, scienziato dell'ESA, "iniziando con la luna più esterna Callisto, poi Ganimede, infine Europa: le tre lune sono in gran parte fatte di ghiaccio e potrebbero avere gli oceani sottosuperficiali. E l'idea è solo di capire queste lune. Potrebbero essere luoghi di vita molto più interessanti di quanto chiunque di noi abbia mai immaginato qualche anno fa. Persino la luna di Saturno, Titano, è diventata un obiettivo per gli astrobiologi, dal momento che la sonda Huygens dell'ESA ha trovato metano ed etano liquido sulla sua superficie nel 2005. "L'atmosfera di Titano ha un'enorme quantità di metano: da dove viene?", si domanda Kidger. "E una delle teorie più pazze è che tutto attorno potrebbero esserci grandi quantità di batteri, sotto la superficie, e sono loro a produrre il metano che riempie l'atmosfera di Titano. " La maggior parte delle teorie ora immagina la vita esistente nel mondo, gli oceani salati sotto le croste di queste lune ghiacciate come Europa, e in questo laboratorio gli scienziati cercano di ricreare le stesse condizioni e studiare la chimica di quegli ambienti. "Quello che facciamo è introdurre la sostanza chimica che vogliamo studiare", riprende Victor Parro, "la mettiamo in questa camera e la sottoponiamo ad altissima pressione, per esempio fino a 500 volte l'atmosfera terrestre, in questo caso, e fino a 10.000 volte la nostra atmosfera, il che ci consente di simulare le condizioni negli oceani di Europa o di Ganimede, ad esempio."


E se esistessero?

In pochi credono che ci sia vita intelligente altrove, nel nostro sistema solare. Probabilmente non ci sono piccoli esseri verdi, insetti o piante lontano dalla Terra. Invece, se un giorno li scoprissimo, sarebbero probabilmente simili agli organismi microscopici della roccia di Rio Tinto. "È come la vita che cresciamo in un laboratorio", continua Cristina Escudero Parada, "ad esempio dove i microrganismi crescono in un paio d'ore. Nel sottosuolo stiamo parlando di tempi geologici per la moltiplicazione, è un tipo di vita completamente diverso. Ma c'è e sta crescendo". Le scoperte del Rio Tinto hanno rafforzato il campo dell'astrobiologia. Solo una decina di anni fa discutere di vita nel nostro sistema solare era visto con scetticismo, ora non è più così. "Terra e Marte sono pianeti gemelli", spiega Ricardo Amils. "Hanno la stessa origine, una distanza leggermente diversa dal Sole, ma la geologia è molto simile, quindi se c'è vita sulla Terra, perché non dovrebbe esseci su Marte?" La risposta a questa domanda potrebbero arrivare molto presto. Nel 2020 la missione congiunta ESA-Roscosmos ExoMars si dirigerà proprio su Marte, diventando la prima missione a scavare alla ricerca di segni di vita sotto la superficie.



Da:



PER APPROFONDIMENTI:






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"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
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sabato 24 febbraio 2018

IL MISTERO DEL GAMBERO MARMORIZZATO E LA PARTENOGENESI


I segreti del gambero che si clona da sé

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

                          Un esemplare di Procambarus virginalis (Wikimedia Commons)

LA PARTENOGENESI:

La partenogenesi (dal greco παρθένος, «vergine» e γένεσις, «nascita», ovvero riproduzione verginale) è un modo di riproduzione di alcune piante e animali in cui lo sviluppo dell'uovo avviene senza che questo sia stato fecondato. È la modalità di riproduzione sessuata più frequente in natura e può essere considerata come una riproduzione sessuale “asessuata” perché, pur implicando la formazione di gameti, non richiede fecondazione. Tale discendenza può essere telitoca (discendenza composta di sole femmine), arrenotoca (discendenza composta di soli maschi) o deuterotoca (discendenza composta da entrambi i sessi); un organismo non può però riprodursi in più di un tipo di partenogenesi. La partenogenesi si è evoluta in numerosi gruppi animali, indipendentemente da rigide compartimentazioni sistematiche, a più livelli di evoluzione e affinamento.


