SEGNALATO DAL DR.
GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)
Nel mese di Ottobre scorso, l'industria
aerospaziale Lockheed Martin ha dichiarato di poter commercializzare un
reattore "compatto" per la fusione nucleare entro una decina di anni.
La notizia ha fatto subito il giro del mondo, dato che la fusione nucleare è il
Sacro Graal degli studi sulle fonti energetiche. Ma il comunicato della
Lockheed non è corredato da alcuna pubblicazione scientifica né da una
spiegazione esauriente dell'approccio adottato, ed è stato accolto dagli
esperti con molto scetticismo.
Marketing della ricerca o
cortocircuito mediatico? Difficile dire quale ingrediente pesi di più nella
storia del reattore compatto a fusione nucleare che, secondo una notizia
diffusa pochi giorni fa dalla Lockheed Martin, una delle maggiori industrie
mondiali del settore aerospaziale, sarebbe in via di realizzazione e dovrebbe
fornire energia inesauribile, pulita e a buon mercato addirittura entro un decennio, con piccoli
prototipi disponibili già in cinque anni.
In effetti, se fosse vera, la
notizia sarebbe quasi rivoluzionaria. La fusione nucleare è un po’ il Sacro
Graal delle ricerche sulle fonti energetiche. Si basa essenzialmente sulla
reazione di fusione tra alcuni nuclei atomici leggeri, reazione che genera
nuclei più pesanti - anche se meno della somma dei nuclei di partenza -
liberando un'enorme quantità di energia. La reazione più facile da ottenere
coinvolge un nucleo di trizio e uno di deuterio (isotopi dell’idrogeno) che si
fondono producendo un nucleo di elio più un neutrone.
Le reazioni di fusione avvengono
da miliardi di anni all’interno del Sole e di tutte le altre stelle. E anche se
dal punto di vista teorico non hanno più segreti, riprodurle artificialmente in
un reattore per ricavarne energia di uso pratico è tutt’altra cosa.
Il
ricercatore Tom McGuire e l'apparato sperimentale del reattore compatto della
Lockheed a Palmdale, in California (Cortesia Lockheed).
Il percorso verso la fusione
infatti è solo agli inizi, anche se le ricerche vanno avanti da decenni, perché
le difficoltà tecniche sono molte e di enorme portata. La prima riguarda il
confinamento, cioè la capacità di tenere il combustibile nucleare abbastanza
concentrato da iniziare la fusione. La seconda è l'ignizione, cioè la necessità
che la fusione riguardi un numero talmente elevato di nuclei da far sì che il
processo sia in grado di autosostenersi. Infine, c’è il problema del guadagno
energetico, perché il futuro reattore a fusione ovviamente dovrebbe produrre più energia di quella che consuma. A
tutto questo va poi aggiunto il problema tecnologico non trascurabile di
realizzare strutture in grado di sopportare gli enormi carichi termici
associati al processo di fusione.
Purtroppo allo stato attuale non
è dato sapere in che cosa consista l’avanzamento tecnologico che consentirebbe
al progetto della Lockheed di risolvere d'un colpo tutti questi ostacoli e
sorpassare grandi progetti internazionali come ITER, che da decenni compiono
passi significativi sul lungo cammino della fusione, ma non sono assolutamente
prossimi alla produzione di energia su scala industriale. E per di più, con un
reattore di dimensioni ridotte. A corredo del comunicato dell'industria,
infatti, non c'è né una pubblicazione scientifica né una spiegazione esauriente
di quanto viene annunciato.
