IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
ALTIPIANI DI ARCINAZZO 2014
* MISTERI DELLA STORIA *

con il patrocinio di: • Associazione socio-culturale ITALIA MIA di Roma, • Regione Lazio, • Provincia di Roma, • Comune di Arcinazzo Romano, e in collaborazione con • Associazione Promedia • PerlawebTV, e con la partnership dei siti internet • www.luoghimisteriosi.it • www.ilpuntosulmistero.it

LA NUOVA CONOSCENZA

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GdM

martedì 18 settembre 2018

I "DADI" DI DIO E LA NOSTRA REALTA'



Un test d'entanglement quantistico senza precedenti

Dio non giocherà a dadi, ma i quasar sì: i risultati di un esperimento condotto con l'ausilio di due telescopi alle Canarie, fra i quali il Telescopio nazionale Galileo dell'Inaf, e di due lontanissimi quasar, a 8 e 12 miliardi di anni luce da noi.


Un esperimento condotto sull'isola di La Palma, alle Canarie, sotto la guida del gruppo di ricerca di Anton Zeilinger dell'Accademia austriaca delle scienze e dell'Università di Vienna, si è avvalso di due grandi telescopi - il Telescopio nazionale Galileo dell'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e il William Herschel Telescope - per effettuare un test di entanglement quantistico utilizzando i fotoni di oggetti astronomici lontani. I risultati sono pubblicati sull'ultimo numero di Physical Review Letters.
Dio, i dadi e Einstein - Pur avendo contribuito alle sue basi, la fisica quantistica non piaceva granché ad Einstein. Ha fatto storia la serie ripetuta di paradossi che l'autore della relatività poneva, ogni giorno, a Niels Bohr, per sfidarlo a provare il principio di indeterminazione. «Non posso credere nemmeno per un attimo che Dio giochi a dadi!», esclamò un giorno Einstein nel corso dell'ennesimo braccio di ferro mentale quotidiano. «Piantala di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi», gli rispose Bohr.

IL TEST:

 Nell'esperimento sono state create, in un laboratorio mobile a La Palma, coppie di fotoni entangled (= gemelli) da inviare a stazioni riceventi approntate dai ricercatori accanto ai due grandi telescopi. I telescopi, a loro volta, osservando regioni di cielo quasi opposte, hanno raccolto la luce di due lontanissimi quasar – due nuclei galattici attivi molto luminosi a 8 e 12 miliardi di anni luce da noi. Le variazioni del "colore" nella luce dei quasar sono state sfruttate per decidere quale tipo di misurazioni eseguire sulle coppie di fotoni entangled, con un fotone di ciascuna coppia inviato al ricevitore presso il Telescopio nazionale Galileo e l'altro al presso il William Herschel Telescope, entrambi situati all'osservatorio del Roque de los Muchachos. In particolare, è stata misurata – seguendo le "decisioni" prese in base alle fluttuazioni della luce dei rispettivi quasar – la polarizzazione di ciascun fotone entangled.


GENERATORI CASUALI:

Ma perché ricorrere a un sistema così complesso, addirittura a due quasar, per "decidere" quali misurazioni effettuare? Il motivo sta nel fatto che la misurazione di un fotone di una coppia entangled ha un'influenza immediata sul risultato della misurazione dell'altro fotone: un fenomeno quantistico di violazione del principio di località (che afferma che oggetti distanti non possono avere influenza istantanea l'uno sull'altro) che Einstein, riluttante ad ammetterne l'esistenza, chiamava "azione spettrale a distanza". Ora, affinché i risultati di esperimenti del genere siano validi, è cruciale garantire che le "decisioni" sul tipo di misurazioni da compiere siano completamente indipendenti, senza alcuna possibilità di influenze da una causa comune. Proprio com'è avvenuto nell'esperimento condotto a La Palma: affidando la decisione a fluttuazioni della luce provenienti dai due quasar così distanti, dunque risalente a un'epoca di poco successiva al Big Bang, un'eventuale influenza su entrambe le sorgenti potrebbe aver avuto luogo – calcolano gli scienziati – solo nel 4 per cento dell'Universo conosciuto.

