IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

venerdì 27 dicembre 2019

IL MISTERO DEL "PESCE GHIACCIOLO"





Sequenziato da ricercatori il genoma del pesce ghiacciolo unico vertebrato capace di vivere senza emoglobina.

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa  (ENEA)

Come si può vivere senza emoglobina in un ambiente ostile come quello dell’oceano antartico con temperature costantemente sotto zero?

I ricercatori dell’Università di Padova hanno cercato la risposta sequenziando il genoma del pesce ghiacciolo o “icefish” - l’unico vertebrato privo del principale trasportatore di ossigeno, l’emoglobina. Lo studio è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista «Nature - Communications Biology». Il lavoro analizza sia il genoma che il trascrittoma muscolare (l’insieme di tutti i geni espressi nel muscolo) del pesce ghiacciolo Chionodraco myersi confrontandolo con altri pesci provvisti invece di emoglobina che vivono sia in aree temperate che nello stesso Oceano Antartico.

«Gli adattamenti che hanno permesso ai pesci ghiacciolo di vivere senza emoglobina in un ambiente così estremo sono molteplici – spiega il prof. Tomaso Patarnello, Dipartimento di Biomedicina comparata e Alimentazione dell’Università di Padova e responsabile della ricerca -. In milioni di anni di evoluzione nell’Oceano Meridionale, con temperature costantemente sotto gli 0°C, i pesci ghiacciolo hanno sviluppato un sistema circolatorio provvisto di una rete di vasi sanguigni molto più ramificata e con diametro dei vasi maggiore delle specie a sangue rosso, cioè con emoglobina.  Queste modificazioni, come pure la maggiore dimensione del cuore, sono adattamenti peculiari dei pesci ghiacciolo per poter trasportare - in assenza di emoglobina - l’ossigeno disciolto nel sangue in modo più efficiente.»

«L’adattamento più sorprendente però è a livello mitocondriale (la centrale energetica della cellula) – dice il prof. Luca Bargelloni, primo autore dell’articolo -. In questi pesci i mitocondri sono di gran lunga più numerosi e più grandi rispetto a qualsiasi specie presa a confronto».

I risultati della ricerca mostrano come sia evidente un adattamento a livello del genoma di questo pesce che nel corso della sua evoluzione sembra aver duplicato proprio i geni che riguardano le funzioni mitocondriali chiave per sopravvivere alle condizioni dell’Oceano Antartico. «Il processo di evoluzione che ha permesso a questi pesci di adattarsi ad un ambiente così estremo ha richiesto molti milioni di anni ed è ormai irreversibile. I pesci ghiacciolo e le altre specie di pesci antartici tollerano variazioni di temperatura di pochissimi gradi. Se esposte a temperature anche di poco superiori allo zero, muoiono. Il riscaldamento globale sta interessando con una rapidità impressionante ed in modo significativo molte aree dell’Antartide. Rischiamo di spazzare via in pochi decenni milioni di anni di evoluzione» commenta il Prof. Patarnello.

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sabato 21 dicembre 2019

LA NUOVA FRONTIERA DEI NEURONI ARTIFICIALI



Primo neurone artificiale, possibile arma contro l'Alzheimer. Costruito su un chip, utile per combattere molte altre malattie.

SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA (BIOLOGO)


Il primo chip che riproduce il comportamento di un neurone (fonte:  University of Bath) © Ansa