L'analisi del DNA ha rivelato che il gambero marmorizzato, una specie fortemente invasiva che si riproduce per partenogenesi, ha avuto origine in un acquario negli anni novanta. I ricercatori stanno cercando di ridurne la diffusione soprattutto in Madagascar, dove rischia di soppiantare le specie di gamberi autoctone ma è molto apprezzato come fonte di proteine economica e diffusa. I biologi molecolari hanno sequenziato il genoma di una specie invasiva di gamberi che può riprodursi senza accoppiamento e si sta diffondendo rapidamente attraverso il Madagascar. Il gambero marmorizzato (Procambarus virginalis) fu individuato per la prima volta in alcuni acquari in Germania negli anni novanta. Ora, il sequenziamento del DNA indica che la specie probabilmente è il prodotto di due membri tra loro lontanamente imparentati di una diversa specie di gambero, come riportato il 5 febbraio su "Nature Ecology ed Evolution". Il gambero marmorizzato è già stato bandito nell'Unione Europea e in alcune parti degli Stati Uniti per la minaccia che rappresenta per gli ecosistemi di acqua dolce. La specie si è ora diffusa all'interno del Madagascar e rischia di scalzare sette specie di gamberi autoctoni. "E' una popolazione molto aggressiva", afferma Frank Lyko,  biologo molecolare del German Cancer Research Center di Heidelberg, in Germania, che ha codiretto lo studio. "Se il gambero marmorizzato continua a diffondersi al suo ritmo attuale, probabilmente soppianterà le specie endemiche". I gamberi marmorizzati hanno tre copie di ciascun cromosoma invece delle solite due. Lyko e il suo team hanno sequenziato il genoma di un singolo individuo da un ceppo di laboratorio noto come Petshop. Il suo DNA ha rivelato una sorpresa: aveva due diversi genotipi in molti punti del genoma. La  spiegazione migliore, dice Lyko, è che due dei cromosomi sono quasi identici nella loro sequenza, mentre il terzo differisce sostanzialmente. I due genomi distinti sono strettamente correlati a quelli di un altro gambero d'acqua dolce, il Procambarus fallax, originario della Florida e popolare tra gli acquariofili. Lyko ipotizza che il gambero marmorizzato sia emerso quando il genoma di uno spermatozoo di un P. fallax è stato duplicato, cosa che può succedere in risposta a improvvisi sbalzi di temperatura. Se queste cellule fossero poi state fecondate da un altro individuo che vive nello stesso acquario, si sarebbe ottenuto un embrione con tre copie del suo genoma, dice Lyko, che rappresenterebbe una nuova specie. Lyko dice che il primo gambero marmorizzato probabilmente è nato in un acquario in Germania o negli Stati Uniti, e che i suoi discendenti sono stati scambiati un po' ovunque tra i collezionisti di pesci.

Origini di una specie

La prima descrizione scientifica del gambero marmorizzato apparve nel 2003 in un articolo su "Nature" che mostrava che tutti i membri osservati delle specie erano femmine e si riproducevano per partenogenesi, un processo mediante il quale una cellula uovo non fecondata si sviluppa in un adulto con un genoma identico a quello della cellula madre. Come il primo gambero marmorizzato abbia acquisito la capacità di riprodursi per partenogenesi è un mistero, dice Lyko. Alla base della transizione potrebbero esserci la perdita o la mutazione dei geni della riproduzione sessuale. La teoria di Lyko è ragionevole, afferma Gerhard Scholtz, zoologo della Humboldt University di Berlino che ha condotto il primo studio sui gamberi marmorizzati. Egli si chiede perché ci fossero due diverse popolazioni di P. Fallax nella stessa vasca. La specie potrebbe anche essere emersa in natura. "Il fatto che popolazioni naturali di gamberi marmorizzati non siano state trovate in natura non significa che non esistano.