«La sfida cruciale dell'esperimento consisteva nel fare in modo che la scelta delle misure di polarizzazione da compiere su ciascuno dei fotoni entangled fosse fatta in modo completamente indipendente da noi e da qualsiasi ambiente, non importa quanto grande», spiega Dominik Rauch, primo autore dell'articolo. «Questa luce, del tutto autonoma rispetto a noi e a quasi tutto il nostro passato, ci ha permesso di usare i due remoti quasar come generatori di numeri casuali cosmici». Una luce ideale per questo particolare esperimento, e al tempo stesso un metodo inedito per ottenere numeri casuali.


PER APPROFONDIMENTI:






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LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?

"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
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DI MARCO LA ROSA
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venerdì 14 settembre 2018

RINGIOVANIRE LE CELLULE PER DIVENTARE IMMORTALI?



Cellule umane dell'endotelio che, divenute anziane, hanno perso la capacità di dividersi 

Cellule umane invecchiate sono state ringiovanite in laboratorio grazie a molecole che agiscono sulle loro centraline energetiche, i mitocondri. È quanto emerge dallo studio di un gruppo dell’Università britannica di Exeter, coordinato da Lorna Harries. La ricerca, pubblicata sulla rivista Aging, potrebbe rappresentare la base per una nuova generazione di farmaci antinvecchiamento. I ricercatori si sono concentrati sulle cellule endoteliali, quelle che rivestono le pareti dei vasi sanguigni e in particolare sulle cellule ormai senescenti, che hanno cioè perso la capacità di dividersi. Utilizzando alcuni composti in grado di agire sulle loro centrali energetiche, hanno osservato che quasi la metà ringiovaniva tornando a dividersi. “La presenza di queste cellule anziane - ha spiegato Harries - è uno dei motivi per cui invecchiamo”. Secondo la ricercatrice, “lo stesso trattamento ringiovanente potrebbe essere applicato anche ad altri tipi di cellule”. Lo stesso gruppo di ricerca aveva infatti già sperimentato in passato alcuni composti in grado di ringiovanire le cellule, ma è la prima volta che vengono individuati come bersagli preferenziali i mitocondri, fondamentali per la vitalità delle cellule. Sulle centrali energetiche cellulari gli studiosi hanno testato tre molecole, interruttori genetici in grado di regolare specificamente il funzionamento di alcuni dei geni di cui sono dotati i mitocondri. “Queste molecole - hanno concluso - forniscono alle centrali energetiche il combustibile necessario per funzionare correttamente, impedendo così alle cellule di invecchiare”.

PER APPROFONDIMENTI:






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martedì 11 settembre 2018

IL QUINTO (?) STATO DELLA MATERIA...



Il quinto stato della materia sulla Stazione Spaziale

Fatto di super atomi, è stato ottenuto in un ambiente freddissimo

Ottenuto per la prima volta in orbita, sulla Stazione Spaziale Internazionale, il quinto stato della materia, distinto da quello liquido, solido, gassoso e dal plasma: è una nuova forma della materia possibile solo a temperature estreme, vicine allo zero assoluto, ed è costituita da super-atomi che si comportano come onde anziché come particelle. E' stato possibile ottenerlo grazie all'esperimento Cold Atom Laboratory (Cal) della Nasa, basato su uno strumento delle dimensioni di un frigorifero che può essere azionato anche da Terra, nel quale sono stati utilizzati atomi di rubidio. La nuova forma di materia è nata da tempo sulla Terra e si chiama condensato di Bose Einstein. Averlo prodotto nello spazio, dove il suo stato sopravvive più a lungo e può essere studiato meglio, può aprire la strada a molte applicazioni, a partire dai laser del futuro, basati su fasci di atomi capaci di 'dipingere' circuiti su scala minuscola. Gli stessi laser potrebbero essere alla base di strumenti per ottenere misure ultraprecise della gravità. Sulla Terra, infatti, questo stato della materia può essere studiata solo per frazioni di secondo. La microgravità consente invece di osservarlo per circa 10 secondi e di ripetere le misure fino a sei ore al giorno. Nel condensato di Bose Einstein gli atomi si comportano come onde e non come particelle e di conseguenza si comportano come un singolo 'super-atomo'. Questa nuvola risponde alle leggi della fisica quantistica, che governano il mondo dell'infinitamente piccolo. Previsto nel '25 da Satyendra Nath Bose e da Albert Einstein, il condensato che porta il loro nome è stato prodotto per la prima volta in laboratorio nel 1995, da Eric Cornell, Carl Wieman e Wolfgang Ketterle,  che per questo nel 2001 hanno condiviso il Nobel per la Fisica. Fra i gruppi che condurranno gli esperimenti sulla stazione orbitale ci saranno anche quelli di Cornell e Ketterle.