Promette di diventare una futura arma per combattere le malattie causate dalla degenerazione delle cellule nervose, come l'Alzheimer: il primo neurone artificiale in silicio risponde ai segnali del sistema nervoso e segna un passo in avanti verso la possibilità di riparare circuiti nervosi e ripristinare funzioni perdute. Descritto sulla rivista Nature Communications, è il frutto della ricerca coordinata da Alain Nogaret, del dipartimento di Fisica dell'università britannica di Bath, e condotta con l'università svizzera di Zurigo e quella neozelandese di Auckland. Fanno parte del gruppo di lavoro anche gli italiani Elisa Donati e Giacomo Indiveri, entrambi dell'Università di Zurigo. Inseguiti da tempo, i primi neuroni in silicio sono un esempio della cosiddetta medicina bioelettronica, che con materiali artificiali imita circuiti e processi naturali. Le cellule nervose artificiali appena ottenute hanno come modello i neuroni di ratto, ma la strada è ormai aperta verso ulteriori sviluppi. "Progettare dispositivi del genere è stata un'autentica sfida", rilevano i ricercatori. "Finora i neuroni sono stati delle scatole nere, ma ora sappiamo come guardare al loro interno. Il nostro lavoro - rileva Nogaret - cambia un paradigma perché fornisce una tecnica per riprodurre in dettaglio le proprietà elettriche dei neuroni".


                       Il neurone su chip confrontato con una moneta (fonte: University of Bath)

Ad accelerare le possibili applicazioni per futuri dispositivi biomedici c'è poi il fatto che i neuroni artificiali consumano un miliardesimo dell'energia di un microprocessore". I neuroni su chip riproducono i canali ionici, ossia le sequenze di proteine che si trovano sulla superficie delle cellule e che, come delle finestre, permettono il passaggio di sostanze dall'esterno all'interno delle cellule. Nel caso dei neuroni artificiali, i canali ionici consentono la trasmissione dei segnali nervosi proprio come accade nei neuroni naturali. Sono due, al momento, le cellule nervose imitate sui chip di silicio: quelle che controllano sia la respirazione sia il ritmo del cuore, il cui malfunzionamento è all'origine di disturbi come l'aritmia, e quelle dell'ippocampo, la struttura del cervello nella quale si trova la centralina della memoria. Tra le possibili applicazioni, per Nogaret, sono all'orizzonte "pacemaker intelligenti" che utilizzando i neuroni per aiutare il cuore a battere con il ritmo giusto, oppure "il trattamento di malattie neurodegenerative, come l'Alzheimer".

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mercoledì 18 dicembre 2019

OPERAZIONI AL CERVELLO ...DA SVEGLI...


Suona il piano durante un intervento per un tumore cervello.


Con tecnica Awake Surgery per salvaguardare abilità musicali.

 Non è la prima volta che accade nel mondo e nemmeno in Italia, ma quando un paziente viene operato al cervello da svegliò rappresenta sempre un raro caso e a sè. L’ultimo intervento di questo tipo nel nostro Paese è stato portato a termine a Cesena da un team specializzato dell’ospedale Bufalini su un paziente molto particolare: un musicista jazz, colpito da tumore al cervello, che per tutta la durata dell’operazione ha suonato il pianoforte. Con una eccezionalità in più: durante l’operazione sono state mappate aree cerebrali specifiche per la musica, un elemento che potrà gettare una nuova luce sulla complessità dei processi cerebrali.

Gli interventi con la tecnica della 'Awake Surgery', la 'chirurgia da svegliò, sono stati da tempo sdoganati da alcuni dei medical drama più seguiti della tv e sono finiti, per davvero, perfino su dirette streaming via social a scopo educativo. Si effettuano in determinati casi su pazienti che vengono lasciati in condizioni di veglia per uno scopo duplice: da un lato asportare la massa tumorale e dall’altro salvaguardare abilità specifiche e qualità di vita post intervento.

