martedì 1 agosto 2017

NAVIGATORI STELLARI PER L'ANIMA: LE "PIASTRE ASTRONOMICHE" DELL'EGITTO ANTICO

CON ESTREMO PIACERE PUBBLICO QUESTO NUOVO STUDIO DELL'AMICO DIEGO BARATONO, CHE TROVERETE ANCHE SUL NUMERO  DI ARCHEOMISTERI ATTUALMENTE IN EDICOLA. DEVO PERO' SEGNALARE CHE PER UN INCRESCIOSO ERRORE DI TIPOGRAFIA L'ARTICOLO E' STATO ERRONEAMENTE ATTRIBUITO A MICHELE MANHER INVECE CHE A DIEGO BARATONO.
 


                        di Diego Baratono

 

I grandi spiriti hanno sempre trovato la violenta opposizione delle menti mediocri. La mente mediocre è incapace di comprendere l’uomo che rifiuta d’inchinarsi ciecamente ai pregiudizi convenzionali e sceglie, invece, di esprimere le proprie opinioni con coraggio e onestà.

— Albert Einstein

 

Piastre astronomiche: breve introduzione

Correva l’anno 2011. Precisamente si era all’inizio dell’anno.[1] In quel periodo portavo a termine una particolareggiata quanto curiosa indagine. Lo studio era inerente alle cosiddette “tavolozze cosmetiche” dell’Egitto Antico. Questo peculiare gruppo d’oggetti, si vedrà più oltre nel dettaglio di cosa si tratta, sebbene prodotto temporalmente nel prodromico momento aurorale della sorprendente cultura poi fiorita lungo le sponde del Nilo, nondimeno comprende peculiari dispositivi “condizionati”, o meglio, attrezzi confezionati teleologicamente, con uno scopo ben preciso e, pertanto, già grondanti informazioni di notevole consistenza. Sono indicazioni spente certamente, ma se “riattivate” e ben recepite, tornano utili ad integrare la comprensione, almeno in una certa misura, dell’articolato, profondo e variegato sistema intellettuale elaborato dai primi pensatori della civiltà egizia. Sì perché questa categoria di manufatti conosciuti erroneamente come “tavolozze cosmetiche”, secondo il mio punto di vista, sono piuttosto congegni suggestivi per essere “strumenti scientifici”, si capirà più oltre in quali termini, funzionali al sistema concettuale sviluppato dall’Egitto Antico, piuttosto che essere inquadrabili “soltanto” nell’orizzonte della cosmesi egizia, o poco più, come sostenuto da una buona parte degli studiosi. Questo nuovo studio cercherà di dimostrare al di là d’ogni ragionevole dubbio la correttezza di quanto sostenuto. Orbene, nell’articolo pubblicato su questa stessa rivista, riportavo sinteticamente i curiosi risultati cui ero pervenuto. Si trattava di un articolo tanto sintetico quanto, per molti aspetti, “avveniristico”. Scrivevo, infatti, che: “… Si è potuto accertare, infatti, che alcune delle suddette “tavolozze”, peraltro ben caratterizzate, presentano elementi distintivi tali da consentire la loro differente valutazione e di conseguenza, una diversa collocazione funzionale. Prudentemente, alcuni degli oggetti in discorso esaminati, si possono stimare bensì, importanti strumenti “tecnico – scientifici”… alcune delle “tavolozze” testate, che viste le peculiarità emerse, sarebbe meglio rinominare “piastre astronomiche”, manufatti finalizzati alla precisa localizzazione di alcune costellazioni particolarmente significative per la cultura religiosa, elaborata dai pensatori nilotici.”.[2] Proseguivo asserendo che: “Fino ad oggi, questi particolarissimi oggetti, non si sono mai stimati possedere simili funzioni. A riprova di quanto sostenuto si portano le immagini che vedono la tavolozza a forma di losanga con raffigurazione di scorpione, inquadrare precisamente con il suo profilo la costellazione eponima.”, e non solo quella, come si avrà modo d’appurare.

 
FIGURA 1: Particolare della costellazione dello Scorpione visibile in direzione OVEST. Si deve sottolineare l’importanza del punto cardinale specificato per la cultura religiosa dell’Egitto Antico, già a partire dal momento aurorale del suo momento formativo

 FIGURA 2: Immagine della sovrapposizione della “piastra astronomica” romboidale con simbolo di uno scorpione ad un suo vertice, sulle importantissime stelle che costituiscono il corpo centrale della costellazione eponima dello Scorpione. La peculiare coincidenza tra il profilo della piastra e le stelle che configurano la costellazione dello Scorpione non è certamente casuale.   

 

Aggiungevo, inoltre, che: “… in base a miei precedenti studi, proprio le stelle della costellazione dello Scorpione, inserite nel contesto specifico di una precisa configurazione del “cielo occidentale”, sono riprodotte nel cosiddetto soffitto astronomico, esistente nella celebre tomba di Senmut. Si può quindi stimare, che simili piastre traguardate sullo sfondo del luminoso cielo notturno antico – egiziano, aiutassero i sacerdoti – astronomi nell’individuare precisamente alcune stelle ed alcune costellazioni in certi periodi dell’anno, probabilmente per determinare l’avvicinarsi della fase alluvionale del Nilo (…Coloro che danno l’acqua…”), o per altri motivi cultuali non meno importanti…”. Dopo alcuni ritocchi, aggiustamenti e precisazioni a quanto scoperto, è giunto il momento di riprendere il discorso al fine di portarlo a conclusione.

 

Piastre astronomiche: una pratica devozionale ancestrale prodromica  

È genericamente noto, che i manufatti conosciuti, secondo chi scrive in maniera erronea poiché estremamente limitante e più oltre si capirà in quali termini, come “tavolozze cosmetiche”, compaiono in terra d’Egitto già a partire dal Neolitico.[3]
 
FIGURA 3: Esempi di quelle che erroneamente sono note soltanto come “tavolozze cosmetiche”. Si tratta piuttosto di “piastre astronomiche” oggetti cultuali utili all’anima del defunto per trovare la via dell’Oltretomba che la dirigerà nella parte di cielo a lei spettante. Sono manufatti risalenti al periodo del Predinastico.


FIGURA 3A: Piastra astronomica del “Coccodrillo”. Sono da notare, oltre alle varie incisioni e scalfitture (quasi segni “tachigrafici”) presenti lungo il profilo della piastra, anche gli occhi presenti sul manufatto

FIGURA 3B: Piastra astronomica di Hator, Gerza, IV millennio a.C. Da notare la particolare figura geometrica che compare sulla fronte della testa hatorica.

FIGURA 3C: Piastra astronomica dell’ariete, Naqada IIa. Sono da notare oltre alle tacche presenti sulle corna della raffigurazione, i fori e le diverse parti eccedenti il profilo della piastra

FIGURA 3D: Piastra astronomica del pesce. Da notare il cerchio e la particolare sagomatura della coda.

FIGURA 3E: Piastra astronomica a doppia testa falconiforme. Da notare i diversi fori e la sequenza di quelli che si possono stimare essere occhi (si confronti con la FIGURA 5C, piastra della tartaruga)

 Diventeranno manufatti comuni nel Badariano.[4] Scampoli di colore rinvenuti sulla superficie di alcune di queste piastre, porterebbero a pensare che la loro funzione fosse proprio solo quella di “utensili da belletto”. Si deve qui sottolineare, invero, che questa certezza di recente non sembrerebbe più trovare molti consensi. Meglio. Questa convenzione interpretativa limitante di “utensili da belletto” non può e non deve potersi estendere genericamente a tutti questi importantissimi manufatti. In un suo recente studio, ad esempio, Paul Roberts della Swansea University arriva a concludere, che: “… le palette cosmetiche passano attraverso una drastica serie di trasformazioni; dal profilo romboidale all’aspetto di animale, dal proposito funzionale a quello cerimoniale e da oggetto per il corredo funebre all’offerta votiva. Mentre l’aspetto delle palette cosmetiche non ha mantenuto coerenza attraverso la loro storia; il loro significato, importanza e incidenza sulla storia è unico, affascinante e informativo, se ad oggi sul loro conto molto è ancora aperto alla discussione.”.[5] Nello specifico, il periodo denominato Badariano, la sua civiltà, è stata scoperta a tutti gli effetti dall’archeologo inglese Guy Brunton e dalla moglie Gertrude Caton – Thompson a partire dagli anni ‘20 del 1900. Le origini della civiltà badariana inquadrano un periodo prossimo al 5400 a.C., allorché nella valle del Nilo giunsero popolazioni provenienti dal Sahara occidentale, areale in progressivo inaridimento. Queste genti: “… portarono con loro le proprie ideologie, sia quelle relative al mondo terreno, che su ciò che inevitabilmente attendeva l’uomo dopo la morte. Queste ideologie sull’aldilà saranno di notevole importanza per comprendere i percorsi intrapresi dalla civiltà dell’antico Egitto nel terzo millennio a.C…”.[6] I popoli vettori delle cifre caratterizzanti la civiltà del Badariano credevano risolutamente, che la vita non si risolvesse con la morte terrena. A riprova di questo vi è il fatto indiscutibile, che le sepolture di questo periodo vedono i defunti in genere collocati in posizione fetale (disposizione “fisiologicamente simbolica”, idonea alla rinascita virtuale in un possibile al di là), adagiati sul fianco sinistro con il capo orientato a Sud (questo è il punto cardinale di riferimento per gli Egizi Antichi) e con il viso fissato all’Ovest. Simili dettagli porterebbero a pensare, secondo molti studiosi, che siano da ricercarsi proprio qui, in nuce, le convinzioni ideologiche fondanti la strutturazione religiosa francamente “solare” formulata da queste genti e trasmessa ai periodi successivi. Potrebbe, invero, non essere questa un’idea del tutto corretta, almeno non in termini definibili soltanto con una stima generica. A questo proposito, ho avuto modo di seguire il recentissimo seminario sull’astronomia egizia condotto dal Dott. Enrico Ferraris, egittologo del Museo Egizio di Torino. Quanto è emerso inequivocabilmente dagli incontri, è che l’origine delle convinzioni religiose elaborate dai pensatori egizi all’alba della civiltà faraonica, è piuttosto da ricondursi ad un insieme di culti primigeni “stellari” che non ad un culto “solare”, come invece erroneamente si è portati a credere.