domenica 9 settembre 2018

THE FIRST MAN ? ...


Teorie sul falso allunaggio, perché io penso che il documentario sullo sbarco vada comunque visto

 Di Giulietto Chiesa


Ho visto American Moon di Massimo Mazzucco [link in calce per il trailer] mentre a Venezia ri-celebravano la conquista della Luna, con l’hollywoodiano First Man.



Sebbene in questi anni io non mi fossi mai pronunciato sullo sbarco sulla Luna, decido oggi di dire cosa ne penso. Chi voglia leggere la mia intera recensione al film (pubblicarla qui è impossibile per ragioni di spazio) può visitare la mia pagina Facebook. Conosco Massimo Mazzucco. Il suo lavoro “11 settembre, la Nuova Pearl Harbor” è una straordinaria enciclopedia sul più grande attentato terroristico. E solo un totale imbecille può uscire da quella visione ancora convinto che 19 terroristi islamici, sotto la guida di Osama bin Laden, abbiano organizzato e attuato l’11 settembre.

Questo documentario mette seriamente in dubbio che sulla Luna ci sono andati.

D’altro canto mi pongo la questione: si può affermare che nessuna delle sei missioni Apollo (Apollo 11, 12, 14, 15, 16, 17) di cui la versione ufficiale afferma il successo, sia giunta effettivamente sulla Luna? Penso che, allo stato dei fatti non sia possibile fare un’affermazione come questa. Neanche l’autore del film lo fa.

Ma l’analisi dettagliatissima di American Moon conduce alla conclusione inequivocabile che tutta la Missione Apollo è infarcita di trucchi e menzogne che nascondono cose cruciali. Fin dove siano giunti i trucchi e dove cominci una qualche verità è difficile da scoprire. Massimo Mazzucco, del resto, non ha toccato molti punti aperti (per esempio non si è addentrato nella pubblicistica web russa non ufficiale, dove c’è una valanga di argomenti seri che mettono anch’essi in dubbio il racconto ufficiale dell’America). Non ha toccato tutta la — a mio avviso rilevantissima — serie di allusioni alla missione Apollo di Stanley Kubrick, contenuta nel suo film 2001 – Odissea nello spazio. E molto altro. E ha fatto bene, preferendo restare sul terreno solido e ponendo le domande alle quali non è possibile non rispondere. E, se la risposta non viene, allora non resta che concludere che chi ha parlato ha mentito.
Non posso seguire, in una recensione come questa, tutti i punti evidenziati dal film. Vi dirò quelli che hanno lasciato in me una traccia indelebile. Sono tre essenzialmente:

a) Le interviste con i fotografi illustri: Peter Lindbergh, Aldo Fallai, Toni Thorimbert e Oliviero Toscani. La loro analisi giunge alla conclusione unanime che si tratta di fotografie realizzate in uno studio cinematografico, opportunamente attrezzato ma non in grado di nascondere l’evidenza.

b) La sparizione dei nastri contenenti tutti i dati di volo (quelli della missione Apollo 11, Armstrong, Collins, Aldrin) insieme ai dati biometrici dei tre membri dell’equipaggio, che furono certamente registrati nel corso dell’intera missione. Sparizione tanto inspiegabile quanto clamorosa.

c) La questione delle “Fasce di Van Allen”. Si tratta di zone che circondano completamente la Terra e si trovano tra la Terra e la Luna, a una distanza tra 1500 e 40.000 km dalla Terra. Per intenderci: tutti i satelliti lanciati in orbita in questi decenni, i voli umani, le stazioni spaziali, sono alll’interno di una sfera di raggio molto inferiore ai 1000 chilometri, cioè molto al “di qua” delle “Fasce di Van Allen”.