Nel caso di Cesena i medici hanno monitorato per tutto il tempo le abilità musicali della persona operata, un insegnante e cultore di musica jazz, che mentre era sotto i ferri ha eseguito diversi brani al piano. Durato circa cinque ore, l’intervento è stato eseguito nei giorni scorsi da un’equipe multidisciplinare. «Ciò che lo rende piuttosto raro ed eccezionale - spiega il dottor Luigino Tosatto, direttore dell’Unità operativa di Neurochirurgia del Bufalini insieme ai dottori Vincenzo Antonelli e Giuseppe Maimone - è che in questo paziente per la prima volta abbiamo localizzato aree cerebrali specifiche per la musica, molto complesse da rilevare, per preservare le sue abilità musicali durante l’asportazione della massa tumorale. Inoltre tale approccio ci permetterà di comprendere meglio la complessità dei processi cerebrali che sottendono alcune funzioni cognitive superiori della mente umana, fra cui le abilità artistiche e musicali». Nello specifico durante l'intervento sono state mappate e monitorate tre capacità di comprensione musicale: il riconoscimento dei toni melodici, il ritmo e il contorno musicale.

Al Bufalini la metodica dell’Awake Surgery è iniziata da qualche anno dopo un periodo di perfezionamento dei neurochirurghi cesenati in vari centri tra cui il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Montpellier diretta dal professor Hughes Duffau, luminare della materia.
In Emilia-Romagna due anni fa al Sant'Anna di Ferrara fu effettuato il primo intervento in Italia così concepito su un paziente di tumore al cervello, un altro musicista professionista, operato da sveglio mentre suonava il clarinetto. Ad aprile di quest’anno invece, per la prima volta nel Sud Italia, una musicista è stata operata al cervello mentre suonava il violino, al Santissima Annunziata di Taranto. Nel 2014 Roger Fritsch, un violinista della Minnesota Orchestra, affetto da tremori alle mani di origine neurologica, subì alla Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) l’impianto di elettrodi in una particolare zona del cervello mentre suonava il violino. In Brasile nel 2015 un paziente non solo ha suonato la chitarra mentre veniva operato al cervello ma ha anche cantato.

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sabato 14 dicembre 2019

IL METALLO "BOSONICO" E' UNA REALTA'?


Ecco un nuovo stato della materia: il metallo bosonico.

Le coppie di Cooper, le coppie di elettroni responsabili della superconduttività di certi materiali, possono anche condurre elettricità come in un normale metallo.

Un materiale che conduce elettricità come se fosse un normale metallo, ma che tanto normale non è visto che a trasportare la corrente non sono elettroni solitari ma le coppie di Cooper, duetti di elettroni che si comportano come bosoni e che sono alla base della superconduttività. A scoprire questo nuovo stato della materia sono stati i ricercatori della Brown University, che hanno osservato sperimentalmente come le coppie di Cooper possano anche condurre elettricità con una certa resistenza, come avviene appunto nei comuni metalli. Un fenomeno sorprendente, che – come sostengono i ricercatori su Science – richiederà una nuova spiegazione teorica.

Superconduttori e isolanti

Per capire l’entusiasmo dei ricercatori dobbiamo fare un salto indietro agli anni ’70, quando il fisico Leon Cooper descrisse il fenomeno della superconduttività, individuando il ruolo di coppie di elettroni (chiamate poi coppie di Cooper) in grado di muoversi liberamente nel materiale senza incontrare resistenza, spiegazione che gli valse il premio Nobel nel 1972. Bisogna sapere che le particelle quantistiche si dividono in fermioni e bosoni, a seconda del valore (intero o semi intero) di una proprietà chiamata spin. Gli elettroni sono dei fermioni e quando si muovono da soli in un metallo si scontrano tra loro perché non possono occupare lo stesso spazio (orbitale – ndr –MLR); invece quando si uniscono in una coppia di Cooper si comportano come bosoni (che possono scivolare l’uno nell’altro) e si coordinano con altre coppie di Cooper riducendo la resistenza a zero. Ed ecco un superconduttore. Nel 2007, poi, il fisico Jim Valles e l’ingegnere Jimmy Xu della Brown University dimostrarono che le coppie di Cooper potevano anche produrre degli stati isolanti: in materiali molto sottili, anziché dare origine a un movimento coordinato, le coppie si accordano per bloccarsi sul posto costituendo delle isole.

