martedì 13 novembre 2018

ONDE GRAVITAZIONALI: FORSE SI...ANZI NO?



C’è chi dice che non abbiamo mai visto le onde gravitazionali!

Fisici danesi hanno rianalizzato i dati che due anni fa rivelarono le onde gravitazionali e hanno concluso che quel segnale potrebbe essere stato solo rumore. Ma a Ligo e Virgo non sono d’accordo

Le onde gravitazionali:

L’11 febbraio 2016 è stata una data epocale per la fisica. Il giorno della scoperta del secolo (?), com’è stata definita da più parti. Gli scienziati dell’esperimento Ligo, condotto in simultanea nei due interferometri di Hanford e di Livingstone, hanno confermato che poco meno di cinque mesi prima i loro strumenti (dopo oltre vent’anni di osservazione/ascolto senza risultati – ndr ) avevano avvistato, per la prima volta al mondo, il segnale di un’onda gravitazionale proveniente dalla collisione di due buchi neri. Un risultato sperimentale che confermava le previsioni teoriche della relatività generale di Albert Einstein, formulate oltre un secolo prima, avallato successivamente anche dai dati di Virgo, interferometro dello European Gravitational Observatory (Ego) e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) che si trova a Cascina, nei dintorni di Pisa. Così importante che ha fruttato ai responsabili della scoperta l’assegnazione del premio Nobel per la fisica nel 2017.

Oggi, però, un report pubblicato dal New Scientist getta un’ombra sulla scoperta: un gruppo di fisici del Niels Bohr Institute, ente di ricerca danese, ha analizzato i dati (pubblici) di Ligo e messo in questione la rivelazione, affermando che “non ci sarebbero abbastanza prove” per mostrare che il segnale del 14 settembre 2015 sarebbe effettivamente la firma di un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri in coalescenza.

Secondo lo studio danese – in realtà pubblicato ad agosto 2016, ma balzato agli onori delle cronache solo ora: fino a oggi era rimasta una bega tecnica tra accademici – ci sarebbero delle correlazioni sinistre nei dati rilevati dai due interferometri statunitensi, che invaliderebbero la scoperta.
Naturalmente, gli scienziati di Ligo e Virgo non concordano con i colleghi danesi, sostenendo che la loro analisi sarebbe affetta (in buonafede, si intende) da una cattiva interpretazione e analisi dei dati. E stanno preparando un nuovo articolo per ribadire, una volta per tutte, la genuinità della loro scoperta.

Come si rivelano le onde gravitazionali:

Per capire come sono andate le cose è indispensabile fare un passo indietro e ricordare brevemente cosa sono le onde gravitazionali e come si rilevano. Semplificando un po’ la questione, si può pensare alle onde gravitazionali come a una perturbazione dello spazio-tempo (il tessuto di cui, secondo la teoria della relatività di Einstein, è composto il nostro Universo) che si origina per effetto dell’accelerazione di uno o più corpi dotati di massa (due buchi neri o due stelle in rotazione, per esempio), si propaga alla velocità della luce e modifica localmente la geometria dello spazio e del tempo. Se ci è voluto oltre un secolo per individuarle sperimentalmente è perché l’effetto delle onde gravitazionali è estremamente debole e quindi quasi sempre nascosto da moltissime altre perturbazioni esterne.

Per individuarle, i fisici si servono di strumenti molto complicati e sensibili, i cosiddetti interferometri, apparecchiature in grado di misurare la discrepanza temporale nel cammino percorso da due onde di luce. In particolare, un interferometro è una struttura composta da due bracci di lunghezza uguale, l’uno perpendicolare all’altro, a formare una L. Quando un’onda gravitazionale colpisce lo strumento, ci si aspetta che la perturbazione a essa associata faccia sì che la luce impieghi più tempo a percorrere un braccio rispetto all’altro; nel momento in cui gli strumenti registrano una differenza temporale di questo tipo, viene lanciata l’allerta del possibile passaggio di un’onda gravitazionale. Per dare un’idea di quanto siano deboli tali perturbazioni, si pensi che gli interferometri devono essere in grado di rivelare una differenza temporale pari allo spostamento del diametro di un capello su una distanza tra il Sole e Alpha Centauri. Cioè oltre quattro anni luce.

