Don Eyles, 74 anni, informatico
del Mit di Boston, appena laureato venne ingaggiato per inventare il software
del primo computer usato per pilotare le navicelle della Nasa delle missioni
Apollo che conquistarono la Luna. Ospite di Maker Faire e della sezione
italiana della British Interplanetary Society, ha ricordato quegli anni
pionieristici dell’informatica in cui giocò un ruolo decisivo la visionaria
immaginazione della controcultura del '68.
Quel maledetto protocomputer
continuava ad accendere lucette come un albero di Natale, ma i volti terrei
degli astronauti sulla navicella Apollo e dei tecnici nella sala di controllo a
Houston rimandavano piuttosto a veglie funebri. «Abort, abort» lampeggiava la
spia principale: nella migliore delle ipotesi sarebbe fallita la missione che
nel febbraio 1971 avrebbe dovuto portare l'uomo sulla Luna per la terza volta,
nella peggiore i rocket-men Shepard, Roose e Mitchell sarebbero diventati
polvere cosmica. Che disastro: l'Apollo 14 doveva rilanciare il programma
lunare dopo il cosmico flop dell'Apollo 13.
Don Eyles, 27 anni, laureato al
Mit di Boston ma a prima vista (quasi) un hippie, prese la matita e il solito
metro cubo di carta perforata: due ore dopo passò alla sala di controllo la
sequenza di 80 tasti che in meno di 70 secondi Shepard avrebbe dovuto digitare
(con i guantoni da astronauta) sulla tastierina dell'Apollo Guidance Computer
per permettere al suo nuovo software di battere il suo vecchio software e di
pilotare navicella e modulo per l'allunaggio. Sì, abbiamo capito bene, noi che
ci sentiamo virtuosi del pianoforte mentre digitiamo la combinazione
ctrl+alt+canc: 80 tasti in sequenza in pochi secondi per vivere o morire. E
funzionò alla perfezione consegnando un nuovo trionfo agli Stati Uniti
sull'Urss nella corsa allo Spazio.
È che quel computer, con i primi
circuiti integrati al posto di transistor o valvole, aveva solo 64 kb di
memoria e quindi i programmatori come Eyles dovevano inventare eterne sequenze
di comandi poi imparate come un mantra dagli astronauti.
Quanto sono impalpabili 64 Kb? Un
Kb di memoria vale un milionesimo di un Gigabyte. E di Gigabyte, lo sappiamo,
largheggiano già le schede dei nostri cellulari, per non dire dei laptop: 64 Kb
come appunto il Commodore 64, antesignano delle consolle elettroniche per
videogiochi in vendita solo dal 1982. A ricordare le ricadute delle missioni
spaziali nella nostra vita di tutti i giorni, sempre più legata ai grandi
progressi della tecnologia compiuti per quelle prime imprese e per quelle
successive. Progressi che a 50 anni ancora si rivelano utili: alcune delle
sequenze di comandi ideate da Eyles sono ancora usate sull'Iss da Luca
Parmitano o Samantha Cristoforetti.
«Tutto ciò che facevamo in quei giorni, dal
1966 in poi, era nuovo - dice Eyles, occhi dolci che non si perdono un
dettaglio - migliaia e migliaia di persone che ideavano nuove cose per
realizzare qualcosa che nessuno aveva mai fatto in un ambiente ancora più
misterioso dell'America per Colombo. Serviva preparazione tecnica, ma anche
fantasia, gioco di squadra, intuizione, errori da cui imparare, orgoglio e
coraggio».
Fantasia ?
«È la più importante quando si
affronta l'ignoto, così come la condivisione delle conoscenze fra persone dagli
studi diversi, questione non sempre scontata tra scienziati. Eravamo alla Nasa,
simbolo supremo dell'establishment degli Stati Uniti, ma dovevamo vivere come
in una comune se volevamo raggiungere il traguardo».