Un nuovo stato della materia

Valles e Xu, però, credevano che non fosse tutto qui e che le coppie di Cooper potessero assumere altri comportamenti che non erano ancora stati in grado di vedere sperimentalmente. Ora, sembrano esserci riusciti. In un modello di superconduttore a film sottile, costituito da una matrice a piccoli fori di ossido di ittrio bario e rame, quando si applica un campo magnetico in condizioni di temperatura di -181°C (che è elevata se si pensa che i superconduttori funzionano a temperature solo di poco superiori allo zero assoluto, cioè – 273,15°C), la corrente che lo attraversa è dovuta al movimento di coppie di Cooper che però incontrano resistenza, come gli elettroni in un normale metallo. “Siamo in grado di misurare la frequenza con cui queste cariche circolano”, ha commentato Valles. “In questo caso, abbiamo scoperto che la frequenza è coerente con la presenza di due elettroni alla volta che girano [attorno ai fori della matrice] e non di uno solo. Quindi possiamo concludere che i portatori di carica in questo stato sono coppie di Cooper e non singoli elettroni”. Che le coppie di Cooper siano responsabili di quello che alla fine è uno stato metallico è in assoluto una novità, spiegano i ricercatori. Ed è anche una sorpresa perché per certi principi di fisica quantistica questo comportamento bosonico non dovrebbe essere possibile. Saranno di certo necessarie ulteriori ricerche per confermare queste prime osservazioni e nel caso bisognerà spiegare il fenomeno dal punto di vista teorico, ma potremmo essere sul punto di veder nascere una nuova fisica, da sfruttare per creare nuovi tipi di dispositivi elettronici.

Da: https://www.wired.it/scienza/lab/2019/11/18/nuovo-stato-materia-metallo-bosonico/

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martedì 10 dicembre 2019

TERZA CONFERENZA SULLA SINDONE: 13 DICEMBRE 2019 ORE 21,00



LA SINDONE
ISTANTANEA DINAMICA DI UN FENOMENO STRAORDINARIO CHIAMATO “RESURREZIONE”
… TRA SCIENZA E FEDE…

a cura di Marco La Rosa & Giorgio Pattera


Abstract:

Un lenzuolo di lino di chiara origine antica, quattro metri e mezzo per uno. L’apparente, umile qualità del tessuto e le dimensioni ridotte sono inversamente proporzionali all’ampio e intenso dibattito che da sempre la Sindone suscita. L’uomo di cui è visibile l’immagine è il Cristo dei Vangeli? I segni delle torture corporali sono quelli subiti dal Nazareno durante la passione? Queste domande interrogano indistintamente comunità scientifica e persone comuni. L’arcivescovo Custode, Mons. Cesare Nosiglia, propone due criteri di riferimento: "scientificità" e "neutralità". Cioè: non si faccia ricerca sulla Sindone partendo da "ipotesi pregiudiziali", di cui inevitabilmente si vorrebbe avere conferma, ma si svolga invece un lavoro realmente scientifico, in modo da accrescere la conoscenza del Telo, mettendo a disposizione dell’intera comunità scientifica mondiale risultati di sperimentazioni che siano autorevoli e credibili. La "neutralità" della scienza dovrebbe essere il riferimento naturale per chi opera in tali contesti. La Sindone, infatti, non è dogma di fede, ma la tradizione e l’insegnamento della Chiesa guardano al Telo come “icona della Passione”, racconto impressionante di quelle sofferenza che i Vangeli descrivono nella crocifissione, morte e sepoltura di Gesù Cristo. Per questo, dice Nosiglia citando San Giovanni Paolo II, essa rimane “sfida all’intelligenza e specchio del Vangelo”.

