IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

domenica 4 giugno 2023

CONTATTO ALIENO: REALTA' O INGANNO TERRESTRE?

 ...IL NUOVO LIBRO DI MIRKO PELLEGRIN...


“Questa nuova pubblicazione nasce in buona parte dalla collaborazione con il ricercatore indipendente Marco Guzzonato, studioso medianico e spirituale. Con questo lavoro l’autore ha messo in luce un aspetto sconcertante – quello del contattismo – che forse a livello locale non era mai stato affrontato in modo corretto e specifico, facendolo uscire da quella gabbia che lo relegava alla mera area religiosa-fideistica, dimostrando come esso sia in realtà un fenomeno degno di studio. Affrontandolo in modo lucido e con metodo diretto, utilizzando anche la ricerca spirituale, Pellegrin è riuscito a porre una linea guida a questo tipo di analisi, permettendo all’autore di entrare in contatto in modo diretto e netto con alcuni soggetti autodefinitosi contattisti. E in base alle loro dichiarazioni, nasce l’input per questo nuovo libro, dedicato a tutti coloro che si rivolgono al fenomeno contattista con rinnovata curiosità ma con spirito critico e scevro da pregiudizi”.

https://www.placebookpublishing.it/contatto-alieno-realta-o-inganno-terrestre-mirko-pellegrin/

CHI E’ MIRKO PELLEGRIN:

Articolista e pubblicista, divulgatore scientifico, da oltre venticinque anni ricercatore nel settore ufologico. Coordinatore per il Triveneto del CUN (Centro Ufologico Nazionale), associazione privata attiva fin dal 1966 con lo scopo di studiare e divulgare la tematica ufologica. Autore di numerose pubblicazioni di settore, collabora con “Ufo International Magazine”, rivista ufficiale del Cun, ospite in numerose trasmissioni locali televisive e radiofoniche, partecipa come relatore in numerosi convegni nazionali promuovendo la divulgazione della tematica ufologica in parallelo con quella esobiologica. È al suo secondo libro dopo il successo di “Ufo e Alieni: la porta del Triveneto” edito da FCOIAA. Vive a Vicenza.


domenica 31 ottobre 2021

GRAVITA' ARTIFICIALE: IMPRESCINDIBILE PER IL FUTURO DELL'UOMO NELLO SPAZIO

 



Troppo tempo nello spazio procura danni al cervello, lo studio su 5 cosmonauti

Dopo aver analizzato gli effetti della permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale di cinque cosmonauti russi, un team di ricercatori è giunto alla conclusione che trascorrere troppo tempo nello spazio può causare danni al cervello. Lo studio è disponibile sulla rivista JAMA Neurology:

https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/article-abstract/2784623

In realtà molti effetti della permanenza nello spazio sul corpo umano, in particolare sul cervello, sono già noti e questo è uno studio che conferma che, prima di iniziare un’era spaziale in cui i viaggi saranno della durata di molti mesi o anni o che vedrà comunque una permanenza umana nello spazio prolungata, si dovrà prima mettere a punto qualche soluzione.

1)  Campioni di sangue di cinque cosmonauti

2)  Lesioni delle fibre nervose presenti nella sostanza bianca

3)  Lesioni cerebrali lievi ma comunque durature

4)  Deflusso venoso nella testa causato dalla microgravità

Campioni di sangue di cinque cosmonauti:

I campioni di sangue dei cinque cosmonauti, rimasti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per una media di 169 giorni, sono stati raccolti prima della partenza della missione e subito dopo il ritorno a terra. Il sangue è stato poi prelevato anche una settimana dopo l’atterraggio e tre settimane dopo. I ricercatori hanno potuto valutare la salute del cervello tramite i marcatori presenti nel sangue; è la prima volta per un volo spaziale con durata così lunga.

Lesioni delle fibre nervose presenti nella sostanza bianca:

I ricercatori hanno rilevato un aumento del numero di diverse proteine nel cervello e alcuni di questi aumenti si rivelavano più massicci durante la prima settimana dopo il ritorno a terra (sempre rispetto ai valori dei campioni prelevati prima della partenza). I marcatori indicavano lesioni delle fibre nervose presenti nella sostanza bianca del cervello e nel tessuto circostante, la glia. I ricercatori hanno inoltre notato un aumento, ancora più grande, per due varianti della proteina beta-amiloide. L’aumento di quest’ultima ha caratterizzato tutto il periodo di tre settimane dopo l’atterraggio ed è certamente collegato al periodo trascorso sulla stazione spaziale.