Per comprenderne meglio la diffusione, il gruppo di Lyko  ha selezionato i genomi di altri quattro gamberi marmorizzati, tra cui alcuni provenienti da popolazioni che sono fuggite o sono state volontariamente liberate da acquari e hanno poi colonizzato i laghi tedeschi, e un individuo proveniente da un mercato in Madagascar. Il team ha anche effettuato un sequenziamento del DNA più limitato di 49 individui catturati in tutta l'isola. Questi studi hanno mostrato una sorprendente mancanza di diversità genetica, dovuta probabilmente alla recente origine della specie e alla capacità di riprodursi attraverso partenogenesi. Julia Jones, conservazionista della Bangor University, nel Regno Unito, ha guidato il gruppo che per primo ha esaminato la diffusione di gamberi marmorizzati in Madagascar dopo la loro scoperta nel 2007. Dice che la diffusione della specie è dovuta in gran parte alla sua popolarità come fonte di cibo. Nel 2009, incontrò un uomo su un autobus che trasportava un sacchetto di plastica pieno di questi gamberi che aveva progettato di liberarli nelle sue risaie nella speranza di creare una popolazione sostenibile, dice. Fermare la loro diffusione in Madagascar sarà "praticamente impossibile", dice Lyko. I suoi collaboratori hanno iniziato campagne per spingere la gente a non trasportarli o liberarli nelle risaie. Il messaggio è difficile da trasmettere in un paese con un alto tasso di povertà e in cui i gamberi marmorizzati sono una fonte di proteine economica e diffusa.

Da:
http://www.lescienze.it/news/2018/02/08/news/genetisti_rivelano_segreti_gambero_superinvasivo-3854638/?ref=nl-Le-Scienze_09-02-2018

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martedì 20 febbraio 2018

CERVELLO UMANO E COMPUTER: SEMPRE PIU' SIMILI



Computer: ora possono funzionare come un cervello umano

Immaginati come un nuovo tipo di intelligenza artificiale, i nuovi computer aumenteranno la percezione e il processo decisionale per applicazioni per auto a guida automatica oltre a diagnosi sul cancro.

La tecnologia non è mai costante e le innovazioni sono sempre dietro l’angolo e pronte a cambiare il modo in cui viviamo. Mentre la tecnologia è in evoluzione e continua a stupirci, i ricercatori degli Stati Uniti hanno ora sviluppato un superconduttore che “impara” come la sua controparte biologica: il cervello umano. Lo switch, chiamato sinapsi, sviluppato presso il National Institute of Standards and Technology (NIST) in Colorado, collega i processori e memorizza le memorie all’interno di futuri computer. In questo modo, funzioneranno come se fossero dei cervelli umani. Immaginato come un nuovo tipo di intelligenza artificiale, i computer potranno aumentare la percezione ed il processo decisionale per le applicazioni quali auto a guida automatica e diagnosi di malattie importanti tra le quali il cancro, ha riferito Xinhua.

Computer sempre più simili a cervelli umani

La sinapsi biologica è una connessione o un passaggio tra due cellule cerebrali. La sinapsi artificiale del NIST, un cilindro metallico con un diametro di 10 micrometri, è un interruttore di collegamento tra i picchi elettrici in ingresso ed i segnali in uscita. Funziona nello stesso modo in cui una sinapsi umana passa rapidamente tra due cellule cerebrali. Secondo lo studio, la sinapsi del NIST verrebbe utilizzata in computer neuromorfici fatti di superconduttori, che possono trasmettere elettricità senza resistenza e, quindi, sarebbero più efficienti di altri progetti basati sui software.
I dati verrebbero trasmessi, elaborati e archiviati in unità di flusso magnetico. “La sinapsi del NIST ha un fabbisogno energetico inferiore rispetto alla sinapsi umana. Non conosciamo altre sinapsi artificiali che consumano meno energia”, ha riferito il fisico del NIST Mike Schneider in un comunicato stampa. La sinapsi del NIST è in grado di riconoscere miliardi di informazioni al secondo. Sia le sinapsi reali che quelle artificiali possono così mantenere vecchi circuiti e crearne di nuovi.

http://www.tecnoandroid.it/2018/01/30/computer-ora-possono-funzionare-come-un-cervello-umano-295683

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lunedì 19 febbraio 2018

CIBERNETICA, I.A.,EVOLUZIONE E...SINGOLARITA' TECNOLOGICA ?