“…l’energia è emanata dal corpo, ma proviene da una sorgente che si irradia da un punto non definito e sempre nella stessa direzione, ma interagisce con la materia su tutte le dimensioni…”

“…imprime l’immagine sotto e sopra… lo schema proiettivo si mantiene immobile, mentre il corpo si muove… Il fenomeno rilevato sulla Sindone è simile al risultato della fotografia stroboscopica, che consiste nell’impressione di più immagini, in rapidissima sequenza, di un corpo in movimento sulla stessa pellicola” (dal commento al video del Prof. G.M. Catalano)

“È già noto che le macchie di sangue sulla Sindone contengono livelli elevati di bilirubina: ci sono diverse analisi quantitative, eseguite sulla Sindone nel 1978 da parte del gruppo di scienziati statunitensi dello STuRP (Shroud of Turin Research Project, Progetto di Ricerca sulla Sindone di Torino) e confermate da analisi parallele del prof. Baima Bollone, medico e professore ordinario di Medicina legale nell’Università di Torino. La bilirubina è una sostanza presente in eccesso nel sangue umano in due casi: quando la persona è malata di ittero oppure quando la persona è stata duramente percossa. Sembra quindi assai probabile che l’uomo della Sindone sia stato torturato”…

“Le misure di radio-datazione della Sindone tramite C-14 eseguite n el 1988 hanno fornito come risultato un’età risalente al medioevo, ma da scienziato io vedo che ci sono molti dubbi su quella misura. In particolare, un approfondito studio statistico del prof.Riani dell’Università di Parma ha permesso sia di evidenziare una probabile contaminazione dei campioni della Sindone usati per la datazione, sia di svelare che uno dei 4 lembi dati ai Laboratori non fu mai datato. Quest’ultimo fatto è stato tenuto segreto per 22 anni e rivela un comportamento non trasparente e censurabile di almeno uno dei laboratori che hanno partecipato alle misurazioni del 1988. In un mio articolo su “Academia.edu” ho riassunto alcuni dei principali problemi di affidabilità della misura di datazione effettuata nel lontano 1988”… (dal commento del Prof. Paolo Di Lazzaro (ENEA) – Vice-Direttore Centro Internazionale di Sindonologia).
     
“Oggi sappiamo quello che la Sindone non è: non è un dipinto, non è una fotografia, non è una bruciatura del tessuto, non è ottenuta tramite sfregamento, ma non conosciamo nessun meccanismo che può realizzare un’immagine con le stesse caratteristiche chimiche e fisiche dell’immagine della Sindone. Spesso la gente mi chiede se è la prova della Resurrezione, ma la risposta ad una domanda di fede non si trova sulla Sindone, ma negli occhi e nel cuore di coloro che la guardano. Una sintesi perfetta, che condivido”. (dal commento di Barrie Schworz, membro del Gruppo STuRP - Shroud of Turin Research Project).

BIBLIOGRAFIA:

http://marcolarosa.blogspot.com/2012/07/sindone-nuovi-studi-confermano.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2017/04/la-sindone-istantanea-dinamica-di-un.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2009/12/sindone-gli-studi-di-barbara-frale.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2009/04/nuove-rivelazioni-sulla-sindone.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2016/12/annichilazione-materia-antimateria-ama.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2011/12/lenea-smentisce-che-la-sindone-sia-un.html

http://marcolarosa.blogspot.com/2018/04/il-mistero-della-resurrezione.html

https://www.luoghimisteriosi.it/lazio/roma-sindone.html
https://agensir.it/chiesa/2018/07/17/nuovo-studio-sulla-sindone-nosiglia-torino-non-e-tanto-oggetto-di-scienza-ma-soggetto-di-pastorale/

  

CONTRIBUTI VIDEO:

Prof. Giuseppe Catalano (Istituto Internazionale Studi Avanzati di Scienze della Rappresentazione dello Spazio): “Analisi della Sindone attraverso restituzione fotogrammetrica”;
Prof. Paolo Di Lazzaro (ENEA): “La fisica e la Sindone”
Prof. Giuseppe Baldacchini (ENEA): “Gli studi radiativi sulla Sindone”
Prof.ssa Emanuela Marinelli (Sindonologa): “Tracce della Sindone nella storia antica”


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sabato 7 dicembre 2019

ANTICA ROMA: SOCIETA' MULTIETNICA E MULTICULTURALE



Ricostruita la storia genetica degli antichi romani

DA:

La città eterna è da sempre un crogiolo di etnie: lo conferma un nuovo studio pubblicato su Science, che analizza il DNA antico per raccontare 12.000 anni di migrazioni e diversità.


