SEGNALATO DAL DR. GIORGIO PATTERA
(BIOLOGO)
Tracce di microbi nelle rocce
marziane?
Alcune strutture geologiche
osservate su Marte dai rover della NASA potrebbero essere simili a rocce
sedimentarie terrestri costruite da microorganismi. Questi i risultati dello
studio di alcuni ricercatori del CNR. Con il commento di Filippo Giacomo
Carrozzo (INAF)
Perché inviamo sonde verso
pianeti lontani e lune ghiacciate? Perché costruiamo telescopi sempre più
potenti? Trovare vita intelligente è il sogno di ogni astrofisico. Per adesso
gli alieni in carne e ossa ce li possiamo dimenticare, ma gli astrobiologi
potrebbero aver individuato indizi di attività microbiologica passata su Marte,
dove un giorno arriverà anche l’uomo. Di recente un gruppo di ricercatori
dell’Isafom-Cnr ha pubblicato su International Journal of Astrobiology uno
studio in cui vengono evidenziate affinità strutturali tra le microbialiti
terrestri – rocce di origine batterica – e i sedimenti marziani non solo sul
piano microscopico, ma anche macroscopico.
I due ricercatori italiani Nicola
Cantasano e Vincenzo Rizzo dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del
Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Cosenza (Isafom-Cnr) si
sono concentrati su delle fotografie delle rocce marziane provenienti dai rover
Opportunity, Spirit e Curiosity (della NASA) e hanno rilevato analogie anche
nelle tracce attribuibili alla produzione batterica di gas e di gelatine
adesive altamente plastiche. «Attestato già nel 2009 che le lamine
sub-millimetriche dei sedimenti marziani e le cosiddette Blueberry (sferule
ematitiche di dimensioni millimetriche) non erano omogenee, ma costituite da
aggregazioni strutturali di grumi e microsferule più piccole (da 1 a 3 decimi
di millimetro), i primi studi si erano concentrati sulla morfologia delle
singole microstrutture, individuando altre interessanti aggregazioni, quali
polisferule, filamenti e filamenti intrecciati di microsferule», spiega
Cantasano. «L’attenzione si è poi spostata sulla dislocazione di tali
microstrutture sul piano di osservazione: la tessitura delle immagini è infatti
una sorta di marker genetico che dipende dall’ambiente di sedimentazione e dalla
attività batterica. Tale analisi, eseguita su un gruppo di circa 40 coppie di
immagini, sia dei rover che di microbialiti museali, ha evidenziato l’esistenza
di interessanti trame a filamenti intrecciati, con forti parallelismi
morfologici alla stessa scala». Questi parallelismi microtessiturali sono stati
rilevati anche da altre ricerche sviluppate negli ultimi anni. «L’Università di
Siena ha avviato un’analisi matematica frattale multiparametrica delle coppie
di immagini, i cui risultati confermarono che esse sono identiche», aggiunge
Rizzo. «Un ulteriore studio morfologico del Laboratorio de Investigaciones
Microbiológicas de Lagunas Andinas-LIMLA su campioni di microbialiti viventi
provenienti dal deserto di Atacama (Cile) ha permesso di evidenziare grazie
alla pigmentazione organica che tali microstrutture e microtessiture esistono e
sono un prodotto dell’attività batterica. Tuttavia, poiché le strutture a scala
meso e macroscopica sono considerate discriminanti per il riconoscimento di
tali rocce, nello studio attuale l’analisi microscopica è stata integrata da
osservazioni sistematiche a scala maggiore. La quantità, la varietà e la
specificità dei dati raccolti accreditano per la prima volta, in modo
consistente, che le analogie non possono essere considerate semplici
coincidenze».
La tecnologia va avanti a passi di gigante e gli strumenti sono
sempre più avanzati. I ricercatori hanno inventato telescopi giganti e rover
per la ricerca di vita nello spazio, ma finora la vita che conosciamo qui sulla
Terra non esiste altrove. Abbiamo chiesto un parere a Filippo Giacomo Carrozzo,
ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma.
«La probabilità di trovare
attività biologica in corso su Marte sono basse perché oggi il pianeta è una
Terra piuttosto inospitale. Il problema maggiore sta nella mancanza di uno
scudo capace di fermare le radiazioni dannose per la vita. Sui pianeti questo
scudo è il campo magnetico che, avvolgendoli, non permette ai raggi cosmici e
alle particelle cariche del vento solare di passare. Su Marte questo scudo
naturale oggi è praticamente assente, riducendo la superficie ad una Terra
sterilizzata», spiega Carrozzo.