Lesioni cerebrali lievi ma comunque durature:

Secondo Peter zu Eulenburg, uno dei ricercatori dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera (LMU) impegnati nello studio, si tratta di risultati che mostrano lesioni cerebrali lievi ma comunque durature e un certo livello di neurodegenerazione accelerata. Inoltre tutti i principali tessuti del cervello sembravano essere colpiti dall’effetto. Si citano anche, nel comunicato della LMU che presenta lo studio, i risultati raggiunti da ricerche precedenti riguardanti un abbassamento della vista avvenuto in diversi astronauti dopo missioni a lungo termine.

Deflusso venoso nella testa causato dalla microgravità:

Secondo i ricercatori l’aumento di queste proteine all’interno del cervello può essere causato da un deflusso venoso nella testa a sua volta causato dalla microgravità. Un meccanismo del genere, sul lungo periodo, potrebbe portare ad un aumento del liquido cerebrospinale e ad una maggiore pressione sulla materia bianca e sulla materia grigia.

Gli stessi ricercatori ammettono che altri studi dovrebbero essere condotti sugli effetti della microgravità sul cervello umano per capire come ridurre e minimizzare questi rischi neurologici per le missioni esplorative nello spazio di lunga durata. Il riferimento maggiore è sicuramente al viaggio dei primi esseri umani su Marte.

Da:

https://notiziescientifiche.it/troppo-tempo-nello-spazio-procura-danni-al-cervello-lo-studio-su-5-cosmonauti/

 


Mancanza di gravità produce gravi danni anche a occhi: gravità artificiale essenziale per viaggi spaziali lunghi

Gli studi riguardanti gli effetti della mancanza di gravità sul corpo umano sono tantissimi e molti di essi sono stati effettuati proprio grazie alla Stazione Spaziale Internazionale. I risultati però sono sempre gli stessi: per eventuali viaggi spaziali molto lunghi con esseri umani a bordo, le astronavi dovranno essere per forza di cose caratterizzate da una sorta di gravità artificiale.

Gli effetti della mancanza di gravità, sul medio e sul lungo periodo, infatti, sono troppo gravi; si va dall’atrofia muscolare fino alla perdita di densità ossea per passare da organi con funzionalità ridotte, circolazione del sangue fortemente limitata e finanche cambiamenti genetici. Un altro studio, pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences e realizzato da un gruppo di ricercatori della NASA e della JAXA, conferma quanto la gravità artificiale risulti essenziale per pianificare viaggi a lungo termine nello spazio. Questo studio ha in particolare esaminato i cambiamenti nei tessuti oculari in alcuni topi dopo che questi ultimi hanno trascorso 35 giorni a bordo dell’ISS. A bordo della stazione i topi sono stati divisi in due gruppi: una parte viveva nelle condizioni classiche di microgravità che si hanno a bordo dell’ISS, un’altra parte ha vissuto questi giorni in un ambiente che con forza centrifuga produceva una sorta di gravità artificiale di 1 g, l’equivalente della gravità terrestre. Il primo gruppo, che viveva a gravità ridotta, sviluppava danni ai vasi sanguigni degli occhi a differenza del secondo gruppo. Lo spostamento dei fluidi verso la testa, dovuto alla mancanza di gravità, influenza tutto il sistema vascolare del corpo e quindi anche i vasi sanguigni negli occhi. Questo significa che per missioni della durata di molti mesi o anni, periodi necessari per raggiungere, per esempio, pianeti al di fuori del sistema solare, una gravità artificiale a bordo delle astronavi sarà assolutamente necessaria.

https://notiziescientifiche.it/mancanza-di-gravita-produce-gravi-danni-anche-a-occhi-gravita-artificiale-essenziale-per-viaggi-spaziali-lunghi/

PER APPROFONDIMENTI LEGGI ANCHE:

http://marcolarosa.blogspot.com/2018/06/il-futuro-delluomo-nello-spazio.html

 

 SE TI E' PIACIUTO QUESTO POST NON PUOI PERDERE:


LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?

"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
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martedì 10 agosto 2021

LE CELLULE UMANE POSSO CONVERTIRE RNA IN DNA? NO!


AVEVO DECISO DI NON SCRIVERE E/O PUBBLICARE PIU' NULLA RIGUARDO AL COVID.