Di esse si sa (lo scrisse il loro scopritore) che sono altamente radioattive e — egli presunse — molto pericolose per un essere vivente che rimanesse esposto alla radioattività. Quali siano i livelli di pericolo che esse rappresentano non lo sa nessuno, al momento attuale. Tant’è vero che recentemente la Nasa ha realizzato un documentario (visibile anche su YouTube) per spiegare al grande pubblico che, prima di mandare sul pianeta Marte una missione pilotata, occorrerà far orbitare una navicella spaziale tra la Terra e la Luna proprio nelle “Fasce di Van Allen”. Naturalmente senza equipaggio e per studiare gli effetti della radioattività sugli strumenti e su forme di vita di diverso livello di sviluppo. Dunque? Se la Nasa non ne sa niente nel 2018, cosa significa? Significa che ben sei missioni Apollo (11,12,14,15,16, 17), dal 1969 al 1972, con a bordo 18 astronauti, avrebbero attraversato le “Fasce” per ben due volte ciascuna, andata e ritorno. Senza sapere quali erano i rischi cui venivano sottoposti quegli uomini.

Ora, visto che i cosmonauti sono tornati tutti vivi, resterebbe l’ipotesi che le “Fasce”, pur esistendo, non sono così perniciose come Van Allen aveva previsto. Ma resta anche l’ipotesi che nessuno dei 18 astronauti le abbia attraversate. In ogni caso resta stranissimo e sbalorditivo il fatto che la Nasa si sia “dimenticata” delle sei missioni Apollo e riveli ora la necessità di studiarle, nel caso si voglia mandare qualche riccone su Marte nel corso dei prossimi dieci anni.
Ultima nota, questa volta divertente: Mazzucco si preoccupa di seguire le mosse di alcuni dei cosiddetti “debunker”, cioè di coloro che furono incaricati di “smontare” i sospetti di cui stiamo parlando. Infatti furono, e sono, molti gli increduli che andarono a fare le pulci alla versione ufficiale. Mazzucco riporta i disperati tentativi di spiegare l’inspiegabile e dimostra, a sua volta, pazientemente, l’inanità dei loro sforzi. Tra i “debunker” presi in giro c’è anche l’italiano Attivissimo. La perla della sciocchezza più sesquipedale spetta a lui. Che, in una conferenza, visibile nel film, cerca di giustificare la sparizione dei nastri dicendo, all’incirca, che “si può spiegare con il fatto che erano molto costosi e si dovevano riutilizzare”.

Ma questo è folklore.

Ripeto, è l’intero film che va visto e valutato nel suo insieme. Mazzucco non afferma mai con certezza che sulla Luna non ci sono andati, ma pone una lunga serie di domande legittime, alle quali è necessario dare una risposta valida, se si vuole continuare a sostenere che sulla Luna invece ci sono andati.


Trailer del Film:

Per acquistare il film in DVD


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venerdì 7 settembre 2018

PEZZI DI "PANE" DA ...RISCRIVERE



Scoperto il pane più antico del mondo (e svela molto del nostro passato)

Si tratta di una focaccina di pane azzimo, cotta ben 14,400 anni fa !

È il pane più antico del mondo e sarebbe stato cotto ben 14,400 anni fa. È questa la scoperta che ha fatto un gruppo di archeologi dell'università di Copenaghen e che è stata riportata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Il cibo - una focaccina di pane azzimo, bruciata - è stato rinvenuto nel Deserto Nero della Giordania, nello specifico in un'area in cui erano presenti, sempre stando alla tracce portate alla luce dagli esperti, due fuochi utilizzati per cuocere il cibo.