"Io, primo uomo-robot. Parleremo col cervello"

Anno 1998: Kevin Warwick si fa impiantare un chip nel braccio, comincia una nuova era. Poi con gli elettrodi mette in comunicazione il suo sistema nervoso e quello della moglie

Kevin Warwick, classe 1954, è un professore universitario e ricercatore inglese di cibernetica e robotica applicata all’essere umano. Oggi è vicerettore dell’Università di Coventry, ma è diventato famoso vent’anni fa, nel 1998 con il ‘Progetto Cyborg’. Warwick fu il primo uomo-robot, ovvero il primo uomo a impiantarsi un chip nel braccio. Un esperimento che ha rivoluzionato la storia delle interazioni uomo-macchina. "Prima di allora, quel tipo di impianto era stato provato solo su animali, in particolare sui gatti, e sul loro sistema nervoso. E veniva tolto dopo tre giorni".

Per quanto tempo ha avuto quel chip nel braccio?

"Tre mesi. Solo il fatto di averlo tenuto così a lungo ha avuto un enorme impatto sulle ricerche mediche, perché ha dimostrato che non c’erano controindicazioni, che il corpo umano poteva ‘sopportare’ e interagire per lunghi periodi. Il che ha aiutato a superare le perplessità etiche sull’utilizzo in campo medico".

Tre mesi come primo uomo robot: per fare cosa?

"In realtà, molto di più del ‘controllare un braccio-robot’, come è stato a lungo semplificato. Certo, quella era la parte più facile da capire e da spiegare, e anche con più applicazioni pratiche".

Quali sono state?

"Oggi lo stesso tipo di chip aiuta molte persone paralizzate a recuperare almeno in parte i movimenti. In molti casi di paralisi, il cervello funziona ma i moto-segnali, se appaiono, non arrivano dove dovrebbero arrivare, causa le lesioni nel sistema nervoso o nel midollo, o altri problemi. Il primo giorno del nostro esperimento dimostrammo che si possono prendere segnali nervosi e ri-trasmetterli come se lo facesse il sistema nervoso".

E negli altri 89 giorni, cosa avete testato?

"Nuove forme di comunicazione nervi-cervello, input extrasensoriali, controllo di parti robotizzate, e anche ‘giochini’ come cambiare il colore dei gioielli".

Con quell’esperimento è arrivata la fama, la copertina di ‘Wired’… .

"Arrivarono anche moltissime critiche, attacchi che non mi sarei mai aspettato, accuse di aver fatto tutto ciò solo per la notorietà".

Poi però lei ha fatto una cosa ancora più rivoluzionaria: mettere in comunicazione due sistemi nervosi, il suo e quello di sua moglie, tramite due chip.

"È l’esperimento che mi ha dato più soddisfazione in assoluto, in tanti anni di ricerche. Ho un background nel campo della comunicazione e vedo che, come esseri umani, il modo in cui mandiamo segnali da cervello a cervello è molto povero, rispetto a come comunica la tecnologia. Quello che facemmo, con mia moglie, fu mandare segnali dal sistema nervoso dell’uno a quello dall’altra. Abbiamo dimostrato che l’uomo può espandere le proprie capacità sensoriali. Noi esseri umani saremo in grado di comunicare solo attraverso il pensiero".

Una prospettiva affascinante e paurosa allo stesso tempo.

"Cambierà completamente l’essere umano. La domanda è proprio: quanto saremo ancora umani? Non lo so, non siamo ancora in grado di comunicare così".

Quanto siamo lontani dal ‘comunicare solo attraverso la mente’? Lei ha salito il primo gradino.

"Siamo ancora su quel primo gradino, anche se penso che in tutto ne serviranno tre o quattro. Facemmo il primo passo, e anche quello fu cruciale. Credo che il prossimo esperimento sarà cruciale: cercare di connettere due cervelli".

Però sono passati 15 anni, e nessuno è andato avanti in questo filone di ricerca. Come se lo spiega?

"Ne sono sorpreso anch’io. Perché la scienza funziona così, un esperimento dopo l’altro. Certo, noi prendemmo dei rischi, che ora però non esistono più".

La scienza però incontra anche tanti ostacoli.