EBBENE, TRASGREDISCO PER VOCE (AUTOREVOLE) DEI "BIOLOGI PER LA SCIENZA". VI INVITO A LEGGERE QUESTO BREVE ARTICOLO E DIVULGARLO AD ALTRI CHE NE POSSANO AVERE BISOGNO...LEGGI "NO VAX"  E NON SOLO...PURTROPPO!

GRAZIE

Marco La Rosa


"È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s'illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza.”

SOCRATE


L' RNA che diventa DNA

di Riccardo Spanu, membro e fondatore di Biologi per la Scienza, laureato in Pharmaceutical Biotechnologies (UniPD).

da: https://www.biologiperlascienza.it/2021/06/lrna-che-diventa-dna/

Di recente è uscito un articolo dal titolo a dir poco ridicolo: “cellule umane possono convertire l’RNA in DNA, vacilla il “dogma della biologia”. Lo studio”. Il motivo per cui è ridicolo è semplice: il dogma (centrale) della biologia è morto da anni, anzi, decenni.

Nel 1970 abbiamo scoperto che vari virus hanno degli enzimi chiamati retrotrascrittasi che sono in grado di convertire l’RNA in DNA. Qualche anno dopo abbiamo scoperto le telomerasi, che nelle cellule staminali e tumorali si occupano di evitare che i telomeri si accorcino e che quindi queste cellule muoiano, cosa che fanno retrotrascrivendo frammenti di RNA in DNA.

Lo studio citato da questo articolo quindi non è interessante perché ha fatto vacillare il dogma centrale della biologia, perché questo è già morto e sepolto da un bel pezzo. Il motivo per cui è interessante è che ha scoperto un probabile motivo per cui alcuni tumori sono resistenti ai farmaci che dovrebbero distruggerne il DNA: la polimerasi teta (Polθ) è infatti in grado di riparare il DNA danneggiato usando come stampo un RNA.

La domanda che tutti si sono posti però è: potrebbe essere che Polθ prenda l’mRNA dei vaccini e lo inserisca nel nostro genoma?

La risposta breve è: no.

La risposta un po’ più lunga è: teoricamente è possibile, come è possibile che un giorno Burioni diventi no-vax.

La risposta lunghissima è: no, per tante ragioni

1) Polθ è espressa a livelli rilevanti praticamente solo in tumori e in alcune cellule nel timo, quindi nelle vostre cellule del deltoide, dove va il vaccino, non c’è, e già questo sarebbe abbastanza per chiudere la questione.

2) Anche se però Polθ fosse espressa nelle vostre cellule, lei se ne starebbe nel nucleo e l’mRNA del vaccino nel citoplasma, e quindi comunque non lo potrebbe retrotrascrivere.

3) Se l’mRNA del vaccino finisse in qualche modo nel nucleo, comunque Polθ lo ignorerebbe, perché non funziona con i singoli filamenti di RNA.

4) Anche se l’mRNA del vaccino dovesse trovare una sequenza di DNA abbastanza simile a cui appaiarsi, comunque Polθ non funzionerebbe, perché la funzione di retrotrascrizione si attiva solo nel caso in cui il DNA complementare sia rotto.

L’unico modo in cui quindi Polθ potrebbe inserire l’mRNA dei vaccini nel genoma delle vostre cellule richiederebbe che: ci sia Polθ (che non c’è), l’mRNA vada nel nucleo (e non ci va), che trovi una sequenza simile a cui appaiarsi (buona fortuna) e che questa sequenza però sia anche spezzata (e non succede).

5) Se tutte queste cose accadessero, Polθ inserirebbe al massimo un piccolo pezzo di mRNA, perché come tutte le retrotrascrittasi è un enzima molto pigro (in termini tecnici si direbbe poco “processivo”), e quindi probabilmente per la cellula non cambierebbe nulla

6) Nel caso in cui invece la cellula se ne accorgesse, molto probabilmente farebbe quello che le cellule fanno quando scoprono che il loro genoma è stato danneggiato: si suiciderebbe.