Ma non solo: il ritrovamento di questo pane antico è la prova che cibi a base di pane erano prodotti già prima dell'avvento ufficiale dell'agricoltura. La nascita dell'agricoltura, infatti, si colloca, fino ad oggi, almeno 4000 anni dopo quel pezzettino di pane. "Sappiamo che c'è una relazione tra produzione di pane e origini dell'agricoltura - ha spiegato l'archeobotanica Amaia Arranz Otaegui, dell'università di Copenaghen, e autrice dello studio -. È possibile che il pane abbia rappresentato un incentivo per le popolazioni per iniziare a coltivare le piante". Insomma, più diventava desiderabile come cibo, più è plausibile che le persone dell'epoca ne volessero sempre di più e che si ingegnassero per averne. La scoperta del pane e la sua datazione ci portano, inoltre, a chiederci chi ci sia dietro. Secondo i ricercatori, sarebbe stato prodotto da una popolazione chiamata Natufiani, antenati che avevano iniziato a sperimentare uno stile di vita più sedentario e meno nomade e che avevano una dieta basata sia sulla carne sia sulle verdure. "La presenza di centinaia di tracce di cibo bruciacchiato in un sito proprio di quell'epoca è una scoperta eccezionale perché ci dà la possibilità di caratterizzare le pratiche risalenti a 14mila anni fa", ha affermato Otaegui. In poche parole, osservare e studiare quei resti offre agli scienziati una finestra sul mondo culinario di allora, su come gli antenati preparavano il loro cibo e quale prediligessero. Il pane di allora, come riporta la ricerca, era ottenuto da cereali e tuberi. Secondo gli archeologi, questo tipo di cibo a base di cereali era però molto difficile da ottenere: è possibile che venisse considerato come un lusso e destinato perciò ad ospiti importanti.


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martedì 4 settembre 2018

QUANDO SCIENZA E RELIGIONE NON SONO INCOMPATIBILI



Astronomia. L'espansione dell'Universo scoperta da un sacerdote:

Proposto riconoscimento postumo a George Lamaître. Gli astronomi: cambiare nome alla legge di Hubble

Dal 20 al 31 agosto, più di 3.500 astronomi provenienti da un’ottantina di Paesi si sono incontrati a Vienna per partecipare alla XXX Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU). L’Assemblea si celebra regolarmente ogni tre anni e ha come obiettivo principale quello di stimolare la collaborazione internazionale sui temi più attuali della ricerca astronomica. Durante le Assemblee Generali vengono anche approvate delle 'Risoluzioni', ovvero delle decisioni condivise dagli astronomi professionisti su questioni astronomiche. Famosa rimane la Risoluzione votata a Praga nel 2006 che ridefinisce le caratteristiche che un corpo celeste deve possedere per essere chiamato 'pianeta'. Tale definizione escluse Plutone dalla famiglia dei Pianeti del nostro Sistema Solare e lo riclassificò come pianetino o pianeta nano, una decisione ancor oggi fortemente contestata dal grande pubblico, soprattutto statunitense, su basi più sentimentali che scientifiche. Anche quest’anno  stata presentata una Risoluzione che, quando sarà ratificata, richiamerà l’attenzione generale: si propone infatti di modificare il nome della famosa 'Legge di Hubble', utilizzata per indicare la recessione delle galassie e l’espansione dell’universo, chiamandola 'Legge di Hubble-Lemaître'. Per comprendere le motivazioni della proposta, è necessario ripercorrere la storia della scoperta che ha dato inizio alla nuova cosmologia, una storia colorata di giallo. Nel 1927, il sacerdote e astronomo belga George Lemaître (1894-1966), applicando alla totalità dell’universo le equazioni della Relatività Generale, enunciate da Albert Einstein pochi anni prima, scopriva che la soluzione matematica prevedeva che l’universo fosse in espansione: un risultato assolutamente inaspettato. Lemaître, raccogliendo dalla letteratura i pochi dati allora disponibili sulla velocità di spostamento delle galassie, verificava che essi confermavano in maniera convincente la sua previsione teorica. Il sacerdote, certamente cosciente della portata rivoluzionaria della sua scoperta, pubblicava subito il risultato su una rivista belga di astronomia, in lingua francese, ma la scarsa diffusione della stessa lasciò la notizia quasi disattesa. L'anno successivo però si tenne a Leiden, in Olanda, la terza Assemblea Generale dell’Unione Astronomica Internazionale cui Lemaître partecipò, unitamente ai più importanti astronomi dell’epoca. La sua scoperta destò grande interesse, ma anche notevole scetticismo: Einstein ne definì ineccepibile la matematica, ma 'abominevole' l’interpretazione fisica.

