IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: la vera genesi dell'Homo sapiens

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VIDEO SINOSSI DELL'UOMO KOSMICO

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Con questo libro Marco La Rosa ha vinto il
PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO
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* MISTERI DELLA STORIA *

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LA NUOVA CONOSCENZA

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sabato 19 dicembre 2020

AYAHUASCA: MISTERI E...PROPRIETA' DI UNO STRAORDIANARIO ELISIR

 


Uno studio mette in evidenza, tra le altre proprietà, che l’ ayahuasca degli antichi indigeni dell’Amazzonia, sia anche in grado di stimolare la formazione dei neuroni…

L’ayahuasca è un infuso a base di diverse piante amazzoniche in grado di indurre un effetto psicotropo, oltre che purgante. Il suo utilizzo, risale a diverse forme di sciamanismo amazzonico praticate nei territori a cavallo di Perù, Colombia, Ecuador, Brasile, Bolivia e Venezuela. Oggi alcuni ricercatori hanno dimostrato che questo potente allucinogeno possiede la straordinaria capacità di favorire la formazione dei neuroni e delle altre tipologie di cellule cerebrali.

A dimostrare queste proprietà dell’ ayahuasca è uno studio pubblicato sulle pagine dell’ autorevole rivista Translational Psychiatry. Lo studio in questione è paternità di un team di ricercatori dell’Universidad Complutense de Madrid e del CIBERNED. Nello specifico, gli scienziati hanno condotto degli esperimenti  durante i quali hanno scoperto le proprietà incredibili di questa pianta. Quest’ultima, infatti, oltre ad agevolare la formazione di cellule neurali come gli astrociti e gli oligodendrociti, attiva la zona subgranulare del giro dentato dell’ippocampo. Ciò, garantisce la modulazione della plasticità cerebrale.

Gli esperimenti, condotti per quattro anni, hanno previsto sia studi in vitro che studi in vivo sui topi. Proprio questi animali, dopo aver assunto ayahuasca, mostravano una migliore capacità cognitiva ottenendo punteggi migliori nei test di memoria. Il tè ayahuasca, in realtà, è il risultato della mescolanza di due piante diverse endemiche dell’Amazzonia: la Banisteriopsis caapi e la Psychotria viridis. Un particolare componente naturale presente nell’ayahuasca, la dimetiltriptamina (DMT), sarebbe il vero responsabile degli effetti neuronali benefici. Tale sostanza, infatti, riuscirebbe a legarsi ad un recettore serotoninergico di tipo 2A, amplificando anche l’effetto allucinogeno. Durante gli esperimenti, per poter saggiare gli effetti sul cervello della DMT, i ricercatori hanno modificato il recettore in modo che non avesse effetti allucinogeni.

FONTE:Translational Psychiatry

DA:

https://www.tecnoapple.it/2020/11/19/te-ayahuasca-un-allucinogeno-in-grado-di-stimolare-la-formazione-dei-neuroni-29926

PRECISAZIONI SU AYAHUASCA E DMT DA WIKIPEDIA:


Nel suo celebre studio del 2001, Rick Strassman ha riconsiderato questo privilegio della DMT, assieme al suo carattere endogeno, suggerendo che la sua presenza nel corpo umano assolva una funzione specifica: la DMT sarebbe la «molecola spirituale», la base biologica delle esperienze spirituali che talvolta accadono spontaneamente nella vita di un essere umano, come quelle descritte dai mistici di ogni epoca, e che appaiono straordinariamente affini agli stati psichedelici che la somministrazione per via endovenosa di DMT è in grado di indurre. Tale meccanismo sarebbe localizzato nella ghiandola pineale, «the most reasonable place for DMT formation to occur», considerata già da Cartesio come la sede dell'anima, il luogo ove si incontrano e comunicano res cogitans e res extensa, il fisico e lo spirituale. Strassman nota innanzitutto come la ghiandola pineale sia chimicamente in grado di produrre DMT dal momento che possiede i più alti livelli di serotonina di tutto il corpo umano, la capacità di convertire la serotonina in triptamina, ed un'altissima concentrazione di enzimi altamente specializzati, detti metiltransferasi, i soli in grado di convertire serotonina, melatonina e triptamina in composti psichedelici. In secondo luogo, la pineale possiede anche una specie di "sistema di sicurezza" anti-DMT, cioè un alto livello di una particolare proteina a sua volta in grado di ostacolare l'attività degli enzimi che formano la DMT, e proteggere così l'organismo da un'eccessiva produzione del composto psichedelico in condizioni normali e ordinarie.

