IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
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* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

martedì 17 luglio 2018

VISIBILI SOLO DA VICINO...


“Visibili solo da vicino”: come gli alieni potrebbero scoprire la nostra esistenza? 


Gli astronomi ritengono che solo un decimo dei milioni di pianeti della nostra Galassia possa essere abitabile. Se anche su uno solo di questi vi fosse una civiltà molto avanzata, questa, come la nostra, starebbe perlustrando lo spazio alla ricerca di fratelli con un’intelligenza simile.  Ma, quali sono le probabilità che ci trovino? Nel libro "La vita intelligente nell'universo" l'astronomo sovietico Yosif Shklovsky descriveva un esperimento di fantasia in cui alieni intelligenti osservavano la Terra. Lo studioso dimostrò che gli ipotetici alieni non avrebbero notato né le attività agricole, né la deforestazione massiccia, né gli incendi delle grandi città e nemmeno i test nucleari. La presenza dell'ossigeno libero nell'atmosfera suggerirebbe loro solamente che sul nostro pianeta esiste una biosfera. "La sola presenza dell'ossigeno non è una prova univoca dell'esistenza di vita. Nell'atmosfera ci devono essere dei gas prodotti durante l'attività vitale", commenta Evgeny Semenko, collaboratore senior dell'Osservatorio speciale di astrofisica dell'Accademia nazionale russa delle scienze. Oltre all'ossigeno segni di vita nell'atmosfera sono l'ozono, l'acqua, il metano e l'anidride carbonica. Tutti questi elementi devono coesistere perché ci sia la vita. Gli alieni potrebbero rilevarli inviando alcune sonde nell'orbita terrestre ma l'esistenza di una lontana civiltà con una tecnologia avanzata come la nostra è poco probabile. Ad ogni modo per ora i nostri strumenti non sono sufficienti per determinare se vi sia un'atmosfera su Proxima Centauri b, il pianeta extrasolare più vicino a noi, a 4,22 anni luce.

                                                                Yosif Shklovsky

                                                                    Evgeny Semenko

Il secolo della radio

Shklovsky affermava che il miglior modo per trovare gli umani è ascoltare la diretta radio della Terra a frequenze molto elevate. Negli anni ‘60/'70 mentre scriveva il suo libro la televisione analogica stava vivendo il massimo momento di attività. Il segnale radio si diffondeva liberamente nello spazio alla velocità della luce, non veniva assorbito dalla polvere cosmica o dalle nubi e non si disperdeva. Al tempo potevano guardare i nostri canali televisivi quegli alieni che si trovano a una distanza inferiore ai 50 anni luce dalla Terra. (Concetto di “prossimità”: Marco La Rosa – Comunicazione interstellare, Congresso sull’esplorazione dello spazio , San Marino 2018). Negli ultimi decenni il numero di televisori analogici è diminuito e al suo posto sta crescendo l'uso della televisione digitale e di internet. Le radiazioni elettromagnetiche che codificano i segnali sono nascoste in cavi sotterranei schermati da rivestimenti in plastica. "Con il tempo e lo sviluppo tecnologico diventeremo sempre meno visibili agli osservatori spaziali. Captare segnali della nostra attività sarà possibile solo vicino alla Terra", spiega Semenko. Ad esempio grazie a un potente radiotelescopio i marziani potrebbero intercettare il segnale di un telefono cellulare. Oltre il Sistema solare questo però non potrebbe succedere. Se solo non parliamo di un segnale preciso. Tra l'altro i primissimi messaggi inviati ai sistemi solari più vicini e potenzialmente abitati nell'ambito del progetto SETI volto alla ricerca di civiltà extraterrestri non furono in grado di distaccarsi dalla Terra per una distanza superiore ai 30 anni luce. In teoria è possibile inviare segnali con la luce installando un faro laser sulla Terra o in orbita. Oggi è possibile generare un raggio in grado di percorrere decine di anni luce. Ma questo raggio sarebbe troppo debole rispetto al Sole e con molta probabilità si perderebbe. "Mettere in risalto un segnale estraneo sullo sfondo della luminosità dell'astro a noi più vicino è un compito molto più complicato di quanto possa sembrare", osserva lo studioso. Ogni secondo il Sole irraggia 100000 volte più energia di quanto la nostra civiltà ne abbia prodotta in tutta la sua storia. Insomma non vi sono speranze che i nostri fratelli d'intelligenza notino questi fari ottici.