                                                 Lamaitre insieme ad Albert Einstein

 L’americano Edwin Hubble invece, da valente astronomo sperimentale, ritornò in America eccitato dalla discussione avuta con Lemaître e iniziò subito una campagna osservativa con il nuovo telescopio da 100 pollici di Mount Wilson per verificare l’ipotesi del sacerdote belga. Un anno dopo, nel 1929, pubblicava il famoso articolo che confermava, con l’evidenza dei nuovi dati, la legge di espansione dell’universo che, da allora, prese il nome di 'Legge di Hubble'.

                                                                Edwin Hubble

 La storia, come in un intrigo poliziesco, non finisce qui perché, sollecitato dell’astronomo reale Sir Arthur Eddington, George Lemaître tradusse in inglese il suo lavoro originale per la nota rivista inglese Monthly Notices. La versione inglese però, mentre riporta fedelmente il modello teorico, tralascia di pubblicare i dati osservativi che ne rappresentavano la verifica sperimentale. Per qualche tempo gli storici sospettarono un complotto editoriale, ordito per non oscurare la fama già conquistata dall’astronomo americano, finché da una lettera ritrovata negli archivi di Lemaître si capì che lui stesso aveva deciso di omettere i dati perché, dopo la pubblicazione di quelli di Hubble, riteneva quest’ultimi più numerosi e convincenti dei suoi. 


Da qui la motivazione della Risoluzione che vuole riconoscere il valore, la modestia e l’onestà intellettuale di George Lemaître, correggendo una non piccola distorsione storica. Lemaître, nella sua duplice veste di cosmologo e sacerdote, va anche ricordato per aver suggerito a Papa Pio XII di evitare di identificare il Big bang dell’emergente modello cosmologico con il Fiat Lux biblico, come il Pontefice si era espresso in un discorso pubblico: non solo perché la comprensione e la verifica della nuova cosmologia era ancora agli inizi, ma anche perché, come Tommaso d’Aquino già aveva perfettamente intuito, la Creazione non è assimilabile a un evento che avviene nello spazio e nel tempo. 

