ARTICOLO GIA' PUBBLICATO SULLA RIVISTA BIMESTRALE: "IL GIORNALE DEI MISTERI" (I LIBRI DEL CASATO) N. 547 GENNAIO - FEBBRAIO 2020 - DA PAG. 39 A PAG. 44.
L’UOMO E IL LABIRINTO
Discorso sulla metafisica del labirinto con il ricercatore storico
e studioso di simbologie Giancarlo Pavat
di Marco La Rosa
«Giunti all'arte di regnare ed
esaminandola a fondo, per vedere se fosse quella a offrire e a produrre la felicità,
caduti allora come in un labirinto, mentre credevamo di essere ormai alla fine
risultò che eravamo ritornati come all'inizio della ricerca, e avevamo bisogno
della stessa cosa che ci occorreva quando avevamo incominciato a cercare.»
Platone:
Eutidemo (Εὐθύδημος)
La
citazione dall’ Eutidemo di Platone potrebbe sembrare fuori contesto, ma i
tempi isterici che viviamo ritengo siano il perfetto esempio della messa in
scena della parodia dell’eristica, l’arte di battagliare a parole allo scopo di
confutare le tesi avversarie. Proprio quello a cui assistiamo quotidianamente,
dove gli Eutidemo e Dionisodoro di turno, affrontano ferocemente senza esclusione
di colpi il loro avversario dialettico, per distruggerlo. Platone ai suoi tempi
era drammaticamente spietato nel mettere alla gogna l’eristica, per mezzo della
quale era (ed è tutt’ora) impossibile cogliere la verità, imparare od
insegnare. L’eristica infatti si fonda sulla convinzione che tutte le
affermazioni abbiano il medesimo valore di verità. Non si può pertanto
raggiungere alcuna conoscenza poiché, manipolando una tesi secondo
l’opportunità del momento, si punta solamente a ridurre al silenzio il proprio
avversario.
Potrei
fare mille esempi anche in ambito puramente scientifico, accostando a questo il
criterio di falsificabilità (Karl Popper 1902-1994) dove si afferma che, una
teoria per essere controllabile, perciò scientifica, deve essere confutabile.
Il LABIRINTO è inquadrabile nella metafisica, che per Popper rientra nell’ambito
dei postulati dotati di senso e significato che, non sono scienza perché mai
falsificabili, ma che possono, all'occasione, venire in aiuto alla scienza e al
ricercatore fornendogli idee e prospettive per inquadrare i problemi e addirittura,
col crescere del sapere di sfondo, diventare scienza.
Il
concetto di labirinto quindi ben si adatta al “mondo di mezzo” di cui
percepiamo la presenza, ma ne ignoriamo ancora la via di accesso. Che lo si
riconosca oppure no, è insito nel DNA umano; nella nostra biochimica; nel
nostro cervello (non solo figurativamente), ma anche e soprattutto nella nostra
coscienza e psiche. E’ un simbolo talmente antico che ancora oggi non se ne conosce
l’origine.
Le
rappresentazioni sono innumerevoli e non possiamo elencarle tutte, ma possiamo
chiedere aiuto a chi ne ha fatto un rilevante tema di studi.
Il
ricercatore storico e studioso di simbologie Giancarlo Pavat, già co-autore de:
“In cammino fino all’Ultimo Labirinto:
dalla scoperta del labirinto di Santa Sinforosa ai Trojaborgar del baltico”
(Youcanprint – 2013 ), ha appena pubblicato per Newton Compton Editori: “Guida curiosa ai labirinti d’Italia, un
viaggio alla scoperta di luoghi misteriosi e ricchi di simboli nascosti” (Sett.
2019). Mi rivolgo quindi a lui per dipanare la matassa nel dedalo delle
interpretazioni e delle conoscenze acquisite ad oggi.
MLR: Giancarlo, la prima
domanda che mi sorge spontanea, forse banale (?) è: perché il simbolo del
labirinto è presente in tutte le culture del mondo antico e compare
letteralmente in tutti i continenti?