Non a caso dell'epopea di Eyles
scrisse con enfasi, prima ancora di Science o Nat Geo, Rolling Stone in un
memorabile pezzo del 1971: Il fricchettone che salvò l'Apollo 14. Il gruppo di
Eyles venne ingaggiato per la Nasa nel 1966, con la corsa alla Luna affiancata
dalla guerra in Vietnam e dalla diffusione della controcultura del 68. I
programmatori di quei computer, senza i quali la conquista della Luna sarebbe
restata un'utopia, galleggiavano insomma per conto della Nasa fra i livelli
della coscienza, il terzo, in particolare, che esaltava libertà personale,
ugualitarismo e droghe ricreazionali per espandere i limiti della comprensione,
come raccontato nel best seller The greening of America nel 1970.
«ERO UN FRICCHETTONE CHE DOVEVA
SPIEGARE AD ARMSTRONG COME SOPRAVVIVERE NELLO SPAZIO CON LE MIE PROCEDURE»
E la responsabilità per la vita
degli astronauti e per i sogni di gloria degli Stati Uniti non era un tremendo
fardello mentre ideava i programmi? Jobs, Gates o Torvalds questo peso non
l'avevano di sicuro.
«No, a essere sinceri non ci si
pensava, era più forte l'entusiasmo di avventurarsi in quel mondo ignoto».
Lei, lunghi capelli e baffi biondi,
jeans scampanati, occhialetti alla Lennon, ha dovuto insegnare a usare quel pc
ad Armstrong e compagni, quasi tutti piloti top gun dell'aviazione Usa,
qualcuno reduce della guerra in Corea: gente tosta, armadi con i capelli a
spazzola, Rayban specchiati, che affidavano lo loro vita a quella infinita
sequenza di tasti.
«Già, erano incontri magnifici:
la prima volta ci si guardava negli occhi, ci si stringeva la mano (ovvero la
mia veniva stritolata) e poi cominciava lo scambio di informazioni. Esaltante:
si capiva che, pur venendo da mondi diversi, bisognava mettersi uno a fianco
dell'altro perché questo richiedeva la missione».
Proprio mentre lei si arrabatta
per programmare quel protocomputer smemorato, Kubrik le fa vedere Hall 9000 in
2001 Odissea nello spazio (1968).
«Che macchina meravigliosa,
affascinante, però mi sembra di ricordare che alla fine ebbe un fastidioso
malfunzionamento».
Quanto era forte su di voi la
pressione della Nasa per recuperare l'umiliante smacco subìto dall'Unione
Sovietica con Sputnik e Gagarin?
«Fortissima, estenuante com'è
logico che fosse perché eravamo in piena Guerra fredda. Spesso mi rifugiavo
nella copia del Lem per isolarmi».
«QUEL SUCCESSO UNIVA LA
CONTROCULTURA VISIONARIA DEL ’68 E IL RIGORE SCIENTIFICO ANCHE MARTE ERA ALLA
NOSTRA PORTATA»
La tecnologia e l'informatica
spaziale dei russi, tutt'ora così commoventemente essenziale, la incuriosisce?
«Accipicchia, la ammiro proprio.
Se una cosa funziona bene perché accantonarla così in fretta come facciamo noi
nell'ansia di migliorarla anche solo di un capello? Che spreco di tempo e di
risorse. E' una grande lezione quella che viene dai russi: ci ricorda anche il
grande errore dei primi anni 70, quando avevamo tutto ma proprio tutto, glielo
garantisco, per arrivare su Marte. Invece, per miopia politica, perdemmo
l'attimo e ora chissà quando ci riusciremo».
I suoi interessi spaziano
dall'informatica alla scultura alla poesia. E alla scrittura: il suo ultimo
libro Sunburst and Luminary, an Apollo memoir fa luccicare gli occhi.
«Grazie, ma guardi che scrivere
un software è come comporre una poesia o una canzone (amo David Bowie): poi
magari i lettori non saranno proprio gli stessi. Ma da sempre, fin dalla
nascita della mitizzata cultura digitale, ho spinto perché i suoi obbiettivi
fossero alti, artistici, intendo, e non solo funzionali».
SE TI E' PIACIUTO QUESTO POST NON PUOI PERDERE:
LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?
"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
Nessun commento:
Posta un commento