(Foto: Courtesy Yerkes National Primate
Research Center, Emory University)
Come riescono queste scimmie a
resistere all’Aids?
Segnalato dal Dott. Giuseppe
Cotellessa (ENEA)
Una scimmia del vecchio mondo è
resistente all’Aids, può essere infettata dallo stesso virus che causa la
malattia nei macachi ma non si ammala. Come ci riesce? Uno studio su Nature
identifica dei geni che potrebbero aiutare a capire perché.
Nella storia della lotta all’hiv
si ricorda il caso del paziente di Berlino, una persona con hiv guarita
dall’infezione in seguito a un trapianto di staminali per trattare la sua
leucemia. Una guarigione eccezionale, imputabile alla resistenza delle cellule
del donatore all’infezione da hiv. Un caso che, sotto alcuni aspetti
sottolinea, come nella lotta all’hiv, studiare i bersagli del virus, i suoi
ospiti, è fondamentale tanto quanto la caratterizzazione del virus. E un nuovo
tassello nello studio dei bersagli del virus dell’Aids arriva oggi da una
ricerca pubblicata su Nature.
Lo studio in questione però non
riguarda l’hiv e la resistenza al virus, ma il simian immunodeficiency virus
(Siv), un virus simile all’hiv, un suo parente, che infetta diversi primati, causando
Aids. Con alcune eccezioni: nel cercocebo moro (Cercocebus atys), una scimmia
del vecchio mondo,l’infezione da Siv non sviluppa Aids. Il virus c’è ma non
causa immunodeficienza. Lo stesso non accade però nei macachi, in cui
l’infezione da Siv evolve in una malattia simile all’Aids. In che modo questa
scimmia riesce a convivere con il Siv, anche con elevati livelli del virus?
Per capirlo, un team di
ricercatori guidati da Guido Silvestri dello Yerkes Research Center della Emory
University di Atlanta ha deciso di analizzare il genoma del cercocebo moro e ha
quindi confrontato i risultati con il dna di altre specie suscettibili
all’Aids, come sono gli esseri umani e i macachi (modello di malattia per
l’uomo). Scopo: identificare delle tracce, dei possibili geni con potenziale di
influenzare le diverse suscettibilità all’Aids. Qualcosa però, come racconta
Silvestri a Wired.it, era già noto: “I meccanismi generali per cui i cercocebi
non sviluppano l’Aids sono stati descritti dal nostro gruppo, e consistono in
ridotta attivazione immunitaria e infezione di sottopopolazioni di linfociti
CD4+ (bersaglio del virus, nda) a vita più breve, quindi meno indispensabili per
la funzione del sistema immunitario”. Malgrado alcuni aspetti dell’infezione da
Siv siano noti dunque, i meccanismi con cui questi animali riescono ad evitare
l’Aids rimangono poco chiari, scrivono i ricercatori. Per questo l’idea è stata
quella di allargare lo sguardo analizzando i geni.
E lo studio del genoma del
cercocebo ha portato alla luce oggi nuovi aspetti. Nel dettaglio ha mostrato
che esistono diversi geni implicati nel sistema immunitario che presentano
differenze marcate nei cercocebi, rispetto a specie suscettibili di Aids. “I
due geni principali che differiscono in modo drammatico tra cercocebi da una
parte e uomini e macachi dall’altra sono il TLR4 e l’ICAM-2”, spiega Silvestri,
“Il TLR4 è un gene che regola la risposta immunitaria a prodotti batterici, e
l’ICAM-2 regola invece il traffico delle cellule immunitarie tra il sangue ed i
tessuti”, riprende Silvestri. L’assenza di TLR4 funzionante comporterebbe una
ridotta attività proinfiammatoria nell’ospite naturale.
“Il prossimo passo”, riprende il
ricercatore, “sarà quello di cercare di modificare in vivo la funzione di
questi geni nei macachi, le scimmie che se infettate con Siv sviluppano l’Aids,
così come gli esseri umani infettati con hiv, e vedere se questo approccio li
possa rendere resistenti all’Aids”. La possibilità che caratteristiche di
resistenza simili a quelle osservate nei cercocebi siano presenti in alcuni
individui nella popolazione umana esiste, ed è uno degli aspetti su cui si
concentra l’attenzione dei ricercatori: “In passato sia noi che altri gruppi
avevamo identificato dei piccoli gruppi di persone infettate con hiv che hanno
delle caratteristiche immunologhe simili ai cercocebi, ma sono rarissimi”,
spiega il ricercatore. Persone cioè che, pur con elevati livelli del virus, non
progrediscono nella malattia. “I risultati di questo studio ci danno la
possibilità di indagare più a fondo questa ipotesi”, ci spiega Silvestri. “I
cercocebi mori e altri ospiti naturali sono stati per gli scienziati per anni
come una sorta di roadmap per la caccia a terapia contro Aids, ma finora
eravamo in grado solo di guardare un pezzettino di mappa alla volta”, aggiunge
Steve Bosinger, tra gli autori del paper, “Adesso, esaminando il genoma di
intere specie, crediamo di poter accelerare scoperte che possono fare la
differenza nella lotta contro hiv e Aids”.
Da:
https://www.wired.it/scienza/medicina/2018/01/03/scimmie-resistenti-aids/
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