C’è chi dice che non abbiamo mai visto le onde
gravitazionali!
Fisici danesi hanno rianalizzato i dati che due anni fa
rivelarono le onde gravitazionali e hanno concluso che quel segnale potrebbe
essere stato solo rumore. Ma a Ligo e Virgo non sono d’accordo
Le onde gravitazionali:
L’11 febbraio 2016 è stata una data epocale per la fisica.
Il giorno della scoperta del secolo (?), com’è stata definita da più parti. Gli
scienziati dell’esperimento Ligo, condotto in simultanea nei due interferometri
di Hanford e di Livingstone, hanno confermato che poco meno di cinque mesi
prima i loro strumenti (dopo oltre vent’anni di osservazione/ascolto senza
risultati – ndr ) avevano avvistato, per la prima volta al mondo, il segnale di
un’onda gravitazionale proveniente dalla collisione di due buchi neri. Un
risultato sperimentale che confermava le previsioni teoriche della relatività
generale di Albert Einstein, formulate oltre un secolo prima, avallato
successivamente anche dai dati di Virgo, interferometro dello European
Gravitational Observatory (Ego) e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare
(Infn) che si trova a Cascina, nei dintorni di Pisa. Così importante che ha
fruttato ai responsabili della scoperta l’assegnazione del premio Nobel per la
fisica nel 2017.
Oggi, però, un report pubblicato dal New Scientist getta
un’ombra sulla scoperta: un gruppo di fisici del Niels Bohr Institute, ente di
ricerca danese, ha analizzato i dati (pubblici) di Ligo e messo in questione la
rivelazione, affermando che “non ci sarebbero abbastanza prove”
per mostrare che il segnale del 14 settembre 2015 sarebbe effettivamente la
firma di un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri in coalescenza.
Secondo lo studio danese – in realtà pubblicato ad agosto
2016, ma balzato agli onori delle cronache solo ora: fino a oggi era rimasta
una bega tecnica tra accademici – ci sarebbero delle correlazioni sinistre nei
dati rilevati dai due interferometri statunitensi, che invaliderebbero la
scoperta.
Naturalmente, gli scienziati di Ligo e Virgo non concordano
con i colleghi danesi, sostenendo che la loro analisi sarebbe affetta (in
buonafede, si intende) da una cattiva interpretazione e analisi dei dati. E
stanno preparando un nuovo articolo per ribadire, una volta per tutte, la
genuinità della loro scoperta.
Come si rivelano le onde gravitazionali:
Per capire come sono andate le cose è indispensabile fare un
passo indietro e ricordare brevemente cosa sono le onde gravitazionali e come
si rilevano. Semplificando un po’ la questione, si può pensare alle onde
gravitazionali come a una perturbazione dello spazio-tempo (il tessuto di cui,
secondo la teoria della relatività di Einstein, è composto il nostro Universo)
che si origina per effetto dell’accelerazione di uno o più corpi dotati di
massa (due buchi neri o due stelle in rotazione, per esempio), si propaga alla
velocità della luce e modifica localmente la geometria dello spazio e del
tempo. Se ci è voluto oltre un secolo per individuarle sperimentalmente è
perché l’effetto delle onde gravitazionali è estremamente debole e quindi quasi
sempre nascosto da moltissime altre perturbazioni esterne.
Per individuarle, i fisici si servono di strumenti molto
complicati e sensibili, i cosiddetti interferometri, apparecchiature in grado
di misurare la discrepanza temporale nel cammino percorso da due onde di luce.
In particolare, un interferometro è una struttura composta da due bracci di
lunghezza uguale, l’uno perpendicolare all’altro, a formare una L. Quando
un’onda gravitazionale colpisce lo strumento, ci si aspetta che la
perturbazione a essa associata faccia sì che la luce impieghi più tempo a
percorrere un braccio rispetto all’altro; nel momento in cui gli strumenti
registrano una differenza temporale di questo tipo, viene lanciata l’allerta
del possibile passaggio di un’onda gravitazionale. Per dare un’idea di quanto
siano deboli tali perturbazioni, si pensi che gli interferometri devono essere
in grado di rivelare una differenza temporale pari allo spostamento del
diametro di un capello su una distanza tra il Sole e Alpha Centauri. Cioè oltre
quattro anni luce.