Uno dei problemi alla base della
mancanza di vita è il freddo, ovviamente dovuto anche alla lontananza dal Sole:
«La temperatura media, di gran lunga sotto lo zero, non rappresenta un problema
serio; sulla Terra, nelle regioni artiche, alcuni organismi riescono a
sopravvivere fino anche a -100°C. Per azionare i processi biologici gli esseri
viventi hanno bisogno di energia, sulla Terra la fonte principale è fornita dal
Sole. Su Marte, la luce solare arriva con una intensità minore del 56%. Una
quantità sufficiente, paragonabile a quella che si ha a poche ore prima del
tramonto. Se poi aggiungiamo che esseri viventi possono sopravvivere sfruttando
altri tipi di energia come quella chimica, è evidente che questa sul pianeta
potrebbe non rappresentare un grosso ostacolo». Carrozzo sottolinea, inoltre,
l’importanza dell’acqua per la vita: «È l’elemento principale, tutti gli
organismi viventi ne se sono composti in grandissima parte, il nostro corpo per
esempio ne è costituito per il 60% circa. Il detto “dove c’è acqua c’è vita”
vale anche per Marte. Sul Pianeta rosso questa molecola, essenziale alla vita,
è presente in grande quantità; l’unico ostacolo è rappresentato dal fatto che
si presenta sotto forma di ghiaccio o vapore. Tuttavia, la vita dipende in modo
decisivo dalla disponibilità di acqua in forma liquida e le condizioni marziane
ne permettono l’esistenza in solo per brevissimi istanti. Alla luce di ciò,
personalmente credo che, se dobbiamo ricercare la vita su Marte, dobbiamo farlo
scavando. È sotto la superficie che potrebbero essersi create delle nicchie di
sopravvivenza dove la vita può ancora resistere, lontano dalle estreme
condizioni a cui è sottoposta la sua superficie. Le ricerche condotte negli
ultimi 30 anni in ambienti estremi sulla Terra hanno mostrato che la vita è in
grado di colonizzare praticamente ogni ambiente, basta che sia disponibile
energia, acqua liquida e i giusti elementi». Tornando allo studio del CNR,
Carrozzo chiarisce: «Ogni essere vivente è costituito da una moltitudine di
biomolecole, ma la maggior parte è composta da pochi elementi: il carbonio,
l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il fosforo e lo zolfo sono gli elementi base
per la creazione delle molecole funzionali alla vita. Sulla Terra sono presenti
in abbondanza, su Marte molto meno. Tuttavia, non deve essere stato sempre
così. La vita, se è nata quasi contemporaneamente sui due pianeti, circa 4
miliardi di anni fa, può aver avuto la stessa occasione di proliferare.
L’ambiente marziano, per una serie di motivi, è purtroppo cambiato nel tempo
rendendolo ostile e producendo una landa deserta. Quelle tracce potrebbero però
essere sopravvissute. La mancanza di una tettonica a placche, che sulla Terra
gioca un ruolo importante nel rimodellare la superficie, potrebbe aver
conservato meglio i fossili all’interno delle rocce che aspettano solo di
essere raccolte. Nel frattempo quello che possiamo fare è studiare il centinaio
di meteoriti che sono stati riconosciuti come campioni di suolo marziano. Al
loro interno gli scienziati cercano batteri sotto forma di fossili,
biomolecole, o strutture riconducili a prodotti di attività biologica come nel
caso del lavoro svolto dai ricercatori italiani Rizzo e Cantasano del CNR». «I
due ricercatori dell’Isafom-Cnr di Cosenza sono solo un esempio dei molti
colleghi che si occupano di astrobiologia e di esogeologia in Italia, tra cui
quelli in forza all’Istituto Nazionale di Astrofisica», continua Carrozzo. «Da
decenni l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano nella ricerca di vita al di
fuori della Terra. I ricercatori italiani sono impegnati nelle più importanti
missioni per l’esplorazione del Sistema Solare e nel futuro il contributo del
nostro Paese resta una preziosa risorsa per lo studio dei corpi planetari di
interesse astrobiologico come Marte, Europa e Titano. Una nuova frontiera che
sta destando sempre più interesse nella comunità scientifica è l’analisi dei
pianeti extrasolari. L’impiego dei telescopi di nuova generazione sta riducendo
la distanza che ci separa nella comprensione di questi sistemi planetari e nei
prossimi anni potrebbe fornire delle importanti risposte sulla vita al di fuori
del nostro Sistema solare».
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