SANDOR MARAI
Sándor
Márai, in origine Sándor Károly Henrik Grosschmid de Mára (Košice, 11 aprile
1900 – San Diego, 22 febbraio 1989), è stato uno scrittore e giornalista
ungherese che si è imposto nel panorama letterario europeo negli anni ’30 grazie
al suo stile chiaro, preciso ma soprattutto realista e oserei dire profetico. Ha
vissuto in Italia per molti anni ma le sue opere sono state tradotte in
italiano all’ inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
da: “ IL GABBIANO” (1942)
Ed. Adelphi
2011
".....aveva immaginato accanto a
lei un austero scienziato, una sorta di celebrità che gioca a tennis, presiede
varie associazioni scientifiche, ha solide conoscenze nei giri che contano e
abita in una villa con terrazzo sulla collina Gellert da cui si vede snodarsi
il Danubio. Invece, ascoltandolo in quell'aula gremita, si accorse che
quell'uomo sembrava vivere molto al di sotto della sua posizione sociale, e per
giunta infischiarsene allegramente di tutto ciò che la posizione sociale
rappresenta, e ancora di più ciò che la gente immagina di uno scienziato come
lui. Tipi del genere non meritano di solito rispetto, dormono beati alle prime
ore del mattino nel retro dei caffè bohemiennes, chini sulle pagine spiegazzate
dei giornali esteri, ex rivoluzionari, confusi geni degli scacchi, preti
spretati, gente che trascorre le sere a fumare sigari in un locale. Il chimico
pareva uno di loro. Ma dalla sua voce rauca e soffocata trapelava la passione,
così come dietro a un paesaggio sereno e assolato si intuisce il cupo ruggito
di un lontano terremoto. Descriveva sostanze chimiche e anche un profano poteva
rendersi conto che non diceva una parola di troppo; citava numeri e formule ed
era come se, mentre parlava di realtà oggettive e controllabili, in lui
ruggisse una belva, come se dietro quel che faceva e raccontava e diceva ci
fosse sempre qualcosa d'altro. Quell'uomo era pieno di passione. Può darsi che
la passione sia una condizione del genio, pensò, ormai capiva la folla nella
sala, quella moltitudine che lo ascoltava attenta e che, verosimilmente, in
quel momento, non era interessata soltanto alle formule chimiche, quanto
piuttosto, e soprattutto, alla persona del relatore. Quel professore burbero,
trasandato, non più giovane, dotato di pochi capelluzzi arraffati, dai modi
scontati, sapeva qualcosa: c'era un motivo per il quale il suo nome era
rinomato. Ma sapere qualcosa significa avere passione: il senso originario di
ogni fenomeno umano è la passione con la quale un uomo risponde al mondo.
Ascoltandolo, si accorse perchè l'Europa stava andando incontro alla
catastrofe. Travolta dal proprio nichilismo, dalla propria vanagloria
narcisistica, dalla ricerca del profitto finanziario a tutti i costi, aveva
dimenticato di coltivare le passioni: senza di esse, inevitabilmente, ci si
innamora della morte al fronte. Quei giovani lo ascoltavano, nel tremendo e
vano tentativo di sentire di nuovo qualcosa di vero, prima di essere ingoiati
dalla ferocia della guerra che sarebbe piombata di lì a pochi giorni. Mentre
scendeva l'ampio scalone del grande edificio, non gli sembrava più impossibile
o assurdo che Ilona amasse quell'ometto, proprio lui. Ma allora Ilona, chi e
che cosa sono io per lei? si domandò sul portone. Sono un uomo a caccia di
passioni, tutto qui. Il chimico, invece, è la passione in tutto il suo essere e
i giovani lo sentono: è l'unico antidoto certo alla guerra. Fece cenno a un
taxi e andò da lei. Erano le ultime ore di pace, adesso lo sapeva anche
lui".
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