G.P.: Caro Marco, per rispondere a
questa domanda è necessario, prima, sottolineare che usiamo il termine
LABIRINTO per convenzione. E questo perché ogni cultura, civiltà e tradizione
chiama (o ha chiamato) questa simbologia in maniera diversa. Solo per fare
qualche esempio, i cosiddetti “labirinti baltici”, ovvero labirinti unicursali
realizzati con le pietre sulle spiagge, radure, promontori della regione della
Fennoscandia (si trovano anche affrescati in diverse chiese medievali della
Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia) sono chiamati Trojaborg (plurale Trojaborgar) ovvero “Città di Troia in Svezia e Jatulintarha ovvero “siepe del gigante”
in Finlandia. Celebre la Jatulintarha
dell’isoletta di Vartiosaari nei pressi di Helsinki. O quella di 8 metri di
diametro di Nauvossa sull’isola di Finbyn, o ancora la Jatulintarha Rahjan Saaristossa (in finlandese letteralmente “Siepe
del gigante dell’arcipelago di Rahia”).
Inoltre giova ricordare che i “Labirinti”
si dividono in due principali macrocategorie. Quelli unicursali (o univiari)
ovvero quelli che hanno un solo ingresso, un unico percorso sebbene
arzigogolato e ricco di meandri e una sola uscita, generalmente al centro; e
quelli multicursali (o multiviari), ovvero quelli che possono avere più
ingressi, più percorsi che si biforcano, con vicoli ciechi, e non
necessariamente una sola uscita. Nelle lingue neolatine, tra cui l’Italiano, per
capire a quale tipologia ci si riferisce è necessario specificare l’aggettivo
(unicursale o multicursale) Invece in altre lingue, non è così. Ad esempio in Inglese
esistono due sinonimi diversi e specifici. Labyrinth
per indicare quelli unicursali e Maze
quelli multicursali. Fatte queste necessarie precisazioni, per tornare alla tua
domanda, posso dire che simbologie comprese in queste categorie del Simbolo che
chiamiamo Labirinto sono effettivamente presenti praticamente in tutto il Mondo
o quasi. Allo stato attuale delle conoscenze, nessuno è in grado di poter dire
il motivo ma ritengo che ciò sia avvenuto (e avvenga ancora oggi) perché il
Labirinto è un simbolo ancestrale; parafrasando Jung costituisce un archetipo
della memoria collettiva dell’Umanità.
Giancarlo Pavat e il Cristo nel labirinto
MLR: Data la tua esperienza
e conoscenza, quale interpretazione dai alle varie tipologie di labirinto? E
puoi specificarci se le diversità iconografiche dipendono da una ciclicità
storica e di evoluzione del pensiero?
G.P.: Il discorso è molto complesso e
certamente non è possibile esaurirlo in poche righe. Sono stati fatti scorrere
i proverbiali fiumi d’inchiostro su queste tematiche. Ma nessuno dei numerosi
libri scritti su queste tematiche può considerarsi completo ed
esaustivo. E questo perché ogni labirinto ha valenze peculiari della cultura
che l’ha prodotto. Addirittura, a volte, una stessa cultura l’ha investito di
significati e allegorie diverse e spesso in antitesi. Basti pensare che ogni
volta che viene scoperto un nuovo esemplare ci si accorge che gli artefici e i
committenti hanno voluto investirlo di valenze che spesso non si ritrovano in
altri esemplari anche se appartenenti alla medesima tipologia.
MLR: Discorso interessante.
Ma puoi fare un esempio concreto?
G.P.: Certamente. Prediamo come esempio l’ormai
celebre affresco con il Cristo nel Labirinto di Alatri che ho studiato
personalmente per quasi 10 anni. Come è noto si tratta di un affresco presente
su una parete di una specie di cunicolo del chiostro di San Francesco ad Alatri
in Ciociaria, che raffigura un “Cristo storico” (iconograficamente
riconducibile, sebbene con qualche differenza, alla tipologia Pantocrator) posto al centro di un
Labirinto. Nel 2009 ho scoperto che il labirinto affrescato appartiene alla
categoria “Chartres-type”. Si tratta
di particolari labirinti circolari, unicursali, nati nell’Europa occidentale
medievale, che prendono questo nome perché l’esemplare più grande e famoso (ma
non il più antico) decora il pavimento della navata della Cattedrale di
Chartres in Francia.