FIGURA 4: Calendario del seminario svoltosi a Torino condotto dal Dottor Enrico Ferraris, curatore del Museo Egizio torinese, inerente alla religione stellare degli Egizi Antichi

 O meglio. La religione solare espressa dalla civiltà egizia prenderà la forma che conosciamo, soltanto “dopo”, soltanto nel momento in cui i raffinati pensatori nilotici assimileranno il perenne, ancorché quotidiano, ciclo solare alba/tramonto, precisa e chiara metonimia della sequenza di nascita e morte che è connaturata fisiologicamente all’esistenza terrena di tutti gli esseri viventi,[7] a primordiali cicli astronomici, forse il più noto è quello di Sirio/Orione, di cui però non ci occuperemo in questa sede, decisamente più arcaici. A loro volta, questi perenni ritmi astronomici perfettamente cadenzati  e regolari, affidabili su scala umana, sono strettamente connessi sia con le sequenze cicliche proprie del mondo agricolo (la successione delle tre stagioni del mondo agricolo egizio, ossia inondazione, semina e raccolta, ad esempio), sia per conseguenza diretta, strettamente connessi con le piene del Nilo, l’Acqua del rinnovamento periodico della terra egizia. Sono questi segnali, i potenti riflessi delle cadenze di “morte” e di “rinascita” che i primi intellettuali egizi osservavano direttamente nella Natura che li circondava ed a cui tutti indistintamente dovevano inevitabilmente inchinarsi e sottostare. L’idea di rintracciare nelle stelle, almeno in una certa misura, l’origine delle potenti credenze dottrinarie di rinascita formulate sulle sponde del Nilo è totalmente condivisibile, anche se non nei termini che ci si aspetterebbe, nel senso che le stelle di riferimento, secondo il mio punto di vista, non sono solo Sirio, Orione, Orsa Maggiore, stelle circumpolari e così via. Le stelle di riferimento sono anche altre: quelle della costellazione dello Scorpione su tutte ad esempio, di cui ho già scritto in altri studi e di cui si tratterà più oltre in questo studio.[8] Ci si deve qui necessariamente soffermare, per focalizzare meglio la questione inerente alla religione “stellare” degli Egizi Antichi. Si deve ribadire, sebbene oltremodo risaputo, infatti, anche se non sempre è detto in modo chiaro e non sempre si tengono in debito conto le conseguenze di tutto ciò, che la dottrina stellare egizia precede, e di molto, quella solare e che come origine il pensiero che sostiene la formulazione della predetta dottrina, si può collocare, per non andare troppo indietro nel tempo, almeno nel periodo del “Predinastico” (De Rachewiltz, 1961; Vandier, 1944). È ben noto, inoltre, che il mondo dell’Egitto Predinastico è luogo dove l’organizzazione sociale, pur aderendo sempre più alle dinamiche proprie di una società agricola, di norma stanziale, nondimeno è ancora un’umanità con usanze tribali, legata per molti aspetti al nomadismo. È chiaro pertanto, che un simile stile di vita, per avere almeno qualche “punto fermo”, si deve basare su indicazioni traibili da un “testo” unico per tutti, adeguato ed a portata di mano, immutabile, sempre disponibile, facilmente utilizzabile, conosciuto e conoscibile. Niente di meglio quindi che orientarsi, è il caso di dire, su quanto offerto dal meraviglioso e luminoso cielo stellato notturno. Un esempio chiarificatore in questo senso è distinguibile proprio nel geroglifico per indicare il Dwat, ossia la rappresentazione grafica dell’Oltretomba. Per gli Egizi Antichi il “Regno dei Morti”, infatti, è una stella a cinque punte inscritta in un cerchio. Molto interessante in questo senso è un passo dei “Testi delle Piramidi” (Pyr. 802): “Orione e Sothis sono circondati dal Dwat”. Avvolti in stuoie di canne i defunti sono deposti in sbancamenti ovali scavati nel deserto. Sono dotati di ricchi corredi funerari in cui le ceramiche, realizzate appositamente per il corredo, ne sono la parte preponderante. È poi in queste sepolture che si trovano sistemate quelle che io ritengo essere le prime “piastre astronomiche” rituali. Alla cultura badariana subentrerà, verso la fine del quinto millennio a. C. la prima fase della cosiddetta cultura di Naqada, il cui nome deriva dalla località eponima dell’Alto Egitto situata sulla sponda occidentale del Nilo. Naqada fu scavata intorno all’anno 1894 da sir W. M. F. Petrie.[9]

FIGURA 5: Predinastico, tipologia Naqada I di sepoltura risalente al 4000 – 3600 a.C. circa, Istituto Orientale di Chicago

FIGURA 5A: Predinastico, tipologia Naqada II di sepoltura risalente al 3200 a.C. circa, © The Trustees of the British Museum. Il defunto è noto come “Ginger” o “Uomo di Gebelein”.  L’“Uomo di Gebelein” fu sepolto nella sabbia con diversi oggetti di corredo funebre. Le condizioni d’estrema aridità del deserto ne hanno mummificato il corpo conservandolo in condizioni ottimali.

FIGURA 5B: Predinastico, tipologia Naqada II di sepoltura. Da notare le piastre astronomiche a forma di tartaruga e di losanga posizionate frontalmente nei pressi delle gambe piegate, quasi a voler sottolineare la necessità di consultare le piastre astronomiche durante il cammino del defunto per orientarsi nei territori sconosciuti dell’Oltretomba.


FIGURA 5C: Piastra astronomica della Tartaruga, Naqada II. Sono da notare gli occhi dell’animale, messi in estrema evidenza dal colore più chiaro adottato per la loro definizione.

FIGURA 5D: Predinastico, tavola sinottica con le tre tipologie di sepolture naqadiane: Naqada I (Amratiano), Naqada II (Gerzeano), Naqada III (Protodinastico). I disegni delle sepolture mostrano l’evoluzione della forma, della grandezza, della disposizione e della tipologia dei corredi funerari.  

 È dalle sepolture e dalle pratiche funerarie che si possono rilevare le trasformazioni che indicano a loro volta eventuali cambiamenti nelle credenze religiose. Con Naqada si hanno indicazioni precise, sul fatto che usi e costumi funebri traggano la loro origine indiscutibilmente dall’anteriore cultura badariana. Il defunto, infatti, come per le inumazioni badariane, è deposto in semplici fosse rettangolari alla profondità di circa un metro, è posizionato sul fianco sinistro con il capo a Sud ed il volto viene fissato all’Ovest. Dimensioni, fattura e contenuto della tomba incominciano, nondimeno, a segnalare la stratificazione sociale cui la persona appartiene. Una tra le tombe più importanti di Naqada I, è di proprietà di una donna d’alto rango. Tra gli oggetti del ricco corredo funerario facente parte alla tomba del periodo iniziale di Naqada scoperta da sir Petrie ad Abadya, nell’Alto Egitto, nella stagione 1898 – 1899, compare anche una piastra astronomica a forma d’ippopotamo ed un’altra a forma di diamante.
                                             

FIGURA 6: Piastra astronomica teriomorfa, con le sembianze d’ippopotamo, Abadya, Naqada I, ca. 4000 – 3600 a.C.