Alla ricerca di un segnale:
Le difficoltà, comunque, non finiscono qui. Essendo così
delicati, gli interferometri sono estremamente sensibili a qualsiasi
perturbazione esterma: è quindi necessario ripulire i dati dal cosiddetto
rumore di fondo, ossia tutto quello che viene catturato dagli strumenti quando
sono in ascolto, e isolare così i segnali potenzialmente utili. Si tratta di un
processo estremamente complesso. Il primo passaggio prevede di capire cosa si
sta cercando; ovvero, in altre parole, come dovrebbero essere fatti i segnali
sepolti sotto il rumore. Per rispondere a questa domanda è necessario risolvere
le equazioni della relatività generale, che prevedono per l’appunto come la
gravità deforma la geometria dello spazio-tempo. E farlo è tutt’altro che
facile. Il primo approccio è il cosiddetto metodo numerico, in cui il computer
decompone lo spazio-tempo in varie sezioni e risolve le equazioni per ciascuna
di esse; si tratta di un approccio che richiede elevata potenza computazionale
e molto tempo a disposizione, e che inoltre non è applicabile a tutte le
possibili sorgenti di onde gravitazionali, dal momento che per alcune non è
possibile calcolare la soluzione delle equazioni della relatività.
Il secondo metodo, che richiede (relativamente) meno sforzo
computazionale è quello analitico. “Sostanzialmente”, ci spiega Viviana Fafone,
responsabile nazionale di Virgo e docente all’Università di Torvergata, “si
utilizzano dei template di riferimento che modellizzano il segnale di onde
gravitazionale emesso da una data sorgente. Abbiamo a disposizione, a seconda
del tipo di sorgente, diversi tipi di template: il segnale che arriva
all’interferometro viene confrontato con questi modelli e, quando si trova una
correlazione, il sistema ci invia un’allerta”.
Il vantaggio di questo tipo di analisi è che, non essendo
troppo dispendioso dal punto di vista computazionale, consente un monitoraggio
in tempo reale dei dati. “Dopo l’allerta”, continua Fafone, “possiamo quindi
passare a un’analisi più avanzata, raffinando la stima dei parametri del
template per cercare il miglior accordo tra dati e modello”. È esattamente
quello che è successo con il segnale del settembre 2015, quando i dati
acquisiti dagli interferometri si sono rivelati in accordo con il template di
un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri in coalescenza. Tanto in
accordo che Fulvio Ricci, data analysis coordinator di Virgo e responsabile
nazionale per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per Virgo, disse in
conferenza stampa che “la probabilità di un falso allarme è 2×10-7”, ovvero che
“bisognerebbe aspettare in media 203mila anni per rivelare un segnale simile al
nostro ma falso”. Decisamente convincente.
Troppe correlazioni?
Cosa hanno da ridire, allora, i fisici danesi? Secondo la
loro analisi, i colleghi di Ligo e Virgo avrebbero fallito nella rivelazione
del segnale. L’équipe, coordinata da Andrew Jackson, ha anzitutto notato che i
segnali delle onde rivelate simultaneamente dai due interferometri di Ligo sono
correlati tra loro, com’è giusto aspettarsi (perché che si tratta dello stesso
evento); la scoperta (a loro dire) “inquietante” sta nel fatto che, però, anche
i rumori residui di Hanford e Livingstone, ovvero ciò che resta dopo aver
sottratto al segnale totale quello delle onde, continuano a essere correlati.
Non è una buona notizia: i due rivelatori sono molto
distanti tra loro e hanno un diverso orientamento spaziale, quindi non c’è
alcuna ragione per cui i rumori che hanno registrato debbano essere correlati.
La circostanza indicherebbe, secondo gli scienziati del Niels Bohr, “un
fallimento nella separazione del segnale dal rumore”. E, visto quanto è
delicata e importante tale separazione, come abbiamo spiegato poco fa,
smonterebbe de facto la scoperta. Viatcheslav Mukhanov, eminente cosmologo
ed editor del Journal of Cosmology and Astroparticle Phyics, la rivista che ha
pubblicato il paper danese, dice di aver sottoposto l’articolo, prima della
pubblicazione, a revisori esperti e severi, che non hanno ravvisato “nessun
errore” nei calcoli. Il che porta inevitabilmente a un bivio. Qualcuno, per
forza di cose, deve essersi sbagliato. Ma chi?