Ebbene, gli “Chartres type” hanno determinate valenze e significati ma nel caso di Alatri c’è dell’altro. Molto di più. E non solo perché si tratta di un vero e proprio unicum. Infatti non esistono in tutta l’arte e la simbologia universale, labirinti (indipendentemente dalla tipologia), non moderni, con al centro la figura del Cristo storico. L’opera alatrense veicola anche un determinato pensiero teologico, affonda le sue radici in un peculiare cristianesimo medievale, cistercense, francescano forse templare, ma che non era certamente quello poi uscito dal Concilio di Trento e inalberato dalla Controriforma. E probabilmente proprio per questo l’opera venne, prima ricoperta con uno strato di intonaco, e poi si costruì, attorno al XVII secolo, un muro per celarlo alla vista; trasformando quella che era la parete di fondo di una vasta sala capitolare in una specie di cunicolo o intercapedine. Tutto ciò per dire che oltre ai significati propri di quella tipologia di Labirinto, i committenti vi hanno voluto riversarne degli altri, per illustrare, in maniera ovviamente esoterica (e non poteva essere altrimenti) il proprio pensiero e la propria concezione del Cristianesimo.
Ebbene, gli “Chartres type” hanno determinate valenze e significati ma nel caso di Alatri c’è dell’altro. Molto di più. E non solo perché si tratta di un vero e proprio unicum. Infatti non esistono in tutta l’arte e la simbologia universale, labirinti (indipendentemente dalla tipologia), non moderni, con al centro la figura del Cristo storico. L’opera alatrense veicola anche un determinato pensiero teologico, affonda le sue radici in un peculiare cristianesimo medievale, cistercense, francescano forse templare, ma che non era certamente quello poi uscito dal Concilio di Trento e inalberato dalla Controriforma. E probabilmente proprio per questo l’opera venne, prima ricoperta con uno strato di intonaco, e poi si costruì, attorno al XVII secolo, un muro per celarlo alla vista; trasformando quella che era la parete di fondo di una vasta sala capitolare in una specie di cunicolo o intercapedine. Tutto ciò per dire che oltre ai significati propri di quella tipologia di Labirinto, i committenti vi hanno voluto riversarne degli altri, per illustrare, in maniera ovviamente esoterica (e non poteva essere altrimenti) il proprio pensiero e la propria concezione del Cristianesimo.
MLR: Incredibile. In pratica
in quell’opera d’arte il labirinto costituirebbe una sorta di catechesi…ora
ci hai proprio incuriositi. Quale sarebbe il messaggio che tu hai scoperto nel
Labirinto di Alatri?
G.P.:
L’ho spiegato in maniera dettagliata e approfondita nel mio nuovo libro GUIDA
CURIOSA AI LABIRINTI D‘ITALIA (Newton Compton 2019). Ma posso tentare di
spiegarlo in maniera sintetica. Sul Cristo nel Labirinto di Alatri è stato
scritto di tutto e il contrario di tutto. A volte da persone che non l’avevano
nemmeno visto dal vero ma solo in fotografia! Molti erano alla ricerca di
facili scoop e quindi sono saltate fuori astruse e strampalate teorie (spesso spacciate
per certezze acquisite), comportamento che ha fatto solo danni, a discapito
della ricerca seria e obiettiva. Il messaggio che, a distanza di tanti secoli
(risale ad un arco temporale che va dal XI al XIV secolo circa), il Cristo nel Labirinto
di Alatri reca ancora con se, è un messaggio di speranza che trascende il
valore puramente artistico ed è assolutamente ortodosso dal punto di vista
dottrinale (D’altronde lo “Chartres type”
è un Labirinto cristiano). Non vi è nulla di eretico o peggio (contrariamente a
quanto hanno tentato in tanti di far credere) nel Cristo nel Labirinto. Ma
l’opera ci parla di un Cristianesimo peculiare di alcune grandi correnti di
pensiero medievali che però non poteva essere accettato dalla Chiesa Controriformista.