“È una notizia priva di qualunque
sostegno: ho provato a seguire i link che si trovano nelle notizie, anche
ufficiali, su Internet ma davvero non riesco a trovare la minima informazione
tecnica”, ha spiegato a “Le Scienze” Angelo A. Tuccillo, responsabile del
Laboratorio di fisica della fusione a confinamento magnetico (UTFUS–MAG)
dell'ENEA. “Da quanto sono riuscito a trovare in rete, sembrerebbe trattarsi di
una configurazione cosiddetta 'Mirror' costituita da una macchina lineare ai
cui estremi due forti campi magnetici chiudono la configurazione. Questi
sistemi, abbandonati da tempo per problemi a ottenere buoni confinamenti, a
favore della configurazione 'Tokamak', sono stati di recente riconsiderati come
possibile generatore di neutroni. Per la più parte si tratta solo di
informazioni note e dichiarazioni d’intenti: che la fusione sia sei volte più
redditizia della fissione è un dato risaputo; che di conseguenza sia una strada
che debba essere perseguita è ovvio. E' difficile immaginare, sulla base delle
informazioni note, quale sia l’innovazione introdotta dalla Lockheed Martin che
di colpo risolva i problemi ancora aperti della fusione".
Spaccato dell'International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER)
il più avanzato progetto internazinale di ricerca sulla fusione nucleare, in
costruzine nel sud della Francia (WikimediaCommons)“Il comunicato della
Lockheed sembra dire che la soluzione per il futuro è il compatto, cioè un
reattore di dimensioni ridotte, anche se in rete poi si trova che avrebbero
disegnato una macchina lunga 43 piedi (circa 13 metri) e larga 24 (circa 7
metri) che però sembra in contrasto con il problema dei carichi termici”, ha
continuato Tuccillo. “Il problema maggiore che dovrà affrontare la ricerca
sulla fusione per arrivare alla realizzazione di un reattore è come gestire la
potenza circolante: già è quasi irrisolvibile su macchine grandi, su macchine
piccole potrebbe essere decisamente più difficile oltre poi all’estrapolazione
al reattore”.
La riduzione delle dimensioni va
dunque esattamente nella direzione opposta di quella ritenuta finora più
valida. Eppure la Lockheed afferma di dedicarsi a questo settore di ricerca da
molti anni, si è mai avuta notizia di qualcosa di concreto?
“Mi sembra che alla fine
dell'anno scorso o all’inizio di quest'anno fosse uscito qualcosa, anche in
quel caso con scarse notizie tecniche”, ha sottolineato Tuccillo. “Considerati
complessità, tempo e risorse che sono state dedicate negli ultimi 50 o 60 anni
alla ricerca sulla fusione, se avessero davvero un breakthrough lo
pubblicherebbero su riviste prestigiose quali 'Nature', non farebbero certo un
annuncio così vago. Il mio gruppo ha recentemente trovato alcune soluzioni a
problemi decisamente più piccoli che ha immediatamente proposto per la
pubblicazione su 'Nature Communications' (il primo articolo è stato già
pubblicato e il secondo è in fase di review) e non si tratta certo di un
breakthrough per la fusione, ma per un piccolo aspetto del riscaldamento dei
plasmi”.
Da:
http://www.lescienze.it/news/2014/02/13/news/fusione_nucleare_guadagno_positivo-2010197/
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8 commenti:
DA DR. COTELLESSA
La Lockheed sta costruendo motori a fusione nucleare?
Nelle ultime settimane è circolata la notizia che la Lockheed Martin starebbe lavorando a un reattore a fusione di dimensioni estremamente compatte. Talmente compatte da consentire il suo utilizzo come propulsore negli aerei di linea.
In effetti sul sito web dell’azienda è presente una sezione interamente dedicata al progetto in cui, oltre alla propulsione aerea, vengono menzionate come possibili applicazioni:
motori per la propulsione navale con autonomia virtualmente illimitata
il soddisfacimento del fabbisogno energetico di una città di 50-100.000 abitanti
energia illimitata a basso costo per i paesi in via di sviluppo
l’abbattimento dei costi di desalinizzazione e dunque la soluzione del problema della scarsità di acqua potabile nel mondo
la possibilità di raggiungere Marte in un mese anziché sei.
Un tale programma d’intenti, unito alla scarsità di dettagli tecnici forniti (in particolare, nessuna pubblicazione scientifica) e a una certa facilità d’uso di termini come “sorgente illimitata di energia”, incoraggiano un po’ di sano scetticismo.
Per fortuna in fondo alla pagina si trovano alcuni collegamenti esterni da cui è possibile estrarre qualche informazione in più.