Alla ricerca di un segnale:

Le difficoltà, comunque, non finiscono qui. Essendo così delicati, gli interferometri sono estremamente sensibili a qualsiasi perturbazione esterma: è quindi necessario ripulire i dati dal cosiddetto rumore di fondo, ossia tutto quello che viene catturato dagli strumenti quando sono in ascolto, e isolare così i segnali potenzialmente utili. Si tratta di un processo estremamente complesso. Il primo passaggio prevede di capire cosa si sta cercando; ovvero, in altre parole, come dovrebbero essere fatti i segnali sepolti sotto il rumore. Per rispondere a questa domanda è necessario risolvere le equazioni della relatività generale, che prevedono per l’appunto come la gravità deforma la geometria dello spazio-tempo. E farlo è tutt’altro che facile. Il primo approccio è il cosiddetto metodo numerico, in cui il computer decompone lo spazio-tempo in varie sezioni e risolve le equazioni per ciascuna di esse; si tratta di un approccio che richiede elevata potenza computazionale e molto tempo a disposizione, e che inoltre non è applicabile a tutte le possibili sorgenti di onde gravitazionali, dal momento che per alcune non è possibile calcolare la soluzione delle equazioni della relatività.
Il secondo metodo, che richiede (relativamente) meno sforzo computazionale è quello analitico. “Sostanzialmente”, ci spiega Viviana Fafone, responsabile nazionale di Virgo e docente all’Università di Torvergata, “si utilizzano dei template di riferimento che modellizzano il segnale di onde gravitazionale emesso da una data sorgente. Abbiamo a disposizione, a seconda del tipo di sorgente, diversi tipi di template: il segnale che arriva all’interferometro viene confrontato con questi modelli e, quando si trova una correlazione, il sistema ci invia un’allerta”.

Il vantaggio di questo tipo di analisi è che, non essendo troppo dispendioso dal punto di vista computazionale, consente un monitoraggio in tempo reale dei dati. “Dopo l’allerta”, continua Fafone, “possiamo quindi passare a un’analisi più avanzata, raffinando la stima dei parametri del template per cercare il miglior accordo tra dati e modello”. È esattamente quello che è successo con il segnale del settembre 2015, quando i dati acquisiti dagli interferometri si sono rivelati in accordo con il template di un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri in coalescenza. Tanto in accordo che Fulvio Ricci, data analysis coordinator di Virgo e responsabile nazionale per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per Virgo, disse in conferenza stampa che “la probabilità di un falso allarme è 2×10-7”, ovvero che “bisognerebbe aspettare in media 203mila anni per rivelare un segnale simile al nostro ma falso”. Decisamente convincente.

Troppe correlazioni?

Cosa hanno da ridire, allora, i fisici danesi? Secondo la loro analisi, i colleghi di Ligo e Virgo avrebbero fallito nella rivelazione del segnale. L’équipe, coordinata da Andrew Jackson, ha anzitutto notato che i segnali delle onde rivelate simultaneamente dai due interferometri di Ligo sono correlati tra loro, com’è giusto aspettarsi (perché che si tratta dello stesso evento); la scoperta (a loro dire) “inquietante” sta nel fatto che, però, anche i rumori residui di Hanford e Livingstone, ovvero ciò che resta dopo aver sottratto al segnale totale quello delle onde, continuano a essere correlati.

Non è una buona notizia: i due rivelatori sono molto distanti tra loro e hanno un diverso orientamento spaziale, quindi non c’è alcuna ragione per cui i rumori che hanno registrato debbano essere correlati. La circostanza indicherebbe, secondo gli scienziati del Niels Bohr, “un fallimento nella separazione del segnale dal rumore”. E, visto quanto è delicata e importante tale separazione, come abbiamo spiegato poco fa, smonterebbe de facto la scoperta. Viatcheslav Mukhanov, eminente cosmologo ed editor del Journal of Cosmology and Astroparticle Phyics, la rivista che ha pubblicato il paper danese, dice di aver sottoposto l’articolo, prima della pubblicazione, a revisori esperti e severi, che non hanno ravvisato “nessun errore” nei calcoli. Il che porta inevitabilmente a un bivio. Qualcuno, per forza di cose, deve essersi sbagliato. Ma chi?