Perché? Il “Cristo nel Labirinto” ci fa comprendere che per quanto lunga,
tortuosa, irta di difficoltà, sia la strada della Vita che tutti dobbiamo
percorrere, alla fine troveremo sempre chi ci allungherà la mano per aiutarci,
per indicarci il cammino, mostrarci la meta. Ma all’interno del Labirinto di
Alatri, il Penitente, il Pellegrino, l’Uomo, è solo! Ognuno di noi è solo
davanti a Lui; solo con il suo libero arbitrio al cospetto di Cristo. O, per i
non credenti, davanti alla propria coscienza. L’Uomo è solo, senza alcun
mediatore. Non vi è alcun sacerdote, alcun prete, nessuna gerarchia
ecclesiastica, nessuna Chiesa che ci dice come comportarci, che si pone tra il fedele, tra noi, e Dio. Per quanto possa
risultare incredibile, il Cristo nel Labirinto, è una sorta di trattato di
teologia. Qualcuno nel leggere la mia interpretazione, l’ha definito un “Vangelo
secondo il Labirinto”. Definizione certamente forzata ma coglie il senso del
messaggio custodito. Un messaggio di una modernità dottrinale e concettuale
sconvolgente, profondo e, forse, ecumenico. Ma che ci costringe a fare i conti
con noi stessi, con la nostra coscienza; senza alibi, senza scorciatoie. Non ve
ne sono nel Labirinto di Alatri. O si prosegue sino in fondo, affrontando
giorno dopo giorno le difficoltà della Vita o si torna indietro. Ma in questo
caso non si raggiungerà mai il centro e Colui che ci attende. Al centro di quel
Labirinto non c’è il dio terribile e vendicativo del Vecchio Testamento, o il giudice
severo del michelangiolesco Giudizio Universale, ma un Cristo umano che ci ha preceduto
lungo il percorso della Vita/Labirinto e che ora ci indica la strada per
giungere alla meta, dove ci attende sereno e compassionevole. Ma è pure un
Cristo trascendente. Trascendenza resa dai committenti e dagli artefici
attraverso la scelta e l’uso di determinate simbologie ben presenti
nell’affresco. Credo proprio che un simile messaggio non poteva assolutamente essere
permesso dalla Dottrina Cattolica postconciliare,
MLR: Come accennavo
nell’introduzione, ancora oggi gli storici dei labirinti, non sono concordi
sull’assegnare una genesi a questa simbologia. Quale è il tuo pensiero in
proposito?
G.P.:
Esistono grosso modo due “scuole di pensiero”. Quella che ritiene che il
concetto di labirinto sia nato spontaneamente un po’ ovunque e quella che,
invece, ritiene che da un modello originario, si sia poi diffuso su tutto il
pianeta. Io non propendo né per una, né per l’altra. Non
posso però fare a meno di constatare che, incredibilmente, esistono delle
tipologie di labirinto che compaiono improvvisamente in luoghi ed epoche
diverse ad opera di culture che non hanno mai avuto contatti tra di loro. Un
esempio è il Labirinto unicursale quadrato visibile nella cosiddetta “Domus di Lucrezio” a Pompei. Ebbene,
questo modello, che viene chiamato a volte “Gerico” perché su alcuni
manoscritti medievali è associato al nome della biblica città, lo ritroviamo
non solo su monete cretesi del V secolo a.C. quindi della Grecia classica e
non della Civiltà Minoica) ma pure inciso sulle rocce dell’Arizona dai nativi
americani Hopi tra il XII e il XIII secolo d.C..
MLR: quindi i Labirinti
sarebbero comparsi un po’ ovunque autonomamente e non ci sarebbe stato
diffusionismo. Ma è possibile sapere quale sia l’esemplare o gli esemplari più
antichi?