La DMT in genere è rapidamente inattivata dagli enzimi endogeni monoamino ossidasi (MAO); gli alcaloidi armalinici invece sono degli inibitori della MAO e quindi evitando la rapida degradazione della DMT ne potenziano gli effetti. Sono strutturalmente simili alla serotonina, agiscono bloccandone i recettori, e mostrano attività incrociata con LSD e psilocibina.

Proprietà

La particolarità dell'ayahuasca consiste nel fatto che, grazie agli inibitori della Banisteriopsis, la dimetiltriptamina resta in circolo nel corpo per un tempo decisamente maggiore rispetto all'assunzione dei vapori. L'effetto della DMT dura circa 10-15 minuti se fumata, mentre ingerita sotto forma di bevanda la DMT rimane in circolo per 2, anche 3 ore, rendendo l'esperienza decisamente più mistica e impegnativa. L'ayahuasca non è un narcotico, infatti il suo componente principale è la DMT, medesima sostanza prodotta nel cervello umano dalla ghiandola pineale ogni notte, durante la fase REM del sonno, dalla nascita fino a 24 ore dopo il decesso. Terence McKenna sostenne che la dimetiltriptamina non fosse una molecola pericolosa per la salute, a meno che uno non muoia dallo stupore. Effettivamente, non ci sono ad oggi prove di danni fisici causati da questa sostanza, ma è possibile che un utilizzo continuato possa indurre psicosi e altre disfunzioni difficilmente prevedibili, data la sua bassa diffusione.

Storia

Negli altopiani delle Ande sono stati trovati residui di β– carboline e DMT in una borsa di oggetti rituali di un migliaio di anni fa. La prima volta che gli europei sono stati testimoni dell'uso dell'ayahuasca fu nel XVI secolo.

Uso terapeutico

Numerosi studi attualmente riportano che l'ayahuasca è un valido supporto al trattamento delle dipendenze da sostanza nella riduzione dei sintomi, nel miglioramento della condizione generale e nella cessazione d'utilizzo della sostanza d'abuso Nel 2014 tredici terapisti operanti nel settore delle dipendenze da sostanza accettarono assieme ai loro pazienti di partecipare a un esperimento in cui si supportava la terapia con l'ayahuasca, lo studio riporta miglioramenti della condizione di tutti i pazienti. Uno studio psichiatrico del 2018 su 1947 persone membri della Uniao do Vegetal ha constatato una riduzione nel consumo di alcol e tabacco da parte dei membri da quando hanno preso parte alle cerimonie. Un altro studio sui membri del Santo Daime ha riportato una riduzione dei sintomi dei disturbi d'ansia a seguito del periodo d'assunzione dell'infuso. Nel 2018 quaranta persone con dipendenza da crack hanno assunto ayahuasca nel corso di uno studio scientifico riportando una riduzione dei sintomi e generali miglioramenti a seguito della terapia. In uno studio condotto all'interno di un gruppo di praticanti della chiesa brasiliana União do Vegetal l'ayahuasca si è mostrata efficace nel trattamento dell'alcolismo e della dipendenza indotta dall'abuso di sostanze stupefacenti. Inoltre è stato suggerito che l'ayahuasca possa essere utile per il trattamento dei disturbi mentali nei quali si sospetta un deficit del metabolismo della serotonina, quali depressione, autismo, schizofrenia, sindrome da deficit di attenzione e iperattività. L'armina possiede proprietà anti-parassitarie che potrebbero farne ipotizzare l'uso nella profilassi della malaria e di varie altre parassitosi.


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giovedì 27 agosto 2020

FISICA E...IMMORTALITA'

 


da:

https://radiomaria.it/la-fisica-quantistica-e-limmortalita-dellanima/

La fisica quantistica e l’immortalità dell’anima.

Non è facile essere atei. Non solo perché chi smette di credere in Dio finisce per credere in qualsiasi altra cosa. Ma anche perché la scienza sorprende con le dimostrazioni delle verità di fede. L'ultima in ordine di tempo: l'immortalità dell'anima.

Il pantheon cattolico talvolta appare quasi più complicato e affollato dell’universo Marvel. Il credente, infatti, crede in Dio-padre-onnipotente, nel suo Figlio incarnato, morto e risorto, nello Spirito Santo che soffia dove vuole, in una divinità Una ma anche Trina, nella Madonna vergine, nelle gerarchie angeliche (che sono davvero tante: cherubini, serafini, troni, dominazioni, arcangeli…), in Satana e i suoi diavoli, nelle schiere dei santi & beati, nei miracoli, nel Paradiso, nel più difficile da digerire Inferno, nell’ambiguo Purgatorio, nelle apparizioni mariane, nel potere delle reliquie, nell’efficacia del rosario… Insomma, un sacco di roba da trangugiare, gran parte della quale alla cieca, per fede.