Schiavi sotto il giogo romano, da un rilievo in marmo proveniente da Smirne (Izmir, Turchia), 200 d.C.. Collezione del Museo Ashmolean, Oxford, Inghilterra. Da Wikipedia

Fin dalla sua fondazione, Roma è stata un crocevia di popoli, traguardo e incrocio di migrazioni provenienti da Europa, Asia e Africa. A confermarlo è uno studio pubblicato di recente su Science, che ha analizzato il DNA antico di 127 individui rinvenuti in 29 siti archeologici di Roma e dintorni, riconducibili a un arco temporale di 12mila anni: dal Paleolitico superiore all’Età moderna.

 La ricerca, condotta da un gruppo internazionale di studiosi, che coinvolge diversi enti di ricerca, fra cui le università di Stanford, Vienna e La Sapienza di Roma, rivela che la città eterna fu investita nella storia da almeno due grandi migrazioni: la prima si verificò circa 8mila anni fa, nel Neolitico, con l’arrivo di agricoltori di origine mediorientale - anatolici e iraniani - che si mescolarono con i cacciatori-raccoglitori già presenti nell’area; la seconda fra 5mila e 3mila anni fa, nell’Età del bronzo, con la comparsa di popolazioni provenienti dalla steppa ucraina. Con la nascita dell’Impero Romano la variabilità genetica crebbe ulteriormente, in coincidenza con l’arrivo di popolazioni provenienti dalle aree mediterranee, in particolare dal Vicino Oriente. Con la scissione dell’Impero e la costituzione del Sacro Romano Impero, si intensificò poi il flusso migratorio proveniente dall’Europa centrale e settentrionale.

Ma fu soprattutto in seguito alla rapida espansione dell’Impero - che si estendeva fino alla Gran Bretagna a nord, il Nord Africa a sud e la Siria, la Giordania e l’Iraq a est - che aumentarono gli spostamenti degli individui, generati dalle reti commerciali, dalle nuove infrastrutture stradali, dalle campagne militari e dalla schiavitù. E a confermare le relazioni fra Roma e le altre parti dell’Impero sono le fonti archeologiche.

"L'analisi del DNA ha rivelato che, mentre l'Impero Romano si espandeva nel Mar Mediterraneo, migranti provenienti dal Vicino Oriente, Europa e Nord Africa si stabilivano a Roma, cambiando sensibilmente il volto di una delle prime grandi città del mondo antico”, dichiara Jonathan Pritchard, docente di Genetica e Biologia all’Università di Stanford, fra gli autori dello studio.

"Per la prima volta uno studio di così grande portata è applicato alla capitale di uno dei più grandi imperi dell'antichità, Roma, svelando aspetti sconosciuti di una grande civiltà classica", prosegue Alfredo Coppa, docente di Antropologia fisica all’Università La Sapienza, anche lui coinvolto nella ricerca.

Il prossimo passo per gli studiosi sarà quello di proseguire con il campionamento del DNA antico di individui provenienti da un range geografico più ampio. Ciò potrebbe consentire loro di affermare con maggiore certezza come avvenivano le migrazioni che coinvolgevano queste antiche popolazioni. Fra gli obiettivi a lungo termine, lo studio dell’evoluzione di tratti come l’altezza, la tolleranza al lattosio e la resistenza a patologie come la malaria, che potrebbero aver subito delle modifiche nel tempo.

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