Il primo collegamento è un articolo di Aviation Week, contenente un’intervista al responsabile del progetto, Thomas McGuire. Nella prima parte dell’articolo viene illustrato il meccanismo alla base di ogni prototipo di reattore nucleare. In breve, il propellente (deuterio e trizio) viene iniettato nel reattore e progressivamente riscaldato fino a raggiungere lo stato di plasma (ioni ed elettroni liberi). A questo punto è necessario che il plasma sia confinato (per mezzo di campi magnetici) in una regione sufficientemente piccola, in modo che la densità e la temperatura siano sufficientemente elevate da innescare la fusione tra gli ioni. La fusione produce elio e neutroni: i neutroni trasportano l’energia liberata dalla reazione, sotto forma di energia cinetica, alle pareti del reattore collegate ad un tradizionale scambiatore di calore.
I problemi degli attuali reattori a fusione sono principalmente due: il fatto che l’energia necessaria a mantenere la fusione sia quasi equivalente a quella generata, e le grandi dimensioni del reattore (dovute a motivi di sicurezza legati all’instabilità del plasma).
Nell’intervista, il responsabile del progetto Lockheed parla di una diversa e più efficiente geometria dei campi magnetici che confinano il plasma e promette
un incremento di un fattore 10 in potenza rispetto a un reattore convenzionale (o, equivalentemente, un fattore 10 in meno in dimensioni dell’apparato a parità di potenza)
SEGUE SECONDA PARTE
DA DR. COTELLESSA
SECONDA PARTE
La previsione tuttavia è di avere, da qui a 5 anni, una macchina
che sia capace di sostenersi per 10 secondi dopo l’accensione
ammettendo che
non si tratterebbe di un prototipo vero e proprio, ma di una prova che la fisica alla base del progetto funziona.
Candidamente poi ammette verso la fine:
Una delle ragioni per cui stiamo venendo allo scoperto è che stiamo costruendo un team per affrontare i grandi problemi del progetto.
In pratica, serve gente per capire se si può fare davvero.
Per confronto, vediamo le affermazioni di un secondo gruppo di ricerca che lavora al progetto di reattore nucleare compatto e che fa capo all’Università di Washington: rispetto all gruppo della Lockheed, hanno pubblicato diversi articoli in merito e sembrano molto più realisti.
Sostengono di poter ridurre le dimensioni del plasma facendo circolare corrente (e generando dunque campi magnetici) direttamente dentro il plasma (che è un ottimo conduttore): dunque il mezzo che fonde si “autoconfina” da sé.
Il loro obiettivo principale, tuttavia, non è quello di ridurre al massimo le dimensioni ma di competere in costi/efficienza con una centrale a carbone: 1 gigawatt prodotto con il loro reattore costerebbe 100 milioni di dollari in meno rispetto a 1 gigawatt prodotto da una centrale a carbone, e ovviamente sarebbe “pulito” dal punto di vista ambientale.
In sostanza, il sospetto che alla Lockheed siano un po’ troppo ottimisti ed entusiasti è fondato.
DA DR. COTELLESSA
Un motore nucleare compatto fa volare un aereo per mesi
La Lockheed Martin, la società di ingegneria aerospaziale americana, che è anche il più grande contraente militare degli Stati Uniti, ha fatto sapere che sta sviluppando un reattore a fusione termonucleare compatto che potrà essere montato sugli aerei. Una notizia che sembra da fantascienza: dal momento che con questa apparecchiatura sarebbe possibile far volare un aereo per mesi continuativamente; produrre l'elettricità necessaria a 80 mila abitazioni per un anno utilizzando 25 chilogrammi di combustibile senza emissioni di gas serra.
La novità è stata rivelata dalla rivista americana Aviation Week che è stata nei laboratori di Lockheed Martin, nella sua divisione dei programmi segreti, Skunk Works, a Palmdale, in California.
Gli stessi dove sono stati creati gli aerei più innovativi della Lockheed, i velivoli spia U-2 e SR-71, e i caccia Stealth, invisibili ai rilevamenti, F-117 e F-22.