Il riassunto quindi è che no, l’ultima (comunque interessantissima) scoperta di biologia molecolare non sconvolge proprio niente e non implica che i vaccini ci modificano il DNA, ma in compenso conferma che abbiamo un disperato bisogno di giornalisti che capiscano di cosa stanno scrivendo.

da:

https://www.biologiperlascienza.it/2021/06/lrna-che-diventa-dna/


mercoledì 28 aprile 2021

CRISPRoff: INGEGNERIA GENETICA 2.0


Nuova Crispr reversibile, regola i geni senza alterare il Dna

Utile per curare malattie e per studiare l'ereditarietà

(fonte: J. Cook-Chrysos/Whitehead Institute)

Da:

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2021/04/13/nuova-crispr-reversibile-regola-i-geni-senza-alterare-il-dna_e002c27a-c5e6-41ba-a368-119cd42b6d3e.html

Dopo la tecnica da Nobel CRISPR-Cas9, che 'taglia e incolla' il Dna per modificarlo in maniera ultra precisa, arriva ora la CRISPRoff, un nuovo metodo più sicuro che permette di spegnere i geni in maniera reversibile: questo è possibile perché non altera la sequenza del Dna, ma vi appone delle 'etichette' removibili che ne impediscono la lettura. Pubblicata sulla rivista Cell dai ricercatori del Whitehead Institute for Biomedical Research di Cambridge (Usa), la CRISPRoff potrebbe essere impiegata a scopo terapeutico e nello studio dell'epigenetica, ovvero delle modificazioni chimiche con cui le cellule rivestono il Dna per regolarne l'espressione: ereditabili e influenzate da ambiente e stile di vita, sono coinvolte nella genesi di molte malattie, compresi alcuni tumori.

“Ora abbiamo un semplice strumento che può silenziare la maggior parte dei geni”, spiega il biologo Jonathan Weissman. “Possiamo agire su più geni contemporaneamente senza danneggiare il Dna, con grande omogeneità e in modo reversibile”. Uno strumento dell'ingegneria genetica 2.0 in grado di riprodurre in laboratorio il naturale meccanismo di metilazione del Dna, che consiste nell'aggiunta di un'etichetta chimica (chiamata 'gruppo metile') per impedire a certe sequenze di essere lette. Nel caso della tecnica CRISPRoff, l'operazione viene svolta da una macchina proteica che attacca gruppi metile in punti precisi del Dna. In questo modo è possibile silenziare i geni, ma non solo: si può agire anche su sequenze di Dna non codificanti che regolano l'espressione di altri geni. Per cancellare le modifiche, basta utilizzare degli enzimi (CRISPon) che vanno a staccare i gruppi metile dal Dna.

La tecnica CRISPRoff è stata sperimentata per silenziare un gene in cellule staminali pluripotenti indotte (cioè riprogrammate a partire da cellule adulte): la modifica epigenetica si è dimostrata stabile anche dopo molte divisioni cellulari ed è stata mantenuta dal 90% delle cellule una volta trasformate in neuroni.

Per valutare l'eventuale applicazione terapeutica della CRISPRoff, i ricercatori l'hanno utilizzata per modificare l'espressione del gene della proteina Tau coinvolta nell'Alzheimer: come risultato sono riusciti a ridurne la produzione, anche se non l'hanno spenta del tutto. Resta ancora da capire se questo risultato possa avere un impatto effettivo sulla malattia. Bisogna poi escogitare un modo per somministrare una simile terapia in modo mirato nei tessuti di un individuo adulto: i ricercatori pensano che la cassetta degli attrezzi molecolare potrebbe essere veicolata tramite Dna o Rna, usando in pratica la stessa tecnologia alla base dei vaccini anticovid di Moderna e Pfizer-Biontech.

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LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?

"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
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venerdì 23 aprile 2021

IL MUONE, QUESTO SCONOSCIUTO?

 

                                                         L'acceleratore del Fermilab

Da:

https://www.repubblica.it/cronaca/2021/04/07/news/l_anomalia_del_muone_perche_un_risultato_inatteso_puo_aprire_le_porte_a_una_nuova_fisica-295425405/

L'anomalia del muone: l'esperimento che suggerisce l'esistenza di nuove forze della natura

L'acceleratore di particelle del Fermilab, a Chicago, ha misurato un'anomalia nel valore del momento magnetico del muone. Sembrerebbe un dettaglio riservato agli appassionati di fisica. Invece è una notizia che apre la porta alla presenza di nuove particelle. Perfino di un secondo bosone di Higgs