G.P.:
Questo può valere solo per alcune tipologie di Labirinti. Per altri è
evidente che è esistito un modello originario. Ad esempio per quello che
chiamiamo “Chartres-type”. Come ho già accennato, è una tipologia tipicamente
cristiana e dell’Europa occidentale medievale. I primi esemplari non sono
quelli che decorano i pavimenti delle grandi cattedrali francesi ma quelli
miniati su manoscritti del X secolo d.C.. In questo caso è ovvio che c’è stato
qualcuno che ne ha realizzato un primo esemplare che poi ha avuto una
straordinaria diffusione. Secondo Hermann Kern, lo “Chartres-type” sarebbe la
risposta della Chiesa di Roma ai labirinti “nordici” pagani che dopo il
collasso del Mondo antico (e quindi anche dei suoi labirinti musivi,
affrescati, incisi ecc) sarebbero ritornati nell’Europa cristiana con le
invasioni barbariche. L’ipotesi del diffusionismo potrebbe valere anche la
tipologia forse più diffusa e antica di Labirinti; quella che viene chiamata
“Classica” (o “Cretese”) in quanto è rinvenibile nel mondo Romano e nella
Grecia classica. A questa categoria di labirinti (unicursali spiraliformi
circolari, a volte quadrangolari) appartengono anche i già citati “Labirinti
baltici” (in realtà sono presenti anche in regioni e isole del Mare del Nord,
del Mare di Barents, del Mar Bianco). Ebbene, allo stato attuale delle ricerche
(anche e soprattutto archeologiche) sembra che gli esemplari più antichi
(risalenti all’Età del Bronzo) siano proprio dei labirinti “classici” presenti
nelle regioni più settentrionali del nostro continente. In particolare quelli
presenti in Carelia, sull’arcipelago delle isole Solovetski e nella Penisola di
Kola, tutti territori della Russia europea. In realtà forse l’esemplare più
antico potrebbe trovarsi dalla parte opposta d’Europa e precisamente in
Sicilia. Sarebbe un altro primato nel campo dei labirinti tutto italiano. Si
tratta di un pittogramma presente nella Grotta di Polifemo vicino a Erice in
provincia di Trapani.
Sulla volta della caverna è stato dipinto un simbolo che, sebbene piuttosto rovinato, sembra raffigurare un labirinto “classico” spiraliforme. Il pittogramma non è stato datato (anche se in via teorica sarebbe possibile, essendo stato fatto con pigmenti naturali probabilmente di origine organica) ma sono stati datati i reperti recuperati dagli strati del fondo della grotta e risalgono al Neolitico! Nel mio libro GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA, illustro in maniera analizzata non solo questo straordinario esemplare (e gli altri pittogrammi che decorano la caverna) ma soprattutto le ricerche e le incredibili scoperte fatte dal professor Ignazio Burgio di Catania su evidenze relative ad allineamenti archeoastronomici della Grotta di Polifemo e dei pittogrammi ivi contenuti.
Sulla volta della caverna è stato dipinto un simbolo che, sebbene piuttosto rovinato, sembra raffigurare un labirinto “classico” spiraliforme. Il pittogramma non è stato datato (anche se in via teorica sarebbe possibile, essendo stato fatto con pigmenti naturali probabilmente di origine organica) ma sono stati datati i reperti recuperati dagli strati del fondo della grotta e risalgono al Neolitico! Nel mio libro GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA, illustro in maniera analizzata non solo questo straordinario esemplare (e gli altri pittogrammi che decorano la caverna) ma soprattutto le ricerche e le incredibili scoperte fatte dal professor Ignazio Burgio di Catania su evidenze relative ad allineamenti archeoastronomici della Grotta di Polifemo e dei pittogrammi ivi contenuti.
MLR: A quale labirinto sei
più legato dal punto di vista concettuale e se vogliamo anche emotivo? E perché?
G.P.: Credo dia verlo già spiegato
poc’anzi. Ovviamente quello con il Cristo al centro visibile ad Alatri e non
solo perché, assieme a mia moglie Sonia e ad altri amici ricercatori come ad
esempio Tommaso Pellegrini e Giulio Coluzzi l’ho studiato per quasi 10 anni e
ho contribuito a far si che venissero stanziati i fondi per restaurare
l’affresco e salvarlo. Circa 100.00 euro stanziati dal Governo e utilizzati
dalla Soprintendenza. Soldi di tutti i cittadini Italiani. Oggi quell’opera
d’arte, iconograficamente unica al mondo, è tornata ad essere patrimonio di
tutti e visibile a tutti.