Il «Compact fusion reactor» è all'interno di una camera e ha la forma di un cilindro in acciaio di pochi metri di lunghezza. È dentro questo cilindro che deve prodursi la reazione di fusione, un processo pari a quello che si verifica costantemente all'interno del sole.
L'idea è di riscaldare un gas a temperatura elevata perché si verifichi la fusione fra i suoi elementi in maniera da ottenere elementi più pesanti , che producono, al passaggio, una quantità astronomica di energia.
Se il principio fisico della fusione è ben noto, la realizzazione di una macchina in grado di produrre energia da fusione non è così semplice. La strada più promettente, Iter, avrà un costo di decine di miliardi di euro e non produrrà la prima fusione prima del 2027. Inoltre, Iter è solo un prototipo che dovrà aprire la strada alla costruzione di un reattore operativo che sarà possibile soltanto fra diversi decenni.
Scegliendo un'architettura più compatta, il giovane direttore del programma operativo alla Lockheed Martin afferma di essere in grado di muoversi più velocemente rispetto ai suoi concorrenti. Thomas McGuire, laurea e un dottorato al Mit in soli sette anni, è convinto di realizzare un prototipo funzionante entro cinque anni e di realizzare reattori operativi appena qualche anno dopo. Il suo ottimismo e la voglia di cambiare il mondo fanno piacere ma non sono abbastanza per convincere gli specialisti della fusione. «Può essere che Lockheed Martin abbia trovato un modo che nessuno aveva mai pensato prima», ha dichiarato Steven Cowley, direttore del Centro di Culham sull'energia da fusione, in Gran Bretagna, «ma al momento non c'è alcun elemento tecnico concreto che possa provarlo».
DA DR. COTELLESSA
La fusione nucleare è un processo in base al quale un gas viene scaldato, il che consente la separazione degli ioni e degli elettroni. Quando i primi raggiungono una temperatura sufficientemente alta, riescono a superare le forze repulsive che li tengono separati e collidono, fondendosi insieme.
Quando questo accade, si liberano delle quantità impressionanti di energia. Per dare un'idea: circa un milione di volte quella di una normale reazione chimica e 3-4 volte più potente di una reazione di fissione nucleare.
Gli ingegneri dello Skunk Works Team ritengono che si possa raggiungere l’obiettivo in un tempo molto ridotto: 10 anni. A favorire questa previsione anche le piccole dimensioni che assumerebbe il reattore a fusione ("compatto", per l'appunto).
Il reattore, infatti, avrebbe le dimensioni di una cisterna, come quelle degli autoarticolati e consentirebbe di soddisfare la fame di energia di una città fino a 100.000 abitanti.
Ma come funzionerebbe questo mini reattore a fusione? Sempre dalla Lockheed Martin descrivono la macchina come una bottiglia magnetica, in grado di resistere a temperature estremamente elevate, raggiungendo centinaia di milioni di gradi.
L'energia termica così prodotta (e contenuta) potrebbe azionare dei generatori a turbine, sostituendo le camere di combustione con semplici scambiatori di calore. A loro volta, le turbine genererebbero energia elettrica o cinetica per tantissimi applicazioni: dai viaggi spaziali alla possibilità di depurare grandi quantità d'acqua per le popolazioni che oggi soffrono la sete; dal soddisfacimento delle richieste energetiche delle città allo sviluppo di aerei in grado di un'autonomia praticamente illimitata … i sogni sono leciti e doverosi.
Note
1. Il termine "Skunk works" o "skunkworks" è ampiamente utilizzato in economia, ingegneria, ed in campo tecnico per descrivere un gruppo all'interno di una organizzazione che gode di un elevato grado di autonomia e di libera circolazione da parte della burocrazia, con il compito di lavorare su progetti avanzati o segreti.
DA DR. COTELLESSA
New details on compact fusion reveal scale of challenge
Lockheed Martin’s Revolutionary Technology team admits its new fusion reactor is at a very early stage, but sets out the reasons it is optimistic
After surprising the world with the announcement of a new nuclear fusion energy concept with the possibility of fast application at relatively low cost, Lockheed Martin has revealed more detail about the basis of its proposed compact fusion reactor (CFR). Research leader Tom McGuire of the Revolutionary Technology division of the company’s Skunk Works research base admitted that the project is four years into its progress and is still at a very early stage, and explained some of the areas where he is looking for collaborations to take the research forward.