Anche da qui la tentazione dell’ateismo, all’apparenza molto più facile da digerire e praticare perché ha un solo dogma riassumibile in una sola frase: non è vero niente. Perciò si fa prima ad essere atei (non ci credo) o agnostici (chissenefrega). Ma le cose stanno davvero così? Davvero l’ateismo è più semplice della religiosità? Da un punto di  vista sociologico si potrebbe analizzare il dato di fatto che chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché in realtà crede a tutto il resto. Ma lo ha già detto autorevolmente G.K.Chesterton, perciò inutile perdere tempo. Voi starete pensando a quelli che spendono in astrologi e cartomanti, o a quelli che pendono dalle labbra di Giuseppi. E starete anche pensando che ben altra cosa sono gli scienziati seri, quelli che cercano nella materia le risposte alle domande sull’esistenza. Ebbene, a giudicare dalle ultime acquisizioni c’è da chiedersi se davvero sia meno complicato credere in Gesù.

Un articolo uscito l’8 agosto su Reccom Magazine e intitolato Illusion of Death, «l’illusione della morte» (un tempo la lingua della Scienza era il latino, oggi è l’inglese) ha per sottotitolo: «Nell’universo quantico esistiamo a tempo indeterminato». Be’, la cosa è rassicurante e certo toglie alla morte gran parte della sua terrificità. Roger Penrose (dimenticavo: sir) è un «famoso fisico e matematico»  di Oxford che, con i ricercatori dell’altrettanto famoso Max Planck Institute di Monaco, si è accorto che «l’universo fisico in cui viviamo è solo una nostra percezione e una volta che i nostri corpi fisici muoiono c’è un’infinità oltre». Meno male, mi sento rassicurato. Tranquilli, dunque, perché, sì, «il corpo muore ma il campo quantico spirituale continua. In questo modo siamo immortali». Infatti, «esiste un numero infinito di universi e tutto ciò che potrebbe accadere si verifica in qualche universo». Cioè, se muoio in un universo  può benissimo darsi che io non sia ancora morto in un altro, se ho ben capito. Di più: non si muore mai veramente, nemmeno negli altri universi.

Dice lo scienziato (o il redattore? boh, non è chiaro): «Sebbene i singoli corpi siano destinati all’autodistruzione, il sentimento vivo, il “chi sono io?”, è solo una fonte di energia da 20 watt che opera nel cervello. Ma questa energia non va via alla morte». Perché? «Uno degli assiomi più sicuri della scienza è che l’energia non muore mai; non può né essere creata né distrutta». Ma allora, dico io, quando uno nasce, da dove provengono quei 20 watt di energia? Trasmigrazione delle anime? Reincarnazione? Boh. E che cos’è allora la coscienza? Nient’altro che «informazioni archiviate a livello quantico». Sì, perché dovete sapere che «i microtubuli a base di proteine, una componente strutturale delle cellule umane, contengono informazioni quantistiche memorizzate a livello sub-atomico». E le esperienze di pre-morte, quelle in cui uno vede se stesso in rianimazione e poi la luce gioiosa in fondo al tunnel? Sono i microtubuli. Se invece «il paziente non viene rianimato e muore, è possibile che questa informazione quantistica possa esistere al di fuori del corpo, forse indefinitamente, come anima». Eh, davvero credevate fosse più semplice essere atei?

Da:

https://radiomaria.it/la-fisica-quantistica-e-limmortalita-dellanima/

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giovedì 17 ottobre 2019

TELOMERI E ...CERVELLO



L'invecchiamento cellulare è accompagnato da cambiamenti nella nostra struttura del cervello.

Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa (ENEA)

Per determinare il ruolo della lunghezza dei telomeri sulla struttura del cervello, gli scienziati hanno misurato la loro lunghezza con il DNA dei leucociti dal sangue usando una reazione a catena della polimerasi. Inoltre, hanno calcolato lo spessore della corteccia cerebrale con scansioni MRI dei partecipanti allo studio. I telomeri sono cappucci protettivi alle estremità dei cromosomi che si accorciano con ogni divisione cellulare. Se diventano così brevi da danneggiare i geni che proteggono, la cellula smette di dividersi e rinnovarsi (senescenza replicativa – ndr – MLR). Di conseguenza, la cellula è sempre più incapace di svolgere le sue funzioni. Questo meccanismo è uno dei modi in cui invecchiamo. La lunghezza dei telomeri è quindi considerata un indicatore dell'età biologica di una persona, in contrasto con la sua età cronologica. Per due persone della stessa età cronologica, la persona con telomeri più corti ha un rischio maggiore di sviluppare malattie legate all'età come il morbo di Alzheimer o il cancro, e anche un'aspettativa di vita più breve.