Poi sono molto legato al Labirinto
affrescato nella Erikskyrka, una chiesa della piccola località di Grinstad
sperduta nella foresta della Svezia Sudoccidentale. Si tratta di uno
“Chartres-type”, quasi conosciuto tranne che a pochi esperti di labirinti (come
l’archeologo inglese Jeff Saward che mi onora della sua amicizia).
Giancarlo Pavat e il labirinto di Grinstad in Svezia
Si tratta dell’unico esemplare scandinavo di “Chartres-type”. Inoltre è quello, in assoluto, posizionato più a settentrione e, soprattutto, è l’unico affrescato oltre a quello di Alatri. Per questi motivi, e con il fine di cercare eventuali risposte ai misteri che aleggiavano (e aleggiano in parte ancora oggi) attorno a quest’ultimo esemplare, nel 2011 organizzai una vera e propria spedizione di ricerche. Oltre al sottoscritto e a mia moglie Sonia Palombo, ne facevano parte Marco Di Donato e sua moglie Manuela Guglielmi, Paolo Ruggeri e Domenico Pelino. Venne battezzata “Prima Spedizione Italiana di Ricerche Storiche nel Dalsland”. Il Dalsland è la splendida ma sperduta regione storica in cui si trova la località che ospita il labirinto. Essendo la prima volta in assoluto che ricercatori italiani si recavano in quella zona, poco frequentata persino dagli stessi svedesi, gli organi di stampa locali diedero ampia copertura alla spedizione e ai risultati delle ricerche. Personalmente ottenni l’aprezzamento del dottor Sven-Olov Andreasson, presidente del “Dalslands Fornminnes-Och hembyggdsforbund” (ovvero “Ente di ricerche storiche della regione del Dalsland”, in pratica la “Soprintendenza“ di quella regione svedese). Non trovammo collegamenti diretti tra i due “Chartres-type” affrescati ma, al contempo, rivenimmo indizi di una sconosciuta presenza dei celebri Cavalieri Templari in quella regione. Sono molto legato al Labirinto di Grinstad soprattutto per la bellissima avventura vissuta in quel ormai lontano giugno del 2011, e per i ricercatori, giornalisti, docenti universitari, persino il pastore luterano, incontrati in quell’occasione e con alcuni dei quali sono rimasto in rapporti di amicizia e ci siamo incontrati anche successivamente.
Giancarlo Pavat e il labirinto di Grinstad in Svezia
Si tratta dell’unico esemplare scandinavo di “Chartres-type”. Inoltre è quello, in assoluto, posizionato più a settentrione e, soprattutto, è l’unico affrescato oltre a quello di Alatri. Per questi motivi, e con il fine di cercare eventuali risposte ai misteri che aleggiavano (e aleggiano in parte ancora oggi) attorno a quest’ultimo esemplare, nel 2011 organizzai una vera e propria spedizione di ricerche. Oltre al sottoscritto e a mia moglie Sonia Palombo, ne facevano parte Marco Di Donato e sua moglie Manuela Guglielmi, Paolo Ruggeri e Domenico Pelino. Venne battezzata “Prima Spedizione Italiana di Ricerche Storiche nel Dalsland”. Il Dalsland è la splendida ma sperduta regione storica in cui si trova la località che ospita il labirinto. Essendo la prima volta in assoluto che ricercatori italiani si recavano in quella zona, poco frequentata persino dagli stessi svedesi, gli organi di stampa locali diedero ampia copertura alla spedizione e ai risultati delle ricerche. Personalmente ottenni l’aprezzamento del dottor Sven-Olov Andreasson, presidente del “Dalslands Fornminnes-Och hembyggdsforbund” (ovvero “Ente di ricerche storiche della regione del Dalsland”, in pratica la “Soprintendenza“ di quella regione svedese). Non trovammo collegamenti diretti tra i due “Chartres-type” affrescati ma, al contempo, rivenimmo indizi di una sconosciuta presenza dei celebri Cavalieri Templari in quella regione. Sono molto legato al Labirinto di Grinstad soprattutto per la bellissima avventura vissuta in quel ormai lontano giugno del 2011, e per i ricercatori, giornalisti, docenti universitari, persino il pastore luterano, incontrati in quell’occasione e con alcuni dei quali sono rimasto in rapporti di amicizia e ci siamo incontrati anche successivamente.