"Ricordo la prima volta che sono venuto a Napoli. Il taxi ha passato tre semafori rossi consecutivi. Per me era impensabile. ‘Qui fermarsi al rosso è opzionale’, mi spiegò il tassista. Mi è piaciuto molto come concetto, perché nelle ricerche che porto avanti, ci sono molti semafori rossi: non puoi far questo, non puoi far quello. E se ti fermi sempre a questi semafori rossi, non vai dove vuoi andare, la ricerca non procede".

Forse lo stop arriva dagli aspetti etici del ‘connettere due cervelli’?

"Per far esperimenti di questo genere devi avere approvazioni dal comitato etico, ma è proprio da un punto di vista etico che la ricerca deve andare avanti: scoprire se una cosa si può fare, se fa bene o se fa male".

Lei studia le connessioni fra mente e chip, eppure da sempre sottolinea i pericoli dell’intelligenza artificiale.

"Dico ‘attenzione a quel che creiamo’ fin dal 1997, col il libro ‘La marcia della macchine’. Oggi lo dicono anche Elon Musk e Stephen Hawking. È un bene che ci sia questa consapevolezza".

Ha paura di lasciare troppo spazio alle macchine?

"In un certo senso sì. Possono essere intelligenti in modi molto specifici e settoriali, ma non hanno l’intelligenza generale che ha il cervello umano. Non capiscono le battute, le sfumature, le emozioni".

Che cosa le piacerebbe sperimentare?

"Non ho abbandonato l’idea di connettere due cervelli, anche se mia moglie vorrebbe tanto che smettessi di pensarci. Ma ne ho avuto abbastanza delle critiche di 15 anni fa".




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venerdì 16 febbraio 2018

LA NUOVA FRONTIERA DEI MICROCHIP RETINALI


Impiantato microchip sotto la retina contro la cecità, prima volta in Italia

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

E' un microchip di circa 3 millimetri e 1.600 sensoried è in grado di restituire una visione indipendente,senza la necessità di supporti esterni come telecamere o occhiali. Un vero e proprio modello di retina artificiale, impiantato all'ospedale San Raffaele di Milano" per la prima volta in Italia", fanno sapere dalla struttura del gruppo ospedaliero San Donato. La protesi sottoretinica hi-tech è stata utilizzata su una donna non vedente che ora "sta bene ed è stata dimessa dall'ospedale", dopo il delicato intervento durato quasi 11 ore, condotto da un'équipe di specialisti in chirurgia vitreo - retinica e oftalmo - plastica dell'Unità di Oculistica, diretta da Francesco Maria Bandello. L'operazione è stata interamente finanziata da Banca Mediolanum.