 
Piastre astronomiche: qualche conto non torna

Il materiale utilizzato per realizzare queste piastre, in genere è lo scisto verde, ma si conoscono numerose piastre realizzate in diorite, calcite e siltite. Si è già accennato al fatto che tipologia e sagomatura delle piastre astronomiche, questi oggetti così peculiari ed importanti, se non di più, almeno quanto le ceramiche per capire significato, uso, cultura e tradizione di provenienza di chi le possedeva, si sono modificate nel corso del tempo, fino a giungere alla loro fase conclusiva di completo disuso nel periodo del Protodinastico. Dalle prime fogge piuttosto semplici riconducibili, ad esempio, a un elementare rettangolo dai lati minori però segnati da una tacca, si è a mano a mano passati a forme sempre più complesse, fino a giungere a delle rappresentazioni teriomorfe e geometriche composite ed articolate nella forme, nei profili e nelle superfici. Proprio le superfici di queste piastre ritrovate nelle sepolture di cui si è detto più sopra, consentono di far emergere un aspetto della loro funzione materiale, che in parte, ribadisco, solo in parte, è quella di strumento vero e proprio a supporto della preparazione dei cosmetici per il viso, consentendo di triturare e miscelare i minerali opportuni adibiti alla funzione cosmetica. Ora, se questo è vero, si deve anche dire che la nostra percezione moderna di “cosmetico” è legata principalmente al mondo femminile mentre in realtà, queste piastre si sono ritrovate in grandi quantità anche nelle sepolture di uomini e di bambini. Le prove archeologiche dimostrano, invero, che questi strumenti erano usati indifferentemente dagli Egizi Antichi di ogni età e genere. A un’analisi superficiale, dunque, i diversi ritrovamenti portano unicamente a pensare che tali piastre siano “solo” strumenti per sminuzzare i minerali necessari appunto al trucco del viso. L’informazione così com’è, però, è lacunosa ed in quanto tale fuorviante. Vediamo perché. È noto che sono due i principali pigmenti usati dagli Egizi per la cosmesi. Il primo è un pigmento derivato dalla malachite, minerale carbonato basico di rame. La malachite è una pietra semipreziosa di colore verde (già il colore è indicativo, simboleggiando, il verde, la rinascita. Il verde è uno dei colori di Osiride.), che macinata sulle piastre in trattazione fornisce una polvere utilizzata come ombretto fin quasi alla fine della Quarta Dinastia. Il secondo pigmento impiegato dagli Egizi in cosmesi è la galena, minerale costituito da solfuro di piombo di colore nero (si deve necessariamente sottolineare che anche il nero è colore simbolo di rinascita, è un altro colore di Osiride e, soprattutto, è il colore della terra fertile che dà il nome all’Egitto stesso, ossia è Kemet, è la (Terra) Nera, contrapposta alla sterile terra rossa deshert). La galena macinata è utilizzata come eye - liner. La galena, inoltre, sembrerebbe avere proprietà terapeutiche disinfettanti, oltreché agire da repellente per gli insetti. La grande cura posta dagli Egizi Antichi nel trucco degli occhi è sintomatico di un qualche retaggio culturale non ancora ben compreso. Partendo quindi proprio da questa osservazione, cerchiamo di focalizzare meglio la questione del “trucco”. Torniamo ai pigmenti impiegati per ornare gli occhi. La galena, ad esempio, era applicata sulle sopracciglia e sulle palpebre superiori allungando il contorno occhi e consentendo di smorzare in qualche modo i riflessi ed i bagliori della potente luce solare egiziana. La malachite, invece si stendeva in una lunga linea sul bordo delle palpebre inferiori. È curioso che anche sir Flinders Petrie sottolinei l’uso di contornare gli occhi con la nera galena come sistema per proteggere gli occhi dalla luce del deserto, anche se non sembrerebbero esistere prove certe di questo fatto per l’età Predinastica. Allora, per ricapitolare: si hanno prove certe che le piastre astronomiche del Predinastico servissero “anche” per macinare i pigmenti usualmente impiegati per la cosmesi degli occhi, ma al contempo, tuttavia, con buona pace del grande sir Flinders Petrie, non esisterebbero le prove certe a sostegno del fatto che questi pigmenti fossero effettivamente applicati. Quindi: macinati sì, ma usati no, forse, non si sa. La pragmaticità di queste genti è indubitabile, fin dalle loro origini. Sebbene si tratti di mere credenze religiose quelle che promuovono la confezione delle piastre astronomiche, quindi resoconti mitologici traslati in un contesto puramente virtuale, si tratta pur sempre di tradizioni riflesso di una produzione intellettuale condizionata da una realtà vissuta e tangibile. In altri termini non si produceva qualcosa se non serviva.  Quindi? Quindi qualche conto non torna.

 
Piastre astronomiche: prima del “Peremheru” (Libro per uscire al giorno)