MLR: Giancarlo, il cervello
umano visivamente, potrebbe essere ricondotto ad in intricatissimo labirinto. È
azzardato ipotizzarlo come la genesi che successivamente è divenuta nostra
eredità da parte di una superciviltà primeva, (leggi) Atlantide?
G.P.: Effettivamente esistono alcuni
labirinti, piuttosto antichi (cito solo uno, presente tra i petroglifi della
Val Camonica in Lombardia) che assomigliano davvero ad un cervello umano.
Il concetto di Labirinto come metafora del nostro cervello è effettivamente suggestiva. Ma non credo che sia quella la genesi del simbolo che conosciamo con il nome di Labirinto. Io ho fatto sei viaggi di ricerca in Scandinavia e Finlandia, sul Mare del Nord, sulla grande isola baltica di Gotland, alla ricerca delle origini del Labirinto, ma c’è chi si è spinto ancora più lontano e più a settentrione. Si tratta di un ingegnere italiano Marco Bulloni di Milano che ha esplorato l’arcipelago delle isole Solovetski in mezzo al Mar Bianco e la Penisola di Kola. Siamo diventati amici e nella mia GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA descrivo le sue ipotesi, ricerche e scoperte. Sembra che ci sia davvero di mezzo Atlantide (o comunque la Civiltà che avrebbe dato origine al Mito) ma non nel senso che hai ipotizzato tu nella domanda.
Il concetto di Labirinto come metafora del nostro cervello è effettivamente suggestiva. Ma non credo che sia quella la genesi del simbolo che conosciamo con il nome di Labirinto. Io ho fatto sei viaggi di ricerca in Scandinavia e Finlandia, sul Mare del Nord, sulla grande isola baltica di Gotland, alla ricerca delle origini del Labirinto, ma c’è chi si è spinto ancora più lontano e più a settentrione. Si tratta di un ingegnere italiano Marco Bulloni di Milano che ha esplorato l’arcipelago delle isole Solovetski in mezzo al Mar Bianco e la Penisola di Kola. Siamo diventati amici e nella mia GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA descrivo le sue ipotesi, ricerche e scoperte. Sembra che ci sia davvero di mezzo Atlantide (o comunque la Civiltà che avrebbe dato origine al Mito) ma non nel senso che hai ipotizzato tu nella domanda.
MLR: Ampliando gli orizzonti
della domanda precedente, riprendo un concetto bellissimo che hai scritto nel
tuo libro: “…il labirinto è uno dei pochi
simboli (se non l’unico) a non essere stato usato per fini politici, religiosi,
ideologici, di dominio. La politica, le religioni, le ideologie, il potere per
forza di cose dividono, separano, prevaricano. Il labirinto no! È un simbolo che
davvero sembra affratellare l’umanità intera…” In questi tempi caotici e
schizofrenici, dove lo scontro sociale, l’intolleranza all’accoglienza di chi
non ha più casa e patria sembra avere la meglio, abbiamo tutti bisogno di
aggrapparci a qualcosa che stia al di là…delle nostre paure, debolezze e
fragilità. Il simbolo del labirinto potrebbe celare una “ricetta segreta” per
aiutarci a recuperare l’essenza dell’umanità perduta?