Procede a piccoli passi la conoscenza di come funziona la materia e gli ultimi risultati, comunicati dal Fermilab, il principale laboratorio statunitense che interroga le particelle elementari, sembrano indicare solo una direzione: quella di una nuova fisica. Necessaria a interpretare le evidenze ottenute dall'esperimento Muon g-2, i cui risultati non sono previsti dal Modello Standard, finora la teoria fisica considerata la migliore spiegazione di ciò che avviene nell'infinitamente piccolo. Perciò era tantissima la fibrillazione della comunità scientifica per la divulgazione dei calcoli avvenuta al Fermi national accelerator laboratory (FermiLab) di Batavia, vicino a Chicago. Dietro a questa rivelazione potrebbero nascondersi nuove particelle o nuove forze, in grado di cambiare o completare la comprensione della natura. Tra questi, anche un secondo "Bosone di Higgs" che tolga il velo sulla materia oscura.

L'anomalia del muone

Piccoli passi, si diceva, perché questo è un grosso punto interrogativo appeso sulla testa degli scienziati da almeno 20 anni. Era il 2001, infatti, quando al Brookhaven National Laboratory, vicino a New York, si concluse il primo esperimento studiato per calcolare il cosiddetto "momento magnetico anomalo del muone", condotto a partire dagli anni '90. Da quello si rilevarono le prime discrepanze, che però attendevano nuove e più precise misurazioni. Si arriva così al FermiLab di Chicago, oggi. Il magnete usato per l'esperimento Muon g-2 (15 metri di diametro) è stato trasportato fino in Illinois per sfruttare la potenza dell'acceleratore di particelle del FermiLab. A quanto pare i risultati, pubblicati in quattro articoli sulla rivista Physical Review Letters non hanno deluso le aspettative.

Come funziona il Muon g-2

Semplificando succede questo: l'acceleratore di particelle del FermiLab produce un fascio di protoni che viene diretto verso un bersaglio. Le collisioni (parliamo di migliaia di miliardi di particelle prodotte ogni secondo) creano dai protoni altre particelle: neutrini (che non interagiscono quasi per nulla con la materia) e pioni. Questi ultimi decadono molto velocemente in muoni. Il fascio di muoni viene quindi diretto verso il magnete dell'esperimento Muon g-2. Al suo interno, trovano un campo magnetico ben definito e, in base a come si comportano, gli scienziati inferiscono il loro momento magnetico.

Vent'anni fa, le prime sorprese. I muoni (particelle con una massa pari a 200 volte quella di un elettrone) hanno all'interno quello che possiamo immaginare come un piccolo magnete, in virtù di questo, possiedono un campo magnetico simile a quello dell'ago di una bussola, e un "momento magnetico" per via della loro rotazione. Immersi un altro campo magnetico (quello dell'esperimento), la loro rotazione genera una "precessione", che è un movimento simile a quello che osserviamo nel "polo nord e polo sud" di una trottola (oppure della Terra, il che dà origine, appunto, alla precessione degli equinozi). L'esperimento, spiegano dall'Infn in una nota, misura con altissima precisione la frequenza di questo moto di precessione dei muoni. È qui che arriva il contributo italiano.

Si tratta di misure molto sofisticate perché l'eroe di questa storia, il muone, muore prestissimo: un paio di milionesimi di secondo dopo essersi formato. Ma lascia dopo di sé qualcos'altro: neutrini (e abbiamo visto che sono poco utili) ed elettroni. Ad attenderli ci sono dei calorimetri che calcolano energia e tempo di arrivo degli elettroni di decadimento e da questi dati si estrae la frequenza di precessione grazie a una tecnologia realizzata in Italia: un sistema di calibrazione laser, in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Ottica del Cnr, e finanziato dall'Infn. "La misura di precisione richiede una sofisticata, continua calibrazione dei calorimetri, ovvero l'iniezione di brevi impulsi laser che ne garantiscano la stabilità della risposta, fino a 1 parte su 10.000", spiega Michele Iacovacci, ricercatore della collaborazione Muon g-2 e della sezione Infn di Napoli.

Una grande (quasi) scoperta

I nuovi calcoli mostrano un effettiva discrepanza tra i valori attesi (quelli predetti dal Modello Standard) e quelli effettivamente misurati. E confermano i risultati dell'esperimento condotto a New York, 20 anni fa, con precisione maggiore. La prima domanda da porsi è: possiamo parlare di nuova scoperta? Gli scienziati hanno un numero anche per questo: σ (sigma). Un valore di 5σ è indice di sicurezza che c'è qualcosa di nuovo. Combinando i risultati dei due esperimenti, si arriva a 4.2.