Ora la paziente attende l'accensione del microchip che stimolerà gradualmente la retina, consentendole di 'imparare' nuovamente a vedere. Il microchip, denominato Alpha Ams e prodotto dalla compagnia tedesca Retina Implant è stato pensato per persone che hanno perso la vista durante l'età adulta a causa di gravi malattie genetiche della retina, come la retinite pigmentosa. Il dispositivo può ripristinare la percezione della luce e delle sagome di alcuni oggetti e persone circostanti. Si tratta, spiegano gli esperti, "del sistema di visione artificiale più evoluto al mondo". Il funzionamento si basa sulla sostituzione dei fotorecettori della retina, cioè le cellule specializzate (i coni e bastoncelli) deputate a tradurre la luce in segnali bioelettrici che arrivano al cervello attraverso il nervo ottico. I fotorecettori ormai non più funzionanti vengono sostituiti da un fotodiodo, un microscopico apparato elettronico in grado di trasformare la luce in uno stimolo elettrico. Il microchip viene inserito al di sotto della retina, in corrispondenza della macula, in modo da stimolare il circuito nervoso che naturalmente collega l'occhio al cervello: in questo modo si sostituisce all'attività delle cellule non più in grado di fare il loro lavoro. L'équipe di camici verdi - diretta da Marco Codenotti, responsabile del servizio di Chirurgia vitreo-retinica dell'Irccs di via Olgettina, coadiuvato per la parte extraoculare da Antonio Giordano Resti, responsabile del servizio di Chirurgia oftalmo-plastica dello stesso ospedale - ha eseguito l'intervento il 20 gennaio. La paziente ha 50 anni e soffre fin da giovane di retinite pigmentosa, malattia genetica che provoca la graduale riduzione della vista. I primi sintomi sono iniziati durante l'adolescenza e in seguito la visione si è gradualmente ridotta fino a esaurirsi totalmente. Oltre al microchip che è stato inserito al di sotto della retina, è stato posizionato dietro all'orecchio - sotto la pelle nella regione retroauricolare - un circuito di collegamento che lo unisce all'amplificatore del segnale elettrico. Per Codenotti si può parlare di "un vero e proprio 'occhio bionico', perché il dispositivo è appunto all'interno dell'occhio e non ha bisogno di ausili esterni". Finora questo nuovo modello di protesi sottoretinica (Alpha Ams) è stato impiantato in pochissimi pazienti ed esclusivamente in 2 centri europei. Ora la prima italiana. "L'intervento - confida Codenotti - è stato il più complicato che abbia mai eseguito. Ogni passo è fondamentale e delicato e la riuscita dell'intervento può essere compromessa da un momento all'altro. L'aver visto il microchip posizionato correttamente è stato per me un sogno realizzato, una grandissima emozione". Adesso, continua lo specialista, "ci aspettiamo una stimolazione retinica che gradualmente potrà portare la paziente a reimparare a vedere, muovendo i propri occhi".Per l'ingegnere Elena Bottinelli, amministratore delegato del San Raffaele, l'intervento "conferma la vocazione dell'ospedale e di tutto il gruppo ospedaliero San Donato ad adottare le soluzioni più innovative per i propri pazienti. Grazie a Banca Mediolanum e all'esperienza della nostra oculistica, è stato possibile raggiungere questo importante risultato, sperimentando una nuova tecnologia. Un passo avanti importante per i pazienti affetti da queste gravi patologie".Banca Mediolanum, afferma l'amministratore delegato Massimo Doris, "ha deciso di finanziare interamente il primo impianto italiano di microchip sottoretinico, considerato il più evoluto sistema di visione artificiale al mondo. Un progetto pionieristico che apre una nuova strada nella chirurgia vitreoretinica e soprattutto accende una speranza nelle persone affette da malattie genetiche ereditarie, come la retinite pigmentosa. Poter essere al fianco di una realtà di eccellenza in campo medico e scientifico, quale l'Irccs ospedale San Raffaele, non vuol dire solo aver dato un sostegno economico, ma essere stato un tassello di un progetto innovativo che mi auguro possa coinvolgere numerosi altri finanziatori che intendano seguire il nostro esempio".

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martedì 13 febbraio 2018

IL MODULO SPAZIALE EUROPEO COLUMBUS …E LA VITA NELLO SPAZIO


Il  modulo Columbus sulla Stazione Spaziale Internazionale, il centro di ricerca europeo nello spazio. Negli ultimi 10 anni, è stato utilizzato dagli astronauti per condurre esperimenti su se stessi, coltivare piante e persino sviluppare nuovi metalli: scopriamone di più. Dieci anni fa, Columbus è stato lanciato nella stiva dello shuttle Atlantis. Il primo laboratorio europeo in orbita è stato costruito per la Stazione Spaziale Internazionale. Ora è un proficuo luogo di lavoro, il preferito dall'astronauta italiano Paolo Nespoli, recentemente tornato dallo spazio.


PAOLO NESPOLI, ASTRONAUTA:
"Per un astronauta europeo, è un po' come essere a casa: per definizione, quando un astronauta europeo vola, è responsabile di Columbus, del laboratorio stesso, il che significa mantenerlo, assicurarsi che tutto proceda al meglio". Dieci anni fa, l'astronauta Leopold Eyharts era sulla navetta per supervisionare l'installazione. Il modulo pesa ben 10 tonnellate.

LEOPOLD EYHARTS, ASTRONAUTA:
"Sono stato fortunato a far parte di questa missione ed essere il primo astronauta europeo ad entrare nel Columbus, in pratica è il posto principale a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, il modulo all'interno è molto ben organizzato: è un vero laboratorio scientifico". "Qui abbiamo un ambiente di microgravità permanente, quindi possiamo fare esperimenti con una lunga esposizione alla microgravità, è un'autentica infrastruttura scientifica". La crescita delle piante rappresenta un esempio di come gli esperimenti a lungo termine possano produrre risultati rivoluzionari, che potrebbero aiutare a nutrire gli astronauti nello spazio in futuro.