Già, gli occhi. Sono quasi un’ossessione per le genti nilotiche di questo e degli altri periodi della storia millenaria che racconta delle loro sorti. L’occhio “Udjiat”. Si tratta di un simbolico occhio truccato sotto il quale è posto il caratteristico emblema della testa di un falcone. Udjiat significa “colui (riferito all’occhio stesso) che è in buona salute”, pertanto si può intendere “colui che vede bene”. Udjiat è l’occhio del dio falconiforme Horo, in origine a sua volta occhio del dio del Cielo, il Sole. Quando Ra s’impadronì dell’occhio solare, secondo le credenze solari elaborate ad Eliopoli durante l’Antico Regno, l’occhio di Horo si trasmutò in occhio lunare, ossia “notturno”, assumendo notevoli valenze nei miti osiriaci e nei culti funerari di rinascita a questi connessi. L’occhio Udjiat è rappresentato in numerose tombe ed è insieme alla croce Ankh, uno degli amuleti più usati dagli Egizi. Soffermiamoci per un attimo su questa tradizione dell’occhio come elemento determinante nei miti osiriaci della rinascita. Vediamo (e non è solo un modo di dire) se si riesce a capire qualche cosa in più. L’origine di questa memoria dell’Udjiat potrebbe essere parte integrante, ad oggi non compresa, della storia delle piastre astronomiche. Non è affatto casuale, allora, che proprio sulle piastre astronomiche teriomorfe più elaborate, comparse in periodi ben anteriori rispetto alla comparsa dell’Udjiat “storico”, siano presenti occhi francamente evidenti, quasi sgranati, insieme ad incisioni, tacche, sporgenze, fori a marcare il profilo delle piastre stesse. In questa prospettiva diventa sempre più chiaro il retropensiero che si trova alla base dell’esistenza di questi manufatti. Gli occhi, ovviamente, servono agli esseri viventi per vedere (non si pensi che sia banale retorica, questa: è ben altro, come si capirà appena più oltre). Gli occhi sono indispensabili agli esseri viventi per tutta una serie d’azioni di vitale importanza (credo sia del tutto superfluo elencare quali), gesti altrimenti impossibili da eseguire senza un qualche genere di aiuto in mancanza della vista. Un tipico atto di questo genere è, ad esempio, identificare quale percorso migliore scegliere durante un viaggio, magari per uscire rapidamente dal mortifero deserto, o per non entrarci affatto. Certo di giorno c’è eventualmente il Sole ad illuminare il cammino da intraprendere, sempre che il caldo lo consenta, ovvero senza sterminare i viaggiatori imprudenti, ma di notte, quando la fatica ed il caldo sono decisamente più sopportabili? Sono, è ovvio, la luna e le stelle a consentire di trovare la strada giusta da percorrere.[10] In altri termini, tanto per essere più chiari possibile, è un po’ come avere a disposizione un moderno “navigatore satellitare”, in questo caso “stellare”, a tracciare il percorso migliore da seguire: saranno gli occhi ovviamente che consentiranno la chiara visione del percorso tracciato. È banale sottolinearlo, ma per svolgere la loro funzione, gli occhi devono essere e restare sani e funzionanti. È questo il motivo per cui gli occhi si devono proteggere. È questo il motivo per cui la polvere di galena e la polvere di malachite, come avevano ben sperimentato le genti nilotiche, saranno utilizzate a protezione della vista. I due minerali, oltre a svolgere la loro primaria funzione terapeutica di prevenzione, con i loro colori sono anche potenti contrassegni propiziatori per la buona riuscita del viaggio. Fin qui tutto scorre. Trasliamo questi stessi concetti dal mondo dei viventi a quello dei trapassati. Ora, anche gli occhi dei defunti devono in qualche modo essere e rimanere aperti e funzionanti. Il motivo è chiaro: gli occhi devono consentire all’anima dei trapassati di rintracciare il giusto percorso, fra i tanti possibili presenti nello sconosciuto e pauroso cielo dell’Oltretomba, per giungere felicemente alla sua destinazione finale. Senza una chiara e netta visione del tracciato da percorrere tra le tante stelle, l’anima correrebbe il rischio di perdersi in volte celesti del tutto sconosciute. Le conseguenze sarebbero terribili dal momento che si perderebbe la possibilità di ricongiungersi con l’ordine naturale degli eventi e quindi svanirebbe la possibilità di poter rinascere o di sistemarsi tra le stelle imperiture. È dunque solo mediante le piastre astronomiche presenti nel corredo funebre personale, unite alle polveri protettive della galena e della malachite per gli occhi, che questo esecrabile rischio decade. È soltanto una volta individuata la corretta collocazione stabilita mediante le piastre astronomiche in dotazione, infatti, che l’anima del defunto potrà riunirsi al perenne ciclo di rinascita, o di stabilità perpetua nel caso la destinazione sia quella delle stelle circumpolari che non tramontano mai, che caratterizza l’ordine naturale delle cose.[11] Si può intravvedere in questi concetti elementari quanto profondi come soltanto le cose semplici possono esserlo, i segni prodromici di un’idea fondante specifica della sorprendente Civiltà dei Faraoni: si tratta, in nuce, del potente e pervasivo concetto governato da M3‛t.[12] Non solo. L’idea dell’occhio e della piastra astronomica abbinati a formare quasi uno strumento prescientifico, dispositivo composito che consente all’anima del defunto di “navigare” tra le stelle, apre inevitabilmente un nuovo fronte: si potrebbe cogliere in questi percorsi intellettuali fino ad ora mai esplorati completamente, il perché l’occhio “Udjiat” assumerà proprio per la cultura religiosa egizia l’importanza cui si è detto più sopra, e del perché saranno proprio da ascrivere al falco,[13] notoriamente animale dalla vista acutissima, le particolari valenze religiose e culturali che ne caratterizzano il profilo. Non è poco, giacché diventano maggiormente comprensibili alcuni aspetti che evidentemente sono alla base del ricco percorso intellettuale tracciato dai raffinati quanto pragmatici pensatori dell’Egitto Antico. Per restare in tema di pragmaticità sorge una domanda: per l’anima del defunto, dove si trova praticamente questa meta finale tanto agognata? Semplice: è sufficiente seguire le indicazioni fornite dalle piastre astronomiche “personali” in dotazione al defunto come corredo funebre. Queste piastre astronomiche, strumenti scientifici ante litteram, se posizionate correttamente contro lo sfondo del cielo notturno mediante, ad esempio, strumenti come il “merkhet” (un filo a piombo legato ad un’asticella) ed il “bay” (bastone dotato di un traguardo superiore ed un incavo verticale),[14] avrebbero consentito all’anima del defunto di raggiungere la sua destinazione finale, ossia il gruppo di stelle inquadrato dal profilo della piastra astronomica sua personale.[15] Le piastre astronomiche, in buona sostanza, sono il concentrato delle stesse valenze prescientifiche e spirituali, che saranno adattate nel repertorio di formule che a loro volta costituiranno uno tra i più noti documenti tramandati dalla tradizione religiosa egizia, il “Peremheru”, ossia il “Libro per uscire alla luce”. Il testo è un formulario, una sequela d’informazioni personalizzate, che descrive le varie peregrinazioni dell’anima del defunto ed al contempo, con le sue formule informative specifiche, permette all’anima stessa di superare tutta una serie di pericolose situazioni che costellano il percorso per giungere all’agognata luce del giorno, ossia alla rinascita.[16] Ora, se questo è vero, e non credo ci siano molti dubbi al riguardo, è oltremodo vero che le piastre astronomiche in trattazione, hanno avuto la stessa, identica, precisa funzione di “navigatori stellari” per le anime dei defunti. Ecco che cosa sono e a cosa servono questi oggetti tanto peculiari: non penso che la verità sia molto distante da questa disamina. La concezione stellare oltremondana diventa ben chiara nei “Testi delle Piramidi” dove è indicato che l’anima del faraone defunto si viene a trovare dopo il trapasso tra le stelle imperiture o comunque in cielo. È inevitabile vedere derivare da simili concezioni stellari sull’aldilà, il concetto “aristocratico” riservato ai faraoni, di un luogo in cielo (“Nel bell’Occidente”?) tra le stelle dove l’anima del defunto, divenuta anche questa una “stella”, sopravvivrà in eterno alla morte trovandovi la sua precisa collocazione “fisica”, se così si può dire. Non rimane che capire ai pensatori faraonici, dove si possono trovare queste nuove stelle, ossia le anime dei faraoni deceduti e trasfigurate appunto in astri, e soprattutto come fare per individuarle precisamente. Nulla di più facile per i sapienti nilotici, grandi osservatori e fedeli trascrittori di tutto ciò che li circondava. Una volta individuato il presunto luogo d’arrivo dell’anima faraonica in cielo, infatti, è sufficiente escogitare e dotarsi di uno strumento in grado di segnalare con precisione la posizione dell’astro interessato. Per fare questo occorre tracciare il profilo, la mappatura se vogliamo, delle stelle presenti nel settore di cielo ritenuto il luogo assegnato all’anima di un faraone piuttosto che di un altro. Ecco allora entrare in gioco le cosiddette “piastre astronomiche” che, si ribadisce, con la cosmesi stricto sensu, poco o nulla hanno a che fare. È facile capirne anche il motivo, con le indicazioni che ho fornito. In effetti, gli indizi contestuali, precisi, univoci e coerenti emersi, permettono di valutare essere ben altro e di ben più importante rilevanza la funzione posseduta dalle cosiddette “tavolozze cosmetiche”, peraltro senza nulla togliere come si è detto all’importante, se non proprio necessaria, pratica del maquillage sviluppatasi nella terra dei faraoni. Sì perché fino ad oggi, si ripete, è così che, almeno sbrigativamente, questi manufatti sono stati segnalati, classificati e liquidati dagli studiosi. Questa definizione, dunque, obiettivamente non si può più ritenere corretta se intesa in modo restrittivo. In effetti, almeno in relazione ad alcune peculiari tipologie di questo genere di manufatti, escludendo quindi le cosiddette tavolozze commemorative tipologia facilmente individuabile, la definizione si arricchisce assumendo toni più scientifici. Le “piastre astronomiche”, è di questo che si tratta e non di altro, infatti, si rivelano essere un curioso genere, selettivo e preciso, di “strumento astronomico”. Si rivelano essere a tutti gli effetti dei prodigiosi “navigatori stellari per l’anima” dei defunti. Le piastre astronomiche utilizzate correttamente, consentono in effetti di traguardare e localizzare particolari configurazioni stellari evidentemente ritenute importanti dai sacerdoti – astronomi nilotici. Esiste qualche prova in merito, oppure tutto quello che si è fin qui scritto è soltanto aria fritta? Vediamo.

 Piastre astronomiche: gli elementi di prova

Sono abituato, da buon galileiano convinto, a non fermarmi alle semplici affermazioni di principio. In genere, quando asserisco qualche cosa è perché ho la certezza non proprio assoluta, ma quasi, che quanto asserito è fondato. Non è arroganza intellettuale, sia chiaro. Si tratta soltanto, per dir così, di “consapevolezza scientifica”, nel senso che sono sempre e soltanto le prove a dire l’ultima parola. Galileianamente. Cartesianamente. Dalle parole ai fatti. Iniziamo con qualche verifica sul campo. Tra le tante piastre astronomiche ritrovate, ne esistono alcune decisamente curiose. Una, ad esempio, è la piastra dello Scorpione, che si è già vista all’inizio di questo studio. Già dalla possibilità indiscutibile di trovare precise corrispondenze con le stelle che costituiscono la costellazione dello Scorpione, si ha già un’idea di essere, per dir così, sulla strada giusta. Già, lo scorpione. La domanda è d’obbligo: perché proprio lo scorpione, che significato può avere per la civiltà nilotica in via di strutturazione, questo particolare animale? Lo “Scorpione”? È all’origine della Civiltà Egizia. Vediamo il perché. Quando si parla di “Scorpione” a proposito di quelle che diventeranno le terre faraoniche, viene subito in mente proprio il primo faraone noto che portava questa inquietante denominazione. “Re Scorpione”, infatti, è l’appellativo e forse, a mio parere, qualche cosa in più, di un sovrano dell’Alto Egitto che, secondo quel poco che è noto, sembrerebbe aver regnato su queste terre alla fine del periodo preistorico. Re Scorpione è rappresentato con la corona bianca del Sud su di una testa di mazza votiva proveniente da Hierakonpolis, in epoca predinastica importante città a sud di Tebe, e proprio su di una piastra commemorativa. Poche, invero, le informazioni in merito, ma oltre al primato d’essere il primo (scusate il gioco di parole) sovrano conosciuto dell’Egitto Antico, a Re Scorpione sembra doversi riconoscere l’idea e l’originario tentativo di unificazione del paese, impresa che poi un suo successore, altrettanto famoso, conosciuto come Narmer, di cui si è già detto, portò a compimento. Da iscrizioni trovate a Tura sembrerebbe, infatti, che Re Scorpione avesse esteso il suo dominio dall’Egitto del Sud, si ricorda che l’Alto Egitto è suo luogo d’origine, fino a Memfi e forse fino a Buto capitale del Delta, quindi località del Basso Egitto. Tornando alle stelle, quella che noi oggi consideriamo la costellazione dello “Scorpione”, è soltanto parte dell’originaria costellazione celeste. In effetti, il complesso di astri che componeva lo “Scorpione” primitivo, occupava anche la zona del cielo, che noi oggi conosciamo come costellazione della “Bilancia”. Quest’ultima, infatti, fu riconosciuta come costellazione a sé stante, dai Romani, ma soltanto intorno al I secolo a. C. Si deve notare, che le stelle più brillanti assegnate dagli astronomi di Roma alla configurazione zodiacale della “Bilancia”, portano ancora oggi testimonianza delle loro antichissime origini. Curiosamente, infatti, la stella a Librae” della “Bilancia”, si chiama “Zuben el genubi”, che in arabo significa “Chela del Sud”, chiaro riferimento quindi alle chele dello “Scorpione”, che in origine, appunto, occupavano questa zona della volta celeste. La stella b Librae”, invece, si chiama “Zuben el chamali”, ossia “Chela del Nord”. Si può affermare, con un grado d’attendibilità quasi prossimo alla certezza, che l’origine della costellazione non sia greca, essendo la configurazione celeste dello “Scorpione”, già ben nota ai Sumeri più di cinquemila anni fa. Con una certa plausibilità la costellazione dello Scorpione per gli Egizi Antichi non includeva le due stelle di cui si è detto prima. In effetti, sulla piastra dello Scorpione in discorso, le chele non sono presenti.
 