Una risposta, calcoli alla mano:

I responsabili di Virgo, contattati da Wired, si dicono più che mai certi di non essere in errore. Sostanzialmente, ci spiegano, i fisici danesi avrebbero commesso diversi errori nell’analisi dei dati. Errori che effettivamente possono portare a vedere delle correlazioni che in realtà non ci sono. “Il trattamento e l’analisi dei dati degli interferometri”, ci ha detto Fafone, “sono complessi e delicati, e se non si segue la strada giusta si può arrivare, artificialmente, a vedere delle correlazioni inesistenti”.
Non solo a parole, naturalmente: Ian Harry, fisico del Max Planck Institute for Gravitational Physics a Potsdam-Golm, membro della collaborazione Ligo, ha ripercorso quantitativamente punto per punto l’analisi di Jackson e colleghi (vi risparmiamo formule e grafici, per ovvie ragioni. Qui il lavoro di Harry, estremamente tecnico), mostrando tutti gli errori – in particolare nel calcolo della trasformata di Fourier e nello sbiancamento del rumore, come si dice in gergo – che hanno portato i danesi a conclusioni sbagliate.

“Una delle affermazioni di Jackson e colleghi”, continua Ricci, “è che l’uso dei template per filtrare il segnale sia poco corretto, perché rappresenta in qualche modo una forzatura a vedere nel segnale quello che stiamo cercando. Ma tale affermazione è smentita dai fatti: il primo segnale era così intenso che l’allerta ci è arrivata da un algoritmo del tutto unbiased, che non fa uso di alcun template”. E ancora: “Abbiamo incontrato a Roma, nel corso di un congresso internazionale, i colleghi danesi. Abbiamo mostrato loro tutti i punti deboli della loro analisi e li abbiamo invitati a Virgo, per fargli vedere come raccogliamo e analizziamo i dati: siamo completamente sereni”. I fisici di Ligo, spiega sempre il New Scientist, stanno inoltre per pubblicare un paper didattico in cui ripercorre, punto per punto, tutta l’analisi dei dati, che dovrebbe mettere a tacere le speculazioni. Per di più, ci racconta Fafone, Virgo e Ligo sono al momento chiusi per lavori di miglioramenti tecnici che ne aumenteranno ulteriormente la sensibilità e che assicureranno, in futuro, scoperte e rivelazioni ancora più frequenti e corpose.

I precedenti: Bicep2 e le onde gravitazionali:

C’è da dire, al netto di tutto, che in passato ci sono stati effettivamente dei casi in cui la cattiva interpretazione dei dati – e in particolare del rumore – ha indotto in errore gli scienziati, costringendoli a ritrattare dichiarazioni di presunte scoperte. Il caso più eclatante, e più vicino a quello di oggi, riguarda il progetto Bicep2, un esperimento condotto tra i ghiacci del Polo sud. Nell’aprile 2014, i ricercatori di Bicep2 raccontarono di essere riusciti a osservare le onde gravitazionali primordiali (un’eco del Big Bang) nella radiazione cosmica di fondo. Le osservazioni di Planck, satellite dell’Agenzia spaziale europea, smentirono però le conclusioni di Bicep2: il segnale, per l’appunto, non era stato ripulito a dovere dal rumore di fondo generato dalla polvere della Via Lattea. E quindi niente onde primordiali.

Grafici “puramente illustrativi”:

Qualche errore, comunque, lo hanno commesso anche gli scienziati di Ligo. Stando alla ricostruzione del New Scientist, confermata anche da Neil Cornish, uno dei principali ricercatori di Ligo, la collaborazione avrebbe pubblicato dei grafici i cui dati “non erano ricavati dall’analisi reale” e che erano “più illustrativi che precisi”. “Volevamo solo fornire un aiuto visuale alla comprensione. I grafici sono stati corretti a mano per scopi pedagogici”, ha aggiunto Duncan Brown, un altro ricercatore di Ligo, che ora ha lasciato l’esperimento. Una svista che nulla ha a che fare con i presunti errori nell’analisi del rumore, ma che comunque sarebbe stato meglio evitare.

https://www.wired.it/scienza/spazio/2018/11/09/ligo-no-onde-gravitazionali/

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