La Terra in un oblò

Le dimensioni dei dispositivi da noi inviati nello spazio non superano qualche metro. È possibile vederli solo passandovi loro accanto. Non è escluso che questo accada con le sonde Pioneer e Voyager che hanno lasciato il Sistema solare e portano a bordo dischi con informazioni sulla nostra civiltà. Ma ciò non accadrà nell'immediato. Se si dirigessero verso Proxima Centauri, potrebbero finire in una zona di potenziale contatto tra 80000 anni. Ma forse è più semplice rilevare la nostra attività intorno alla Terra, l’ISS, la moltitudine di satelliti e le decine di tonnellate di metallo in orbita? "Anche dalla Terra non è facile scoprire questi detriti cosmici. Di questo si occupano diverse organizzazioni. La ISS (stazione spaziale internazionale) si trova ad un'altezza di oltre 300 km, talvolta è possibile vederla in cielo ad occhio nudo. Ad una distanza di 600 km osserviamo con il telescopio solamente grandi oggetti e solo se conosciamo la loro posizione. Di identificare corpi a una distanza di 30000 km in orbita geostazionaria sono in grado solamente grandi telescopi. Per vedere qualcosa in orbita, bisogna essere vicini", precisa Evgeny Semenko. Ad una distanza di 5,9 miliardi di km, cioè 1000 volte meno di un anno luce, la Terra è un puntino azzurro pallido appena identificabile nello spazio. Così ha visto la Terra la sonda Voyager-1 che ce ne ha inviato un'immagine. Ci sono più possibilità di scoprire grandi installazioni ingegneristiche nello spazio come la sfera di Dyson. Si tratta di un'installazione che per dimensione è simile al raggio dell'orbita terrestre ed è in grado di raccogliere l'energia di una stella e di emettere una grande quantità di raggi infrarossi. Tuttavia il livello della nostra civiltà ancora non ci permette di imbarcarci in progetti di tale portata. I tentativi del SETI di provare l'esistenza di qualcosa simile alla sfera di Dyson nelle zone dello spazio a noi vicine non hanno, per il momento, avuto successo.

Il tempo è importante

Evgeny Semenko ha proposto un esperimento di fantasia. Noi proviamo a stabilire un contatto extraterrestre e a inviare segnali radio. Questi segnali devono essere semplici affinché gli extraterrestri possano codificarli facilmente. Poniamo che i segnali vengano intercettati da una qualche civiltà a 100 anni luce da noi, che vengano codificati velocemente e che siano inviate delle risposte. Noi le riceveremo tra 200 anni. "Cosa ne sarà della nostra società fra 200 anni? Vi è la possibilità che non ci saremo più, dato che le armi presenti sul pianeta sono sufficienti per distruggere tutti gli esseri viventi", afferma lo studioso. Il contatto non vi sarà neppure se i nostri posteri saranno meno avanzati di quanto lo siamo noi. "Allora dovranno imparare di nuovo tutto il processo che va dalla registrazione del segnale alla sua decodifica, il che può richiedere decine o centinaia di anni. Al momento è chiaro che il compito principale di ogni civiltà è la maggiore trasmissione possibile delle conoscenze alle generazioni successive", sostiene l'astronomo. Un altro scenario possibile è il raggiungimento del limite di assuefazione, cioè quando le persone vivranno talmente bene da non voler più instaurare un contatto. Poniamo che proprio una civiltà autosufficiente intercetti il nostro segnale. Noi non le interesseremo e non riceveremmo risposta.

La formula della probabilità

Qual è la probabilità che un'altra civiltà cerchi il contatto?

Sembra che questa probabilità si possa calcolare secondo una formula proposta dall'astronomo americano Frank Drake nel 1961. In questa formula ci sono alcune variabili fra cui la media del tempo durante il quale esseri intelligenti cercano il contatto con l'ausilio di mezzi diversi. Questo parametro può anche essere basso o essere quei 100/200 anni dopo i quali la civiltà o si sviluppa sempre di più o comincia il suo declino. Secondo Semenko la stima più pessimistica è che a cercare il contatto con noi siano solo 0,000125 civiltà. Gli ottimisti forniscono un altro risultato: 5000. Questo considerando che la vita di una civiltà tecnologicamente avanzata secondo Drake si attesta intorno ai 100000 anni.

"Non ci resta che ascoltare lo spazio e inviare dei segnali. Anche se le probabilità sono prossime allo zero dobbiamo continuare a cercare nostri simili perché questo ci aiuterebbe a capire chi siamo, quali sono i veri valori della civiltà, qual è il nostro posto nell'universo. Insieme dobbiamo sviluppare nuove tecnologie che, sebbene con ritardo, possano cambiare la vita di ciascuno di noi.”

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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs





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