ANN-IREN KITTANG JOST, RESPONSABILE RICERCA INTERDISCIPLINARE:
"In realtà, possiamo coltivare piante in microgravità o assenza di peso: le piante possono adattarsi, possono germogliare dai semi, attraversare l'intero ciclo di vita e produrre nuovi semi, quindi si adattano abbastanza bene a queste condizioni, il che è piuttosto affascinante". Un altro esperimento di lunga data sul Columbus, chiamato Expose, ha visto forme di vita dalla Terra esposte al vuoto dello spazio, al di fuori del Columbus per diverse settimane.

ELKE RABBOW, ASTROBIOLOGA:
"Tre di queste forme sono finite dentro la missione Expose sino alla Stazione Spaziale: insieme ad esse, abbiamo inviato diversi microorganismi, dai batteri ai licheni e anche alcune larve di animali e, in effetti, quando sono tornati, diversi di questi organismi erano sopravvissuti". Molti degli esperimenti si svolgono sugli stessi astronauti, testando muscoli, ossa, sangue e cervello.

Tra le scoperte sorprendenti, il cervello degli astronauti ha una ridotta attività elettrica e una ridotta capacità nello spazio, sebbene nessuno sappia esattamente il perché. Un altro studio a lungo termine, chiamato Dosis, ha creato una mappa 3D dei cambiamenti abbastanza significativi nei livelli di radiazioni che gli astronauti incontrano in diverse parti del modulo Columbus. Si è scoperto, inoltre, che la dose di radiazioni che i loro corpi ricevono dipende anche da altri fattori.

THOMAS BERGER, RESPONSABILE GRUPPO RICERCA BIOFISICA CENTRO EUROPEO ASTRONAUTI:
"Poiché Dosis 3D è in funzione da molto tempo, potremmo anche vedere i cambiamenti nell'ambiente radiattivo, dovuti al fatto che, ad esempio, la Stazione Spaziale è stata sollevata di 70 km in altitudine, il che ha cambiato l'ambiente di radiazione: potremmo vedere le variazioni dovute al ciclo solare, a seconda che il Sole sia molto o poco attivo". Sperimentare in un ambiente privo di gravità ha permesso a questi scienziati di sviluppare nuove leghe metalliche, che vengono ora utilizzate in applicazioni ad alta tecnologia sulla Terra. E mentre a terra possono controllare e riconfigurare i loro strumenti, in orbita si affidano interamente all'equipaggio della Stazione Spaziale.

THOMAS VOLKMANN, CENTRO AEROSPAZIALE TEDESCO:
"Gli astronauti sono importanti per noi, hanno installato la struttura, cambiato i sistemi delle telecamere, per determinati esperimenti possiamo aver bisogno di fotocamere ad alta risoluzione spaziale, o per altri esperimenti abbiamo bisogno di un livello di frame elevato, tutto ciò è messo in atto dagli astronauti". Columbus è solo un modulo della Stazione Spaziale Internazionale, con a bordo anche laboratori americani, giapponesi e russi. La piattaforma, fondata da un modulo russo nel 1998, dovrebbe funzionare anche nel prossimo decennio.

LEOPOLD EYHARTS, ASTRONAUTA:
"La Stazione Spaziale Internazionale è anche un ottimo strumento per preparare il futuro dell'esplorazione, dal punto di vista medico sullo studio del corpo umano, ma anche tecnologico, della robotica ed altri tipi di cose utilizzabili nell'esplorazione futura".

PAOLO NESPOLI, ASTRONAUTA:
"È incredibile che in uno spazio relativamente piccolo, perché alla fine si tratta di un modulo, grande quanto una stanza, puoi fare tutto ciò che vuoi relativamente alla scienza nello spazio".

Da:
http://it.euronews.com/2018/01/18/space-il-centro-europeo-astronauti-e-il-columbus


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DI MARCO LA ROSA
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