E' possibile l'allungamento dei telomeri?

Una chiave per rimanere più giovani sembra quindi essere collegata alla domanda: come rallentare, fermare o addirittura invertire l'accorciamento dei telomeri? La genetica e lo stile di vita malsano contribuiscono in modo significativo all'accorciamento dei telomeri, insieme allo stress psicologico. Sulla base di queste conoscenze, i ricercatori hanno esaminato la quantità di stile di vita che può influenzare la lunghezza dei telomeri. Studi recenti suggeriscono che i telomeri possono cambiare più velocemente di quanto si pensasse in precedenza, probabilmente allungando da uno a sei mesi di allenamento mentale o fisico. La premessa eccitante è che l'allungamento dei telomeri può rappresentare un'inversione dei processi di invecchiamento biologico. Tuttavia, non è chiaro se l'allungamento dei telomeri rifletta effettivamente qualsiasi miglioramento nella traiettoria generale della salute e dell'invecchiamento di una persona. "Per scoprire se un cambiamento a breve termine della lunghezza dei telomeri, dopo solo pochi mesi, potrebbe effettivamente essere associato a cambiamenti nell'età biologica di una persona, l'abbiamo collegato a un altro biomarcatore di invecchiamento e salute: la struttura del cervello", spiega Lara Puhlmann, ora membro del gruppo di ricerca "Social Stress and Family Health" guidato da Veronika Engert presso il Max Planck Institute di Lipsia. Il progetto era stato avviato da Tania Singer nell'ambito del progetto ReSource. I partecipanti allo studio dei ricercatori sono stati sottoposti a quattro esami MRI, distanziati di tre mesi ciascuno, e hanno fornito campioni di sangue nelle stesse date. Usando il DNA dei leucociti dal sangue, gli scienziati sono stati in grado di determinare la lunghezza dei telomeri usando una reazione a catena della polimerasi. Le scansioni MRI sono state utilizzate per calcolare lo spessore della corteccia cerebrale di ciascun partecipante. Questo strato esterno di materia grigia diventa più sottile con l'età. È anche noto che alcune malattie neurologiche e legate all'età sono associate a un assottigliamento corticale più veloce in alcune regioni del cervello.

Rapidi cambiamenti nell'invecchiamento biologico

Il risultato:

Da questi studi, pare che l’ invecchiamento biologico cambi più rapidamente. Gli indici di invecchiamento possono variare significativamente in soli tre mesi", afferma Puhlmann. Durante l’esperimento, se i telomeri variavano di lunghezza, questo era associato a cambiamenti strutturali nel cervello. In un periodo in cui i telomeri dei partecipanti si allungavano durante lo studio, era anche più probabile che la loro corteccia si fosse ispessita allo stesso tempo. D'altra parte, l'accorciamento dei telomeri era associato alla riduzione della materia grigia. Questa associazione si è verificata in particolare in una regione del cervello chiamata precuneus, che è un centro metabolico e connettivo. Molte altre domande, tuttavia, rimangono aperte. "Non sappiamo, ad esempio, quale meccanismo biologico sia alla base dei cambiamenti a breve termine della lunghezza dei telomeri", spiega lo scienziato, "o se i cambiamenti a breve termine abbiano davvero un effetto a lungo termine sulla salute".

Allenamento mentale

Allo stesso tempo, il gruppo di ricercatori ha studiato se la lunghezza dei telomeri potesse essere modificata da nove mesi di allenamento mentale basato sulla consapevolezza e sull'empatia e se tale cambiamento sistematico nella lunghezza dei telomeri si riflettesse anche nell'ispessimento o nell'assottigliamento corticale. I dati precedenti del Progetto ReSource, che era supportato dal Consiglio europeo della ricerca (CER), avevano già dimostrato che alcune regioni della corteccia possono essere ispessite attraverso l'allenamento, a seconda dei rispettivi contenuti di allenamento mentale di tre moduli distinti, ciascuno della durata di tre mesi. La risposta allo stress fisiologico potrebbe anche essere ridotta dall'allenamento mentale con aspetti sociali. Contrariamente ai loro precedenti lavori e ai precedenti risultati di altri gruppi, questo non ha riscontrato alcun effetto di allenamento sui telomeri. Gli studi futuri dovranno continuare ad affrontare la questione di quali misure o comportamenti possano fermare o addirittura invertire in modo più efficace l'accorciamento dei telomeri e il processo di invecchiamento biologico.

