SEGNALATO DAL DR. GIUSEPPE COTELLESSA (ENEA)
Alzheimer, “ecco la proteina
tossica che ostacola la formazione dei ricordi”
"Siamo eccitati perché pensiamo di avere messo le mani su uno dei
collegamenti tra proteina tau e memoria - sottolinea Li Gan, la studiosa alla
guida del team Usa -. Ma siamo anche cauti, perché sappiamo che questo potrebbe
non essere l'unico link esistente"
“Il mistero inizia a svelarsi”. Con queste parole la rivista
londinese New Scientist presenta gli ultimi progressi compiuti dalla ricerca
nella comprensione dell’esatto ruolo giocato nell’Alzheimer dall’accumulo di
grovigli di fibrille proteiche, in particolare della proteina tau. Nelle
persone colpite da questa diffusa forma di demenza – quasi 48 milioni, secondo
l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), di cui 1 milione e 200mila in
Italia – è dimostrata, infatti, la presenza di accumuli proteici, ma non è
ancora noto come queste formazioni determino l’insorgenza della malattia, da
sole o in relazione ad altre concause. Circa il 20% dei malati di Alzheimer non
sviluppa, infatti, queste strutture. Adesso, uno studio pubblicato su Neuron
condotto sui topi da un team di ricercatori del Gladstone institute of
neurological disease di San Francisco, dimostra che la proteina tau indebolisce
le connessioni tra i neuroni, ostacolando così la comunicazione tra le cellule
nervose e la formazione dei ricordi. Il ruolo delle proteine tau è noto ai
biologi: stabilizzare i microtubuli, i binari sui quali viaggiano i materiali
trasportati all’interno delle cellule. I ricercatori Usa hanno ora scoperto che
questo processo nei malati di Alzheimer è alterato da una forma tossica della
proteina tau, che si accumula nelle sinapsi, le regioni di connessione tra i
neuroni. “Siamo eccitati perché pensiamo
di avere messo le mani su uno dei collegamenti tra proteina tau e memoria –
sottolinea Li Gan, la studiosa alla guida del team Usa -. Ma siamo anche cauti,
perché sappiamo che questo potrebbe non essere l’unico link esistente“. La
rivista New Scientist sottolinea, inoltre, che occorre cautela, perché si
tratta ancora di uno studio effettuato solo su modello animale e non sugli
esseri umani. In base alle stime degli esperti dell’Oms, nel 2050 il numero di
persone colpite dall’Alzheimer potrebbe balzare a 138 milioni, con pesanti
ricadute anche economiche sui sistemi sanitari. Il costo mondiale della
patologia è, attualmente, di circa 6 miliardi di dollari l’anno. Una buona
pratica per contrastare il progresso della malattia, insieme alla diagnosi
precoce, è riuscire a mantenere il cervello in continuo allenamento. Non è solo
un modo di dire, ma un progetto con solide basi scientifiche, finanziato con 4
milioni di euro dalla fondazione Pisa. Si chiama “Train the brain”, ed è
condotto dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr) di Pisa. “Il cervello dell’anziano
sano, e perfino quello nelle fasi iniziali della malattia, mantiene una sua
plasticità, con una qualche capacità di recupero e riadattamento – spiega
Lamberto Maffei, vicepresidente dell’Accademia nazionale dei Lincei e
responsabile scientifico del progetto -. Questo rimodellamento favorevole può
essere facilitato da un esercizio fisico regolare, rapporti sociali armonici,
un’alimentazione mirata e tenendo la mente attiva. Gli stimoli esterni –
conclude lo scienziato – rappresentano, infatti, strumenti indispensabili nel
processo di rallentamento della demenza“.
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