FIGURA 7: Piastra astronomica dello “Scorpione”. Sono da notare sia le abrasioni superficiali, che potrebbero indicare un certo tipo di “usura funzionale”, sia il disegno voluto per l’animale eponimo, che curiosamente qui viene rappresentato privo di chele.

FIGURA 7A: Dettaglio della piastra astronomica dello “Scorpione” dove non si vedono le chele

È d’estrema importanza rilevare qui, che proprio una tra le divinità più antiche e potenti individuabili in quello che diventerà l’articolato pantheon creato dalla coscienza religiosa dell’Egitto Antico, è “Serqet” (Selket, Selkis), ossia la “Dea Scorpione” protettrice della magia e della medicina.[17] Serqet è spesso rappresentata come una donna con uno scorpione sulla testa (si veda il sarcofago di Tutankhamon).

FIGURA 7B: La rappresentazione della dea “Serqet” dal sarcofago di Tutankhamon e da una rappresentazione parietale. Sullo sfondo le stelle che compongono la costellazione eponima dello Scorpione.

Serqet sarà associata a “Qebehsenuf”, uno dei quattro figli di Horus, che nei vasi canopici era protettore dell’intestino. In origine, ed è argomento importante la divinità era messa in relazione con il cosiddetto “scorpione d’acqua”, e non con lo scorpione terricolo vero e proprio. La sovrapposizione tra lo “scorpione d’acqua” e lo scorpione terricolo avvenne, almeno graficamente, solo intorno alla XIX Dinastia, quindi si è nel Nuovo Regno, intorno al 1292 – 1186 a. C. circa. Il duplice ruolo di Serqet è ben noto, essendo le sue funzioni caratterizzanti sia protettive sia punitive. Probabilmente però il compito più importante e per quanto interessa in questo studio, il più indicativo, svolto dalla dea è di restituire il respiro ai defunti e di consentire perciò la rinascita nell’Aldilà dell’anima. Secondo le convinzioni maturate durante o appena successive al periodo del Predinastico, tutte le notti Serqet interviene nel viaggio sotterraneo di Ra difendendo la barca solare dagli attacchi del temibile demone serpente Apophis (Testi dei Sarcofagi, VII ora dell’Amduat), consentendo, è ovvio, anche la rinascita del Sole. Adorata originariamente nel Delta, il suo culto si è ben presto diffuso in tutto l’Antico Egitto. Il primo documento noto a menzionare la dea Serqet, in effetti, è la stele funeraria trovata a Saqqara, nella tomba della I Dinastia (ca. 3185 – 2715 a. C.) di Merka. È piuttosto considerevole il fatto che Serqet, la Dea Scorpione, sia da sempre associata al punto cardinale dell’Ovest. Il motivo di questa precisa connessione è che la costellazione dello Scorpione è forse l’unico gruppo di stelle che cala precisamente nell’orizzonte occidentale, senza tuttavia mai superarne il punto cardinale. Si può affermare, se ancora ci fossero dubbi, che le popolazioni vissute sulle sponde del Nilo durante il periodo Predinastico, che confluiranno, anzi, che costituiranno proprio la struttura tissutale di ciò che sarà la meravigliosa Civiltà Egizia erano sicuramente formidabili osservatori. Ora, sebbene la divinità avesse un nutrito ordine sacerdotale a disposizione e culti in tutto l’Egitto, non si sono mai trovati templi a lei dedicati. È molto interessante soffermarsi su di un particolare curioso. Secondo gli studiosi, la presenza nelle tombe di numerose sculturine raffiguranti scorpioni, non è mai stata spiegata in modo soddisfacente. Si ritiene che questi amuleti votivi teriomorfi siano connessi con cerimonie rituali di un qualche genere. Credo di poter affermare che riguardassero molto da vicino la “rinascita” del defunto. Gli amuleti in oggetto erano in ogni caso abbastanza diffusi. Viste tutte queste indicazioni, proviamo a verificare se in qualche misura proprio la costellazione dello Scorpione e la sua piastra eponima combinate insieme sono in grado di aprire qualche finestra sul misterioso mondo prodromico della sorprendente civiltà faraonica. Iniziamo con il dettaglio della costellazione: si tratta delle stelle Dschubba, pScorpio, rScorpio, Al – Nyat. È da osservare che unendo le stelle in discorso quasi fossero i punti del ben noto gioco enigmistico (è un dato di fatto risaputo che gli Egizi Antichi erano dei veri maestri nel creare ciò che noi oggi intendiamo per “rebus”), appare a sorpresa una figura geometrica ben nota. Si tratta proprio della classica forma della piramide. Misurando la gradazione angolare delle linee virtuali che tracciano il profilo piramidale, si scopre con ancora maggior sorpresa che l’angolo virtuale corrisponde perfettamente al grado dell’angolo costituente la piramide fisica, materiale, quella fatta in pietra, di Khufu: 52°. L’obiezione che si tratti solo di mere o forzate coincidenze o peggio, come qualche “sapiente” ha sentenziato, di delirio, e non già di precisi paralleli equivalenti perde tutta la sua forza quando si osserva che in ambedue i casi il soggetto è, coerentemente, sempre lo stesso. Di più. Proprio in base a quanto sin qui emerso si può affermare con un certo grado di certezza, che proprio la Piramide della costellazione di Scorpione, la sua forma, fosse ritenuta dai sacerdoti – astronomi – architetti della nascente civiltà egizia, l’esclusiva “Casa dove l’Anima rinasce”, ossia, in altre parole l’unico luogo possibile dove era consentito all’anima rinascere. Ecco perché la forma piramidale diventerà particolarmente importante per il mondo dell’Egitto Antico.   

FIGURA 8: Dettaglio della costellazione dello Scorpione

FIGURA 8A: Unendo le stelle della costellazione dello Scorpione come nel famoso gioco enigmistico, è possibile ottenere, senza alcun dubbio, la precisa immagine di una piramide. Sorprendentemente corrisponde alla specifica piramide detta di Khufu.

Non si finisce qui. Ora, si deve calibrare la dimensione della piastra (all’atto pratico, banalmente, corrisponde al gesto di avvicinare od allontanare dagli occhi la piastra avendo sullo sfondo la costellazione dello Scorpione). Trovata la dimensione corretta, è sufficiente applicare la piastra in modo che i suoi lati coincidano con le stelle predette. Ancora una volta le immagini valgono più di mille parole.

FIGURA 8B: Sovrapposizione della piastra ad un primo lato della figura geometrica piramidale ricavata unendo le stelle della costellazione. Si deve notare la perfetta corrispondenza tra i segni d’usura presenti sulla superficie della piastra e la linea costituente uno dei lati inclinati della piramide virtuale. Con quale strumento gli “astronomi” del Predinastico studiavano questa costellazione tanto importante nell’economia intellettuale per la futura civiltà in via di formazione?

FIGURA 8C: Altra sovrapposizione della piastra ad individuare una corrispondenza d’indiscutibile valore dimostrativo: la linea d’apotema tracciata tra il vertice Al – Nyat e la stella mediana pScorpio coincide esattamente con la lunghezza dei due spigoli consecutivi della piastra astronomica.