Da:

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martedì 10 settembre 2019

UNIVERSO: ORGANISMO VIVENTE ?



“L’Universo è un organismo vivente e noi siamo le sue cellule”: lo sostiene il fisico teorico Lee Smolin.

L'Universo, stando alle parole del fisico teorico Lee Smolin, sarebbe un organismo vivente e noi le sue cellule. Ecco cosa sarebbe in realtà il Big Bang.

“Guardate le stelle e non i vostri piedi. Provate a dare un senso a ciò che vedete, e chiedervi perché l’universo esiste. Siate curiosi”

Diceva Stephen Hawking, uno dei più celebri luminari del nostro secolo, riferendosi al più grande mistero di sempre: l’universo. Dalla forma di vita più minimale, dal microbo più millimetrico al mammifero più organicamente arzigogolato, l’essere umano è convinto di conoscere ogni organismo in ogni particolare biologico che lo contraddistingue. Tuttavia, potrebbe esistere un organismo su scala più grande, a “livello cosmico”, nel quale i pianeti rappresentano le cellule e i buchi neri da DNA dello spazio, la materia conosciuta un neo in un tessuto epidermico molto più grande che sarebbe la materia oscura. Si tratterebbe dell’Universo stesso. Ma, per comprendere meglio questa teoria estremamente affascinante in quanto molto spesso tralasciata o poco approfondita, bisogna porsi delle domande:  Cosa rende vivo un organismo? Cosa ci rende diversi da un sasso o da un robot? È il battito del cuore? Sono i pensieri che abitano la nostra mente? O per il fatto che nasciamo, cresciamo e moriamo?

Un gruppo di scienziati ha ipotizzato che l’intero cosmo possa essere un unico organismo vivente, del quale noi incarniamo una parte infinitesimale e nel quale possiamo vivere autonomamente e muoverci allo stesso modo. A ben vedere, tutte le forme di vita possono essere ricondotte ai pochi organismi unicellulari che si “aggiravano”  nell’Archeano. Oggi, dopo circa 4 miliardi di anni, hanno visto la luce elefanti, balene e altre 8 milioni di specie eucariotiche. Inutile specificare che tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta sono interconnessi, tanto da far ipotizzare di essere tutti membri di un singolo organismo vivente. Rappresentiamo forse le centinaia di differenti tipi di cellule del nostro corpo che costantemente muoiono e si rinnovano? Il primo riferimento, in Occidente, a questa teoria, ci viene fornito dal filosofo greco Anassagora, che era fermamente persuaso dell’esistenza di un Nous ( mente ) che organizzasse il cosmo per farlo riemergere al caos originario. Ma la vera e propria concezione dell’universo in quanto organismo vivente è stata formulata da Platone, dagli stoici, da Plotino e dal neoplatonismo: stando alla visione “organicista” le galassie, i buchi neri, quasar, stelle, nebulose fanno tutti parte della struttura di un unico organismo che è l’universo. E, se prendiamo per buona l’ipotesi che caratteristica essenziale di un essere vivente è nascere, crescere e morire, allora l’universo dovrebbe davvero essere un organismo in tutti i sensi: il Big Bang sarebbe la venuta al mondo del cosmo da un universo antenato, l’espansione sarebbe la sua crescita e, quando in futuro l’entropia avrà raggiunto il suo equilibrio, l’Universo dovrebbe morire.

Un’altra caratteristica degli esseri viventi è il fatto di provenire da un altro organismo. Il fisico teorico Lee Smolin, uno dei fondatori del Perimeter Institute for Theoretical Phsysics, Stando alla sua teoria, il nostro Universo avrebbe già dato vita ad una intera famiglia di universi-figli nascosti al di là dell’orizzonte oscuro dei buchi neri-. “Le leggi di natura sono perfettamente sintonizzate, in modo che l’Universo possa ospitare la vita. Immaginiamo cosa succederebbe se cambiassimo anche solo leggermente queste leggi: l’Universo non sarebbe più così ospitale. Resta un mistero il motivo per cui l’Universo è così accogliente nei confronti della biologia”.

I cosmologi hanno da tempo dibattiti sulla così detta “Perfetta Sintonizzazione”. Se una qualunque forza della natura fosse più forte o più debole di una percentuale inferiore all’1%, le stelle e le galassie non si sarebbero mai “edificate”. Addirittura gli atomi non esisterebbero.