In a telephone press conference, McGuire explained that the CFR borrows design aspects of a number of fusion concepts which in previous years have failed to fulfil their potential. Its key aspect is that it is small, ‘a few metres in diameter’, rather than the 16m radius of the ITER tokamak, the doughnut-shaped experimental reactor currently taking shape in France. ‘What’s really exciting is that we can develop it more quickly because of its scale,’ he said. ‘One of the powerful things about that is that we can start working on a full scale prototype more quickly, and in the future it cuts down the huge capital costs.’
The SkunkWorks team is currently using a spherical reactor to experiment on plasma heating
Nuclear fusion works by stripping away electrons from atoms of two heavy isotopes of hydrogen, deuterium and tritium, and confining the gaseous mixture of the positively-charged atomic nuclei, called a plasma, into a small space. The plasma then has to be heated to make the nuclei travel fast (in a gas, temperature is another way of expressing particle speed); this is necessary because the particles are all positively-charged and need to be moving fast to overcome electrostatic repulsion and collide.
”What’s really exciting is that we can develop it more quickly because of its scale; we can start working on a full scale prototype more quickly, and in the future it cuts down the huge capital costs
SEGUE SECONDA PARTE
DA DR. COTELLESSA
SECONDA PARTE
The SkunkWorks team is currently using a spherical reactor to experiment on plasma heating
Nuclear fusion works by stripping away electrons from atoms of two heavy isotopes of hydrogen, deuterium and tritium, and confining the gaseous mixture of the positively-charged atomic nuclei, called a plasma, into a small space. The plasma then has to be heated to make the nuclei travel fast (in a gas, temperature is another way of expressing particle speed); this is necessary because the particles are all positively-charged and need to be moving fast to overcome electrostatic repulsion and collide.
”What’s really exciting is that we can develop it more quickly because of its scale; we can start working on a full scale prototype more quickly, and in the future it cuts down the huge capital costs
Tom McGuire
If they collide hard enough, they undergo fusion, transforming into the nucleus of a helium atom and spitting out an excess neutron, whose extremely high velocity can be captured as energy by slowing it down. Transferring this energy to a coolant would allow it to be used to generate electricity. The energy released by fusion is huge; it powers the sun, and only a small amount of deuterium and tritium would be needed to match the performance of a conventional nuclear reactor, but without the waste and with much lower risk of harmful radiation.
McGuire’s reactor traps the plasma using powerful magnetic fields. Unlike a tokamak, which wraps its plasma in a complex series of fields made by three sets of huge magnets outside the reactor vessel, the CFR has two sets, one inside consisting of two rings suspended in the plasma and one outside, circling the circumference of the cylindrical reactor. The internal magnets produce a type of magnetic field known as a diamagnetic cusp, where the magnetic forces change direction rapidly and force the nuclei in the plasma towards the midpoint between the two rings (this is called a magnetic well). The fields from the external magnets squeeze the plasma, forcing it towards the ends of the vessel, while the two magnets at either end produce a very high magnetic field which acts as a mirror, forcing the particles back into the reactor in a process known as ‘recirculation’. ‘Part of what we’re doing is to probe the properties of that and look at our diamagnetic shape and confinement and see if really works at lower temperature, and as we go forward we’ll increase heating and scale it up,’ McGuire said.
”Much like the first jet engine was very crude but extremely effective, we’d want to follow the same path that gets something out and then iterate again and again to a powerful solution
Cusp reactors, magnetic mirrors and recirculation have all been investigated before in reactors called polywells and field-reversed configuration reactors (FRCs) but without the benefit of superconducting magnets. These take advantage of the behaviour of some electrical conductors at very low temperatures to allow electricity to flow with no resistance. This allows very strong magnetic fields to be created without the need for a great deal of energy. Also, McGuire says, the way the team combines the design elements is new.