Siamo quasi alla frontiera: "Quello che stiamo osservando indica qualcosa di non compreso, nuove forze e nuove particelle che non conosciamo e cominciamo a scoprire ora - spiega Alberto Lusiani, fisico sperimentale della Scuola normale superiore e dell'Infn di Pisa, che partecipa alla collaborazione Muon g-2 - 4.2σ è una deviazione molto grande, è difficile che si tratti di un errore".

L'esperimento era così delicato che i risultati sono stati criptati anche agli stessi ricercatori, un processo simile alla sperimentazione "doppio cieco" sui vaccini, per evitare qualsiasi condizionamento, anche involontario. E svelati a tutto il team (200 fisici in tutto il mondo, con il contributo principale da Usa, Italia e Regno Unito) in un meeting online. La decrittazione è avvenuta proprio sul pc di Lusiani, che ha condiviso lo schermo con tutti gli altri.

E ora che succede? Bisognerà ripetere gli esperimenti fino a che non si arriverà a 5σ. E cominciare a pensare a nuove spiegazioni. Le ipotesi che si affacciano sono quelle che prevedono particelle o forme di energia sconosciute. La cosa entusiasmante, per i fisici, è che nessuna di queste è prevista dal Modello Standard. Parliamo di una nuova fisica, e chissà che non sia quella che, un giorno, potrà dare corpo al sacro graal, la Teoria del tutto:

"Ci sono sostanzialmente due possibilità - riprende Lusiani - quella di particelle molto massive, che l'Lhc del Cern non ha ancora scoperto perché hanno massa oltre i limiti di energia delle collisioni prodotte, oppure hanno effetti molto piccoli e quindi sfuggiti finora ad ogni investigazione. Oppure una particella con massa piccola e che, come i neutrini, interagisce poco con la materia e potrebbe anche essere la particella della materia oscura: per esempio il dark photon, il fotone oscuro, che però è stato cercato in altri esperimenti e non se ne è trovata traccia. L'ipotesi che esista un secondo bosone di Higgs è anche una possibilità. Si cercano continuamente ulteriori bosoni di Higgs, che in alcuni modelli potrebbero anche spiegare la materia oscura. È una possibilità alla pari con diverse altre".

Gli esperimenti, intanto, vanno avanti: "Il progetto di ricerca è finanziato in misura tale da migliorare la misura fino ad osservare una deviazione di 7 − 8σ, nel caso siano in azione veramente nuove particelle o forze non previste dal Modello Standard - continua il fisico - abbiamo già raccolto dati pari a circa 3 volte quelli finora analizzati, e in tempi dell'ordine di un anno e mezzo possiamo completare una seconda misura 2 volte più precisa di quella annunciata ora".

Da:

https://www.repubblica.it/cronaca/2021/04/07/news/l_anomalia_del_muone_perche_un_risultato_inatteso_puo_aprire_le_porte_a_una_nuova_fisica-295425405/

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domenica 18 aprile 2021

LE PROFEZIE DI UN NAUFRAGO DEL TEMPO: NIKOLA TESLA E LA TRASMISSIONE DI ELETTRICITA’ WIRELESS

 



Da:

https://notiziescientifiche.it/trasmissione-di-elettricita-wireless-su-lunghe-distanze-start-up-neozelandese-ci-crede/

Trasmissione di elettricità wireless su lunghe distanze: start-up neozelandese ci crede.

Energia elettrica trasmessa in maniera sicura e senza fili su lunghe distanze: è quella cui sta lavorando una start-up neozelandese che ha sviluppato un nuovo metodo per la trasmissione wireless di energia elettrica su lunghe distanze. Non si tratta di una novità in assoluto dato che la trasmissione di elettricità senza fili è stata scoperta da Nikola Tesla che già nel 1890 dimostrò di poter alimentare delle lampadine da più di due km di distanza tramite una grossa bobina. Lo stesso Tesla ci credeva e pensò di poter posizionare delle enormi torri in tutto il globo per trasmettere energia elettrica praticamente ovunque e senza l’onere costoso di installare fili dappertutto.



Ora l’idea ritorna di moda e a crederci è anche la Powerco, che è il secondo più importante distributore di energia elettrica della Nuova Zelanda, che ha appena annunciato di aver investito quote in Emrod. Quest’ultima è una start-up che ha creato una tecnologia per trasferire grandi quantità di elettricità tra due punti qualsiasi a patto che i due punti possano essere uniti con relè che abbiano la stessa linea di vista.