“La selezione naturale spiega come le strutture intricate della vita si sviluppano progressivamente. Mi chiedo se anche il nostro universo così complesso sia il risultato di una versione cosmica dell’evoluzione biologica. L’Universo potrebbe avere una storia? Potrebbe avere degli antenati? Mentre si è evoluto nel corso della storia, potrebbero esserci state variazioni casuali delle leggi, e poi una selezione delle stesse, privilegiando quelle che introducevano le strutture più complesse?” La risposta a quest’ultimo quesito, stando alla sua opinione, è la  “selezione naturale cosmologica”, in quanto la migliore che abbia mai trovato fino adesso. Naturalmente, perchè la Teoria della Selezione Naturale Cosmologica di Smolin possa avere un risvolto pratico, ci deve essere un meccanismo per cui un intero cosmo possa riprodursi e subire una mutazione come nella trasmissione del DNA. “La risposta si trova nel centro impenetrabile dei buchi neri. Le leggi della fisica conosciuta, lì dentro, cessano di esistere, declassate da altre leggi relativa alla gravità quantistica finora ignote. Quando una stella esplode, lasciando il posto ad un buco nero, avviene la nascita di un nuovo universo. La stella che ha creato il buco nero collassa, e poco prima di diventare infinitamente densa, rimbalza e ricomincia ad espandersi. A quel punto, si creano nuove regioni di spazio tempo, sempre all’interno dell’orizzonte del buco nero, le quali potrebbero crescere e diventare grandi come ha fatto il nostro Universo dopo il Big Bang. Nel cosmo funziona come in biologia: esiste una popolazione di universi che generano una progenie attraverso i buchi neri”.

Tuttavia, mentre Smolin approfondiva quali leggi della fisica permettono ad un piccolo universo di essere più prolifico, ha notato una strana somiglianza tra l’albero genealogico cosmico e quello biologico. “Perchè si formi un buco nero, occorre una stella molto grande. Inoltre, occorrono enormi nuvole di gas e polveri fredde, in modo che queste sostanze si trasformino in monossido di carbonio, quindi occorrono sia il carbonio che l’ossigeno, i due atomi essenziali per la formazione della vita”. Stando alla Teoria della Selezione Naturale Cosmica, l’Universo in cui ci troviamo è un organismo vivente, e che quello della vita non è un fenomeno solo locale, ma anche scalare, cioè in grado di venire alla luce non solo in diversi luoghi dell’Universo, ma anche su divergenti scale di grandezza, tanto grandi da risultare a noi sconosciute.

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martedì 30 aprile 2019

ESSERE, O NON ESSERE, QUESTO E' IL PROBLEMA...



Un esperimento in laboratorio dimostra che la realtà non esiste ?