Checking the seal on the initial CFR vacuum prototype
The research is currently at a point of investigating the physics of the plasma’s behaviour. There are important differences between this reactor and a tokamak; the latter uses its magnets to set up a strong electrical current in the plasma itself to heat it up, while the CFR has no net current. ‘This eliminates the prime driver for instabilities,’ McGuire explained in email correspondence. The favourable surface-to-volume ratio of the plasma means that the CFR can achieve much better confinement in comparison to other mirror concepts,’ he added.
SEGUE TERZA PARTE
DA DR. COTELLESSA
TERZA PARTE
The small volume of the plasma means that less energy is needed to heat it to the point where fusion occurs, McGuire said. In experiments, the team is using microwave emitters to pump energy in to initiate fusion, but for a working reactor he expects to use the technique of neutral beam injection, where very fast uncharged deuterium atoms shed their energy in the plasma; the build-up of heat from fusion will then be sufficient to keep the reaction going. Despite this, the ratio of the plasma pressure to the pressure exerted by the magnetic field - a property known as beta - is much higher than in tokamaks, by a factor of ten. This means more plasma, more fusion reactions, and more energy output.
Among the current research problems is protecting the magnets within the plasma. Fusion bombards these with neutron radiation, which can damage many materials, and the temperature of many millions of Kelvin in the reactor is also difficult, as the magnets have to be kept just above absolute zero to maintain superconduction. ‘The detailed design of the shielding hasn’t been done yet; it could be 80-150cm thick depending on the technology,’ McGuire said. ‘But even in the most conservative case, the reactor would still be small enough to be feasible.’
Another area where more work is to be done is on the ‘blanket’ component which lines the reactor vessel. This has two functions: it captures the fast neutrons and transfers their energy to a coolant, which McGuire thinks would probably be a liquid metal; and it also forces the neutrons to collide with lithium atoms, transforming them into tritium to fuel the reactor. ‘We’ve done feasibility analysis to show we can protect the structures and we have a path to follow,’ said McGuire. ‘In coming years we have a lot more work to do on refining and giving some options. You have different design requirements for a mobile application and a ground application in terms of radiation and lifetime performance.’ The idea is that the blanket would provide all the neutron radiation shielding needed to make the CFRs safe to work with; this could mean the reactor would weigh anything from 300-1000tonnes.
Tom McGuire: seeking collaboration on applications, tritium breeding and shielding
The Skunk Works team is already thinking about how the reactor could be applied. ‘We want the path going forward to be feasible, otherwise we wouldn’t be doing this,’ McGuire commented. Static applications, which would see the reactor loaded into shipping containers and taken to existing power stations where the heat exchangers would be used to power gas turbines, replacing combustion units, is one possibility; mobile applications such as shipboard power are another; they could even power aircraft, although McGuire conceded that this would be ‘one of the more difficult ones’.
”We are not naïve about this; we know that there’s a significant engineering and materials science challenge
SEGUE QUARTA parte
DA DR. COTELLESSA
QUARTA PARTE
Ray Johnson, Lockheed Martin CTO
The need for collaboration is the main reason Lockheed Martin released information on the CFR so early, said company chief technical officer Ray Johnson. ‘We are not naïve about this,’ he said. ‘We know that there’s a significant engineering and materials science challenge, and things that are discovered on the way have to be solved. We also know that partnerships with the best & brightest in industry and academia are critical to advancing this concept further and that’s why we decided to go public with our efforts now.’
McGuire’s team has applied for three patents for their design. ‘We’ve run 200 shots in the commissioning phase, we’re planning to take a full set of diagnostic data and publish that in conferences next year,’ he said. ’We’re also working on a series of more high-fidelity simulations, which we’ll publish as well in the coming year.’
The team’s approach is to find working versions of each part of the system, starting with full-scale plasma confinement, then iterate on their equipment to come up with a fully-working prototype. ‘We think the materials are good enough for a first iteration and it will only get better with time,’ he said. ‘Much like the first jet engine was very crude but extremely effective, we’d want to follow the same path that gets something out and then iterate again and again to a powerful solution.’ The first prototype can therefore be expected to be very different from a production model.
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