Gli stessi tecnici della Emrod prevedono di poter utilizzare questa tecnologia per fornire elettricità in luoghi impervi, remoti o comunque non raggiungibili, ad esempio quelle separate da un terreno sul quale non è possibile stendere dei fili o effettuare lavori di alcun tipo. E questo senza parlare dei vantaggi con eventuali parchi eolici al largo del mare per i quali vengono di solito installati costosissimi cavi sottomarini.

Attualmente l’azienda ha costruito un dispositivo di dimensioni limitate ma prevede di costruirne uno più grande e più funzionale per la Powerco entro ottobre.

Il dispositivo poi sarà testato per diversi mesi prima di una prova sul campo. Almeno inizialmente, il dispositivo sarà in grado di fornire solo pochi kilowatt di potenza ma è costruito in modo da poter essere ridimensionato tanto che Greg Kushnir, fondatore di Emrod, parla di un trasferimento di elettricità 100 volte maggiore su distanze molto lunghe.

Il sistema vanta un’antenna trasmittente, diversi relè e una antenna ricevente che converte l’energia delle microonde in elettricità. Una barriera di sicurezza laser a bassa potenza, poi, interrompe immediatamente la stessa trasmissione di elettricità nel momento esatto in cui qualsiasi oggetto, ad esempio un uccello o un drone, attraversa il raggio. Lo stesso sistema funziona con qualsiasi condizione atmosferica, anche con pioggia, neve e polvere e ciò che serve è solo una linea di vista libera e continua tra i relè collegati tra loro. Potenzialmente, il sistema può trasmettere elettricità anche per migliaia di km ad una frazione dei costi che si avrebbero con una normale infrastruttura.

Fonti:

https://emrod.energy/press-release-nz-start-up-launches-world-first-long-range-wireless-power-transmission/

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mercoledì 14 aprile 2021

L'IMPORTANZA DELLA ROTAZIONE TERRESTRE

 


Spazio:  qual è la velocità di rotazione della Terra?

La velocità di rotazione del pianeta è di... un giro al giorno! Ma un giorno non dura sempre un giorno, e per viaggiare nello Spazio è un problema.

Per quanto ci piaccia crederlo, i moti della Terra sono tutt'altro che un orologio svizzero, e il moto di rotazione attorno al suo asse, quello che determina la lunghezza della giornata, non fa eccezione.

Spedire un oggetto nello Spazio per fargli raggiungere un obiettivo - che sia la Luna, Marte, un asteroide o qualunque altra destinazione - è un'operazione decisamente molto, molto complessa, e che, tra i tanti parametri da considerare (a partire dalla posizione nel tempo dell'oggetto e della sua destinazione), necessita di un'informazione che potrebbe sorprendere: la velocità di rotazione della Terra. Velocità che, a questo punto potete ben immaginarlo, non è costante.

Vi sono, è vero, degli elementi regolari che influiscono sulla velocità di rotazione del pianeta. Per esempio le forze gravitazionali esterne al nostro Pianeta, indotte prevalentemente dal Sole e dalla Luna, agiscono in modo prevedibile: l'enorme gravità del Sole tiene la Terra ben ancorata alla sua orbita, mentre l'azione della Luna, nel corso di miliardi di anni, è stata quella di rallentare la rotazione, aumentando la durata del giorno terrestre. Subito dopo la formazione della Terra il giorno durava sei-otto ore: un anno consisteva in più di 1.000 albe e tramonti, e non 365 come oggi. Se fosse tutto qui sarebbe relativamente facile trasformare il tutto in un software capace di tenere un'antenna sempre correttamente puntata verso un corpo lontanissimo nello Spazio. Ma non è tutto qui.

 Attorno, sopra e dentro il pianeta ci sono forze che agiscono su di esso con effetti rapidi e talora inaspettati. I terremoti, i venti atmosferici, le correnti oceaniche e ora anche le attività umane agiscono spesso in modo imprevedibile, ridistribuendo le masse attorno al pianeta, e ciò altera la velocità di rotazione della Terra e l'orientamento del suo asse di rotazione.