Nel nostro mondo, la realtà è qualcosa di molto più complesso e sfumato di quanto sembri. In effetti, potremmo dire senza paura di fare errori che non esistono fatti oggettivi. L’affermazione può sembrare strana, ma un recente esperimento di fisica quantistica ha appena dimostrato che la natura stessa della realtà non è oggettiva, ma dipende da chi sta guardando. Sotto la direzione di Alessandro Fedrizzi, della British University of Heriot-Watt, un team di ricercatori è riuscito, per la prima volta, a portare in laboratorio le vecchie idee teoriche sulla natura elusiva dell’universo quantico, che è la base di tutto ciò che ci circonda ma che è governato da una serie di leggi molto diverse da quelle che governano il mondo su scala macroscopica. I risultati, appena pubblicati su Arxiv.org , hanno profonde implicazioni sulla nostra percezione di “ciò che è reale”. “Il metodo scientifico”, scrivono gli autori nel loro articolo, “si basa su fatti, stabiliti attraverso misurazioni ripetute e universalmente concordate, indipendentemente da chi li ha osservati. Ma in meccanica quantistica, l’obiettività di quelle osservazioni non è così chiara. ” L’esperimento coinvolge quattro diversi osservatori: Alice, la sua amica Amy, Bob e il suo amico Brian. La cosa inizia con Amy e Brian nei loro rispettivi laboratori. Una fonte esterna, che non si trova in nessuno dei due laboratori, genera una coppia di fotoni intrecciati. L’entanglement quantico è una sorta di “comunicazione istantanea” secondo cui, se due particelle sono intrecciate, ciò che accade ad una sarà immediatamente conosciuto dall’altra, indipendentemente dalla distanza a cui si trovano. La fonte esterna, quindi, invia uno dei due fotoni intrecciati ad Amy e l’altro a Brian. Successivamente, Amy crea un secondo paio di fotoni interlacciati nel suo laboratorio: uno per il sistema e l’altro per il test. Amy usa il fotone di prova per misurare lo stato del fotone ricevuto dall’esterno del laboratorio e stampa il risultato nel fotone del sistema attraverso l’entanglement quantico. In precedenti esperimenti teorici, la misurazione di Amy è memorizzata solo nella sua memoria. Ma nell’esperimento reale dei ricercatori, il risultato è memorizzato nel “sistema fotone”, che lo rende “l’osservatore. Una volta che Amy ha fatto le sue misurazioni, invia sia il fotone originale (quello che ha ricevuto dall’esterno) che il fotone del sistema alla sua amica Alice. A questo punto, Alice può fare due cose: Misurare il solo fotone proveniente dall’esterno, (misura A0) che sarebbe qualcosa di simile come chiedere ad Amy i suoi risultati, o lasciare che i due fotoni ricevuti interferiscano l’uno con l’altro e quindi fare le proprie misurazioni senza chiedere nulla ad Amy (misurazione A1). Nel frattempo, Brian sta facendo esattamente la stessa cosa con l’altro fotone originale, e Bob, che è nel suo laboratorio, ha le stesse opzioni di Alice per conoscere i risultati di Brian: o chiedergli (B0), o misurarli da solo lo stesso (B1). Se tutto ciò sembra fonte di confusione, la logica sottostante potrebbe sembrarla ancora di più. In effetti, secondo la meccanica quantistica, i risultati A1 e B1 (quelli stabiliti da Alice e Bob e i loro laboratori da soli) potrebbero essere in contrasto con A0 e A1 (quelli stabiliti da Amy e Alice). E questo, che sembra assurdo, può essere facilmente verificato eseguendo l’esperimento ancora e ancora, con Alice e Bob che fanno le loro scelte a caso e quindi calcolano le probabilità medie dei risultati. Come spiegano i ricercatori, il processo prevede di fare tre diversi presupposti. Il primo è che Alice e Bob hanno la completa libertà di scegliere come effettuare le loro misurazioni. Il secondo è che la scelta di Alice non influenza i risultati di Bob e viceversa. E il terzo caso, che ci dice nel mondo ci sono fatti che accadono che sono indipendenti dall’osservatore. Nelle parole di Fedrizzi, “i dati ottenuti dopo una misurazione concreta dovrebbero essere oggettivi, un fatto in cui tutti gli osservatori dovrebbero essere d’accordo”. Se le tre ipotesi fossero corrette, il calcolo delle probabilità non dovrebbe essere maggiore di 2. Ma l’esperimento reale ha dato un valore di 2,47. Il che implica che le tre assunzioni precedenti, o almeno alcune di esse, siano errate. Secondo precedenti esperimenti teorici, anche supponendo che le prime due assunzioni siano corrette, i risultati contraddittori possono continuare a verificarsi. Pertanto, secondo Fedrizzi, “un modo naturale per risolvere il problema è considerare che non ci sono fatti oggettivi”. Dicendo che la terza ipotesi è falsa. L’esperimento potrebbe avere implicazioni immense per la nostra comprensione della vera natura della “realtà quantistica”, che dipende in larga misura da come interpretiamo le teorie. Secondo Fedrizzi e i suoi colleghi, il loro lavoro favorisce interpretazioni che ritengono che i risultati di tutti gli esperimenti siano soggettivi. Allo stesso tempo, l’esperimento mette anche in discussione i principi generali della famosa interpretazione di Copenaghen, secondo la quale le proprietà di un sistema quantistico non esistono finché non vengono osservate, a quel punto diventano realtà oggettive, le stesse per tutti. Il lavoro di Fedrizzi e dei suoi colleghi nega anche l’interpretazione degli universi paralleli, secondo cui tutti i possibili risultati di una misura concreta sono reali e oggettivi, ma ciascuno in un universo diverso.

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lunedì 15 aprile 2019

VERSO IL PIANETA ...DELLE SCIMMIE?



Gli scienziati hanno modificato geneticamente le scimmie per rendere il loro cervello più simile agli uomini.