G.P.: Effettivamente, come già spiegato,
il Labirinto è davvero presente in tutto il mondo, presso Culture e Civiltà
lontane tra di loro nel Tempo e nello Spazio. Sottoscrivo quindi l’affermazione
secondo la quale lo ritengo un Simbolo universale. Ma il Labirinto NON è un
Simbolo globalizzante e massificante. Appartiene a tutti gli Uomini perché, lo
ripeto, credo sia un archetipo proprio della Coscienza Collettiva di tutta
l’Umanità ma NON è un Simbolo uguale per tutti gli Uomini. Anzi. Ogni esemplare
è peculiare di chi l’ha adottato, realizzato, inventato. Non solo dal punto di
vista iconografico o dei materiali con cui è stato realizzato ma, soprattutto,
dal punto di vista dei concetti, delle idee, dei valori, dei significati che
ognuno ha letto, visto e infuso nel Labirinto. Il significato e l’uso che ne
fanno gli sciamani Sami della Lapponia non è certamente quello per cui lo
realizzavano i Romani o i Greci.
MLR: Come scriveva Platone
nel famoso “mito della caverna” (libro
settimo de La Repubblica), antesignano o metafora della metafora, anche noi
dunque ci districhiamo quotidianamente nei labirinti della vita. Labirinti che
si intrecciano ad altri labirinti in un dedalo che sembra infinito e del quale
molto spesso, non vediamo la vera uscita ma solo un’ombra, un’illusione.
Dobbiamo ricominciare da capo. Forse il vero segreto che cela il labirinto e
quello di non darsi mai per vinti? Ogni volta davvero impariamo la lezione ed
agguantiamo un tratto del “filo” di Arianna che ci fa guadagnare qualche metro
verso la “vera” uscita dal mondo delle ombre? Oppure è tutta una finzione e
siamo destinati a restare prigionieri con l’illusione (Matrix) di essere
liberi?
G.P.:
Ritengo che il principale (e forse più importante) messaggio del
labirinto, indifferentemente dalla tipologia di appartenenza e dalla Cultura
che l’ha realizzato, sia quello di farci capire che per quanto sia difficile,
dura, piena di sofferenze e dubbi, la nostra esistenza, c’è sempre una strada
che porta all’uscita. Non importa quanto lunga, arzigogolata, irta di vicoli
ciechi. L’uscita esiste. Sempre. Dobbiamo solo cercarla.
MLR: Grazie Giancarlo, forse
ci siamo davvero avvicinati un poco di più alla verità; all’ingresso della
caverna nella quale vedevamo solo ombre che simulavano la realtà, che non è
ancora del tutto percepibile dai nostri rozzi sensi biologici, ancora sconnessi
dal vero Spirito che ha generato il Kosmo.
Bibliografia:
Giancarlo
Pavat: GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA, UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI LUOGHI
MISTERIOSI E RICCHI DI SIMBOLI NASCOSTI – NEWTON COMPTON EDITORI 2019
Giancarlo
Pavat, Giancarlo Marovelli, Fabio Consolandi, Luca Pascucci e Fabio Ponzo: IN
CAMMINO FINO ALL’ULTIMO LABIRINTO, DALLA SCOPERTA DEL LABIRINTO DI SANTA
SINFOROSA AI TROJABORGAR DEL BALTICO – YUOCANPRINT 2013
Giancarlo
Pavat, Fabio Consolandi e Luca Pascucci: GOTLAND. VIAGGIO ALLE ORIGINI DEL
LABIRINTO” (in italiano ed inglese) (BLURB EDIZIONI 2013);
Marco
La Rosa: IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE – OmPhi LABS 2015
ARTICOLO GIA' PUBBLICATO SULLA RIVISTA BIMESTRALE: "IL GIORNALE DEI MISTERI" (I LIBRI DEL CASATO) N. 547 GENNAIO - FEBBRAIO 2020 - DA PAG. 39 A PAG. 44.
SE TI E' PIACIUTO QUESTO POST NON PUOI PERDERE:
LA VERA "GENESI" DELL'UOMO E' COME CI HANNO SEMPRE RACCONTATO? OPPURE E' UNA STORIA COMPLETAMENTE DIVERSA?
"L'UOMO KOSMICO", TEORIA DI UN'EVOLUZIONE NON RICONOSCIUTA"
" IL RISVEGLIO DEL CADUCEO DORMIENTE: LA VERA GENESI DELL'HOMO SAPIENS"
DI MARCO LA ROSA
SONO EDIZIONI OmPhi Labs
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