Vista la notevole importanza della questione, a scanso d’ogni equivoco, ho cercato di capire meglio se e come la costellazione dello Scorpione sia visibile oggi come all’epoca del Neolitico. Questo è quanto mi è stato tecnicamente relazionato dall’amico Claudio Balella, divulgatore scientifico ed appassionato d’astronomia:

“Scorpione-valutazione visibilità stelle della costellazione richiestami dall’amico Diego Baratono.

Le stelle indicate nella mappa hanno una magnitudine compresa fra 4.5 e 5.5 quindi rientrano fra le stelle che possono esser viste ad occhio nudo. Va detto che in questo nostro mondo attuale con l’inquinamento luminoso cittadino e non solo, in queste zone non sarebbero visibili, ma in zone con cielo scuro sarebbero ben visibili queste stelle. Dai monti o da un deserto sarebbero certamente visibili entro ed anche oltre la magnitudine 6. Il contesto che mi viene indicato è l’antico egitto di 3000 anni fa quindi in considerazione dell’assenza di inquinamento luminoso le stelle indicate sarebbero state sicuramente visibili sotto un cielo così buio. Solo la presenza in sospensione atmosferica di fine polvere sabbiosa smossa da un tempesta di sabbia avrebbe impedito, per alcuni giorni, la visione ottimale di questa parte di cielo posta abbastanza vicina all’orizzonte. Nella mappa Antares e le stelle principali dello Scorpione sono sempre visibili ed è cerchiato anche l’ammasso stellare M4 di magnitudine 7.5 che sotto un cielo veramente molto scuro può essere percepito dall’occhio umano. Claudio Balella”.

 
                   IMMAGINE FORNITA DA CLAUDIO BALELLA

Può bastare? Certo che no, quindi proseguiamo. Ora si prenderà in considerazione una piastra astronomica del tutto particolare. Si tratta della cosiddetta “Piastra degli Struzzi” (ho volutamente tralasciato la disamina tecnica delle varie piastre prese in considerazione, data, zona di ritrovamento, scopritori, e così via, poiché queste indicazioni sono facilmente reperibili e non incidono su questa trattazione). La piastra si presenta fusiforme nel lato inferiore, mentre il lato superiore termina in una sorta di pettine a cinque punte con cinque piccoli incavi circolari in corrispondenza delle punte, contenuto tra due teste (una è mancante) verosimilmente di struzzo con occhio ben distinguibile. La superficie riporta in bassorilievo, una scena che verosimilmente non sembrerebbe essere di caccia, con soggetto androforme a braccia alzate e con testa di struzzo che segue tre struzzi francamente riconoscibili nella figura. Tutti sono dotati di occhi ben marcati e tutti guardano nella stessa direzione. La superficie di questa piastra, come anche la piastra dello Scorpione analizzata in precedenza, presenta segni marcati e ben distinguibili di una qualche forma d’usura conservata nelle tracce lineari individuabili sulla figura di struzzo all’estremità della composizione ed in altri segni sempre lineari sparsi sul corpo del manufatto. Presentano tutti questi segni, declinazioni oblique plausibilmente orientate verso qualche punto peculiare. Questi non sono, è evidente, segni tipici di lavorazione.


FIGURA 9: La piastra astronomica degli Struzzi. Di particolare importanza le tracce d’usura lineari orientate, rinvenibili sulla superficie del manufatto.

Coerentemente con l’idea che si è avanzata, ossia che le piastre astronomiche siano un dispositivo che consente all’anima di raggiungere nel più breve tempo possibile e con estrema sicurezza la sua destinazione ultima fra ben precise stelle, ossia ciò che permetterebbe all’anima del defunto d’entrare a far parte dell’agognato, perenne ciclo naturale di nascita/morte/rinascita, la piastra degli struzzi dovrebbe possedere elementi simbolici distintivi a garanzia di quanto previsto. Ora, una tra le caratteristiche principali riscontrabili facilmente negli struzzi, senza effettuare grandi voli pindarici, sono proprio i grandi e profondi occhi che possiedono. Sono conferma di un’ottima vista. Per di più gli struzzi sono uccelli che, sebbene non in grado di volare, raggiungono grandi velocità quando sono in corsa (considerando che si è nel Neolitico, all’epoca si potevano osservare pochi animali terrestri in grado di fare meglio lungo le sponde del Nilo). Mettendo insieme le due caratteristiche, cercando di eliminare la stratificazione culturale che ci condiziona per avvicinarci quanto più possibile al pensiero delle genti nilotiche che avevano, è il caso di dire, sott’occhio questi animali, si può ben comprendere il perché delle loro, per noi curiose, scelte. Gli struzzi essendo animali molto veloci nella corsa, simbolicamente raggiungevano rapidamente la meta prefissata, inoltre con i loro enormi occhi erano senz’altro in grado di distinguere molto bene nei cieli notturni la via migliore da percorrere a tutta velocità. Gli struzzi, inoltre, sono particolarmente protettivi nei confronti delle loro uova. Per traslato, sono protettivi anche con le anime loro affidate. Non solo. Il maschio e la femmina degli struzzi si alternano nella cova. Il maschio, infatti, vi si dedica di notte, mentre la femmina durante il giorno: il viaggio dell’anima era quindi simbolicamente garantito sia di giorno sia di notte. Più difficile ora capire che cosa indicasse questa curiosa quanto complessa piastra astronomica, quali stelle si potevano, e si possono, inquadrare mediante il suo elaborato profilo. Sovrapponiamo allora, come già fatto per la piastra dello Scorpione, la piastra degli struzzi al cielo stellato occidentale.[18]

 FIGURA 9A: La porzione di firmamento del settore occidentale dove campeggia la costellazione dello Scorpione

FIGURA 9B: L’immagine del cielo notturno qui riportata inquadra il settore occidentale del firmamento, dove si staglia la costellazione dello Scorpione. Le stelle qui interessate sono rilevabili facilmente, essendo le stelle evidentemente in linea comprese tra “Telescopio” e la parte caudale di Scorpione.

Dopo una breve ricerca ecco la sorpresa. Si tratta di una parte del cielo, che si trova a poca distanza proprio alla sinistra della virtuale parte caudale della costellazione dello Scorpione. Si tratta delle stelle, curiosamente allineate, che partono da “Telescopio” ed arrivano fino alla coda di “Scorpione”. Procediamo, dunque, come per la precedente piastra. Sovrapponiamo la piastra degli Struzzi al settore di cielo individuato. Con grande sorpresa, ci si accorgerà che le punte del pettine terminale della piastra combaceranno perfettamente con le stelle indicate. È davvero emozionante. Non basta ancora. In effetti, osservando attentamente la piastra, ci si accorgerà che tra le innumerevoli scalfitture superficiali, n’esistono alcune che si trovano a sinistra ed al di sotto dell’unica figura umana presente nella composizione. Proviamo a tracciare una linea passante per questo segno. Ci troviamo di fronte ad un’altra sorpresa. Enorme. La linea retta tracciata incontra precisamente, oltre a lambire in parallelo con precisione anche il bordo della seconda punta da sinistra, stelle allineate appartenenti al “Sagittario” ed alla “Corona Australe”. Questa linea stabilisce la declinazione verticale della piastra astronomica.

FIGURA 9C: Tracciando una linea passante per i segni presenti sulla piastra a sinistra della figura umana, si incontrano alcune stelle allineate precisamente. Forniscono la declinazione verticale della piastra astronomica.
    

Sorprendente, ma non basta ancora. Manteniamo la piastra nella posizione individuata. Continuiamo utilizzando gli altri segni passanti questa volta per il corpo del primo struzzo di destra. Prolungando questa segnatura, con estremo stupore s’incontreranno alcune stelle appartenenti a “Scorpione”, tra queste, guarda caso, proprio Al – Nyat, che si è visto in precedenza essere il vertice di una piramide virtuale, si ribadisce il concetto: è la piramide ad occidente, l’unico luogo dove l’anima può rinascere. È da notare che non si tratta di una stella sola ad essere centrata nella precisa traiettoria sono bensì tre le stelle coinvolte. Non è certo possibile definire casuale questa precisione: è certamente ricercata, studiata e voluta.

FIGURA 9D: Prolungando la segnatura presente sullo struzzo all’estrema destra s’incontrano le stelle della costellazione dello Scorpione. Tra queste Al – Nyat, il vertice della piramide virtuale ricostruibile unendo le stelle della costellazione dello Scorpione.

Sulla superficie della piastra astronomica degli struzzi, esistono diversi altri segni. Tra questi, prendiamo in considerazione ancora la scalfittura esistente sotto la precedente. Per curiosità, sempre mantenendo nella stessa posizione la piastra, tracciamo una nuova linea come già si è fatto in precedenza.

