....rompo il silenzio perche' in tutto questo bailame, tutti abbiamo la nostra opinione sul "coronavirus", proprio come abbiamo due piedi. Fino ad ora pero' nessuno mi aveva colpito con tale chiarezza.
Quindi ...se volete...
BUONA LETTURA:
I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto
Di Roberto Buffagni
Propongo una ipotesi in merito ai
diversi stili strategici di gestione dell’epidemia adottati in Europa e
altrove. Sottolineo che si tratta di una pura ipotesi, perché per sostanziarla
ci vogliono competenze e informazioni statistiche, epidemiologiche, economiche
che non possiedo e non si improvvisano. Sono benvenute le critiche e le
obiezioni anche radicali.
L’ipotesi è la seguente: lo stile
strategico di gestione dell’epidemia rispecchia fedelmente l’etica e il modo di
intendere interesse nazionale e priorità politiche degli Stati e, in misura
minore, anche delle nazioni e dei popoli. La scelta dello stile strategico di
gestione è squisitamente politica.
Gli stili strategici di gestione
sono essenzialmente due:
11) Non
si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati (modello
tedesco, britannico, parzialmente francese)
22) Si
contrasta il contagio contenendolo il più possibile con provvedimenti
emergenziali di isolamento della popolazione (modello cinese, italiano,
sudcoreano).
Chi sceglie il modello 1 fa un
calcolo costi/benefici, e sceglie consapevolmente di sacrificare una quota
della propria popolazione. Questa quota è più o meno ampia a seconda delle
capacità di risposta del servizio sanitario nazionale, in particolare del
numero di posti disponibili in terapia intensiva. A quanto riesco a capire,
infatti, il Coronavirus presenta le seguenti caratteristiche: alta
contagiosità, percentuale limitata di esiti fatali (diretti o per complicanze),
ma percentuale relativamente alta (intorno al 10%, mi pare) di malati che
abbisognano di cure nei reparti di terapia intensiva. Se così stanno le cose,
in caso di contagio massiccio della popolazione – in Germania, ad esempio,
Angela Merkel prevede un 60-70% di contagiati – nessun servizio sanitario
nazionale sarà in grado di prestare le cure necessarie a tutta la percentuale
di malati da ricoverarsi in T.I., una quota dei quali viene così condannata a
morte in anticipo. La quota di pre-condannati a morte sarà più o meno ampia a
seconda delle capacità del sistema sanitario, della composizione demografica
della popolazione (rischiano di più i vecchi), e di altri fattori imprevedibili
quali eventuali mutazioni del virus.
La ratio di questa decisione
sembra la seguente:
1 1) L’adozione
del modello 2 (contenimento dell’infezione) ha costi economici devastanti
2 2) La
quota di popolazione che viene pre-condannata a morte è in larga misura
composta di persone anziane e/o già malate, e pertanto la sua scomparsa non
soltanto non compromette la funzionalità del sistema economico ma semmai la
favorisce, alleviando i costi del sistema pensionistico e dell’assistenza
sanitaria e sociale nel medio periodo, per di più innescando un processo
economicamente espansivo grazie alle eredità che, come già avvenuto nelle
grandi epidemie del passato, accresceranno liquidità e patrimonio di giovani
con più alta propensione al consumo e all’investimento rispetto ai loro
maggiori.
3 3) Soprattutto,
la scelta del modello 1 accresce la potenza economico-politica relativa dei
paesi che lo adottano rispetto ai loro concorrenti che adottano il modello 2, e
devono scontare il danno economico devastante che comporta. Approfittando delle
difficoltà dei loro concorrenti 2, le imprese dei paesi 1 potranno rapidamente
sostituirsi ad essi, conquistando significative quote di mercato e imponendo
loro, nel medio periodo, la propria egemonia economica e politica.
Naturalmente, per l’adozione del
modello 1 sono indispensabili due requisiti: un centro direzionale politico
statale coerentemente e tradizionalmente orientato su una accezione
particolarmente radicale e spietata dell’interesse nazionale (tipici i casi
britannico e tedesco); una forte disciplina sociale (ecco perché l’adozione del
modello 1 da parte della Francia sarà problematica, e probabilmente si
assisterà a una riconversione della scelta strategica verso il modello 2).
