Gli Inca (ma non solo loro) erano abilissimi neurochirurghi.
Cranio che mostra trapanazione multipla a scopo medico
I tassi di sopravvivenza degli
interventi di trapanazione del cranio durante il periodo dell'impero Inca erano
molto più alti di quelli dei chirurghi che operavano durante la Guerra Civile
americana, oltre 400 anni dopo.
Un'incisione del 1525 sulla trapanazione. Immagine: Peter
Treveris/Heironymus von Braunschweig.
La trapanazione del cranio è un
tipo di intervento chirurgico che consiste nel praticare un foro nel cranio
mediante un trapano. Questa operazione veniva eseguita frequentemente già
nell’antichità (secondo alcuni si tratta infatti del più antico esempio di
chirurgia, se ne ritrovano indizi a partire dal Neolitico), senza anestesia né
sterilizzazione, come trattamento per diversi disturbi, tra cui crisi
epilettiche ed emicranie, oltre che nel caso di ferite alla testa. Diffusa in
tutte le parti del mondo, questa tecnica sembra tuttavia essere stata
particolarmente praticata dalle popolazioni pre-colombiane, come quella degli
Inca, dell’America latina. Infatti, il Perù detiene il record del maggior
numero di reperti di crani trapanati riportati alla luce, con alcuni singoli
crani che sembrano essere sopravvissuti al trattamento diverse volte (un cranio
presentava segni di 7 diversi interventi). E, secondo i ricercatori, i tassi di
sopravvivenza di questi interventi, considerate le condizioni in cui venivano
eseguiti, sono davvero straordinari. In uno studio, pubblicato su World
Neurosurgery, un gruppo di scienziati della Tulane University di New Orleans ha
esaminato l’evoluzione di questa pratica in Perù per oltre 2000 anni, a partire
dal 400 a. C. fino alla metà del 1500, per osservarne i cambiamenti nel tempo e
per evidenziare le differenze su come lo stesso tipo di intervento veniva
praticato da altre popolazioni, come ad esempio nell’Europa medievale o durante
la Guerra Civile Americana. Durante la ricerca, il team ha analizzato oltre 800
crani trapanati, e ha raccolto importanti dati riguardo la demografia, la
tecnica e i tassi di sopravvivenza di questo tipo di intervento (se, per
esempio, l’osso attorno al buco è frastagliato e non liscio, si può infatti
ipotizzare che il paziente sia morto durante l’intervento o poco dopo). Questi
risultati sono stati poi confrontati con i dati a disposizione su questa
procedura durante il medioevo e durante il 19esimo secolo, fino alla Guerra
Civile. Dai risultati, è emerso che il tasso di sopravvivenza per la procedura
in Perù era di circa il 40% dal 400 al 200 a.C., del 91% nei campioni datati
tra il 1000 e il 1400 d.C. e variabile tra il 75 e l’83% durante il periodo
dell’impero Inca, tra il 1400 e il 1500. In confronto, il tasso di
sopravvivenza per lo stesso intervento durante la Guerra Civile Americana era
compreso tra il 44 e il 54%, e quindi nettamente inferiore. Inoltre, la tecnica
dei chirurgi Inca sembrava anche migliorare nel tempo, con buchi più piccoli e incisioni
più precise, che riducevano quindi il rischio di sviluppare un’infezione.
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DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
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