Sempre più frequentemente, constato che la scienza ufficiale
tende ad accostarsi con minor presunzione ed arroganza a quei fenomeni (per
ora) inspiegabili che fanno parte di quel mondo considerato ed esplorato solo
dai “cani sciolti”. Tutto ciò che fino ad ora era relegato nel mondo della pseudo-scienza
o del “ciarlatano”, viene riscoperto, rivalutato ed osservato sotto nuova luce.
Da un lato, mi fa molto piacere, ma dall’altro mi avvilisce molto perché tanti
studiosi che hanno prodotto ricerche valide ed importanti già da molto tempo,
non saranno mai giustamente ricordati e ricompensati (almeno moralmente) e tutti
i risultati positivi fino ad ora ignorati, verranno attribuiti a chi non se lo
merita. Così funziona questo mondo rovesciato, dove si incensa l’imbonitore ciarlatano
che insegue il profitto e si infanga il visionario altruista che fa progredire
la vera scienza nel silenzio del suo scantinato, morendo di fame. Ecco perché, non
mi stancherò mai di mantenere vivo il ricordo di coloro che sono arrivati “prima”,
ma sono stati zittiti e dimenticati poiché altruisti completamente “liberi” da
ogni forma di profitto.
Vi invito a leggere con attenzione l’intervista che segue, è
un importante esempio di come la medicina occidentale stia (anche se molto
lentamente) cambiando i suoi paradigmi, proprio rivolgendosi a quel “mondo di
ricerca” che fino a ieri aveva deriso e boicottato. Per chi volesse poi
approfondire le fondamentali interazioni del cervello sull’universo in cui
viviamo, consiglio i capitoli 7 e 8 del mio libro: L’Uomo Kosmico (ed: OmPhi
Labs 2014).
Buona lettura
MLR
“In tutti gli uomini è la MENTE che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso TUTTO il resto.”
Antifonte, filosofo e drammaturgo ( Atene, 480 a.C. circa – Atene, 410
a.C. circa).
Stefano Lorenzetto intervista il
Dr. Soresi
Dr. Soresi: Vi racconto come il PENSIERO può farvi ammalare o
guarire
Dopo una vita passata a
dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi,
bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni,
tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al
Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte
le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato
l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo
del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia
proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le
patologie non solo psichiche ma anche fisiche. C’era già arrivato per intuizione
il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti
Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o
verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver
visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho
in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la
sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di
tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un
agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di
Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock
carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il
melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo,
tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo
a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da
paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una
combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche,
Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato
fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto
fuori il cancro». Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet),
già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da
sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo
ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il
linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei
virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano,
producono ormoni cerebrali. Questa si chiama Pnei,
psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla
medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori
vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che
datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la
vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla
neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal
cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due:
camminare 40 minuti tre volte la settimana – altrimenti si blocca il ricambio
delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre
il cervello – e studiare». Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per
allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le
parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo
interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una
scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra
scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per
immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo
più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si
estende per 6 miglia». Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre:
suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano,
oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista,
che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È
un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi
paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite
reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una
neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia.
Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione:
non riuscire a guarire una cosa che sparisce». Com’è possibile? «Ci ho scritto
100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma
ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande
con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una
vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress». Diciamo una scienza
inesatta. «L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura,
come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano
tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola
Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo
chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse:
“Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se
mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina,
ragazzi, non illudiamoci». Torniamo al cervello. «Sto aspettando di
diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi
dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora
programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo
strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non
viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e
quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre
sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i
segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero
auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il
linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua
identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una
memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche
l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno
muovere». Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello. «Ai tempi in cui
facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i
lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la
funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori
d’orchestra di ogni nostra azione». E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi
telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare
s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la
caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una
metastasi al lobo frontale destro». Ippocrate aveva definito il cervello come
una ghiandola mammaria. «Aveva còlto la funzione secretiva di un organo
endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali – la serotonina,
la dopamina, le endorfine – ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei
tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le
citochine?». Sì e no. «Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere
agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna
con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi
fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene,
che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto
nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può
curare una patologia?». La ascolto. «Avevo un paziente affetto da asma,
ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna
dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché
dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una
fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”.
La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo
psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio
psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli
tornava l’asma». Effetto placebo degli spilloni. «Paragonabile a quello dei
finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far
scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti
diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo». Esemplifichi. «Donna
di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore
fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante.
Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa.
L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera
piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È
evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un
abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo.
Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali.
Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col
marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono
separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico
stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?». Prego. «Colf
di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La
figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni,
ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era
mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un
intervento chirurgico». Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni
premonitori. «Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con
dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la
data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare
occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva
sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un
forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse:
“Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della
libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era
nel posto indicato». I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi
soprannaturali o costruzioni del cervello? «Io sono per un pensiero laico.
Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano
modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la
relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò
la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina
per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria
di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella
foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes
telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per
lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica,
che prima urlava per il dolore, non soffrì più». Come si mantiene in buona salute il
cervello?«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è
iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua
egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto
quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia». Sappiamo
tutto del cervello? «Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al
70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono
pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia». Allora come fa una legge dello
Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui
coscienza sappiamo poco, forse nulla? «Siccome si muove per stimoli
elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa
che il cervello non è più attivo». Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo… Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla
dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque
bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico». Prima
del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non
appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva. «Eh, lo so… La morte cerebrale consente
di recuperare gli organi per i trapianti». Ha mai sperimentato su di sé
disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute? «Nel 1971 ho
sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un
linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che
andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a
Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte.
Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu
irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui
nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel
1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che
riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha
saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di
vita».
Chi è Enzo Soresi:
tisiologo, anatomopatologo,
oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano. Nel libro “Il
cervello anarchico” racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate
dallo choc carismatico della fede.
Fonte: Il Giornale
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