Una risposta, calcoli alla mano:
I responsabili di Virgo, contattati da Wired, si dicono più
che mai certi di non essere in errore. Sostanzialmente, ci spiegano, i fisici
danesi avrebbero commesso diversi errori nell’analisi dei dati. Errori che
effettivamente possono portare a vedere delle correlazioni che in realtà non ci
sono. “Il trattamento e l’analisi dei dati degli interferometri”, ci ha detto
Fafone, “sono complessi e delicati, e se non si segue la strada giusta si può
arrivare, artificialmente, a vedere delle correlazioni inesistenti”.
Non solo a parole, naturalmente: Ian Harry, fisico del Max
Planck Institute for Gravitational Physics a Potsdam-Golm, membro della
collaborazione Ligo, ha ripercorso quantitativamente punto per punto l’analisi
di Jackson e colleghi (vi risparmiamo formule e grafici, per ovvie ragioni. Qui
il lavoro di Harry, estremamente tecnico), mostrando tutti gli errori – in
particolare nel calcolo della trasformata di Fourier e nello sbiancamento del
rumore, come si dice in gergo – che hanno portato i danesi a conclusioni
sbagliate.
“Una delle affermazioni di Jackson e colleghi”, continua
Ricci, “è che l’uso dei template per filtrare il segnale sia poco corretto,
perché rappresenta in qualche modo una forzatura a vedere nel segnale quello
che stiamo cercando. Ma tale affermazione è smentita dai fatti: il primo
segnale era così intenso che l’allerta ci è arrivata da un algoritmo del tutto
unbiased, che non fa uso di alcun template”. E ancora: “Abbiamo incontrato a
Roma, nel corso di un congresso internazionale, i colleghi danesi. Abbiamo
mostrato loro tutti i punti deboli della loro analisi e li abbiamo invitati a
Virgo, per fargli vedere come raccogliamo e analizziamo i dati: siamo
completamente sereni”. I fisici di Ligo, spiega sempre il New Scientist, stanno
inoltre per pubblicare un paper didattico in cui ripercorre, punto per punto,
tutta l’analisi dei dati, che dovrebbe mettere a tacere le speculazioni. Per di
più, ci racconta Fafone, Virgo e Ligo sono al momento chiusi per lavori di
miglioramenti tecnici che ne aumenteranno ulteriormente la sensibilità e che
assicureranno, in futuro, scoperte e rivelazioni ancora più frequenti e
corpose.
I precedenti: Bicep2 e le onde gravitazionali:
C’è da dire, al netto di tutto, che in passato ci sono stati
effettivamente dei casi in cui la cattiva interpretazione dei dati – e in
particolare del rumore – ha indotto in errore gli scienziati, costringendoli a
ritrattare dichiarazioni di presunte scoperte. Il caso più eclatante, e più
vicino a quello di oggi, riguarda il progetto Bicep2, un esperimento condotto
tra i ghiacci del Polo sud. Nell’aprile 2014, i ricercatori di Bicep2
raccontarono di essere riusciti a osservare le onde gravitazionali primordiali
(un’eco del Big Bang) nella radiazione cosmica di fondo. Le osservazioni di
Planck, satellite dell’Agenzia spaziale europea, smentirono però le conclusioni
di Bicep2: il segnale, per l’appunto, non era stato ripulito a dovere dal
rumore di fondo generato dalla polvere della Via Lattea. E quindi niente onde
primordiali.
Grafici “puramente illustrativi”:
Qualche errore, comunque, lo hanno commesso anche gli
scienziati di Ligo. Stando alla ricostruzione del New Scientist, confermata
anche da Neil Cornish, uno dei principali ricercatori di Ligo, la
collaborazione avrebbe pubblicato dei grafici i cui dati “non erano ricavati
dall’analisi reale” e che erano “più illustrativi che precisi”. “Volevamo solo
fornire un aiuto visuale alla comprensione. I grafici sono stati corretti a
mano per scopi pedagogici”, ha aggiunto Duncan Brown, un altro ricercatore di
Ligo, che ora ha lasciato l’esperimento. Una svista che nulla ha a che fare con
i presunti errori nell’analisi del rumore, ma che comunque sarebbe stato meglio
evitare.
https://www.wired.it/scienza/spazio/2018/11/09/ligo-no-onde-gravitazionali/
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DI MARCO LA ROSA
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