Il cervello di alcune scimmie geneticamente modificate è più simile a quello umano. L'ingegneria genetica fa passi da gigante che fanno paura, forzando i tempi dell'evoluzione naturale. L'intelligenza umana è una delle "invenzioni" più consequenziali dell'evoluzione. È il risultato di uno sprint iniziato milioni di anni fa, che ha portato a cervelli sempre più grandi e all'acquisizione di nuove abilità da parte dell'uomo. Al culmine di questo percorso evolutivo, gli umani si alzarono in piedi, presero l'aratro e in un certo senso crearono la civiltà, mentre i nostri cugini primati rimasero a vivere tra gli alberi. Oggi un team di scienziati nel sud della Cina ha rivelato di aver parzialmente colmato questo divario evolutivo, creando diversi macachi transgenici con copie extra di un gene umano che avrebbe un ruolo chiave nella formazione dell'intelligenza. 


Il team ha generato 11 scimmie transgeniche Rhesus (8 di prima generazione e 3 di seconda generazione) che trasportano copie umane di MCPH1, un importante gene per lo sviluppo e l'evoluzione del cervello. "È il primo tentativo di comprendere l'evoluzione della cognizione umana usando un modello di scimmia transgenica", ha detto orgoglioso Bing Su, il genetista dell'Istituto di Zoologia di Kunming che ha guidato lo studio. Secondo la ricerca, le scimmie geneticamente modificate hanno condotto meglio un test di memoria che coinvolge colori e immagini a blocchi rispetto a quelle non transgeniche. In particolare, stando agli esperimenti, il team cinese si aspettava che le scimmie transgeniche potessero avere maggiore intelligenza e dimensioni del cervello. Questo è il motivo per cui hanno sottoposto gli animali a risonanza magnetica per misurare la loro materia bianca e hanno dato loro test di memoria computerizzati. Secondo il loro rapporto, le scimmie transgeniche non avevano cervelli più grandi, ma hanno fatto meglio in un quiz di memoria a breve termine, un risultato che la squadra considera notevole. Gli esperimenti, descritti il 27 marzo su National Science Review, e riportati per la prima volta dai media cinesi, rimangono lontani dall'individuare i segreti della mente umana o condurre a una rivolta di primati intelligenti ma fanno comunque paura, sollevando numerose questioni etiche. Se i cinesi vanno tanto fieri dei loro risultati e dell'aver manipolato il codice genetico delle scimmie, non lo sono altrettanto i colleghi di tutto il mondo. "L'uso di scimmie transgeniche per studiare i geni umani legati all'evoluzione cerebrale è una strada molto rischiosa da intraprendere", ha detto James Sikela, un genetista che conduce studi comparativi tra i primati all'Università del Colorado. Lo scienziato teme che l'esperimento mostri disprezzo per gli animali e si spinga fino a modifiche più estreme. La ricerca che sfrutta i primati, per fortuna, è sempre più difficile in Europa e negli Stati Uniti, ma la Cina si è affrettata ad applicare gli ultimi strumenti di DNA ad alta tecnologia agli animali. Il paese è stato il primo a creare scimmie geneticamente modificate con lo strumento di modifica genetica CRISPR, una tecnica di precisione che consente la correzione mirata di una sequenza di DNA. Inoltre, a gennaio un istituto cinese ha annunciato di aver prodotto mezza dozzina di cloni di una scimmia con un grave disturbo mentale. Lo scoglio più grande rimane quello dell'intelligenza. Il cervello dei nostri antenati umani si è sviluppato rapidamente in dimensioni e potenza. Per trovare i geni che hanno causato questo cambiamento, gli scienziati hanno cercato le differenze tra gli umani e gli scimpanzé, i cui geni sono circa il 98% simili ai nostri. L'obiettivo, dice Sikela, era di individuare "i gioielli del nostro genoma", cioè il DNA che ci rende straordinariamente umani.

Diversi scienziati pensano che l'esperimento cinese non abbia prodotto nuove informazioni. Uno di questi è Martin Styner, informatico della University of North Carolinam, tra i coautori del rapporto cinese:

"Non penso che sia una buona direzione. Ora abbiamo creato questo animale che è diverso da come dovrebbe essere. Quando facciamo esperimenti, dobbiamo avere una buona comprensione di ciò che stiamo cercando di imparare, di aiutare la società, e non è questo il caso. Un problema è che le scimmie geneticamente modificate sono costose da creare e curare. Con solo cinque scimmie modificate, è difficile arrivare a conclusioni definitive sul fatto che siano realmente diverse dai loro simili in termini di dimensioni del cervello o abilità di memoria. Stanno cercando di capire lo sviluppo del cervello. E non credo che ci stiano arrivando" sono le sue parole. Anche se ci vorrà del tempo per capire fino in fondo gli esiti di questi esperimenti, la prospettiva è davvero inquietante. 

Il pianeta delle scimmie sembra più vicino...

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