L’adozione del modello 1,
insomma, corrisponde a uno stile strategico squisitamente bellico. La scelta di
sacrificare consapevolmente una parte della popolazione economicamente e
politicamente poco utile a vantaggio della potenza che può sviluppare il
sistema economico-politico, in soldoni la scelta di liberarsi dalla zavorra per
combattere più efficacemente, è infatti una tipica scelta necessitata in tempo
di guerra, quando è normale perché indispensabile, ad esempio, privilegiare
cure mediche e rifornimenti alimentari dei combattenti su cura e vitto di tutti
gli altri, donne, vecchi e bambini compresi, nei soli limiti imposti dalla
tenuta del morale della popolazione, che è altrettanto indispensabile
sostenere.
Gli Stati che adottano il modello
1, dunque, non agiscono come se i loro concorrenti fossero avversari, ma come
se fossero nemici, e come se la competizione economica fosse una vera e propria
guerra, che si differenzia dalla guerra guerreggiata per il solo fatto che non
scendono in campo gli eserciti. La condotta di questo tipo di guerra, proprio
perché è una guerra coperta, sarà particolarmente dura e spietata, perché non
vi ha luogo alcuno né il diritto bellico, né l’onore militare che ad esempio
vieta il maltrattamento o peggio l’uccisione di prigionieri e civili, l’impiego
di armi di distruzione di massa, etc. Per concludere, la scelta del modello 1
privilegia, nella valutazione strategica, la finestra di opportunità immediata
(conquistare con un’azione rapida e violenta un vantaggio strategico sul
nemico) sulla finestra di opportunità
strategica di medio-lungo periodo (rinsaldare la coesione nazionale, diminuire
la dipendenza e vulnerabilità della
propria economia dalle altrui accrescendo investimenti statali e domanda
interna).
Alla luce di quanto delineato a
proposito degli Stati che adottano il modello 1, è più facile descrivere lo
stile etico-politico degli Stati che adottano il modello 2.
Nel caso della Cina, è indubbio
che il centro direttivo politico cinese sappia molto bene che la competizione
economica è componente decisiva della “guerra ibrida”. Furono anzi proprio due colonnelli dello
Stato Maggiore cinese, Liang Qiao e
Xiangsui Wang, che negli anni Ottanta elaborarono il testo seminale sulla
“guerra asimmetrica”[1]. Credo che il centro direzionale politico cinese abbia
scelto, pare con successo, di adottare il modello 2 per tre ragioni di fondo:
a) il carattere spiccatamente comunitario della tradizione culturale cinese,
nella quale il concetto liberale di individuo e il concetto cristiano di
persona hanno rilievo scarso o nullo b) il profondo rispetto per i vecchi e gli
antenati, cardine del confucianesimo c) una valutazione strategica di lungo
periodo, riassumibile in queste due massime di Sun Tzu, il pensatore che più
ispira lo stile strategico cinese: “La vittoria si ottiene quando i superiori e
gli inferiori sono animati dallo stesso spirito” e “Una
guida coerente permette agli uomini di sviluppare la fiducia che il loro
ambiente sia onesto e affidabile, e che valga la pena combattere per esso.” In
altri termini, penso che la direzione cinese abbia valutato che il vantaggio
strategico di lungo periodo di preservare e anzi rafforzare la coesione sociale
e culturale della propria popolazione superasse il costo di breve-medio periodo
del danno economico, e della rinuncia a profittare nell’immediato delle
difficoltà degli avversari. Perché “le vie che portano a conoscere il successo”
sono tre: 1. Sapere quando si può o non si può combattere 2. Sapersi avvalere
sia di forze numerose che di forze esigue 3. Saper infondere uguali propositi
nei superiori e negli inferiori.”