FIGURA 9E: Prolungando la seconda linea passante sul corpo dello struzzo all’estrema destra, s’incontreranno nella traiettoria altre tre stelle appartenenti sempre alla costellazione dello Scorpione. Questo conferma indiscutibilmente che la piastra astronomica degli struzzi presenta caratteristiche utili ad individuare in modo preciso le stelle dello Scorpione.   

Conclusione

Non so se è più sorprendente o se più emozionante, o se tutte e due le cose vadano sinergicamente di pari passo. Quel che è certo è che con quest’ultima operazione, si ottiene un’ulteriore, indiscutibile conferma al fatto che la piastra astronomica degli struzzi, e così con ogni probabilità tutte le altre, avesse proprio la funzione d’individuare precisamente le stelle di una parte del firmamento ben precisa a sua volta: certamente l’anima non poteva essere indecisa su dove fosse la “meta ultima”. Facile capire quale: è certamente l’Occidente, anzi come scritto “il bell’Occidente”. Più ancora interessante, è osservare la potente funzione assegnata con poche incertezze alle stelle che compongono la figura della Piramide nella costellazione dello “Scorpione”. La Piramide dello Scorpione, mi si passi la definizione, è la “Casa dove l’Anima Rinasce”. Si tratta, questo, del primario compito attribuito alla forma della Piramide. Si può iniziare a comprendere, ora, il perché dell’importanza che ebbero in un certo arco temporale le Piramidi, per il mondo dell’Egitto Antico. Non si deve certo dimenticare ora più che mai, e non è certo in contraddizione con quanto sin qui esposto, l’equazione “Acqua = Rinascita”. Tutte le ulteriori considerazioni del caso, e ce ne sono moltissime, si lasciano alla scrupolosità di altri. Il compito di dimostrare che le cosiddette “tavolozze cosmetiche” sono invece ben altro e ben di più, credo di averlo portato a termine. Certo è che la mia ricerca non finisce qui.

                                              

                                             Tutte le verità sono facili da capire una volta che sono state rivelate. Il difficile è scoprirle.

— Galileo Galilei

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LEGENDA:


[1] Il numero della rivista ArcheoMisteri che riporta l’articolo in questione, è il n°7 Febbraio / Marzo dell’anno 2011.
[2] Tutti i passi qui riportati si trovano nell’articolo di pagina 19 della rivista citata.
[3] Quest’era della Preistoria detta “della pietra levigata”, sebbene la designazione non sia del tutto corretta, in Egitto trova corrispondenze in diversi siti. A Nord, a titolo esemplificativo, si ha El Omari, località presso il Cairo dove per la prima volta in Egitto apparve il “Triticum monococcum”, ossia il frumento. Si ha poi, sempre nel Basso Egitto, la località nel Fayyum di Merimde – Beni Salama, nel Delta Occidentale, da cui deriva la denominazione “merimdiano”. Al Sud, ossia nell’Alto Egitto, si ha il sito caratteristico di Deir Tasa, che denomina una fase del Neolitico detta appunto “tasiana” nella regione di Mostagedda, a nord di Badari. Da non dimenticare la cultura sviluppatasi nell’insediamento di Nabta Playa; il suo retaggio culturale ed i relativi influssi intellettuali derivanti e trasmessi sono ancora tutti da scoprire. Si deve notare che in Egitto è ben evidente la cesura tra le culture prodotte dal Paleolitico e quelle del Neolitico, prodromiche queste della successiva cultura espressa pienamente dalla civiltà dei Faraoni. È da osservare ancora, e recenti studi sul DNA sembrerebbero confermarlo seppur con le solite problematiche d’interpretazione e le solite diatribe, che l’origine delle culture presenti in Egitto nel Neolitico siano da ricercare piuttosto verso Est, verso l’Asia, piuttosto che nell’Africa tout court. Esistono, e sono evidenti, profonde differenze tra il Neolitico del Nord e del Sud Egitto (tasiano). Differenze si riscontrano negli usi funerari, nelle forme e tecniche della ceramica e negli utensili. In generale, tuttavia, i caratteri primari della cultura neolitica (agglomerati abitativi stanziali, raggruppamenti di diversi nuclei famigliari sotto un’unica autorità, concetto di proprietà, allevamento di animali domesticati, nascita dell’agricoltura, della tessitura, della lavorazione della ceramica) sono comuni a tutti gli insediamenti. È più difficile stabilire una sequenza cronologica certa per la successione delle culture durante la fase del Neolitico. Si può stimare, ad esempio, che la fase Tardo Neolitico - Predinastico sia da collocare intorno al 5200 - 3060 a. C. Uno schema generale per datazioni di riferimento potrebbe essere questo (da Francesco Raffaele):
Neolithic
1 - Early Neolithic (Late Epipalaeolithic) 8800-6800 BC
(Western Desert: Nabta Playa, Bir Kiseiba; Nile Valley/Fayum: Elkabian 7000-6700 BC, Qarunian=Fayum B 7000-6500?
BC)
2a - Middle Neolithic 6500-5100 BC (Nile Valley: Tarifian ?)
2b - Late Neolithic 5700-4700 BC
(cf. S. Hendrickx - P. Vermeersch, The Oxford History of Ancient Egypt, I. Shaw ed., 2000, 32)
[4]  Il Badariano è una cultura predinastica affermatasi nella valle del Nilo, tra Asyùţ e Tasa, nel corso del V millennio a.C., con sviluppi fino al 3800 ca. a.C. Il nome deriva dal sito di Al Badari, dove sono stati rinvenuti importanti reperti provenienti dalla necropoli scavata da Sir W. M. F. Petrie e da G. Brunton. I numerosi oggetti in rame ritrovati nelle sepolture consentono di ricondurre il Badariano al periodo detto Eneolitico, o meglio, Calcolitico locale (Età del Rame). Le popolazioni, come già accennato in altra nota appresero la coltivazione del grano, dell’orzo e del lino probabilmente da civiltà più orientali, mentre la domesticazione e l’allevamento di capre, montoni e maiali  pervenne mediante nomadi del deserto. Il ritrovamenti di conchiglie provenienti dal Mar Rosso, di perle, di minerali quali l’amazzonite ed il turchese originari del Sinai, testimoniano per il Badariano l’esistenza di traffici commerciali anche su lunghe percorrenze. Le abitazioni costruite con fango e limo essiccati erano piccole con forma ovale affiancate da depositi/magazzini scavati nel terreno. Le necropoli erano esterne ai villaggi, ed i defunti erano avvolti in stuoie. La testa era orientata in direzione dell’Ovest, del tramonto. Ricco, poi, era il corredo funerario del defunto: sono tipiche le ben note statuette femminili a braccia alzate decorate in ocra rossa. Sono evidenti simboli di vita e fertilità. In genere la ceramica era di colore bruno e rosso e decorata con segni a motivi vegetali. Altri manufatti, sempre di pregevole fattura, sono oggetti in avorio, in osso, in scisto (tra cui le nostre piastre astronomiche), in legno.
[5] Paul Roberts, Essay  CLE220 638801, Egyptian Cosmetic Palettes, Academia.edu, pag. 7, traduzione dello scrivente.
[6] Miroslav Bárta, Viaggio verso Occidente. La tomba egizia nell’Antico Regno, Torino, 2016, pag. 12.
[7] Si tratta sostanzialmente della teologia elaborata nella città di Eliopoli, la On biblica, Iunu per i testi egizi, che assunse un ruolo di primaria rilevanza nel momento iniziale della civiltà faraonica.
[9]  In estrema sintesi una schematizzazione del complesso periodo storico che ha visto fiorire la cultura predinastica di Naqada. La cosiddetta Cultura di Naqada si è sviluppata intorno al IV millennio a.C. La denominazione deriva dalla località archeologica situata sulla riva sinistra del Nilo a nord di Karnak. La suddivisione temporale oggi è in genere ripartita in tre sottoperiodi principali detti Naqada I o Amraziano (Amratiano), Naqada II o Gerziano (Gerzeano) e Naqada III o Protodinastico e generalizzando, diverse sottofasi (si veda il sistema di cronologia relativa creato da sir Petrie basandosi proprio sulle straordinarie ceramiche naqadiane e battezzato da questi “sistema sequenze – date”). Lo sviluppo della cultura di Naqada rispecchia l’andamento climatico che vede, infatti, la progressiva desertificazione del Sahara. Si ha in questo periodo la fase di sedentarizzazione delle popolazioni locali, costrette alla migrazione in zone più umide come la depressione del Fayyum e ovviamente lungo le rive del Nilo. Le condizioni favorevoli, l’intelligenza pratica delle popolazioni coinvolte e il brillante sfruttamento delle numerose e diversificate risorse naturali disponibili, consentirono di gettare le solide basi per la nascita della straordinaria  civiltà egizia.
Amratiano: è il periodo iniziale di Naqada (Naqada I) che si è soliti collocare intorno al 4000 - 3600 a.C., prende il nome dal sito di el - Amrah nell’Alto Egitto. Segue il Badariano dal quale mutuò, sviluppandoli, diversi aspetti. Caratteristici sono gli oggetti litici, ritrovati nei particolari corredi funerari dove sono frequenti i vasi in alabastro, diorite, sienite e porfido. Nelle sepolture incominciano ad essere piuttosto frequenti le tavolozze in scisto verde, che presentano tracce di ematite e malachite. Sono queste le tracce che, secondo il mio punto di vista, sono fuorvianti. Sono presenti le ceramiche a decorazione geometrica e figurativa, le raffigurazioni plastiche dalle forme straordinariamente pure. Tra i vari materiali ritrovati, vi sono oggetti in avorio e osso, cuoio, oro e argento. Diverse statuette funerarie sono prodromiche della simbologia e della rappresentazione delle divinità tipicamente egizie (statuette con corna bovine ad esempio). Le risorse economiche preponderanti sono costituite dall’allevamento del bestiame, in genere bovino, caprino, ovino, dalla pesca, dalla raccolta e dalla caccia, mentre l’agricoltura, basata sulla coltura del grano e dell’orzo, si sviluppa seguendo parimenti lo sviluppo dei metodi d’irrigazione. Iniziano a potenziarsi anche le prime forme d’artigianato con un miglior utilizzo dei forni di cottura: sarà creato vasellame dall’eccezionale ricchezza di forme e decorazioni. Si iniziano ad ampliare i villaggi, che presentano abitazioni con tratti ancora tipici del Badariano ed inoltre, si iniziano ad avere le prime forme di scambi commerciali su percorrenze relativamente lunghe.
Gerzeano: è la fase successiva (Naqada II), compresa in un periodo che si colloca intorno al 3600 - 3100 a.C. In questo momento, la società agricola si consolida grazie ai progressi nei sistemi d’irrigazione e per l’inarrestabile fenomeno della desertificazione, le località dove è presente una società intellettualmente vivace (ad esempio la zappa è ideata in questo periodo) sono costrette a spostarsi nella località di el – Gerzeh, nel Basso Egitto, ossia nell’area che dà il nome a questa età. I villaggi acquistando una certa importanza sembrano consolidare certi aspetti propri dell’urbanesimo. Ritrovamenti archeologici effettuati ad el - Amrah, infatti, hanno rivelato l’esistenza di un complesso di abitazioni del Gerzeano in cui è possibile individuare quello che sarà la tipica configurazione del centro cultuale egizio, con relativi palazzi e necropoli. La ricchezza dei corredi tombali testimonia uno sviluppo delle pratiche funerarie e una maturazione peculiare delle tradizioni religiose. Il taglio della selce, che si è già affermato durante il Neolitico, raggiunge ora una notevole perfezione. È sufficiente ricordare i coltelli rituali in avorio scolpito con lame appunto in selce ritrovati a Gebel el-Arak. Elaborate decorazioni compaiono sul vasellame. I motivi in ocra rossa sono ispirati alla fauna e alla flora del Nilo. Si tratta di un processo evolutivo che indica la presenza di un potere centrale in grado di organizzare sia le varie attività economiche e sociali, sia la protezione degli insediamenti e territori in cui si svolgono queste attività. Si sviluppa parallelamente alla società contadina in senso stretto, un vero e proprio compartimento dedicato all’artigianato, finalizzato a soddisfare le diverse esigenze di un mondo in rapida crescita come quello che è presente sulle sponde del Nilo. Si spazia così dai vasai agli intagliatori, fino agli scultori d’avorio.
Protodinastico: è la fase finale di Naqada (Naqada III). Si tratta del periodo subito antecedente l’era dell’Egitto storico.  Nel tardo periodo Gerzeano, si è intorno al 3100 a.C., si vede la costituzione di due aree di potere ben distinte. Una è collocata nell’Alto Egitto, ed ha come centro principale la città di Hierakonpolis (l’attuale El-Kôm el-Ahmar), mentre l’altra area si trova nel Basso Egitto. L’unificazione del paese sarebbe avvenuta, secondo la tradizione, intorno al 3100 a.C. per opera del celebre Menei, grecizzato in Menes, re dell’Alto Egitto, che avrebbe occupato il Nord del territorio, dove la maggiore fertilità del suolo consentiva anche maggiori possibilità di sviluppo per la nascente nazione faraonica. La figura di Menes, priva di certezze storiche, potrebbe occultare nondimeno l’avvicendarsi di più sovrani del periodo arcaico tra cui l’altrettanto celebre re Narmer. In ogni caso, è con Menes, fondatore della I dinastia, che si fa iniziare il periodo conosciuto come arcaico o dinastico antico, o tinita perché la capitale venne portata da Hierakonpolis a Thinis o This, località situata sempre nell’Alto Egitto, ma fisicamente collocata ancora più a Nord, strategicamente in grado, quindi, di controllare più facilmente la zona appena conquistata del delta. È bene ricordare che tra i primi insediamenti delle culture preistoriche e l’unificazione delle due Terre da parte di Menes, in Egitto si consuma un periodo paragonabile all’intervallo temporale che va dall’assassinio di Giulio Cesare nel 44 a.C., all’abbattimento del famigerato “muro di Berlino” nel 1989. Dopo l’unificazione fra Nord e Sud, iniziarono le lotte contro la Nubia, che caratterizzarono tutta la storia di questo paese. Durante il periodo arcaico si succedettero le prime due dinastie che comprendono almeno diciassette faraoni. È in questo periodo che si afferma l’idea assolutistica e teocratica del potere del faraone. Considerato figlio del dio sole Ra, il faraone è adorato come divinità. Sempre in questo periodo si stabilisce la struttura dello stato, che viene diviso in distretti, detti dal greco "nomi" e governati da nomarchi. La scrittura vede in questo arco temporale la sua fioritura e i primi geroglifici si datano a partire da questo periodo: il più antico esempio di geroglifico si trova, infatti, proprio sulla tavolozza del re Narmer. Gli edifici funerari a Saqqara e ad Abido, sono tra i primi esempi di arte propriamente egizia.
[10] Le cosiddette “piste carovaniere”, che ancora oggi si seguono nel deserto, tracciate da tradizioni millenarie, ne sono un chiarissimo ed indiscutibile esempio.
[11] Si precisa che le stelle imperiture, ossia le stelle circumpolari che non tramontano mai, saranno la “destinazione finale” riservata inizialmente al solo faraone. Si può pensare, tuttavia, che in origine, ossia proprio durante il periodo di formazione della civiltà nilotica in trattazione, non esistessero ancora simili distinzioni.
[12] Si vedano al riguardo i miei studi: “Geometrizzazione inversa: nel segno di M3‛t”, pubblicato su ArcheoMisteri Speciale, n° 3 Agosto–Settembre 2013 ed il più recente “Solchi d’eternità. L’Osireion di Sethi I ad Abydos”, pubblicato sempre su ArcheoMisteri n° 24 Ottobre 2016.
[13] Insieme al falco, predatore diurno, non si devono dimenticare quasi fossero gli alter ego della notte, i rapaci serotini, quali gufi, civette, assioli, allocchi, barbagianni, tutti presenti nella ricca avifauna nilotica e notoriamente dotati di una notevole vista notturna e crepuscolare.
[14] È da osservare che praticamente tutte le piastre astronomiche note sono dotate quando non di uno o più fori perimetrali, di sporgenze ed incavi che portano a pensare che tali piastre si dovessero in qualche maniera sospendere o comunque tenere sospese mediante filo, oppure essere inserite in qualche dispositivo in grado di reggerle. Le piastre a forma di diamante o losanga, rastremate come un cono gelato facile da impugnare, ne sono chiaro esempio.
[15] Potrà sembrare del tutto fuori contesto, ma così non è. È da rimarcare il fatto, che nel celebre soffitto astronomico di Senmut, le tre stelle circondate da una sorta di goccia d’Acqua su cui si è scritto di tutto e di più, siano definite il “Terzo gruppo di stelle” direttamente da Senmut.
[16] I testi più antichi di questo genere appartengono all’Antico Regno. Si tratta dei cosiddetti “Testi delle Piramidi”, raccolta di testi rinvenuti incisi sulle pareti del monumento sepolcrale appartenente all’ultimo sovrano della V Dinastia, Unas (Unis) intorno al 2200 a.C. circa.
[17] Si ricorda, che proprio Imhotep è stato divinizzato quale medico in epoca saitica, intorno al 663 a. C., essendo considerato curiosamente non come architetto, la famosa piramide a gradoni eretta per Zoser a Saqqara è una sua invenzione, bensì piuttosto come il guaritore dell’Egitto.
[18] Salvo dove diversamente specificato, tutte le immagini del cielo di questo studio sono tratte dal sito “Stellarium”.
 
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