                                                              Lamaitre e Pio XII

Di fatto il Pontefice ascoltò il saggio consiglio e nella sua allocuzione rivolta agli astronomi riuniti nella VIII Assemblea Generale dell’IAU, che si tenne a Roma nel 1952, non v’é traccia di alcun ingenuo concordismo. Questa storica ed interessante interazione tra la cosmologia nascente e il Magistero ci porta ad una considerazione di grande attualità. Dalle iniziali scoperte di Lemaître e Hubble, dopo quasi un secolo di entusiasmanti nuove ricerche, il modello cosmologico si è saldamente affermato e, se da un lato, come tutti i modelli scientifici, continuerà ad evolvere, ha definitivamente eliminato ipotesi non più sostenibili. Si tratta di una svolta epocale, che potremmo definire il completamento della rivoluzione copernicana. Infatti, quando Galilei, nelle notti fatali dell’inverno del 1609-1610, apriva con il suo cannocchiale una nuova era dell’astronomia, contemporaneamente infrangeva per sempre le sfere cristalline della cosmologia aristotelica e soprattutto eliminava la divisione sostanziale tra mondo terreno e l’empireo celeste. Non era in grado però di rimpiazzare il modello aristotelico con una cosmologia altrettanto completa e comprensibile: solo oggi la scienza moderna è riuscita ad offrire una visione unitaria e razionale dell’universo e della sua storia evolutiva, sorprendentemente diversa da quanto i nostri antenati avevano immaginato. Durante tutto questo tempo, in assenza di una cosmologia credibile, la filosofia e la teologia, e quindi la Tradizione cristiana e il suo Magistero, hanno continuato a svilupparsi sulla base dell’unica concezione del mondo allora disponibile e la drammatica separazione tra pensiero scientifico e pensiero umanistico, iniziata proprio con la rivoluzione copernicana, non ha aiutato a comprendere la portata universale del cambiamento in atto. Per questo motivo, molte formulazioni dei dogmi di fede sono diventate oggi incomprensibili e rischiano di trasformarsi in un insostenibile fardello per gli uomini di scienza (e non solo loro) che vogliono diffondere il messaggio evangelico senza dover abiurare la loro conoscenza scientifica del reale. Il caso forse più eclatante e più vicino a noi è rappresentato dalla formulazione del dogma dell’Assunzione, proclamato solennemente ex cathedra da papa Pio XII nel 1950. Il testo della proclamazione spiega chiaramente che il Magistero intendeva elevare a dogma di fede una tradizione popolare nata nei primi secoli dell’epoca cristiana e consolidatasi nel Medioevo, quindi nell’ambito di una visione del mondo essenzialmente aristotelica, nella quale il «cielo» verso il quale la Vergine è stata assunta «anima e corpo», aveva una sua collocazione precisa nel modello cosmologico allora vigente. Evidentemente, la formulazione letterale del dogma è divenuta oggi incomprensibile e, purtroppo, non offre molti appigli per darne una interpretazione simbolica che salvi il nucleo di fede che essa vuole esprimere e che la Tradizione secolare voleva significare. Un analogo ragionamento si potrebbe estendere a molte altre formulazioni, incluso il Simbolo Niceno, che risentono in modo più o meno evidente di una filosofia della natura non più sostenibile. Il rischio, elevatissimo ed impellente, è che le nuove generazioni o le culture non occidentali che vogliano avvicinarsi al messaggio evangelico, si trovino di fronte a una barriera, perché si trova un linguaggio del passato non più comprensibile. I teologi dovrebbero quindi – e molti già lo fanno – considerare come prioritaria la revisione del prezioso bagaglio della Tradizione e recuperarne il valore salvifico interpretandone il senso e riformulandolo. A mio parere, è questo il senso dell’accorato appello della costituzione apostolica Veritatis Gaudium, o almeno della prima parte, scritta di pugno da papa Francesco: sta ora alle facoltà teologiche orientare i curricula dei loro corsi di studio, reintroducendo le materie scientifiche, da tempo abbandonate, e soprattutto la 'pietra di paragone', la cosmologia, com’era ai tempi gloriosi di Tommaso d’Aquino.

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sabato 1 settembre 2018

POSSIAMO VEDERE GLI ATOMI?



Un supermicroscopio che vede gli atomi

Titan Krios è uno dei microscopi più potenti al mondo

Si chiama Titan Krios ed è stato realizzato su commissione nei Paesi Bassi. È il nuovo super microscopio acquistato dall'Institut Pasteur di Parigi per una somma pari a 5 milioni di euro. Attualmente in fase di test, Titan Krios sarà operativo dopo l'estate. «Permetterà di visualizzare campioni a scala atomica», spiega Michael Nilges, direttore del dipartimento di biologia strutturale e chimica all'Institut Pasteur. La precisione di questo bestione da 3,8 metri di altezza è dell'ordine di un angstrom, ossia un decimiliardesimo di metro e permette di osservare le proteine e i differenti elementi della cellula nel loro ambiente naturale. Il nuovo microscopio consentirà di effettuare lavori di ricerca fondamentali, per esempio sul modo in cui la cellula si divide o cancerizza e di studiarne i cambiamenti strutturali. «Abbiamo l'ambizione di diventare il centro di riferimento della microscopia elettronica in biologia», spiega Stewart Cole, direttore generale dell'Institut Pasteur, dove un nuovo edificio è stato realizzato proprio per accogliere Titan Krios e altri supermicroscopi, isolarli e renderli insensibili alle vibrazioni provocate soprattutto dal metrò che passa lì vicino.





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