Nel caso dell’Italia, la scelta –
per quanto incerta e mal eseguita – del modello 2 credo dipenda dalle seguenti
ragioni. 1) Sul piano culturale, dall’influsso della civiltà italiana ed
europea premoderna, infusa com’è di sensibilità precristiana, contadina e
mediterranea per la famiglia e la creaturalità, poi parzialmente assorbita dal
cattolicesimo controriformato e dal barocco: un influsso di lunghissima durata che continua ad operare
nonostante la protestantizzazione della Chiesa cattolica odierna, e nonostante
l’egemonia culturale, almeno di superficie, di liberalismo ideologico e
liberismo economico 2) Sempre sul piano culturale, dal pacifismo instaurato
dopo la sconfitta nella IIGM e perpetuato prima dalle sinistre comuniste e dal
mondo cattolico, poi dalle dirigenze liberal-progressiste UE; un pacifismo che
genera espressioni buffe come “soldati di pace”, e la negazione metodica della
dimensione tragica della storia 3) Sul piano politico, sia dal grave disordine
istituzionale, ove i livelli decisionali si sovrappongono e ostacolano
reciprocamente, come s’è palesato nel conflitto tra Stato e Regioni
all’apertura della crisi epidemiologica; sia dalle preoccupazioni elettorali di
tutti i partiti; sia dalla fragile legittimazione dello Stato, antico problema
italiano 4) sul piano politico-operativo, dalla sbalorditiva incapacità delle
classi dirigenti, nelle quali decenni di selezione alla rovescia e abitudine a
scaricare responsabilità, scelte e relative motivazioni sulle spalle
dell’Unione Europea hanno indotto una forma mentis che induce sempre a
imboccare la linea di minor resistenza: che in questo caso è proprio la scelta
di contenere il contagio, perché per scegliere la via del triage bellico di
massa (comunque la si giudichi, e io la giudico molto negativamente) ci vuole
una notevolissima capacità di decisione politica.
In altre parole, la scelta
italiana del modello 2 ha ragioni superficiali e consapevoli nei nostri difetti
politici e istituzionali, e ragioni profonde e semiconsapevoli nei pregi della
civiltà e della cultura a cui, quasi senza più saperlo, l’Italia continua ad
ispirarsi, specie nei momenti difficili: siamo stati senz’altro umani e
civili, e forse anche strategicamente
lungimiranti, senza sapere bene perché. Però lo siamo stati, e di questo
dobbiamo ringraziare i nostri antenati defunti, i Lari[2] il cui culto, sotto
diversi nomi, si perde nei secoli e millenni; e che senza saperlo, oggi
onoriamo e veneriamo facendo tutto il possibile per curare i nostri padri,
madri, nonni, anche se non servono più a niente.
Farebbe sorridere Sun Tzu e forse
anche Hegel constatare che i due modelli impongono metodi operativi di
implementazione esattamente opposti rispetto allo stile strategico.
L’implementazione del modello 1
(non conteniamo il contagio, sacrifichiamo consapevolmente una quota di
popolazione) non richiede alcuna misura di restrizione della libertà: la vita
quotidiana prosegue esattamente come prima, tranne che molti si ammalano e una
percentuale non esattamente prevedibile ma non trascurabile di essi, non
potendo ottenere le cure necessarie per ragioni di capienza del servizio
sanitario, muore.
L’implementazione del modello 2
(conteniamo il contagio per salvare tutti i salvabili) richiede invece
l’applicazione di misure severissime di restrizione delle libertà personali, e
anzi esigerebbe, per essere coerentemente effettuato, il dispiegamento di una
vera e propria dittatura, per quanto morbida e temporanea, in modo da garantire
l’unità del comando e la protezione della comunità dallo scatenamento delle
passioni irrazionali, cioè da se stessa. Operativamente, la direzione esecutiva
del modello 2 dovrebbe essere affidata proprio alle forze armate, che
possiedono sia le competenze tecniche, sia la struttura rigidamente gerarchica
adatte.
Concludo dicendo che sono
contento che l’Italia abbia scelto di salvare tutti i salvabili. Lo sta facendo
goffamente, e non sa bene perché lo fa: ma lo fa. Stavolta è facile dire: right
or wrong, my country.
Bibliografia e citazioni:
[1] Liang Qiao e Xiangsui Wang, Guerra senza limiti. L’arte della
guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, LEG Edizioni 2011
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