La conservazione del momento angolare è una legge della fisica di non facile intuizione, ma, anche senza doverla spiegare, ricordiamo che spiega (per esempio) perché un pattinatore che gira con le braccia distese all'infuori può improvvisamente accelerare la rotazione tirando le braccia verso il corpo. Può succedere qualcosa del genere anche alla Terra, se interviene qualcosa a ridistribuire delle masse (terrestri, oceaniche, d'aria) sulla superficie del pianeta: per esempio un terremoto, che in un istante vede spostarsi grandi porzioni di crosta terrestre. Di solito porta a un'accelerazione della rotazione del nostro pianeta, accorciando (in modo piccolo ma non insignificante) la giornata. Nel 2011, il terremoto di magnitudo 9.0 che colpì il Giappone durò sei minuti durante i quali la ridistribuzione delle masse terrestri accorciarono di 1,8 microsecondi (milionesimi di secondo) la durata del giorno, e spostò di circa 17 cm la posizione dell'asse della figura della Terra - quella linea immaginaria attorno alla quale è bilanciata la massa del pianeta in rotazione e che differisce di poco dall'asse di rotazione.

I sismi non sono gli unici eventi in grado di alterare la velocità di rotazione della Terra: i venti atmosferici, le correnti oceaniche, lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari hanno ricadute ancora più marcate. Per fare un esempio, quando i ghiacci continentali si sciolgono il livello del mare aumenta e la massa della Terra deve trovare un nuovo punto di equilibrio rispetto all'asse della figura. Anche questo riduce la durata della giornata - e per fortuna che al punto in cui siamo si tratta ancora di variazioni impercettibili, senza conseguenze per la vita quotidiana.

Il problema diventa invece significativo quando si tratta di seguire una sonda nello Spazio o di sincronizzarsi con i satelliti in orbita, perché anche i più piccoli cambiamenti nella velocità di rotazione della Terra possono fare la differenza nel riuscire a comunicare o meno con questi oggetti. La buona riuscita delle missioni spaziali dipende perciò anche dalla nostra capacità di prevedere l'influenza di una serie di fenomeni a cui, complessivamente, è stato dato il nome di Earth Orientation Parameters (EOP).

Spiega Werner Enderle, capo dell'Ufficio di supporto alla navigazione dell'ESA, che «le nostre stazioni di terra sono in comunicazione con veicoli spaziali a milioni di chilometri di distanza da noi: le antenne devono essere puntate con estrema precisione se si vuole mirare a quegli oggetti molto piccoli». Questo perché la differenza anche solo di una frazione di grado di puntamento dalla Terra può corrispondere a un errore di migliaia di chilometri nello Spazio. Insomma, se non ci sono valori precisi per l'orientamento della Terra, può essere impossibile trovare la sonda nello Spazio.

Attualmente questi parametri sono forniti dallo United States Naval Observatory (USNO), con una precisione variabile in base ai contributi delle istituzioni di tutto il mondo, inclusa l'ESA. Tuttavia, proprio l'ESA sta lavorando allo sviluppo di uno strumento per determinare un set di valori EOP, così da garantire l'accesso indipendente dell'Europa allo Spazio, mettendo fine alla dipendenza da un fornitore esterno. Questi valori di orientamento, ai quali lavora un gruppo di ricercatori dell'Ufficio di supporto alla navigazione, saranno resi disponibili gratuitamente dall'autunno di quest'anno.

Lo strumento stima e prevede l'orientamento e la rotazione della Terra fino a 90 giorni in anticipo. Per Erik Shoenemann, a capo del progetto per l'European Space Operations Centre (ESOC), «il nostro algoritmo utilizza le condizioni atmosferiche e meteorologiche, l'attività sismica, la velocità con cui il livello del mare si sta innalzando e il ghiaccio terrestre si sta sciogliendo e una miriade di altre variabili, che interagiscono in modi complessi e difficili da prevedere; è facile dare questi valori per scontati, ma tutta l'attività dei voli spaziali si basa su di essi e per ottenerli è necessaria un'enorme mole di lavoro. Siamo davvero felici di avere ora la nostra fonte di questi dati, assicurandoci la capacità di condurre missioni complesse in orbite diverse e di ricevere gli incredibili dati che le missioni stesse inviano a Terra».

Finora i test dimostrano che il nuovo strumento dell'ESA supera in modo significativo quelli attualmente in uso, segnando un passo in avanti importante per garantire l'accesso indipendente dell'Europa allo Spazio.

Da:

https://www.focus.it/scienza/spazio/velocita-rotazione-terra

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